Archive for Febbraio, 2023

Ora la coalizione diventa più stabile

martedì, Febbraio 14th, 2023

Marcello Sorgi

La sorpresa non è la vittoria – ampiamente prevista – del centrodestra in Lombardia e Lazio, ma le dimensioni della stessa: oltre il cinquanta per cento dei voti per i governatori eletti. Per il centrosinistra la sconfitta è altrettanto netta, con un premio di consolazione per il Pd, che con tutti i guai che ha supera egualmente i magri risultati delle politiche di settembre. Ma al di là di questi numeri che confermano il quadro politico uscito dalle elezioni politiche del 25 settembre, con qualche interessante variazione che non ne muta la sostanza, l’allarme viene dalla bassissima affluenza alle urne: mediamente sotto al 40 per cento, e nel Lazio ben al di sotto. Dati che influiscono sulla qualità e sul funzionamento delle istituzioni, dal momento che una larghissima maggioranza non ci si riconosce; e che impegnano, non solo i nuovi governatori e le giunte che si formeranno, ma tutti gli eletti, a ricercare nuovi canali di comunicazione con quella parte della società civile che rifiuta di farsi rappresentare dall’attuale sistema dei partiti e dalle coalizioni.

Nel complesso, gli elettori andati alle urne hanno espresso un incoraggiamento a Meloni e al governo che presiede; e non perché questi primi cento giorni (in realtà qualcuno in più) siano stati scevri da errori o da imprevisti che hanno messo alla prova le capacità della giovane premier. Ma perché è come se dalle urne fosse uscito un caloroso invito a lasciarla lavorare e a consentirle di realizzare il suo programma, anche nelle pieghe che possono suscitare perplessità (vedi, ad esempio, il comportamento tenuto dalla presidente del Consiglio all’ultimo vertice europeo). In questo senso si apre un problema per le opposizioni, insieme e separate: è un’illusione credere di poter rimontare giocando sulle scivolate del governo, e non lavorando alla costruzione di un serio progetto comune, da comunicare e spiegare agli elettori senza l’ansia del giorno per giorno, ma puntando a costruire una reale alternativa. Un confronto su proposte convincenti, non pensate solo con l’obiettivo di conquistare consensi anche tra le frange estreme dell’opinione pubblica, ma lavorando anche in modo pedagogico per far capire ai propri elettori che non sì può arretrare rispetto alla comprensione dei problemi e alla qualità delle soluzioni avanzate quando si stava al governo. Vale per le questioni energetiche e per il pacifismo irrealistico che si riaffaccia nel tragico contesto della guerra in Ucraina. E riguarda tutti: Pd, Terzo Polo (tentato dal ruolo ormai inutile di stampella del centrodestra) e 5 stelle.

Nelle percentuali di liste, soprattutto al Nord, si è avuto un responso tutto sommato equilibrato a destra, dove Fratelli d’Italia è cresciuto molto (ma non rispetto alle politiche), lasciando un abbondante margine di sopravvivenza alla Lega, aiutata dall’approvazione in Consiglio dei ministri del progetto di riforma per l’autonomia differenziata, e una ridotta fetta della torta per Forza Italia, che tuttavia può sommare ai suoi consensi una parte di quelli per la lista civica del presidente Fontana e scontare una parte di quelli andati alla Moratti, a tutti gli effetti voti moderati che con lei possono tornare a casa (tra l’altro con il pieno consenso di Berlusconi).

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Berlusconi «spinto» dai sondaggi e dai timori per l’economia. Ma i suoi corrono a chiarire dopo le parole su Zelensky

martedì, Febbraio 14th, 2023

di Virginia Piccolillo

Gasparri: «È libero di dire ciò che pensa». Il disagio di Tajani e i malumori di Fratelli d’Italia

Berlusconi «spinto» dai sondaggi e dai timori per l’economia. Ma i suoi corrono a chiarire dopo le parole su Zelensky
Un incontro in Sardegna del 2008 tra Vladimir Putin e Silvio Berlusconi

«Credo che per l’età e per il ruolo che ha rivestito Berlusconi sia libero di dire quello che pensa». È il giorno della vittoria elettorale del centrodestra. E sono in molti da Forza Italia, come Maurizio Gasparri, a cercare di non far guastare la festa dalle parole pronunciate domenica, a urne aperte, da Silvio Berlusconi: «A parlare con Zelensky, fossi stato premier, non ci sarei mai andato. Bastava che cessasse di attaccare le due Repubbliche autonome del Donbass e questo non sarebbe accaduto. Giudico molto, molto negativamente il comportamento di questo signore».

Ieri dopo un infittirsi di contatti tra Palazzo Chigi e gli alleati internazionali per spegnere una potenziale crisi diplomatica e molte telefonate e contatti per disinnescarne una di governo, a fine serata, è arrivata quella di Berlusconi a segnare la fine delle ostilità. A Giorgia Meloni e a Matteo Salvini, ha fatto sapere lui stesso, per fare i complimenti «per il grande successo della coalizione alle elezioni Regionali in Lombardia e in Lazio», ha annunciato in una nota. Ma soprattutto per riaffermare la coesione di governo «che ha come orizzonte l’intera legislatura».

Un sospiro di sollievo hanno tirato tutti quelli che per l’intera giornata avevano cercato di chiarire. Giorgio Mulè aveva tracciato un confine fra il prima e il dopo il 24 febbraio: «Il prima fotografa un’epoca e un momento in cui le parti potevano e dovevano dialogare in maniera diversa. Berlusconi interviene su quella fase, riconoscendo che con l’invasione dell’Ucraina la Russia e Putin si sono messi dalla parte sbagliata della storia. E su questo non può esserci tentennamento». Gasparri aveva rivendicato che c’era un Berlusconi ex presidente del Consiglio e l’alleato di Meloni: «Siamo dalla parte del popolo ucraino, abbiamo votato i provvedimenti, ma nel Donbass c’erano guerre da anni che il mondo avrebbe dovuto bloccare. Perché poi da guerra nasce guerra».

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Meloni ora pensa a riorganizzare il centrodestra: in Forza Italia si parla di un’«operazione Valchiria»

martedì, Febbraio 14th, 2023

di Francesco Verderami

La premier ha davanti un anno di tempo prima di Europee e Comunali. In mezzo potrebbe anche tornare il voto per le Province. In Forza Italia l’idea di separare gli incarichi di partito da quelli nell’esecutivo

 Meloni ora pensa a riorganizzare il centrodestra: in Forza Italia si parla di un’«operazione Valchiria»

Ogni test elettorale produce delle conseguenze politiche. Ed è vero che il risultato in Lombardia e nel Lazio — come dice Meloni — «rafforza il governo e consolida la compattezza del centrodestra». Ma ogni medaglia ha il suo rovescio. Infatti ieri sera, al riparo dai festeggiamenti e dalle dichiarazioni esultanti di rito, la cerchia più ristretta della premier accennava già al futuro, alla necessità di «accelerare una riflessione sulla riorganizzazione dell’alleanza». Compito che «potrà assumersi solo lei».

Certo, FdI non ha cannibalizzato Lega e Forza Italia: un esito che avrebbe potuto destabilizzare i rapporti nella maggioranza. Ma è evidente il ridimensionamento di Salvini, come il dato ottenuto da Berlusconi. Per i due partiti la vittoria di coalizione permette di nascondere le rispettive difficoltà. Però l’alleanza è anche una camicia di forza. Alla premier spetterà dunque sciogliere un nodo assai intricato, immaginando di «riorganizzare il centrodestra» senza romperlo. Per certi versi dovrà affrontare una crisi di crescita, sapendo peraltro delle tensioni che covano nei gruppi dirigenti altrui.

In Forza Italia, per esempio, nei giorni scorsi si parlava di un’imminente «operazione Valchiria»: la separazione cioè degli incarichi di partito da quelli di governo. Ed è ovvio che una simile operazione avrebbe dei riflessi sull’esecutivo. Insomma, gli esami non finiscono mai. Meloni avrà un anno di tempo a disposizione prima dei prossimi appuntamenti elettorali: le Europee, le Comunali e probabilmente anche le Provinciali. Perché secondo fonti accreditate di Palazzo Chigi, dai colloqui con le opposizioni starebbe emergendo una «volontà bipartisan» di abrogare la riforma Delrio e ripristinare il voto diretto dei cittadini per la scelta dei presidenti di Provincia.

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I risultati definitivi delle elezioni regionali in Lombardia e Lazio

martedì, Febbraio 14th, 2023

di Paolo Foschi

Il centrodestra ha vinto nettamente le regionali: trionfo per Fontana in Lombardia e Rocca nel Lazio. Risale la Lega, balzo di FdI nel Lazio, il Pd recupera, male il M5S. L’affluenza crolla al 40%

 I risultati definitivi delle elezioni regionali in Lombardia e Lazio
Il presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana (a sinistra), e il presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca

ROMA — Giorgia Meloni supera il primo test alle urne da quando è a Palazzo Chigi. In una tornata segnata da un’affluenza ai minimi, il centrodestra ha dominato le elezioni in Lombardia e nel Lazio, strappando una Regione al centrosinistra. Attilio Fontana governatore uscente, espressione della Lega, sostenuto da tutta la coalizione — è stato rieletto con il 54,7% dei voti (con 9.227 sezioni scrutinate su 9.254); Francesco Rocca — l’ex presidente della Croce Rossa caldeggiato da Fratelli d’Italia — si è imposto attestandosi al 53,8% (5.216 sezioni su 5.306), conquistando la poltrona della presidenza lasciata libera in anticipo da Nicola Zingaretti (Pd), che si era dimesso a novembre, dopo l’elezione alla Camera.

QUI I RISULTATI DELLE ELEZIONI REGIONALI IN LOMBARDIA

Fratelli d’Italia si è confermata la prima forza politica con il 25,2% in Lombardia (era al 3,6% nel 2018, al 27,6% alle politiche di settembre) e con il 33,6% nel Lazio (8,7% alle precedenti regionali, 31,4 nel 2022). Ha conquistato il primato senza cannibalizzare i voti degli alleati: la Lega tiene e si attesta al 16,5% in Lombardia e al 8,4% nel Lazio. Per il partito di Matteo Salvini, nonostante il calo rispetto alle precedenti regionali (nel 2018 aveva ottenuto il 29,6% in Lombardia e il 9.98% nel Lazio), è comunque una risalita nel confronto con le Politiche: lo scorso settembre aveva ottenuto il 13,9% in Lombardia e il 6,1% nel Lazio. Forza Italia si è fermata al 7,2% al Pirellone (14,3% nel 2018) e all’8,4% alla Pisana (14,6% cinque anni fa). Quindi, rispetto alle Politiche di settembre, in termini percentuali arretra in Lombardia (era al 7,9) e avanza nel Lazio (6,9).

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La mappa dei partiti nel 2015 (in rosso il centrosinistra, in blu il centrodestra)

Un risultato complessivo che per Giorgia Meloni comunque «rafforza il governo», mentre Matteo Salvini ha esultato per il «successo»: «Il gioco di squadra con i nostri alleati funziona». In serata Silvio Berlusconi ha chiamato i due alleati per complimentarsi del «grande successo della coalizione»: «I tre leader — ha spiegato FI in una nota — hanno convenuto che sarà da stimolo a proseguire l’ottimo lavoro fatto sinora dal governo, che ha come orizzonte l’intera legislatura».

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Foibe, botte, molestie, torture. Le violenze titine dopo la guerra

venerdì, Febbraio 10th, 2023

Fausto Biloslavo

Trieste. Mariti e padri scaraventati nelle foibe, pistolettate, botte, molestie sessuali, carcere, torture ed epurazioni nel nuovo paradiso socialista di Tito. Violenze e soprusi perpetrati dopo la fine della Seconda guerra mondiale, fino gli anni Cinquanta. E denunciati dalle vittime in 909 dichiarazioni giurate davanti ad un notaio a Trieste, dopo la fuga dell’esodo. Una documentazione eccezionale, in gran parte inedita, che fa parte dell’archivio del Cln dell’Istria, il Comitato di liberazione nazionale, composto da antifascisti e democratici, che assisteva i profughi e si opponeva al terrore titino. “C’era la volontà legale di mantenere una memoria certificata di soprusi, violenze, aggressioni subite dalla popolazione istriana dopo la guerra”, spiega Barbara Sabich, l’archivista che custodisce la preziosa documentazione presso l’Irci (Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata) di Trieste. “Non solo memoria storica, ma la volontà che diventi una prova legittima” spiega Sabich sfogliando con cura i fogli delle denunce battuti a macchina, che emergono dal passato per il giorno del ricordo della tragedia delle foibe e del dramma dell’esodo. Prove firmate di un processo che non si è mai tenuto ai crimini dei “liberatori” sul sangue dei vinti e di tanti italiani che non hanno nulla a che fare con il ventennio fascista, ma spesso vengono additati come “nemici del popolo”. Anzi, all’inizio restano nella Jugoslavia di Tito, come Emilia Smoliani, 23 anni, di Dignano che fugge a Trieste nel luglio del 1948. “Mio fratello Ferdinando di anni 17 al tempo dell’occupazione jugoslava dell’Istria si trovava a Pola e lì rimase quando subentrò l’amministrazione anglo americana” si legge nella dichiarazione giurata. Il fratello trova lavoro come inserviente nel corpo della polizia civile della Venezia Giulia sotto controllo alleato. Il 10 luglio 1947 torna a casa dai familiari nell’entroterra istriano. “Quella sera stessa la polizia jugoslava lo arrestò – denuncia la sorella – La mattina del 14 luglio venendo ad avvisarci a casa che mio fratello si era impiccato in carcere”.

“Quella sera stessa la polizia jugoslava lo arrestò – denuncia la sorella – La mattina del 14 luglio vennero ad avvisarci che si era impiccato in carcere”.

Emilia vede la salma “che recava grossi ematomi sulla fronte e aveva profonde ferite e lacerazioni sui polsi sino a lasciar vedere le ossa”. La sorella scoppia a piangere e ricorda che “il suo vicino di cella, Fratti Giovanni, ci confermò il giorno stesso del seppellimento di aver sentito urlare mio fratello mentre lo torturavano”. Per avere accusato i titini di omicidio, Emilia è ricercata e deve nascondersi nei boschi per poi fuggire a Trieste.

Foibe, eliminazioni, arresti a guerra finita

Carmela Del Ben, di Umago, ha perso il marito Libero Stossich prelevato dai partigiani di Tito il 28 aprile 1945 e accusato di essere un criminale fascista. “Era una calunnia perchè egli navigava e non si interessava di politica – racconta nella dichiarazione giurata – Più tardi la pubblica accusa per il distretto di Buie e di Capodistria dichiarava che probabilmente l’infossamento era dovuto ad un errore”. Carmela ricorda che “la salma di mio marito dopo sei mesi venne recuperata nel fondo di una piccola foiba sita nei pressi della sua abitazione assieme a quello di Cesare Grassi e Antonio da Zara”.

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Banche, tsunami Ue e Italia a rischio

venerdì, Febbraio 10th, 2023

Sta per arrivare uno tsunami europeo sull’industria italiana della consulenza finanziaria e del risparmio gestito, proprio quell’industria che negli ultimi giorni, da Azimut a Fideuram Intesa Sanpaolo, fino a Banca Mediolanum l’altroieri e ieri Banca Generali ha visto ottimi numeri dei bilanci 2022? Il “D-day”, se verrà confermato, sarà il prossimo 5 aprile quando la Commissione Europea presenterà la “Retail Investment Strategy” nella quale sarà affrontata la questione delle commissioni di “retrocessione” o “inducement” riconosciute nella vendita e distribuzione dei prodotti e servizi d’investimento. Sono quella parte di remunerazione che riceve dal cliente la banca che gli vende un prodotto (il classico fondo comune, ad esempio) e che poi la stessa “retrocede”, cioè “gira” alla struttura distributiva, appunto le reti dei consulenti finanziari.

La Commissione vorrebbe di fatto abolire le retrocessioni, uniformando le modalità di remunerazione della distribuzione dei prodotti finanziari e dell’attività di consulenza in tutti i paesi della stessa comunità europea. Si tratta di commissioni che nel nostro Paese valgono circa 7 miliardi di euro e che rappresentano una buona fetta dei ricavi degli utili delle banche-reti di consulenti finanziari. In Italia prevale questo meccanismo di remunerazione perché nel paese sono in minoranza i consulenti indipendenti i quali, invece, si fanno pagare con parcella direttamente dal cliente, come quando si va dall’avvocato, dal commercialista o dal medico.

La Commissione trae ispirazione dal modello britannico quando intorno al 2010 la Gran Bretagna vietò le retrocessioni di commissioni per i distributori. Il risultato fu che il mercato del risparmio si polarizzò: da una parte la clientela benestante o superbenestante che ha ricevuto un servizio totalmente indipendente pagato a parcella; dall’altra i clienti piccoli, che si sono riversati sulle piattaforme di trading, senza più consulenza personale.

A metà strada sono rimasti quelli i risparmiatori “orfani” che pur dotati di una buona dotazione di patrimonio non avevano più un servizio perché per gli intermediari finanziari era antieconomico offrirlo, e non avevano neanche consulenti a cui rivolgersi, perché il loro numero si era drasticamente ridotto. E per costoro è forte la tentazione degli investimenti fai-da-te, da sempre rischiosissimi. L’attuale configurazione della distribuzione dei servizi e strumenti finanziari dell’industria italiana si pone su posizioni decisamente contrarie alle proposte della Commissione e qualora dovesse passare la norma della abolizione delle commissioni si creerebbero le condizioni per una destabilizzazione di tutto il sistema.

In modo particolare dovranno essere riviste le politiche gestionali ed elaborare nuove strategie di vendita; dovranno essere modificati tutto il quadro dei rapporti dei consulenti con le società prodotto e Sgr, rivisti gli assetti organizzativi che riguardano le società di distribuzione e collocamento, nonché i modelli dei contratti applicati alle figure professionali quali i consulenti, agenti, mandatari e subordinati. Tutta l’industria della distribuzione ne sarebbe fortemente penalizzata e quindi costretta a rivedere strutturalmente il proprio business e strategie con costi rilevanti.

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Elezioni regionali, parla Matteo Salvini: “È ora di cambiare anche nel Lazio”

venerdì, Febbraio 10th, 2023

Dario Martini

Dopo dieci annidi amministrazione targata Pd, nel Lazio «è ora di cambiare aria». A pochi giorni dal voto, il vicepremier e ministro delle Infrastrutture e deiTrasporti, Matteo Salvini, è certo che il voto di domenica e lunedì segnerà una svolta nel futuro della regione. Ma il verdetto che uscirà dalle urne avrà inevitabilmente dei riflessi anche a livello nazionale.

Ministro Salvini, i candidati governatore del centrodestra sono dati per favoriti sia nel Lazio che in Lombardia. Sarà un voto di fiducia anche al governo?
«Sarà soprattutto un voto per confermare il buongoverno che da decenni caratterizza la Lombardia e per cambiare aria nel Lazio, dove la sinistra ha operato malissimo soprattutto in settori delicati come sanità o rifiuti. Poi, certo, mi piace credere che i cittadini siano soddisfatti del lavoro del governo nazionale».

Alle Politiche in Lombardia e nel Lazio la Lega ha ottenuto il 13,3% e il 6,3%. I sondaggi finora sembrano confermare queste percentuali anche per le Regionali. Sarebbe soddisfatto di confermare questi numeri o punta più in alto?
«Non mi pongo limiti, l’importante è che vinca il centrodestra e sono certo che la Lega farà un ottimo risultato».

Il Lazio e Roma hanno problemi con radici lontane, dai rifiuti alla sanità. Perché Rocca dovrebbe riuscire a risolverli?
«Perché è sostenuto da una coalizione seria, con un programma credibile. D’altronde in altre regioni il centrodestra ha dimostrato e dimostra di saper governare bene».

A suo giudizio, qual è la qualità migliore di Rocca? E, nel caso, ci può dire un difetto?
«È un uomo del fare, ma ammetto che non andiamo d’accordo sul calcio!».

Lei ha annunciato un piano per la sicurezza delle stazioni, cosa farete a Termini?
«È partito un piano di assunzioni straordinaria di vigilantes e con le Ferrovie stiamo collaborando in modo così affiatato che è già realtà Fs security che ha l’obiettivo di migliorare e razionalizzare i servizi di controllo nelle stazioni. Sono risultati concreti».

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Meloni contro Macron, ma la politica estera non si fa coi lamenti

venerdì, Febbraio 10th, 2023

Lucio Caracciolo

La prima cosa da fare quando si partecipa a una competizione è sapere da dove si parte. Avere la misura di sé stessi. Quando poi la gara è fra noi europei, epigoni di nazioni che fino a un secolo fa dettavano legge nel mondo e che non hanno ancora finito di elaborare il lutto, l’operazione verità è assai dolorosa. Ma necessaria.

Guerra Russia-Ucraina, le notizie di oggi in diretta

E la realtà è che in ambito europeo l’Italia non è allo stesso livello della Francia o della Germania. Quando Giorgia Meloni bolla «inopportuno» l’invito di Macron per ricevere Zelensky con Scholz all’Eliseo, prima del Consiglio europeo cui per la prima volta il leader ucraino ha direttamente partecipato, dimostra di non considerare i rapporti di forza. L’unica potenza nucleare e membro permanente del Consiglio di Sicurezza nell’Ue, insieme alla maggiore economia continentale, hanno da tempo formalizzato il loro primato in ambito comunitario. Mascherando le fondamentali differenze di cultura e di interessi che le dividono.

Ma sapendo che proprio per questo hanno bisogno l’una dell’altra. L’Italia viene subito dopo, ma appunto dopo. Spesso si trova ad arrancare in categorie inferiori al suo peso causa la difficoltà a stabilire quel che vuole.

Inoltre, se si soffre un’esclusione comunque scontata, forse lamentarsi in pubblico non è il miglior modo di reagire. Se fai l’offeso contribuisci ad autoridurti. Infatti Macron ha colto l’occasione di affondare il colpo. Il presidente francese ha osservato con gusto: «Come sapete, Germania e Francia hanno un ruolo speciale nella questione ucraina da otto anni. E poi credo che spetti a Zelensky scegliere il formato che preferisce». Sia chiaro: in quegli otto anni (2014-22) la “coppia” franco-tedesca non ha prodotto un successo. Ancora una volta per non aver misurato la propria potenza. È chiaro che Putin considerava e continua a considerare solo gli americani veri interlocutori sull’Ucraina. Quanto agli americani, la loro opinione sulle velleità di mediazione franco-tedesca (allargata ai polacchi) nel 2014 a Kiev è stata lapidariamente consegnata alle cronache da Victoria Nuland, plenipotenziaria Usa impegnata a scatenare piazza Majdan contro il presidente pro-russo Janukovič: «Unione Europea fottiti!». A ciascuno il suo. Ma solo se te lo puoi permettere. Certo, nella stagione di Draghi un marziano avrebbe potuto credere che Parigi e Roma fossero alla pari. Ma scambiare il rapporto personale fra due leader che se avevano un problema lo affrontavano improvvisando una cena “privata” con quello fra i rispettivi paesi porta fuori strada.

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Addio Burt Bacharach, l’uomo che ha trasformato l’easy listening in arte

venerdì, Febbraio 10th, 2023

Simona Siri

NEW YORK. L’uomo che ha trasformato il genere easy listening in una forma d’arte. L’ha definito così il quotidiano The Guardian, celebrandolo per l’ultima volta. Burt Bacharach è morto ieri all’età di 94 anni nella sua casa di Los Angeles per cause naturali dopo una vita dedicata alla musica. Si lascia dietro un’eredità artistica impareggiabile: 73 singoli nella Top 40 negli Stati Uniti e 52 nel Regno Unito; un centinaio di artisti che hanno interpretato la sua musica; collaborazioni con Dionne Warwick, Frank Sinatra, The Beatles, Barbara Streisand, Tom Jones, Aretha Franklin e Elvis Costello; titoli come I Say A Little Prayer, Walk On By, What The World Needs Now Is Love, Magic Moment, The Look Of Love. Persino due Oscar, il primo nel 1969, per l’intera colonna sonora del film Butch Cassidy and the Sundance Kid e un altro nel 1981 per Arthur’s Theme cantata da Christopher Cross, colonna sonora del film Arthur con Dudley Moore e Liza Minnelli.

La vita
Nato a Kansas City, Missouri, nel 1928 e cresciuto a New York, Bacharach inizia ad amare il jazz da ragazzino, intrufolandosi nei jazz club della città per andare a sentire Dizzy Gillespie. A scuola intanto studia i classici come Stravinsky e Ravel e dopo un periodo nell’esercito degli Stati Uniti, diventa pianista accompagnatore di Vic Damone, degli Ames Brothers e la sua prima moglie, l’attrice Paula Stewart. Tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60 lavora anche come arrangiatore ed è il direttore d’orchestra per Marlene Dietrich durante i suoi tour europei. La svolta pop arriva nel 1957 grazie all’incontro con il paroliere Hal David. Insieme, i due sfornano un successo dietro l’altro, a partire dai due singoli iniziali: The Story of My Life cantata da Marty Robbins e Magic Moments cantata da Perry Como. Grazie alla sdolcinatezza dei testi di David e agli arrangiamenti ricchi di archi e melodie facili di Bacharach, i due insieme compongono canzoni che sfidano l’usura del tempo e che arrivano intatte ai giorni nostri, senza aver perso un briciolo del genio e del fascino che avevano quando sono state composte e che infatti ancora oggi sono suonate, trasformate in cover, ri-arrangiate da musicisti di ogni genere e età. Alcuni titoli: Say a Little Prayer, originariamente cantata da Aretha Franklin; What’s New Pussycat? con la voce di Tom Jones; The Look of Love cantata da Dusty Springfield e Make It Easy on Yourself dei Walker Brothers. Raindrops Keep Falling on My Head, interpretata da BJ Thomas e che appare nel film Butch Cassidy and the Sundance Kid, vince un Grammy e un Oscar nel 1969.

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Patto del Quirinale, Mattarella chiede rispetto

venerdì, Febbraio 10th, 2023

Ugo Magri

ROMA. «Non siamo gli interlocutori giusti»: è la risposta standard del Colle quando volano scintille a livello internazionale e si chiede lassù che aria tira. Stessa reazione anche ieri, dopo lo scatto di nervi di Giorgia Meloni contro Emmanuel Macron, cioè no comment sul presupposto che la politica estera spetti al governo e il presidente della Repubblica debba svolgere compiti di alta rappresentanza, coltivare relazioni coi capi di Stato, garantire le scelte di fondo scolpite nei trattati sottoscritti dall’Italia senza però immischiarsi nelle tattiche diplomatiche, figuriamoci nelle polemiche di queste ore. Certo (ma pure questo è noto) ai rapporti con l’Eliseo Sergio Mattarella tiene parecchio. È convinto che un legame operativo tra Italia e Francia possa essere di grande aiuto all’Europa in generale, e a noi in modo particolare. Oltre alle affinità elettive con i «cugini» d’oltralpe, alle comuni radici culturali, c’è un intreccio di convenienze economiche che suggeriscono di muoversi a braccetto per fare fronte comune contro certi atteggiamenti dei cosiddetti “frugali” nordeuropei. Non a caso Mattarella, subito dopo il giuramento del nuovo governo, aveva favorito il primo colloquio a quattr’occhi fra Macron e Meloni, sperando che i due s’intendessero; e quando erano esplose le incomprensioni, a causa della Ocean Viking dirottata a Tolone insieme ai migranti che aveva a bordo, il presidente aveva tentato di mitigare lo strappo con una telefonata al suo omologo francese (colloquiare con gli altri capi di Stato fa parte delle sue prerogative).

Stavolta non si prevedono iniziative né rammendi da parte del Quirinale: sarà la premier a giocare le sue carte con Macron e in Europa. Per quanto il clima con Mattarella sia buono, secondo alcuni ottimo, Meloni non tollererebbe di sentirsi sotto tutela. Al massimo accetterebbe buoni consigli. E, a pensarci bene, il presidente uno gliel’ha dato. Il primo febbraio scorso, salutando l’entrata in vigore del Trattato con la Francia detto «del Quirinale», Mattarella ne ha rimarcato l’importanza strategica.

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