LUCIO CARACCIOLO
Il dramma della guerra in Ucraina è che sembra destinata a
finire solo quando uno o entrambi i contendenti non avranno più le
risorse per continuarla. Macelleria infinita, che potrebbe muovere
l’attuale linea del fronte di poche decine di chilometri e mietere altre
centinaia di migliaia di vittime. Inutile strage, come Benedetto XV
disperatamente bollò la prima guerra mondiale.
Lo speciale – Ucraina, un anno dopo
Ma è davvero così? Siamo prigionieri di un destino? Se ne può, se ne
deve dubitare. Se ne può perché ci sono i margini per congelare il
conflitto prima che a farlo sia l’inverno atomico. Se ne deve perché
siamo umani, e lo sono anche i contendenti – pur se nei due campi c’è
chi considera disumano il nemico – per tali mossi dall’istinto di
conservazione.
Per esplorare questa necessità, occorre analizzare i caratteri dello
scontro. In cerca di uno spiraglio da dove avviare un percorso per
uscirne. Premessa: non potrà essere vera pace, stante l’odio e gli
orrori accumulati. Ma già un lungo periodo di sospensione servirebbe a
stemperare il clima apocalittico e a preparare, se non la pace, la
non-guerra.
Questo conflitto ha almeno tre dimensioni.
La prima, diretta, è lo scontro fra impero russo in decadenza e
nazione ucraina in formazione, oggi saldata come mai dall’aggressione di
Mosca, domani vedremo. Partita cominciata oltre cent’anni fa, con
lunghe fasi pacifiche e diverse eruzioni belliche, di cui è arduo vedere
la fine, se non nella scomparsa di uno o entrambi i soggetti in
competizione. Ciò che certamente comporterebbe ulteriori e più vasti
conflitti.
La seconda partita, sempre meno indiretta, è fra Russia e America o
“Occidente collettivo”, per usare il gergo di Putin. Posta in gioco la
frontiera orientale della Nato, che per Mosca non deve includere
l’Ucraina. Ragione di fondo adottata dal Cremlino per spiegare
l’“operazione militare speciale”. Questa dimensione ci investe
direttamente come europei e italiani, parte del campo occidentale. Sotto
ogni profilo: securitario, economico, culturale, psicologico.
La terza, ancora fredda, inquadra il campo di battaglia ucraino nella competizione strategica fra Stati Uniti e Cina, con la Russia sempre più schiacciata su Pechino per mancanza di alternative. Gli americani considerano primaria questa partita, con l’Ucraina teatro importante ma non decisivo.
Se ne deduce che la prima dimensione, quella russo-ucraina, sia
pressoché intrattabile, a rischio anzi di produrre un massacro
potenzialmente infinito, almeno finché esisteranno un russo e un
ucraino. La seconda e la terza versione sono invece gestibili. In altri
termini: saranno America e Russia a decidere la fine o la continuazione
dello scontro. Con la Cina in veste di disonesto sensale (i cinesi hanno
tutto l’interesse a tenere in piedi Mosca e a indebolire Washington)
entrato clamorosamente in gioco via progetto di pace concordato in parte
con Putin, i cui eventuali effetti misureremo già nei prossimi giorni.
Qualcosa si muove, sottotraccia, nel triangolo sino-russo-americano.
In particolare fra Mosca e Washington. I sondaggi segreti non hanno
finora prodotto nulla di visibile, ma il capo delle Forze armate
americane, generale Mark Milley, affermando di non vedere come qualcuno
possa vincere questa guerra ha con pragmatismo militare posto l’urgenza
di un dialogo concreto su quale compromesso possa interrompere le
ostilità. Il ragionamento del Pentagono – osteggiato da altri centri di
potere, quali il Consiglio per la Sicurezza Nazionale e il Dipartimento
di Stato, con Biden chiamato a trovare un punto di composizione fra le
diverse agenzie, intelligence compresa – è il seguente.
Siamo in una guerra di attrito. Per vincerla devi distruggere il
morale, le infrastrutture e la produzione di armi del nemico. Ciò che i
russi stanno metodicamente facendo, ad altissimo prezzo, che gli ucraini
non possono fare e che gli americani non vogliono azzardare, perché
sarebbe guerra nucleare Usa-Russia. Inoltre, gli stock occidentali,
compresi quelli americani, stanno riducendosi pericolosamente. Al
Pentagono si lamenta che le forniture d’armi concepite per Taiwan e
alleati asiatici siano deviate verso l’Ucraina. I russi, per la sorpresa
quasi generale, sembrano disporre di magazzini ancora semipieni,
malgrado le enormi perdite subite. Soprattutto producono nuove armi a
ritmi per noi impensabili. Infine, le sanzioni per ora non intaccano
l’economia russa, anche perché spesso aggirate dai paesi che le hanno
decretate.