Archive for Febbraio, 2023

Zelensky, l’affondo di Sallusti: “Svuotare la scarpa in testa agli italiani no”

venerdì, Febbraio 24th, 2023

Alessandro Sallusti

Bene ha fatto Giorgia Meloni l’altro giorno a non rispondere, durante la conferenza stampa a Kiev, al presidente Zelensky che se ne è uscito con quel “mi sembra che la casa del signor Berlusconi non sia mai stata bombardata dai missili” polemizzando, e anche un po’ ironizzando, sulle dichiarazioni del Cavaliere contrarie alla visita del nostro primo ministro in Ucraina. Ha fatto bene, Giorgia Meloni, dimostrando di aver velocemente imparato come si deve comportare un uomo di Stato, perché non era quella la sede dove mettersi a discutere di questioni interne italiane e quindi, di converso, male ha fatto Zelensky a porle. 

Sappiamo che il presidente ucraino non è un fine diplomatico e capiamo che stando tutti i giorni sotto le bombe uno poi alla fine non va tanto per il sottile, ma non c’era davvero alcun motivo di riaccendere una polemica che, stante la presenza della premier al suo fianco in quel palazzo, avrebbe dovuto essere considerata definitivamente chiusa, infondata e superata dai fatti. Al netto che Zelensky può avere le sue buone ragioni per ricambiare la non simpatia che Berlusconi nutre nei suoi confronti, il presidente ucraino non ha sbagliato solo nella forma, e già questo per un capo di Stato non è poco, l’errore è soprattutto di sostanza. 

Silvio Berlusconi infatti fin dal primo giorno di guerra ha schierato il suo partito, Forza Italia, senza alcuna esitazione sulla linea della fermezza contro Putin e della massima collaborazione, militare e umanitaria, con l’Ucraina. Zelensky deve sapere che senza quella scelta molto probabilmente né il governo Draghi prima né quello di Giorgia Meloni oggi avrebbero potuto fare quello che hanno fatto per aiutarlo a resistere all’invasore. 

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Carofiglio: “Il mio dilemma sulla leadership, la sinistra ora pensi alla dignità”

venerdì, Febbraio 24th, 2023

Annalisa Cuzzocrea

Gianrico Carofiglio non sa ancora se domenica andrà a votare alle primarie. Non lo dice per spirito di contraddizione, non lo fa per darsi un tono. Il suo spaesamento, i suoi dubbi, le sue riserve sono quelli di migliaia di elettori del Pd. «Ci sono cose che mi convincono e non mi convincono di entrambi i candidati – dice lo scrittore, che lunedì sarà di nuovo in tv, su Rai3, con Dilemmi – Soprattutto, non mi convince il percorso che ha portato fin qui».

Le avevano chiesto di far parte del comitato che avrebbe dovuto dar vita alla carta dei valori, di cui non si è saputo più nulla. Come mai ha declinato?
«Immaginavo sarebbe andata così. Ci voleva un’impostazione meno declamatoria. Prendere un sacco di gente e metterla insieme in fretta e furia per decidere qualcosa è di solito un ottimo modo per non decidere nulla».

Il Pd in realtà è stato accusato di lentezza.
«Si vota di nuovo l’anno prossimo,il tempo c’era. Penso sarebbe stato meglio scegliere un segretario o una segretaria di transizione che potesse fare un lavoro di manutenzione straordinaria del patrimonio ideale».

Per lasciare spazio al dibattito di idee e non allo scontro personale?
«Per una riflessione su valori e strategie che andasse al di là delle frasi fatte e delle cose che si ripetono in maniera meccanica e vuota. Se non sai dire chi sei in modo che tutti lo capiscano, non lo hai capito nemmeno tu».

Alle ultime elezioni il Pd non si è saputo raccontare?
«Una campagna elettorale sbagliata ha prodotto quel che è successo».

Serve cambiare nome? Partito del lavoro la convince?
«In realtà poco. Un tempo i due grandi fattori del conflitto sociale erano il capitale e il lavoro. Adesso c’è un capitale tutto finanziario, altamente tecnologico, mentre il lavoro è sbriciolato in mille entità in conflitto tra loro. È chiaro che devi occupartene, ma non può definirti come 70 anni fa, quando infatti gli operai votavano Pci. Adesso gli operai votano Fratelli d’Italia».

E cosa ti definisce, se sei un partito di sinistra?
«La dignità. Ma non quella da pacca sulla spalla. La nostra società è sempre più divaricata nelle sue diseguaglianze. La narrazione è che se stai in alto te lo sei meritato e se sei in basso ti sei meritato anche quello. Una chiave di lettura del mondo spietata che non fa che accelerare e moltiplicare il rancore e il senso di ingiustizia, carburanti del populismo. Il compito della sinistra è disattivare questa macchina, prendere quella roba lì e farne un impulso di trasformazione sociale. Perché è chiaro che ci sono meriti e responsabilità individuali, ma quando un fenomeno è strutturale non può essere quello il discrimine».

E qual è?
«Michael Sandel in La tirannia del merito dice che bisogna passare dall’etica del merito all’etica della fortuna. Chi ha successo non ce l’ha solo in base a doti o impegno, ma grazie all’essere stato o meno fortunato. Bisogna introdurre questo elemento nel dibattito non per punire i ricchi, ma per recuperare la dignità degli sfortunati. Essere socialista, diceva Olof Palme, non significa essere contro la ricchezza, ma contro la povertà».

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Lode alle professoresse democratiche, ci hanno donato le ali della libertà

venerdì, Febbraio 24th, 2023

Concita De Gregorio

In lode delle professoresse democratiche, a lungo irrise come “anime belle”, serbatoio elettorale della sinistra sebbene per sfinimento in astensione e ora persino additate come pericolose. Dal ministro dell’Istruzione, in questo tragico mondo alla rovescia che abbiamo costruito o impedito che altri costruissero, è lo stesso.

Elena Schirò, la maestra delle elementari che in quarta ci fece un solo anno di supplenza, regalò a ciascun alunno novenne un libro, andandosene. Il mio, poiché sapeva che studiavo pianoforte, fu una “Storia della Musica”. Un libro semplice, con le foto e le biografie. Ce l’ho davanti, ha la copertina verde chiaro, mi ha accompagnata in cento traslochi. La dedica, in elegantissima calligrafia obliqua, dice. «Sii libera. Per essere libera devi essere forte, per essere forte devi sapere. È il sapere che fa la forza! La tua maestra». Sono tornata lì ogni volta che ho fatto fatica, che ho pensato non ce la faccio, è un compito fuori dalla mia portata, ho perso la disciplina. Ce l’avevo, invece. Sii libera. La tua maestra.

Nella vita di ciascuno c’è stato un maestro (di scuola, di sport, di gite al campo estivo) che quel giorno ti ha indicato la rotta, ti ha scritto un biglietto, ti ha detto una frase che ha cambiato le cose. Ci dovrebbe essere, almeno. Quando non c’è manca e si paga.

La professoressa Annalisa Savino, dirigente scolastica del liceo da Vinci di Firenze, ha scritto ai suoi studenti una lettera bellissima. Una impeccabile lezione di storia che parla loro del presente: lo fa con un linguaggio semplicissimo e con parole che descrivono esattamente il rischio che corriamo nel tempo in cui viviamo. L’abitudine, l’indifferenza. Il «che sarà mai», tanto non mi riguarda. Tutto vi riguarda, ha detto la prof.

State attenti, ragazzi, perché i totalitarismi, quelli che poi rovinano la vita di intere generazioni, nascono dall’inerzia di chi ha pensato vabbè, non è un mio problema, non rischio, faccio finta di non vedere, chiudo gli scuri alle finestre. Il fascismo, quello storico, non è nato dalle adunate oceaniche: quelle sono venute dopo. È nato dai pestaggi per strada e dalla gente che allungava il passo. Dipende da voi, ha detto. Che magnifica lezione: che gesto di fiducia nei ragazzi, nell’attribuire a ciascuno la sua responsabilità. La democrazia, la pace, tutte quelle parole consunte e scontate, sono nelle scelte e nei gesti che facciamo ogni giorno per attuarle, conservarle, rafforzarle. La cosa incredibile, davvero impressionante, è che il ministro Giuseppe Valditara, titolare del dicastero dell’Istruzione (dell’Istruzione, che cosa c’è di più rilevante?) passato un giorno abbia detto – in tv, naturalmente: dove dovrebbe altrimenti parlare un ministro? – che quello della preside è «un messaggio improprio, strumentale e politicizzato». Segue minaccia: «Se l’atteggiamento dovesse persistere vedremo se sarà necessario prendere misure». Misure? Quali misure? E la politicizzazione in cosa consiste? Nell’aver pronunciato la parola proibita: fascismo. Non si dice, non sta bene. Abbiamo la prima forza di governo, il partito della premier che continua a crescere nei sondaggi, diretto discendente di quella tradizione. Non si nomina, il fascismo delle origini: la matrice. Si fa finta che sia tutto nuovo, tabula rasa, tutto germogliato nella notte per sorpresa.

Ma facciamo un passo indietro. Le professoresse democratiche. Il ceto medio riflessivo. (Legittimo è il dubbio che fra essere democratici ed essere maestri ci sia una relazione di causa-effetto). Avrete notato come negli ultimi decenni esibire una qualsiasi forma di conoscenza sia diventato materia di scherno: da parte di chi non ne ha, ovviamente, o finge di non averla nella consapevolezza che titillare nell’elettorato l’orgoglio dell’ignoranza porti consenso. Certo: uno che ti dice fatica e poi vediamo è peggio di uno che ti dice che se sei analfabeta non fa niente, sei hai la terza media puoi comunque essere ministro, è l’esperienza che conta, che differenza c’è fra il pregiudicato che deve rifarsi una vita, il venditore ambulante e l’astronauta, il chirurgo, la docente di egittologia.

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Armi all’Ucraina, la maggioranza degli italiani è contraria | Il sondaggio.

venerdì, Febbraio 24th, 2023

di Cesare Zapperi

Un italiano su due non si schiera ma solo il 7% è con Mosca. Prevale il no all’invio delle armi. I più contrari agli armamenti si trovano tra gli elettori di Lega, Movimento 5 Stelle e Fratelli d’Italia. Favorevoli i sostenitori di Pd e Forza Italia

Armi all’Ucraina, la maggioranza degli italiani è contraria | Il sondaggio.

Gli italiani continuano ad essere preoccupati per il conflitto in Ucraina. Ne temono soprattutto le ricadute economiche (più che quelle umanitarie) e non prevedono che le ostilità possano cessare a breve (ci vorrà da uno a più anni). Le simpatie nei confronti del paese guidato da Volodymyr Zelensky sono in netto calo a favore di un atteggiamento più equidistante o comunque non a favore dell’uno o dell’altro contendente. E rimane confermato, invece, un giudizio negativo rispetto all’opportunità di inviare armi all’Ucraina.

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Guerra in Ucraina, italiani contro l’invio delle armi. E uno su due non si schiera

Questo è il quadro che emerge da un sondaggio realizzato dall’Istituto Ipsos per conto del Corriere della Sera tra il 21 e 23 febbraio. Una fotografia che fornisce anche dati interessanti da leggere in chiave di politica interna. Soprattutto alla luce della recente visita della presidente del Consiglio Giorgia Meloni a Kiev e del suo fermo appoggio al presidente ucraino. Proprio rispetto all’invio di armi (visto con favore dal 34% degli italiani rispetto al 45% di contrari), infatti, gli elettori del partito della premier sono in maggioranza (47% a 39%) contrari. Nella coalizione di centrodestra, ancor più ostili a nuovi aiuti sono i cittadini che votano Lega (55% a 32%), mentre i favorevoli prevalgono solo tra i sostenitori di Forza Italia (51% a 40%).

Per contro, spicca il favore all’invio di armi degli elettori del Pd (52% a 36%) e di quelli di Azione-Iv (55% a 33%). Il Movimento 5 Stelle vede confermata la sua linea ostile dai suoi votanti (contrari il 54% rispetto al 30% favorevole). Con questi numeri, forse è più chiaro il crescente raffreddamento della Lega nei confronti degli aiuti, mentre la premier sta «sfidando» parte dei suoi elettori e sarà interessante capire se ne pagherà un prezzo.«Gli italiani confermano di essere preoccupati (tra molto e abbastanza sono il 79%) per il perdurare del conflitto — spiega Nando Pagnoncelli, direttore di Ipsos — Lo sono soprattutto per le sue ricadute economiche (il 49%) più che per le conseguenze umanitarie (14%)». E sta crescendo anche il timore che la guerra possa «degenerare in un conflitto mondiale». Questo perché le previsioni su un possibile cessate il fuoco non sono ottimistiche. Per il 30% degli italiani la guerra durerà ancora per «diversi anni» mentre per il 30% ci vorrà almeno un anno per arrivare ad uno stop.

Si conferma che la bilancia pende nettamente a favore dell’Ucraina (47% rispetto al 7% per la Russia), ma i consensi sono scesi di dieci punti in un anno. «In compenso — osserva Pagnoncelli — è cresciuta la quota (dal 38% al 46%) di quelli che non si schierano con nessuna delle due parti». Forse è anche per questo che con il passare dei mesi è scesa la percentuale degli italiani favorevoli alle sanzioni alla Russia (erano il 55% nel marzo 2022, sono il 46% oggi, mentre i contrari sono passati dal 31% al 38%). Infine, c’è il dato relativo all’invio delle armi. Prevalevano i contrari un anno fa (47% contro il 33%) e lo stesso succede oggi (45% a 34%) con fluttuazioni minime nell’arco di un anno.

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Il piano di pace della Cina per la guerra in Ucraina, in 12 punti

venerdì, Febbraio 24th, 2023

di Paolo Foschi

Il governo della Cina ha presentato il documento. Al primo punto: rispettare la sovranità nazionale di tutti i paesi

Il piano di pace della Cina per la guerra in Ucraina, in 12 punti
Vladimir Putin con Wang Yi (Ap)

Ecco il piano per la pace presentato dal governo cinese a un anno esatto dell’attacco russo all’Ucraina.

1) Rispettare la sovranità di tutti i paesi. Il diritto internazionale universalmente riconosciuto, compresi gli scopi e i principi della Carta delle Nazioni Unite, deve essere rigorosamente osservato. La sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale di tutti i paesi devono essere efficacemente sostenute. Tutti i paesi, grandi o piccoli, forti o deboli, ricchi o poveri, sono membri uguali della comunità internazionale. Tutte le parti devono sostenere congiuntamente le norme fondamentali che regolano le relazioni internazionali e difendere l’equità e la giustizia internazionali. Dovrebbe essere promossa un’applicazione paritaria e uniforme del diritto internazionale, mentre i doppi standard devono essere respinti.

Le ultime notizie sulla guerra in Ucraina, in diretta

2) Abbandonare la mentalità della guerra fredda. La sicurezza di un paese non dovrebbe essere perseguita a spese di altri. La sicurezza di una regione non dovrebbe essere raggiunta rafforzando o espandendo i blocchi militari. I legittimi interessi e preoccupazioni di sicurezza di tutti i paesi devono essere presi sul serio e affrontati adeguatamente. Non esiste una soluzione semplice a un problema complesso. Tutte le parti dovrebbero, seguendo la visione di una sicurezza comune, globale, cooperativa e sostenibile e tenendo presente la pace e la stabilità a lungo termine del mondo, contribuire a creare un’architettura di sicurezza europea equilibrata, efficace e sostenibile. Tutte le parti dovrebbero opporsi al perseguimento della propria sicurezza a scapito della sicurezza altrui, prevenire il confronto tra blocchi e lavorare insieme per la pace e la stabilità nel continente eurasiatico.

3) Cessare le ostilità. Il conflitto e la guerra non giovano a nessuno. Tutte le parti devono rimanere razionali ed esercitare moderazione, evitare di alimentare il fuoco e aggravare le tensioni e impedire che la crisi si deteriori ulteriormente o addirittura sfugga al controllo. Tutte le parti dovrebbero sostenere la Russia e l’Ucraina nel lavorare nella stessa direzione e riprendere il dialogo diretto il più rapidamente possibile, in modo da ridurre gradualmente la situazione e raggiungere infine un cessate il fuoco globale.


4) Riprendere i colloqui di pace. Dialogo e negoziazione sono l’unica soluzione praticabile alla crisi ucraina. Tutti gli sforzi volti a una soluzione pacifica della crisi devono essere incoraggiati e sostenuti. La comunità internazionale dovrebbe rimanere impegnata nel giusto approccio per promuovere i colloqui per la pace, aiutare le parti in conflitto ad aprire la porta a una soluzione politica il prima possibile e creare le condizioni e le piattaforme per la ripresa dei negoziati. La Cina continuerà a svolgere un ruolo costruttivo in questo senso.

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Come evitare la sciagura di un terzo conflitto mondiale

venerdì, Febbraio 24th, 2023

LUCIO CARACCIOLO

Il dramma della guerra in Ucraina è che sembra destinata a finire solo quando uno o entrambi i contendenti non avranno più le risorse per continuarla. Macelleria infinita, che potrebbe muovere l’attuale linea del fronte di poche decine di chilometri e mietere altre centinaia di migliaia di vittime. Inutile strage, come Benedetto XV disperatamente bollò la prima guerra mondiale.

Lo speciale – Ucraina, un anno dopo

Ma è davvero così? Siamo prigionieri di un destino? Se ne può, se ne deve dubitare. Se ne può perché ci sono i margini per congelare il conflitto prima che a farlo sia l’inverno atomico. Se ne deve perché siamo umani, e lo sono anche i contendenti – pur se nei due campi c’è chi considera disumano il nemico – per tali mossi dall’istinto di conservazione.

Per esplorare questa necessità, occorre analizzare i caratteri dello scontro. In cerca di uno spiraglio da dove avviare un percorso per uscirne. Premessa: non potrà essere vera pace, stante l’odio e gli orrori accumulati. Ma già un lungo periodo di sospensione servirebbe a stemperare il clima apocalittico e a preparare, se non la pace, la non-guerra.

Questo conflitto ha almeno tre dimensioni.

La prima, diretta, è lo scontro fra impero russo in decadenza e nazione ucraina in formazione, oggi saldata come mai dall’aggressione di Mosca, domani vedremo. Partita cominciata oltre cent’anni fa, con lunghe fasi pacifiche e diverse eruzioni belliche, di cui è arduo vedere la fine, se non nella scomparsa di uno o entrambi i soggetti in competizione. Ciò che certamente comporterebbe ulteriori e più vasti conflitti.

La seconda partita, sempre meno indiretta, è fra Russia e America o “Occidente collettivo”, per usare il gergo di Putin. Posta in gioco la frontiera orientale della Nato, che per Mosca non deve includere l’Ucraina. Ragione di fondo adottata dal Cremlino per spiegare l’“operazione militare speciale”. Questa dimensione ci investe direttamente come europei e italiani, parte del campo occidentale. Sotto ogni profilo: securitario, economico, culturale, psicologico.

La terza, ancora fredda, inquadra il campo di battaglia ucraino nella competizione strategica fra Stati Uniti e Cina, con la Russia sempre più schiacciata su Pechino per mancanza di alternative. Gli americani considerano primaria questa partita, con l’Ucraina teatro importante ma non decisivo.

Se ne deduce che la prima dimensione, quella russo-ucraina, sia pressoché intrattabile, a rischio anzi di produrre un massacro potenzialmente infinito, almeno finché esisteranno un russo e un ucraino. La seconda e la terza versione sono invece gestibili. In altri termini: saranno America e Russia a decidere la fine o la continuazione dello scontro. Con la Cina in veste di disonesto sensale (i cinesi hanno tutto l’interesse a tenere in piedi Mosca e a indebolire Washington) entrato clamorosamente in gioco via progetto di pace concordato in parte con Putin, i cui eventuali effetti misureremo già nei prossimi giorni.

Qualcosa si muove, sottotraccia, nel triangolo sino-russo-americano. In particolare fra Mosca e Washington. I sondaggi segreti non hanno finora prodotto nulla di visibile, ma il capo delle Forze armate americane, generale Mark Milley, affermando di non vedere come qualcuno possa vincere questa guerra ha con pragmatismo militare posto l’urgenza di un dialogo concreto su quale compromesso possa interrompere le ostilità. Il ragionamento del Pentagono – osteggiato da altri centri di potere, quali il Consiglio per la Sicurezza Nazionale e il Dipartimento di Stato, con Biden chiamato a trovare un punto di composizione fra le diverse agenzie, intelligence compresa – è il seguente.

Siamo in una guerra di attrito. Per vincerla devi distruggere il morale, le infrastrutture e la produzione di armi del nemico. Ciò che i russi stanno metodicamente facendo, ad altissimo prezzo, che gli ucraini non possono fare e che gli americani non vogliono azzardare, perché sarebbe guerra nucleare Usa-Russia. Inoltre, gli stock occidentali, compresi quelli americani, stanno riducendosi pericolosamente. Al Pentagono si lamenta che le forniture d’armi concepite per Taiwan e alleati asiatici siano deviate verso l’Ucraina. I russi, per la sorpresa quasi generale, sembrano disporre di magazzini ancora semipieni, malgrado le enormi perdite subite. Soprattutto producono nuove armi a ritmi per noi impensabili. Infine, le sanzioni per ora non intaccano l’economia russa, anche perché spesso aggirate dai paesi che le hanno decretate.

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Dalla pace al riarmo finisce un’era in Europa

venerdì, Febbraio 24th, 2023

LUCIA ANNUNZIATA

«Il mondo sta sperimentando una Zeitenwende: uno slittamento tettonico epocale. La guerra di aggressione russa all’Ucraina ha posto fine a un’era». Sono le prime due righe di un intervento del cancelliere tedesco Scholz, pubblicato da Foreign Affairs il 5 dicembre 2022. Parole di un inusuale tono millenaristico che, per diffusione e intensità, hanno definito (condividere o meno) il tono dell’Europa nel primo anniversario della guerra in Ucraina: qualcosa è finito per sempre in questo nostro mondo, e questo qualcosa è il senso della propria sicurezza.

L’ era di cui parla il cancelliere è quella seguita alla caduta del Muro di Berlino, «tre decadi di relativa pace e prosperità», densi di «avanzamenti tecnologici, livelli senza precedenti di connettività e cooperazione», «coraggiosi cittadini che in ogni parte del mondo hanno travolto dittature»; così che «negli anni 90 sembrava che si fosse affermato un più stabile ordine mondiale». Una nuova era che è sembrata convincere tutti della possibilità di nuove formule di crescita e governo, come aveva augurato Willy Brandt alla caduta del Muro: «quello che è parte di un insieme può crescere insieme».

In quegli anni tutto questo «stare insieme» sembrò possibile. I Paesi membri del Patto di Varsavia divennero membri della Nato e dell’Ue. George Bush, presidente conservatore, si augurò «un’Europa unica e libera». Una nuova era in cui, persino, «sembrò possibile che la Russia diventasse partner dell’Occidente e non più l’avversario che è sempre stata», ricorda ancora il cancelliere – e in questa luce per noi italiani si capisce meglio, anche se oggi si rivela una assurdità, quell’ostinato innamoramento di Silvio Berlusconi per Putin. «Ogni Paese europeo tagliò gli eserciti e il finanziamento della Difesa. Perché mantenere una forza di 500mila soldati (tanti ne aveva la Germania, nda) dal momento che eravamo circondati da amici e partner?» spiega Scholz.

Quel tempo è finito. E la fine sta accadendo sotto i nostri occhi: «La Germania e l’Europa possono aiutare a difendere un ordine internazionale fondato sulle regole, senza soccombere alla visione fatalistica che il mondo è destinato ad essere diviso. La storia del mio Paese ci dà una responsabilità speciale nel combattere le forze del fascismo, autoritarismo e imperialismo». In nome di questa battaglia, è stata annunciato il ritorno della Germania a un intenso programma di riarmo.

I resti di un ordigno russo a Bohodarove paiono un totem eretto al dio della Guerra 

Dalla pace in tutto il mondo, dunque, alla “difesa” in tutto il mondo. Laddove “difesa” sta per forza militare. Il primo anno di guerra su suolo europeo ha fatto maturare questo salto nelle percezioni dell’Europa. Qualcosa che è quasi un cambio di natura.

La Ue è un’entità politica in permanente work in progress, alla ricerca del consolidamento di un equilibrio fra competenze e identità di 27 nazioni. Un lavoro difficile, che ha per esempio saputo unificare la propria moneta, eppure, mai fino ad ora, unificare la propria difesa. Materia delicata, questione di confini e identità, dell’esistenza di una nazione, i propri uomini, le proprie armi, la propria sicurezza, appunto.

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Putin ci trascina nella terra inumana

venerdì, Febbraio 24th, 2023

MASSIMO GIANNINI

Grazie, signor Putin. Nei dodici mesi che sconvolsero il mondo, la sua mostruosa Operazione Militare Speciale ci ha regalato una sporca guerra novecentesca, che rischia di trasformare il pianeta nella “Terra inumana” attraversata più di ottant’anni fa da Josef Czapski, testimone degli orrori perpetrati dal nazismo e dal comunismo in quel lembo d’Europa sospeso tra Oriente e Occidente. Le raffiche dei vecchissimi Tank-72 sovietici e dei modernissimi droni iraniani Orlan 10. La pioggia dei missili S-300 e degli ipersonici Iskander. I massacri, le torture, gli stupri commessi dai 300 mila soldati russi tra Kherson e Bucha, Kharkiv e Bakhmut. Con questa paurosa forza di fuoco, Putin ha trasformato l’Ucraina in un “piccolo angolo di inferno”, come Anna Politkovskaja definiva la Cecenia nei suoi memorabili reportage sull’analoga, terribile cura che il Dottor Stranamore di Mosca inflisse a quella povera enclave musulmana tra il 1999 e il 2006.

Nel primo anno della sua “guerra patriottica 2.0”, che ripercorriamo insieme a voi con questo inserto speciale di 32 pagine, il nuovo Zar ha inaugurato una nuova era di Disordine Mondiale. Non che quello precedente fosse Ordine. Ma certo ci allarma l’idea che al Cremlino abiti un aspirante Piccolo Padre che riesuma non il delirio di onnipotenza staliniano ma addirittura il progetto imperiale della Santa Madre Russia. E ci angoscia il pensiero che un ex grigio funzionario del Kgb faccia rifiorire il suo sogno panslavo col ferro e col fuoco, proprio in quella Rus’ di Kiev dove Vladimir I detto il Santo e Jaroslav I detto il Saggio lo cullarono per primi intorno all’anno Mille.

Dirà la Storia se e quanto l’Occidente abbia peccato in questi decenni. Nel non comprendere il senso delle cose, dopo la caduta del Muro di Berlino e la fine del comunismo. Nel non disinnescare la rabbia di un popolo impoverito e umiliato, ma nutrito di furore ideologico e di rancore nazionalistico. Nel non valutare le atroci prove tecniche di espansionismo eurasiatico sperimentate da Putin negli ultimi vent’anni in Cecenia, in Crimea, in Siria. Nel non denunciare le feroci pratiche repressive messe in atto dal suo regime e dai suoi siloviki nei confronti dei cittadini comuni, dei dissidenti e degli oppositori interni. Oggi in Ucraina siamo di fronte a quella che Lucio Caracciolo chiama la “macelleria infinita”. E abbiamo finalmente capito quello che lo stesso Grande Dittatore dice ormai apertamente, parlando all’Assemblea Federale moscovita: «Un anno fa, al fine di proteggere le persone nelle nostre terre storiche, per garantire la sicurezza del nostro Paese, per eliminare la minaccia rappresentata dal regime neonazista emerso in Ucraina dopo il colpo di stato del 2014, è stata presa la decisione di condurre un’operazione militare speciale. E passo dopo passo, con attenzione e coerenza, porteremo a termine i compiti davanti a noi».

Dunque, Putin riscrive la verità storica a suo uso e consumo. Ne rovescia il corso, il senso, l’esito. E ora noi non possiamo più fare finta di nulla, in nome di un irenico neutralismo. Perché il vero nemico dell’autoproclamato Zar non è Volodymyr Zelensky, lo strenuo comandante in maglietta verde che insieme alla sua gente gli ha impedito il Blitzkrieg e oggi resiste eroicamente. Il vero nemico siamo noi occidentali, colpevoli di «una crudele menzogna». Siamo stati noi, secondo la bugiarda narrazione putiniana, «ad aver scatenato la guerra». È l’Occidente, corrotto e decadente, che a suo tempo «ha aperto la strada ai nazisti al potere in Germania», e che oggi ha fatto della «russofobia e del nazionalismo estremamente aggressivo la sua base ideologica». È l’Occidente, cinico e falso, che «sta usando l’Ucraina sia come ariete contro la Russia, sia come campo di addestramento». La Russia no, la Russia non c’entra: patria della tradizione millenaria, custode dei valori della vera religione incarnata dal patriarca Kirill, la Russia «non è in guerra col popolo ucraino», che è invece «ostaggio del regime di Kiev e dei suoi padroni occidentali».

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“Così abbiamo evitato il triplo degli sbarchi. L’Italia è attrezzata contro l’eversione”

giovedì, Febbraio 23rd, 2023

Gabriele Barberis

Una stretta di mano ai vigili del fuoco al rientro dalla missione speciale nella Turchia devastata dal terremoto e una carezza a Nikita, il labrador femmina che ha operato tra le macerie. Giornata di incontri e appuntamenti ufficiali al Viminale per il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che ha ridotto la pausa pranzo, come sua abitudine, a una pizzetta bianca consumata sulla scrivania. Abito grigio, camicia bianca e cravatta blu con motivi bianchi, accetta di parlare con il «Giornale» della bomba immigrazione e la minaccia anarchica.

Ministro Piantedosi, mai tanti sbarchi di immigrati come nelle prime settimane del 2023: oltre 13mila. Arrivano ogni giorno barconi in Sicilia, Calabria, Lazio, Sardegna, Abruzzo. L’Italia è sotto attacco?
«L’Italia è al centro del Mediterraneo. Per chi vuole arrivare in Europa dall’Africa noi rappresentiamo il primo punto di approdo. Storicamente per questa posizione geografica subiamo le conseguenze delle crisi politiche, economiche e sociali, che ciclicamente vivono i Paesi del continente africano.
Di fronte a fasi acute di tali crisi, come quella che stiamo vivendo in questi giorni, possiamo contrapporre soprattutto la nostra tradizionale organizzazione per mitigare l’impatto sull’ordine pubblico. È quello che stiamo facendo, ma è evidente come sia necessario che vengano a compiuta efficacia altre misure che stiamo adottando per bloccare le partenze».

Il governo ha annunciato la linea dura sugli sbarchi di clandestini, i suoi decreti restrittivi vengono contestati per la loro durezza da Ong e sinistra radicale, eppure l’emergenza aumenta. C’è qualcosa che non sta funzionando?
«Il governo, sin dal suo insediamento, ha messo tra le sue priorità quella del contrasto all’immigrazione irregolare. Il primo risultato tangibile è che, dopo anni di sottovalutazione del fenomeno migratorio, lo stesso è ritornato al centro della discussione critica della Ue.
Questo è avvenuto per merito, soprattutto, del presidente Meloni. Il collega Tajani degli Esteri, in alcuni casi con il sottoscritto, ha avviato importanti e troppo a lungo trascurate iniziative di raccordo con i Paesi, soprattutto africani di origine e transito dei flussi migratori, per concorrere e sostenere la loro tenuta e lo sviluppo sociale ed economico. Ciò al fine di addivenire al più presto al superamento delle cause e delle motivazioni che spingono le persone a partire, mettendo anche a rischio la propria vita, nel miraggio di un futuro in Europa che tropo spesso si rivela illusorio. È un programma ambizioso che comporta azioni di lungo periodo che non possono essere giudicate dopo solo 4 mesi di impegno di questo governo, che pure qualche risultato tangibile su questo fronte ha cominciato a farlo intravedere. Anche grazie alla nostra cooperazione, seppur in un quadro di arrivi numerosi, le autorità tunisine e libiche, dal 1 novembre ad oggi, hanno scongiurato l’arrivo, rispettivamente, di quasi 13.000 e di oltre 9.000 migranti.
Si tratta di un risultato importante perché sono numeri che si sarebbero aggiunti a quello delle persone che sono riuscite a sfuggire ai controlli arrivando sulle nostre coste».

Tornano segnalazioni di possibili infiltrazioni di estremisti islamici tra i migranti. Le ultime ondate hanno fatto scattare l’allarme?
«È una risalente discussione quella della possibilità che con i barconi possano arrivare in Italia e in Europa anche soggetti con propositi criminali o terroristici. Ma non bisogna fare allarmismi. Le forze dell’ordine hanno in molteplici occasioni dimostrato di saper individuare le persone “a rischio” al momento dell’ingresso sul territorio nazionale, assoggettandole alle conseguenze di legge. È una vecchia storia quella del pericolo terroristico, che è stata spesso oggetto di discussioni distorte: se l’individuazione di soggetti pericolosi può avvenire solo a sbarco avvenuto, l’impossibilità di controllare le partenze rende sempre possibile tale rischio. Ed uno dei motivi per cui vanno contrastate in tutte le direzioni possibili le traversate incontrollate. In buona sostanza la sicurezza nelle nostre città passa anche attraverso una regolazione degli ingressi e non può esservi alcun approccio emotivo o suggestione che possa far superare tale considerazione».

Ora la gravità dei numeri impone rimedi drastici per contenere il fenomeno. Cosa può fare il governo di più specifico nell’immediato?
«Il governo può e deve mantenere ferma la determinazione nel combattere, in molteplici direzioni, il fenomeno dell’immigrazione irregolare e incontrollata. E continuerà a farlo. Può sembrare una risposta scontata, ma non lo è: sono molteplici le dichiarazioni che si limitano a rilevare la drammaticità di viaggi della speranza sottovalutando tutto ciò che segue il momento dello sbarco ed in particolare i riflessi di degrado, emarginazione e disagio che si manifestano nelle nostre città.
Come ho già detto la ferma volontà di governare i flussi migratori sono certo che produrrà i suoi effetti al più presto. Trovo superficiale e talvolta anche un po’ strumentale la pretesa di giudicarci dopo solo 4 mesi di lavoro».

In tutta la grande partita geopolitica dei migranti ci sono soggetti che frenano o vengono meno alla parola data?
«Se la domanda sottende la scarsa attenzione che c’è stata in Europa sulla specificità del problema di un paese come l’Italia che vive la condizione geografica di essere la principale frontiera marittima, la mia risposta non può che ribadire le mie precedenti considerazioni: il governo Meloni ha tra i suoi meriti quello di aver fatto cambiare narrazione e considerazione su questo problema. È evidente che al più presto i fatti e i risultati arriveranno.

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Fedez e Chiara Ferragni a Sanremo, l’Agcom pronta ad aprire un’istruttoria

giovedì, Febbraio 23rd, 2023

di Antonella Baccaro

Le ipotesi dell’Agcom sulla Rai, con riferimento anche ai comportamenti tenuti da Fedez e Rosa Chemical. «Violazione delle norme a difesa dei minori e pubblicità occulta per Instagram»

Fedez e Chiara Ferragni a Sanremo, l’Agcom pronta ad aprire un’istruttoria
Chiara Ferragni con Amadeus e Gianni Morandi a Sanremo (Ansa)

Le carte sono ancora coperte dalla riservatezza ma diventa sempre più probabile l’apertura di più di un’istruttoria dell’Autorità per le Comunicazioni (Agcom) nei confronti della Rai sui casi verificatisi a Sanremo. Il consiglio ne ha discusso ieri pomeriggio, ascoltando la preistruttoria presentata dagli uffici circa le diverse segnalazioni giunte all’Authority. Due i capitoli più importanti: il primo riguarda la violazione delle norme a difesa dei minori, con riferimento ai comportamenti tenuti dai cantanti Fedez e Rosa Chemical sul palco di Sanremo (la simulazione di un atto sessuale) ma anche da Blanco (la distruzione della scenografia). Il secondo addebito fa riferimento alla normativa sul divieto di pubblicità occulta, e riguarda il modo in cui il social network Instagram (gruppo Meta) avrebbe ottenuto pubblicità durante il Festival: si va dall’apertura del profilo di Amadeus da parte di Chiara Ferragni alle dirette sui profili dello stesso conduttore e di Gianni Morandi.

Agli uffici spetta ora decidere se aprire o meno le istruttorie. La decisione sarà sottoposta al prossimo consiglio, tra un paio di settimane. Ma il consiglio, qualora la decisione fosse quella di archiviare, potrebbe ugualmente chiedere agli uffici di procedere. Le conseguenze di una simile decisione per la Rai sono importanti. Ma ancora più rilevanti sono le eventuali conclusioni. Se l’istruttoria provasse che esiste un contratto tra Rai e Meta che consentiva la pubblicizzazione del social, l’azienda dovrebbe rispondere per non averlo adeguatamente segnalato agli spettatori. Se invece il contratto remunerativo per la Rai non ci fosse, allora l’azienda non avrebbe incassato il dovuto. E qui si configurerebbe un mancato introito e un danno erariale. Ma è presto per saltare a conclusioni, la Rai potrebbe anche uscirne incolume.

Certo, se l’ultima parola spetta al consiglio, bisogna tenere conto che lì coesistono aree d’influenza politiche diverse, derivanti dal modo in cui i cinque consiglieri vengono eletti: due dalla Camera e due dal Senato, mentre il presidente è nominato dal capo dello Stato su proposta del premier, sentito il ministro dello Sviluppo economico. Al momento la bilancia pende verso il centrodestra. Il presidente Giacomo Lasorella, che fu scelto dal premier Giuseppe Conte (ministro Stefano Patuanelli), è considerato di quell’area, al punto che il suo nome è circolato tra i papabili sottosegretari del governo Meloni. L’indicazione di Laura Aria, all’epoca, sarebbe venuta da Forza Italia, mentre Elisa Giomi avrebbe ricevuto l’appoggio del M5S.

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