Archive for Febbraio, 2023

“L’illusione della fine della Storia…”. L’affondo di Caracciolo

martedì, Febbraio 7th, 2023

Venerdì 10, alle Stelline di Milano, “Chi decide le sorti del nostro futuro” con Tremonti, Foa e Caracciolo. Affrontiamo con il direttore di Limes il tema del ritorno della Storia e la difficoltà della classe dirigente italiana a comprenderlo

Andrea Muratore

"La classe dirigente italiana è cresciuta con l'illusione della fine della storia"

A partire dal suo ultimo libro, La pace è finita, oggi IlGiornale.it dialoga con Lucio Caracciolo. Insieme a Giulio Tremonti e all’ex presidente della Rai Marcello Foa il direttore di Limes, principale rivista italiana di geopolitica, parteciperà all’incontro Chi decide le sorti del nostro futuro (le iscrizioni sono chiuse per raggiunti limiti di posti, ma si potrà seguire online) che si terrà venerdì prossimo (alle 18) al Palazzo delle Stelline a Milano. Sarà l’occasione per fare il punto sulla globalizzazione e sul ruolo della storia nel plasmare gli equilibri geopolitici del presente.

Direttore, il suo libro dimostra che Francis Fukuyama, teorico della “fine della Storia”, ha perso?

“Dire che Fukuyama ha perso forse è una presa di posizione eccessivamente dura. Sicuramente il libro di Fukuyama resta importante e da leggere con attenzione anche alla luce del fatto che l’autore ha più volte poi riorganizzato le sue tesi”.

Tra le chiavi di lettura che dà nel libro a Fukuyama, si palesa quella del dualismo delle letture del concetto di End of the History. “La fine” o “il fine”? Si può cercare una teleologia nella storia odierna?

“Chiaramente non si parlare di un fine della Storia inteso come una razionalità comune verso cui le dinamiche umane tendono. O di un fine comune della Storia. Sicuramente assistiamo alla proliferazione di una serie di Storie e di narrazioni coltivate dalle potenze con fini pret-a-porter. Che in larga parte coincidono con gli interessi nazionali delle singole potenze”.

Quanto succede in Est Europa ce lo insegna?

“Si, in Europa orientale abbiamo una serie di potenze piccole e medie che vivono la loro piena fase risorgimentale e assistono a una piena rilettura della loro storia a fini politici interni. Certamente questo giustifica anche la narrazione che le vuole intente a una battaglia per la sovranità e volenterose di non cedere grandi quote di questa a Bruxelles e alle istituzioni comunitarie. Dall’esterno queste nazioni chiedono essenzialmente soldi per lo sviluppo all’Unione Europea e ai Paesi membri e soldati per la loro difesa agli Stati Uniti”.

A proposito di Usa, il tema della storia è spesso di attualità…

“Il caso Usa è un esempio di dibattito in cui assistiamo a una ricostruzione problematica della storia a partire dalla campagna 1619 Project lanciata dal New York Times. La principale testata di New York ha sostenuto una campagna per la rilettura della storia americana non a partire dalla guerra d’indipendenza e dalla rivoluzione americana che ha portato alle basi della Costituzione a fine XVIII secolo, ma con l’arrivo dei primi coloni inglesi nel 1619. In sostanza si vuole far passare l’idea che la storia degli Usa non parta con la loro nascita e con la Costituzione come atto fondativo ma bensì dalle azioni di un gruppo di schiavisti”.

E per quanto riguarda Cina e Russia?

“In Cina abbiamo una rilettura del passato da parte di Xi Jinping che si vede a capo di una “dinastia rossa” che vede i legami col mandato celeste del passato in continuità, con diverso nome e assetto istituzionale, con la tradizione imperiale che fonda le sue radici in cinquemila anni di storia. Per quanto riguarda la Russia, l’esempio della guerra in Ucraina è sotto gli occhi di tutti. La Russia ha provato a giustificarla all’interno sotto forma di una rilettura dell’obiettivo di ricomposizione dell’unità del mondo russo alla luce degli esempi del passato”.

La carica delle battaglie identitarie si sente fortemente. Come commenta, ad esempio, il caso dell’esclusione della Russia dalla festa per la liberazione di Auschwitz?

“Auschwitz è stata liberata dall’Armata Rossa, questo è certo e indiscutibile. Poi ovviamente è chiaro che nell’Armata Rossa ci fossero sia russi, soldati e ufficiali, in larga maggioranza, che ucraini. Ma anche molti esponenti dell’Impero profondo e delle regioni più remote dell’Unione Sovietica, come i siberiani”

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Sondaggio Mentana, cresce FdI: cifre-baratro per Pd e 5S

martedì, Febbraio 7th, 2023

Il caso Cospito e le polemiche legate al 41 bis non fiaccano il consenso su Fratelli d’Italia. Il partito di Giorgia Meloni infatto fa registrare una crescita dello 0,2 per cento in sette giorni e passa dal 30,4 per cento di una settimana fa al 30,6 per cento di oggi, lunedì 6 febbraio. Il partito dle premier dunque si mantiene a quota 30 e fa registrare una distanza siderale dal secondo partito in classifica, il Movimento Cinque Stelle.

Il partito di Conte infatti è al 17,5 per cento e perde lo 0,3 per cento rispetto a sette giorni fa. Il Pd invece guadagna uno 0,6 per cento e sale dal 14,2 al 14,8 per cento restando però alle spalle dei grillini. La Lega è stabile all’8,7 per cento, ma lascia per strada uno 0,3 in una settimana. Perde uno 0,1 il Terzo Polo di Renzi e Calenda che si attesta all’8,1 per cento. Forza Italia è al 6,4 per cento e perde uno 0,4 in sette giorni. A sinistra stabile Verdi e Sinistra di Fratoianni e Bonelli al 3,5 per cento con una flessione dello 0,1 per cento. +Europa di Emma Bonino è al 3 per cento e perde lo 0,2 rispetto all’ultima rilevazione. Per l’Italia con Paragone il 2,3 per cento, chiude Unione Popolare al 2 per cento.

LIBERO.IT

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Armi che passione: basta un nulla osta e in Italia si può comprare una pistola

martedì, Febbraio 7th, 2023

Francesco Grignetti

ROMA. Italiani, brava gente, ma con il porto d’arma. Gli ultimi dati ufficiali dicono che sono 1.222.537 le licenze di porto d’armi in corso di validità per tutte le categorie. Un dato in leggera diminuzione rispetto al 2020, dove è marcata soprattutto la riduzione dei cacciatori.

A ben guardare tra i dati, quasi una metà di quelli con porto d’armi, pari a 543.803 licenze, sono di uso sportivo. Il resto sono 600mila cacciatori, 33mila guardie giurate e poi 12.500 persone che hanno un porto d’arma per difesa personale. Il dato impressiona da sempre i sindacati di polizia, che lanciano allarmi come sia complicato avere il porto d’armi da parte di questure e prefetture, e poi sia così semplice, invece, avere un’arma per un presunto uso sportivo. E si stima che ci siano in circolazione almeno 10 milioni di pistole.

Una licenza per il porto d’armi, peraltro, dura 5 anni, va rinnovata in prefettura, occorre una certificazione medica, e dal 2021 c’è stata anche una minima stretta in quanto non è più possibile avere armi per chi sia stato sottoposto a un Trattamento sanitario obbligatorio. Accadeva infatti anche questo: che i prefetti, per motivi di privacy, non potessero avere accesso ai dati sanitari dei richiedenti. Ora tocca ai sindaci, in quanto autorità sanitaria, informare di ogni Tso i prefetti ed esiste un database.

Detto ciò, da sempre chi si occupa di sicurezza ritiene che sia un errore strategico diffondere le armi. Poco tempo fa, Domenico Pianese, segretario generale del sindacato Coisp, dopo il caso di un carabiniere ferito nel Catanese nel tentativo di sedare una rissa, diceva: «È più che mai necessario rivedere e irrigidire i criteri di assegnazione dei porto d’arma e dei nullaosta all’acquisto ai privati cittadini».

Già, perché molti hanno un semplice nullaosta, il che permette loro tranquillamente di tenere le armi in casa. «E mentre il porto d’armi viene concesso in seguito a un’istruttoria, e in casi di necessità comprovata, il nullaosta all’acquisto è molto più semplice da ottenere dal momento che decadono i requisiti della straordinarietà. Con un nullaosta è possibile acquistare in una qualsiasi armeria fino a sei fucili, due pistole e 1.500 proiettili da tenere in casa».

Un altro dato salta agli occhi: il Censis recentemente ha sondato le paure degli italiani e ha scoperto che il 9,6% dei residenti ritiene di dover difendere la propria abitazione con un’arma da fuoco. Sono circa 4 milioni di persone. Molte più di quelle autorizzate dal ministero dell’Interno.

Palesemente è da questo bacino che vengono fuori i 543mila che dichiarano un uso sportivo e vanno regolarmente ad addestrarsi al poligono. Senza criminalizzare nessuno, è da qui che sono venuti fuori i casi di Costantino Bonaiuti, il sindacalista di 61 anni che tre settimane fa ha ucciso a Roma la ex compagna Martina Scialdone; oppure quello di Claudio Campiti, a cui la prefettura aveva negato a ragione il porto d’armi perché lo aveva ritenuto instabile psicologicamente e così, per fare la strage nella riunione di condominio a Fidene, ha utilizzato una pistola sottratta al Tiro al volo.

L’allarme è carsico e riemerge ad ogni tragedia. Due anni fa, ci fu un triplice allucinante delitto ad Ardea, terminato con il suicidio dell’assassino, un giovane con palesi problemi psichici. Quella storia fece rabbrividire l’Italia perché furono uccisi due bambini al parco. Quella volta, il giovane Andrea Appignani si era impadronito dell’arma del padre, deceduto, vigilantes in pensione, senza che nessuno si rendesse conto dell’accaduto.

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Terremoto in Turchia, il geologo Mario Tozzi: “Tutto quello che costruiamo è fragile, siamo in balia della forza della Natura”

martedì, Febbraio 7th, 2023

Mario Tozzi

Le civiltà dei sapiens esistono solo grazie a un temporaneo consenso geologico, soggetto a essere ritirato senza preavviso. Il terremoto di Gaziantep ribadisce questo concetto sul quale non riflettiamo abbastanza e che dimentichiamo in fretta. Magnitudo 7,8 Richter per la prima scossa, significa un terremoto molto potente, per intenderci un evento centinaia di volte più forte dell’ultimo terremoto italiano, quello di Amatrice e Norcia del 2016. Magnitudo 7,5 per la replica più forte significa una coppia sismica che sbriciola anche quanto, strutturalmente indebolito, ha retto comunque al primo evento.

Devastante terremoto in Turchia e Siria: più di 3000 morti e migliaia di feriti e dispersi. L’Oms: potrebbero essere 8 volte di più

A CURA DELLA REDAZIONE 06 Febbraio 2023

Il tutto a soli 25 km di profondità, fatto che ha aggravato i danni e moltiplicato le conseguenze. Il risultato sono migliaia di vittime e ambienti urbani sconvolti a 150 km dal più antico edificio sacro che gli uomini abbiano mai costruito, oltre 11.000 anni fa a Gobekli Tepe, e non lontano dai più antichi insediamenti cittadini dell’umanità che si conoscano. Ma noi ci ostiniamo a vivere in regioni pericolose lungo tutto il bacino del Mediterraneo senza quasi tenerne conto, e l’immagine simbolo di questo terremoto è quella di palazzi di dieci piani ridotti a una frittella schiacciata di meno di dieci metri, come è possibile?

Padre Karakach: “Crollati 50 condomini ad Aleppo, gente sotto le macerie. Corsa contro il tempo per estrarre i sopravvissuti come in un bombardamento”

GIACOMO GALEAZZI 06 Febbraio 2023

Varrà la pena di ricordare che non è il terremoto che uccide, ma la casa costruita male e, da questo punto di vista la Turchia (e anche la Siria) assomiglia moltissimo all’Italia, con l’aggravante che da noi la magnitudo 7,5 è stata forse raggiunta una sola volta, nel 1693 in Valdinoto, e che anche il sisma di reggio Calabria e Messina ha appena superato magnitudo 7. Tenendo presente che la magnitudo Richter, che non ha teoricamente un «tetto» superiore (e può essere anche negativa), permette di ricostruire una «scala» logaritmica, si capisce come si tratti di eventi centinaia di volte meno energetici. In Giappone, in Cile, in Nuova Zelanda e in California si supera magnitudo 8 e case e infrastrutture reggono complessivamente molto meglio, anche perché i devastanti terremoti di San Francisco (1906), Tokyo (1923) e Valdivia (1960, il più forte finora mai registrato) furono presi come eventi «eponimi» e come occasione per rifondare un Paese e costruire una cultura del rischio sismico. Da noi e in Turchia si può dire che ciò non è stato ancora fatto e si affida la ricorrenza delle scosse al destino o al fato, e non al fatto che il Mediterraneo è fatto così e dunque è solo questione di tempo.

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Superbonus edilizi, è l’ora delle cause: migliaia di cantieri fermi per crediti fiscali incagliati

martedì, Febbraio 7th, 2023

Giuliano Balestreri

Da Superbonus a supercaos il passo è breve. Soprattutto quando i cantieri edili bloccati rischiano di arrivare a 90 mila a fronte di 15 miliardi di euro di crediti fiscali incagliati e migliaia di cause legali che aspettano solo di essere incardinate in tribunale. «La speranza è di trovare un’intesa che sblocchi i finanziamenti e permetta di completare, almeno i lavori avviati. Avviare una causa dev’essere l’estrema ratio, quando si perde la speranza di recuperare anche solo una parte dei crediti» dice Federica Brancaccio, presidente di Ance, l’Associazione nazionale di costruttori edili che all’orizzonte vede avvicinarsi la tempesta perfetta. Secondo le stime dell’associazione rischiano di fallire 25 mila imprese spazzando via 130 mila posti di lavoro, senza calcolare la ricaduta sull’intera filiera. Una stangata dopo che a detrazione sono stati ammessi 62,4 miliardi di euro.

Il problema è complesso. La stretta sulla cessione dei crediti al 110% che avrebbero dovuto accelerare la riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare italiano ha drenato la poca liquidità che circolava in un comparto messo già in crisi dalla penuria di materie prime. Le banche non comprano nuovi crediti e chi lo ha fatto fino allo scorso autunno, come Poste, ha rallentato le erogazioni lasciando cittadini e aziende nel limbo. Con il risultato che sono partiti i contenziosi tra condomini e ditte, tra progettisti e condomini, tra ditte e banche.

«Ci sono migliaia di professionisti che hanno lavorato e consegnato i loro capitolati, ma ancora non sanno se e da chi saranno pagati» osserva Rossana De Angelis, presidente di Anaci Roma, l’assocazione degli amministratori condominiali: «Il peccato originale è il bonus facciate, nato senza limiti di spesa e senza controlli. Poi il governo Draghi ha inserito i correttivi che servivano con l’asseverazione della congruità dei prezzi e dei lavori eseguiti. Ma il cambio delle regole in corso d’opera ha messo fuori gioco aziende, progettisti e condomini». Con il risultato che gli amministratori della Capitale lamentano di avere – tutti – almeno due immobili in stallo.

«Imprese e condomini – ragiona la presidente di Ance, Brancaccio – si sono trovati con impegni presi e firmati senza poter più monetizzare i crediti su cui avevano fatto affidamento. E’ evidente che questo scateni diversi contenziosi. C’è un tema di lavori fermi con ponteggi su strada e c’è un aspetto fiscale, importante. Se la ristrutturazione non viene completata e non c’è il salto di due classi energetiche, l’Agenzia delle Entrate può chiedere la restituzione del credito fiscale ai contribuenti. Siamo di fronte a una bomba a orologeria». Nell’immediato la soluzione non può che passare da una moratoria che permetta di portare a termine i lavori avviati, ma «abbiamo bisogno di ragionare su una misura strutturale di lungo periodo che sia legata anche agli obiettivi di decarbonizzazione. Dobbiamo pensare a che Paese vogliamo nel 2050». Un approccio sposato anche dalla presidente dell’Ordine degli ingegneri di Milano, Carlotta Penati: «Abbiamo bisogno di pianificare, pensano al ciclo di vita degli immobili e dei materiali per costruire un futuro sostenibili. Le regole devono essere chiare con poche o, ancora meglio, nulle modifiche in corso d’opera. Con il Pnrr arriveranno altri incentivi, dobbiamo impedire che i bonus siano un’occasione persa». Nel frattempo anche i professionisti cercano di tutelarsi: «Siamo i primi a non essere pagati – incalza la presidente – perché il nostro lavoro si conclude molto prima che partano i cantieri. Serve uno svincolo economico».

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I giovani e il lavoro di qualità

martedì, Febbraio 7th, 2023

di Antonio Polito

La carenza di manodopera ormai convive con livelli ancora elevati di disoccupazione, soprattutto giovanile, an che perché i ragazzi sono diventati più esigenti

A Brescia tra gli imprenditori gira una storiella. Dice che mentre un tempo i colloqui per le assunzioni si concludevano con un «grazie, le faremo sapere» dell’azienda al candidato, ora finiscono con un «grazie, vi farò sapere» del candidato all’azienda. E il presidente della Camera di Commercio, Roberto Saccone, mi assicura che non è una battuta: sempre più spesso le cose vanno proprio così.

Un po’ in tutt’Italia le imprese lamentano una crescente carenza di manodopera. L’aneddotica è ricca, e non risparmia neanche le aree più industriose e le comunità più permeate da un’antica cultura del lavoro, come appunto Brescia e la sua provincia (non a caso la prossima Futura Expo delle imprese bresciane metterà questo tema tra gli obiettivi di sostenibilità, al pari di energia e ambiente).

Nelle rilevazioni statistiche la carestia di lavoro viene indicata sempre più in alto tra i fattori di rischio per la ripresa e la crescita. Per quanto paradossale, il fenomeno ormai convive con livelli ancora elevati di disoccupazione, soprattutto giovanile. E seppure siamo ben distanti dalle dimensioni che ha assunto negli Usa, durante e dopo il Covid, la cosiddetta «Great Resignation» (o «Big Quit»), anche in Italia abbiamo toccato una cifra record nell’anno appena finito: più di un milione e seicentomila persone hanno lasciato volontariamente il lavoro nei primi nove mesi del 2022, e il trend è in continua crescita.

Ci sono ovviamente numerosi e importanti fattori sociali dietro questa specie di sciopero del lavoro, e il Corriere li ha più volte analizzati. Tra gli altri, un sistema scolastico che, carente sotto molti aspetti formativi, lo è ancor di più per quanto riguarda l’orientamento, la capacità cioè di indirizzare i giovani verso gli studi a loro più consoni e i lavori più richiesti. Questo crea spesso un mismatch tra le esigenze delle imprese e le abilità professionali acquisite dai futuri lavoratori. Maggiore fortuna dovrebbero per esempio avere, in un Paese manifatturiero come il nostro, gli Its (Istituti Tecnici Superiori), scuole di eccellenza tecnologica post-diploma.

Ma poiché il fenomeno riguarda ogni tipo di lavoro, non solo quelli qualificati ma anche i «generici», bisogna prendere atto che ha radici più profonde.

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Il Cav affossa il Pd: “È ostaggio delle demagogie dei 5 Stelle”

lunedì, Febbraio 6th, 2023

Luca Sablone

Altro che vento di novità: il nuovo corso del Partito democratico si prospetta fallimentare, molto simile a quello attuale che ha spinto Enrico Letta al passo indietro. Anzi, per certi versi è anche nostalgico di un certo passato. A mettere a nudo l’identità del Pd è stato Silvio Berlusconi, che senza mezzi termini ha rivolto un’accusa ben precisa alla galassia che tanto vuole rinnovarsi ma che non sembra essere in grado di fare i conti con la storia e con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti.

Berlusconi sferza il Pd

Il presidente di Forza Italia, intervenuto ai microfoni di Mattino 5, è stato interpellato su quali siano oggi i pericoli per l’Italia. In tal senso non ha fatto mancare un monito all’indirizzo dei dem: “Stiamo assistendo, purtroppo, a un ritorno di istanze antiliberali, populiste e giustizialiste con un Partito democratico tentato dal ritorno al passato ideologico e ostaggio delle demagogie grilline”. In effetti l’asse giallorosso con il Movimento 5 Stelle, in teoria rotto a livello nazionale, è stato già riproposto in Lombardia.

“Non mi vergogno, sono orgoglioso”. Bonaccini il nostalgico del comunismo

Il Cavaliere ha annotato che solamente pochi giorni fa uno dei candidati alla segreteria del Partito democratico “si è dichiarato orgogliosamente comunista, orgogliosamente fedele ad un’ideologia e ad un regime responsabile di 85 milioni di morti nella storia dell’umanità”. Ecco perché diversi italiani considerano il numero uno del partito azzurro “un benefattore dell’Italia”. Il Cav ha infatti ricordato di essere sceso in campo nel 1994 e di aver “impedito ai comunisti di prendere il potere nel nostro Paese”.

Il piano su lavoro e pensioni

Berlusconi ha inoltre illustrato di nuovo il piano per intervenire a favore dell’occupazione, in particolar modo per far sì che i giovani italiani possano trovare un impiego e gettare le basi per il proprio futuro. A questo proposito ha rilanciato la proposta per “togliere tutte le tasse e i contributi che gravano sui loro contratti di lavoro”.

Non solo: tra i progetti principali rientra anche quello sulle pensioni per gli anziani. Il nuovo governo le ha già aumentate a 600 euro per chi ha più di 75 anni di età. L’obiettivo fissato è quota 1.000 euro entro il termine naturale della legislatura previsto per il 2027: “Passeremo da 600 a 700 euro il prossimo anno, da 700 a 800 euro l’anno dopo, da 800 a 900 euro il terzo anno, da 900 euro a 1.000 euro per 13 mensilità il quarto anno e quindi entro la fine di questa legislatura”.

Le elezioni regionali

Domenica 12 e lunedì 13 febbraio saranno chiamati al voto gli elettori della Lombardia e del Lazio, le più importanti Regioni del nostro Paese per motivi economici e politici. Il centrodestra ha trionfato in maniera netta alle elezioni politiche e l’auspicio del Cav è quello di ripetere il successo anche in occasione delle elezioni regionali: “È fondamentale prevalere anche in Lombardia e Lazio, che sono il cuore economico e politico del Paese. Soltanto unendo l’azione politica nazionale a quella dei governi regionali si potranno dare risposte efficaci”.

Il voto in Lombardia e nel Lazio potrebbe rivelarsi cruciale e, sondaggi alla mano, dovrebbe confermare la vittoria del centrodestra e dunque premiare l’attuale maggioranza di governo. Il presidente di Forza Italia ha poi rivolto un appello a chi è ancora indeciso e a chi sta pensando di non recarsi alle urne: “Non devi avere dubbi. Vota per noi, scegli il simbolo di Forza Italia, fallo nel tuo interesse e di tutti gi italiani. Vota Forza Italia, così ci impegneremo tutti insieme per una Lombardia migliore e un Lazio da riorganizzare e rilanciare”.

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Il sogno di ogni anarchico

lunedì, Febbraio 6th, 2023

Augusto Minzolini

Ha fatto bene Giorgia Meloni a lanciare un appello a tutte le forze politiche per ritrovare una posizione unitaria su temi sensibili come l’eversione e la mafia. Un’esigenza che Il Giornale aveva posto già qualche giorno fa. Del resto una classe politica degna di questo nome – a sinistra come a destra – non può che compattarsi contro fenomeni che in passato hanno tentato addirittura di sovvertire lo Stato. Per cui è paradossale, singolare, preoccupante che su questioni di simile portata si sia innestato un dibattito, per usare un eufemismo, a dir poco stravagante: da una parte l’accusa al Pd da parte di alcuni esponenti di Fratelli d’Italia di fare «il gioco dei mafiosi»; dall’altra la solita contro-replica agli uomini della Meloni, interpretata ieri addirittura da Enrico Letta e suonata sul solito leit-motiv «siete squadristi».

Si è messa in scena, insomma, una polemica insensata, masochista sia sul piano politico, sia su quello istituzionale. Soprattutto si è parlato dell’ormai famigerato 41 bis come se fosse altro. Come se fosse un’ulteriore aggravante della pena, come dire: l’ergastolo più il 41 bis, o trent’anni più il 41 bis. In realtà è uno strumento in mano alla magistratura, ripeto alla magistratura, per prevenire altri reati che condannati per mafia o terrorismo potrebbero provocare o favorire comunicando fuori dal carcere con potenziali complici. Quindi è solo il giudice che ha le informazioni e la perizia per valutare un rischio di questo tipo. Non si può, infatti, chiedere la grazia o una riduzione di pena che faccia venir meno il 41 bis per un detenuto, perché non si parla dei reati già commessi, ma di quelli che il detenuto sarebbe nelle condizioni di concorrere a commettere in futuro. Motivo per cui si parli di un terrorista o di un mafioso, si tratti di Cospito o di Tizio e Caio, la politica ha ben poco da dire sull’argomento, perché qualora dovesse decidere di togliere il detenuto dal regime di carcere duro contro il parere della magistratura, dovrebbe poi rispondere di eventuali atti criminali che discendessero da quella scelta. Qualcuno ha intenzione in Parlamento di assumersi questo rischio? Non credo.

C’è poi un ulteriore dato che si è aggiunto, tutt’altro che irrilevante, complici i tempi tecnici della magistratura (ragion per cui la riforma della giustizia è ancora più essenziale di ieri). Le minacce, gli attentati, la pressione che gli anarchici stanno esercitando hanno messo il caso Cospito in un vicolo cieco: la decisione politica di togliere ora il capo anarchico dal regime di 41 bis sarebbe interpretata come un cedimento dello Stato. Un atto di debolezza che in un momento così delicato, sul piano internazionale e interno, ripeto lo Stato – non il governo, la maggioranza o l’opposizione – non si può permettere.

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Se Giorgia sapesse governare

lunedì, Febbraio 6th, 2023

Alessandro de Angelis

A meno di clamorose sorprese – l’aria che tira è questa – avrà gioco facile Giorgia Meloni a dire, tra una settimana esatta, che la vittoria in Lazio e Lombardia (mica Roccacannuccia) è il segno che il governo gode della fiducia degli italiani. Il palco dell’Auditorium racconta proprio la consapevolezza di questa posta in gioco. E non a caso negli ultimi giorni si registra un certo attivismo del premier, più in versione “Donzella” che statista (così piace alla sua curva).

Bene (anzi male): pensate adesso allo scenario contrario: sconfitta nel Lazio e partita all’ultimo voto in Lombardia. Si parlerebbe dei primi scricchiolii, poi partirebbe il solito film di qualche alleato che chiede di cambiare registro, qualcuno avanzerebbe qualche critica su cento giorni di retromarce e rinvii. E, forse, anche su questa cagnara attorno al caso Cospito. Persa l’aurea dell’imbattibilità, forse anche la nostra si porrebbe il problema di governare il paese non come un campo Hobbit.

E invece, se possibile, può contare sulla granitica complicità delle opposizioni, incapaci (e qui la principale responsabilità è di Conte) di andare unite anche laddove governavano assieme, sostenendo un assessore uscente, peraltro eccellente. Per Conte, in versione “tanto peggio per gli altri, tanto meglio per me”, l’obiettivo non è battere la destra, ma prendere un voto in più del Pd “da sinistra”. Calenda nemmeno ha deciso cosa farà da grande se non, anche lui, prendere voti al Pd, ma “da destra”. E il Pd s’è perso dentro la “vocazione minoritaria” di un congresso separato dalla realtà, il cui fallimento sta tutto in un numero: 24. Tanti i votanti a Mirafiori e, per carità di patria, tralasciamo le baruffe dei candidati sui numeri in giro per l’Italia. C’è un mondo in quel “24”: le cause della sconfitta, la catastrofe politico-culturale di questi anni, un congresso che – tra manifesti, Statuti, dibattiti su chi farà il vicesegretario – ossifica la sconnessione sentimentale e la perdita di una ragione sociale. Parafrasando Eliot, il dibattito è aperto: se sono i fedeli ad aver abbandonato la Chiesa o la Chiesa ad aver abbandonato i fedeli. O forse le due cose stanno perfettamente assieme.

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Tomasi: “Autostrade investirà 21 miliardi per rifare la rete più vecchia d’Europa”

lunedì, Febbraio 6th, 2023

Giuseppe Bottero, Paolo Festuccia

Era un martedì. Un maledetto martedì, quando il 14 agosto di cinque anni fa crollò il Ponte Morandi. Quarantatré le vittime. Una ferita che mai rimarginerà. Pochi mesi dopo Roberto Tomasi fu chiamato a tenere le redini dell’azienda. Manager interno, era il direttore Grandi opere di Aspi e, in quella veste, aveva diretto il completamento dell’Adriatica e l’apertura della Variante di Valico, una delle opere più complesse degli ultimi trent’anni. Quella del Morandi è «una di quelle ferite che segnano per sempre la storia di un’azienda». Poi venne il resto: «Come era potuto accadere, e una storia aziendale da ripensare e ricostruire».

Ecco, come è potuto accadere e cosa ci ha insegnato il crollo del Ponte Morandi.

«Dopo aver toccato il punto più basso, occorreva fare chiarezza e ripartire, mettendo al primo posto il nostro impegno per la sicurezza. In momenti simili devono prevalere l’analisi e il rigore tecnico. La radicale trasformazione aziendale era l’unica via per ridare valore alla storia di questo Gruppo e alle quasi 10mila persone che ci lavorano. Era necessario azzerare tutto, trasformare l’azienda e cambiare i manager a tutti i livelli della società. Un cambio di passo che ha visto il riconoscimento anche da parte del Tribunale di Genova».

Il vostro piano industriale prevede più di 21 miliardi di investimenti, tra manutenzioni, ammodernamento della rete e nuove opere. Perché è necessario mettere a terra grandi opere come la Gronda o il Passante di Bologna?

«In Italia il 56% della rete autostradale è stato realizzato prima degli anni Settanta. In Francia, in Germania e Spagna, invece, le grandi infrastrutture sono state realizzate per l’85% dopo gli anni Settanta. Questo significa che abbiamo uno dei sistemi viari più vecchi d’Europa, con un livello di complessità che gli altri non hanno: il 25% della rete nazionale è costituita da ponti e gallerie, a fronte di una media europea che è poco più del 3%. Il 50% delle gallerie d’Europa si trovano nel nostro Paese. Si tratta di un’infrastruttura dieci volte più complessa rispetto alle altre. Pensi che solo in Liguria ci sono 298 gallerie e 505 ponti in 400 chilometri di tratta autostradale: mediamente un ponte e una galleria per ogni chilometro percorso. Da qui l’esigenza di investire e rinnovare. Queste opere fondamentali hanno ritardato per molti anni, mentre i volumi di traffico hanno continuato a salire: è necessario agire ora, non solo per la nostra società, ma nel primario interesse del sistema-paese. Solo sulla rete Aspi ogni giorno entrano 4,5 milioni di persone: l’autostrada in Italia è l’arteria primaria degli spostamenti delle merci, l’88% dei volumi nazionali viaggia su gomma, contro un 3% del sistema ferroviario: questi dati restituiscono la dimensione esatta del tema cruciale delle infrastrutture».

A cominciare dalla Gronda e dal tunnel in Liguria. Ma quando saranno completate le opere?

«Per la Gronda ci vorranno dieci anni, ma Genova cambierà completamente volto: il progetto sposterà i traffici pesanti fuori dalla città, alleggerendo il carico di una rete satura. Per il tunnel si prevedono tempi più ridotti, circa cinque anni».

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