Archive for Febbraio, 2023

Il sondaggio: il caso Donzelli spacca gli elettori. Due italiani su tre difendono il 41 bis

lunedì, Febbraio 6th, 2023

Alessandra Ghisleri

Il 41% degli italiani è convinto che il 41 bis, il cosiddetto carcere duro, sia una legge giusta da mantenere così com’è. E il pensiero è politicamente trasversale nei partiti che sostengono la maggioranza da Forza Italia (56,7%) a Fratelli d’Italia (52,3%), fino agli elettori della Lega (32%), che si dividono tra questa opzione e la possibilità di inasprire questo provvedimento ed estenderlo anche ad altri reati (28,8%). Su queste due posizioni si allineano anche gli elettori del Movimento 5 Stelle, dove il 43,7% la ritiene corretta così, mentre il 31,2 desidererebbe – addirittura- renderla più dura. Per i sostenitori del Partito Democratico il 41 bis è giusto così (42,2%). Tuttavia, nell’area delle opposizioni emerge anche uno spiraglio di riforma che riguarda la possibilità di limitare il carcere duro solo a quei detenuti considerati – agli atti – più pericolosi. La pensa così 1 elettore su 3 di Azione e 1 su 4 del Pd e di +Europa. Le posizioni così nette sul 41 bis appaiono ancora più divisive nel caso che ha coinvolto le parole del deputato Donzelli e del sottosegretario Delmastro.

In questa vicenda il Paese si divide tra chi pensa che queste dichiarazioni abbiano portato alla conoscenza del grande pubblico la visita della delegazione con importanti rappresentanti del Partito Democratico in carcere ad Alfredo Cospito e ad altri detenuti sottoposti al 41 bis e chi è convinto che queste siano state solo strategie politiche usate a scopo politico per screditare il centro sinistra. Ovviamente sulla prima posizione si schierano tutti gli elettori dei partiti del centro destra; viceversa, sulla seconda si trovano schierati i partiti delle opposizioni. Sembra di assistere ad uno scontro tra tifoserie. Andando sui numeri il 42,2% ritiene che gli incontri tra i parlamentari del Partito Democratico e Alfredo Cospito siano gravi, mentre il 44,1% ritiene che sia più grave l’utilizzo e la diffusione di documenti e informazioni riservate nelle parole di accusa del deputato Giovanni Donzelli.

E ancora, anche se il 35,7% non ha saputo offrire una sua interpretazione sulla violazione nella diffusione di documentazione riservata, a questo quesito il 33,1% del campione di italiani intervistati ritiene che ci sia stata un’infrazione nella diffusione di documenti – comunque – riservati, mentre il 31,2% è convinto che in questa vicenda non si sia rivelato nulla di riservato. In tema di dimissioni, 1 elettore su 3 indica i deputati del Pd chiamati in causa da Donzelli come coloro che si dovrebbero dimettere, mentre il 34,8% punta il dito sullo stesso Giovanni Donzelli e sul sottosegretario Andrea Delmastro per delle possibili dimissioni. In questo caso un elettore su due di Forza Italia (46,7%) si distingue dal resto essendo convinto che questi non siano fatti rilevanti.

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Le ricadute della crisi dei partiti

lunedì, Febbraio 6th, 2023

di Sabino Cassese

Nella situazione attuale la funzione legislativa si è trasferita dal Parlamento al governo, mentre quella amministrativa viene sempre più attratta da Camera e Senato

Nei primi decenni della Repubblica si recava alle urne più del 90 per cento degli aventi diritto al voto; sono ora scesi a poco più del 60 per cento. Gli iscritti ai partiti erano più dell’8 per cento della popolazione; sono ora meno del 2 per cento. L’elettorato era relativamente stabile e i suoi movimenti lenti; ora è fluido e volatile, e prende le decisioni di voto all’ultimo momento, se va al seggio elettorale. I partiti erano associazioni ramificate nella società, complesse organizzazioni, una vita attiva; sono ora meri comitati elettorali, prigionieri della personalizzazione del potere, e nella maggior parte dei casi rifiutano persino di chiamarsi partiti. La lotta politica si svolgeva intorno a grandi problemi, come la nazionalizzazione elettrica, la riforma agraria, la scuola media dell’obbligo, il servizio sanitario nazionale, la legge urbanistica; ora è distratta dal quotidiano, a-programmatica, prigioniera della «single-issue politics», la politica monotematica. Le basi cognitive della politica erano cercate e offerte da inchieste parlamentari, dall’ausilio di centri di ricerche e di intellettuali, oppure provenivano dalle radici dei partiti; alla carenza di tutto ciò si supplisce ora viaggiando per l’Italia in minivan. La comunicazione era fatta con note stampa, lunghe e spesso noiose; ora è raccolta per strada o affidata a estemporanei «tweet».

L’ offerta di candidature abbondava, perché saliva dall’interno dei partiti, che erano grandi educatori collettivi alla politica; ora si ricorre alla «società civile», si fanno primarie aperte, persino un governo che si proclama tutto politico ha scelto per due posizioni chiave due tecnici provenienti dai corpi stessi che debbono governare, e l’aspirante leader di una forza politica vi si è iscritta in vista della elezione.

Le profonde trasformazioni che ho appena delineato, che riguardano i rapporti Stato–società, innescano ulteriori trasformazioni all’interno dello Stato. Qui la funzione legislativa si è trasferita dal Parlamento al governo, mentre quella amministrativa viene sempre più attratta da Camera e Senato. L’attuale esecutivo, che pure ha una ampia maggioranza in Parlamento, ha adottato, in cento giorni, quindici decreti legge (ma molti governi precedenti non sono stati da meno). Questi poi passano in Parlamento per la conversione, e i parlamentari ne triplicano le dimensioni, riempiendoli di provvedimenti amministrativi che assumono la veste di atti con forza di legge. Questo non è solo il prodotto delle frustrazioni di parlamentari che credevano di assumere la veste di legislatori e se la vedono sottratta dall’esecutivo, ma anche della sfiducia nei confronti della disprezzata burocrazia, della quale «non ci si fida»: di qui l’aspirazione massima del parlamentare, di approvare leggi «autoapplicative», cioè che non abbiano bisogno di quella «inaffidabile» burocrazia per essere eseguite. Ne conseguono un eccesso di norme d’impianto casistico, una autoriduzione della forza del Parlamento, che rinuncia a «fare politica», l’evaporazione della divisione dei poteri.

Queste distorsioni del regolare funzionamento dello Stato non vengono corrette perché sia i parlamentari, sia la burocrazia sono costretti a tacere: i primi non sono prescelti dall’elettorato, ma nominati dai segretari delle forze politiche, che li presentano in collegi «sicuri» di una successiva ratifica elettiva; la seconda è «tenuta sotto schiaffo» dall’infausto sistema delle spoglie.

I due circoli viziosi che ho brevemente descritto non sono di oggi. Cominciano da qualche decennio. Molti segni erano stati individuati (delusione per la politica, partito leggero) da Alessandro Campi nei bei saggi raccolti ora nel volume su Trasformazioni della politica (Rubbettino, 2022). Indicano un’apatia della società, che non è però disinteresse per la politica: accurate indagini statistiche hanno mostrato che la partecipazione politica passiva è più di otto volte superiore di quella attiva e il fiorire in tutta Italia di scuole di politica sta lì a dimostrare che non si tratta di recessività della domanda politica, quanto di debolezza dell’offerta. Questo vuol dire che i cittadini sono interessati alla politica, ma non vi si fanno coinvolgere attivamente. Non si tratta di sordità della popolazione, quanto di debolezza delle proposte politiche, di incapacità di attrarre l’elettorato verso l’impegno attivo. Manca capacità aggregativa dei proponenti, ai quali sfuggono i grandi problemi sociali, che possono essere colti più con un attento studio delle statistiche dell’Istat che facendosi riprendere dalle televisioni in conversazione con l’«uomo della strada» («uno vale uno» ha lasciato il segno). Insomma, quelli che chiamiamo «rappresentanti» non riescono a rappresentare il Paese, che se ne allontana, per colpa della inconsistenza dell’offerta politica di forze prigioniere del solo quotidiano e dell’incapacità dei futuri governanti, pronti solo a fare proposte «mordi e fuggi», invece di elaborare un programma con «obiettivi di legislatura». A un Paese ansioso del futuro, la politica sa solo indicare che fare oggi.

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Attacco hacker in Italia, cosa sappiamo: anni di errori a catena. Il ricatto: «Ora dacci 42.000 euro in bitcoin»

lunedì, Febbraio 6th, 2023

di  Paolo Ottolina

Concedeteci di usare una frase fatta, eppure talvolta non meno vera, che spesso abbiamo sentito per gravi fatti di cronaca: «Una strage annunciata». 

In tarda serata i sistemi colpiti e bloccati dall’attacco ransomware globale reso noto domenica dall’Agenzia per la Cybersicurezza nazionale aveva superato in tutto il mondo quota 2.100. Un numero che sale rapidamente. 

La vulnerabilità sfruttata dai cyber-criminali era tutt’altro che sconosciuta. La soluzione, la «patch» (toppa) come si dice in gergo, era stata rilasciata ben due anni fa, nel febbraio 2021, da VMware, l’azienda del software coinvolto. «E 3 giorni fa il Cert francese (il Centro di risposta le allerta cyber, ndr) aveva lanciato l’allarme: è stato più o meno ignorato e questo fatto è di una gravità sconcertante» ci dice Corrado Giustozzi, divulgatore ed esperto di cyber-sicurezza, partner di Rexilience. 

Ogni attacco informatico sfrutta sempre una vulnerabilità nel software. In questo caso quella riscontrata nei diffusi software di «virtualizzazione» della californiana VMware («virtualizzare» significa fare girare in modo simulato, via software, un programma o un sistema su un altro hardware). 

In questo caso la soluzione per il problema era stata messa a disposizione da VMware ben due anni fa, nel febbraio 2021. «C’è di mezzo una catena infinita di sciatteria e disinteresse per non aver fatto gli aggiornamenti dovuti… E per di più il software in questione può essere attaccato solo se esposto su Internet, cosa che andrebbe evitata. Chi è nei guai non dico che se li è andati a cercare ma di certo non si è mosso in tempo con le contromisure» dice con amarezza Giustozzi.  Tra gli oltre 2.100 server colpiti ci sono moltissime aziende e pubbliche amministrazioni (tra cui il comune francese di Biarritz, uno dei pochi bersagli trapelati al momento). 

Che cosa chiedono gli attaccanti

Sui computer bloccati dal ransomware viene lasciata una nota che dice: «Allarme rosso!!! Abbiamo hackerato con successo la tua azienda. Tutti i file vengono rubati e crittografati da noi. Se si desidera recuperare i file o evitare la perdita di file, si prega di inviare 2.0 Bitcoin. Invia denaro entro 3 giorni, altrimenti divulgheremo alcuni dati e aumenteremo il prezzo. Se non invii bitcoin, informeremo i tuoi clienti della violazione dei dati tramite e-mail e messaggi di testo».

Il wallet, il portafoglio digitale, su cui versare i bitcoin è differente in ogni nota di riscatto, così come l’importo (a volte vengono chiesti 2,064921 bitcoin, altre 2,01584 e così via: con la quotazione attuale sono circa 42 mila euro). Nessun link di riferimento per il pagamento. 

Ransomware, che fare?

Il caso è emblematico di una realtà esplosiva per numeri e conseguenze: quella del ransomware e dei ricatti digitali, che (dati Trend Micro 2022) vedono l’Italia esposta, primo Paese in Europa e settimo al mondo per numero di attacchi. 

Che fare? «Predicare belle cose non serve, perché non si fanno. C’è ancora una ignoranza clamorosa nelle aziende e nella Pubblica amministrazione sulla sicurezza informatica, che da troppi viene vista non come una componete strategica per la sopravvivenza stessa di queste realtà, ma come un qualcosa simile alle lampadine da sostituire o agli ascensori da aggiustare» dice ancora Corrado Giustozzi.

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Il presidente dell’Ingv: «In Turchia la terra si è spostata di 3 metri in alcune decine di secondi lungo una faglia di 150 chilometri»

lunedì, Febbraio 6th, 2023

di Alessandro Fulloni

Il «numero 1» dell’Ingv, Carlo Doglioni: «È come se la Turchia si fosse mossa relativamente alla placca araba verso Sudovest». Quella è «una zona altamente sismica: il rischio è di altre scosse più intense. L’allerta tsunami è rientrata, ma c’è il pericolo frane». «In Italia? Tenere alta l’attenzione»

Il presidente dell’Ingv: «In Turchia la terra si è spostata di 3 metri in  alcune decine di secondi  lungo una faglia di 150 chilometri»

Professor Carlo Doglioni, presidente dell’Ingv (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia), cosa è successo stanotte in Turchia?

«È successo che quella che noi chiamiamo la placca araba si è mossa di circa 3 metri lungo una direzione Nordest-Sudovest rispetto alla placca anatolica; parliamo di una struttura nell’area di confine tra questo mondo, quello della placca araba, con quello della placca anatolica».

Di quanto può essersi spostata la placca?
«Dalle stime che abbiamo, e che sono via via in raffinamento, sappiamo che la

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Carlo Doglioni presidente Ingv

faglia si è attivata per almeno 150 chilometri con uno spostamento anche superiore ai tre metri. È successo tutto in alcune decine di secondi, irradiando questo terremoto di magnitudo di 7.8,-7.9, un terremoto che viene chiamato maggiore».

È un movimento grosso?

«Sì, davvero molto grosso… L’epicentro è stato nella zona centromeridionale della Turchia, poco a Nord del confine con la Siria».

Che tipo di movimento è stato?
«Parliamo di un movimento trascorrente, il piano di faglia è molto inclinato e durante l’evento si osserva uno spostamento orizzontale dei due lati della faglia».

Ovvero?
«I due lembi si sono mossi l’uno relativamente all’altro. In altre parole: è come se la Turchia si fosse mossa relativamente alla placca araba verso Sudovest».

Che zona è quella in cui è avvenuto il terremoto?
«Parliamo di una zona altamente sismica, una delle zone più pericolose del Mediterraneo. Nei secoli scorsi ci sono stati terremoti estremamente violenti».

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Turchia e Siria, le 8 violentissime scosse di terremoto. Rientrato l’allarme maremoto in Italia. Cosa è successo

lunedì, Febbraio 6th, 2023

di Claudio Bozza

Forte sisma nel sud della Turchia. La protezione civile aveva lanciato l’allarme anche nel nostro Paese, ma l’allerta è poi stata ritirata

Turchia e Siria, le 8 violentissime scosse di terremoto. Rientrato l'allarme maremoto in Italia. Cosa è successo
Il punto dell’epicentro del terremoto

Otto scosse, violentissime. La più forte, di grado 7,9, alle 2.17 del mattino, ora italiana; poi altre 7, comprese tra magnitudo 4,7 e 5,6.

Un terremoto devastante ha colpito la Turchia nella notte tra domenica 5 e lunedì 6 febbraio. Le scosse sono state avvertite distintamente anche in Siria, Libano e Israele. I morti sono centinaia, migliaia i feriti.

Il terremoto in Turchia, in diretta

L’epicentro si trova a circa 30 chilometri da Gaziantep, un capoluogo provinciale con una popolazione di oltre due milioni di abitanti, ed è stato avvertito anche in diverse regioni di Siria e Libano.

Le autorità della Turchia hanno segnalato il crollo di decine di edifici, sia a Gaziantep sia nei vicini centri di Diyarbakir e Malatya,
e il bilancio provvisorio è aumentato a 76 vittime. L’Autorità per la gestione dei disastri e delle emergenze ha proclamato lo stato di massima emergenza e mobilitato tutti i servizi di soccorso. In Siria, invece, la violenta scossa ha causato almeno 99 vittime e 200 feriti nei governatorati di Aleppo, Hama e Laodicea, in Siria. Lo ha riferito il vice ministro della Salute siriano, Ahmed Damiriya.

In Italia è stato lanciato un allarme tsunami, che è però poi rientrato definitivamente alle 7.30 del mattino.

La circolazione dei treni è stata fermata, a scopo cautelativo, per circa 45 minuti nella mattinata di oggi nelle regioni del Sud.

CORRIERE.IT

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Terremoto al confine tra Turchia e Siria, centinaia di morti | L’Europa: “Pronti ad aiutare” | Per l’Usgs le vittime “potrebbero essere 10mila”

lunedì, Febbraio 6th, 2023

Una scossa di terremoto di magnitudo 7.9 è stata registrata nella notte (le 4:17 ora locale, le 2:17 in Italia) nel sud della Turchia, non lontano dal confine con la Siria.

Le vittime sono oltre 800 e i feriti sono migliaia ma il bilancio potrebbe aggravarsi. La scossa è stata seguita da una replica di magnitudo 6.7.Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni esprime “vicinanza e solidarietà alle popolazioni colpite”. L’Alto Rappresentante per la Politica Estera Josep Borrell: “Ue pronta ad aiutare“. La Farnesina: “Non risultano italiani coinvolti”. Secondo una stima dell’Istituto Geologico degli Stati Uniti (Usgs), i morti potrebbero essere anche 10mila.

Tajani: “Aiuti dalla protezione civile”

“Ho appena parlato con il ministro degli Esteri della Turchia Mavlut Cavusoglu per esprimergli la vicinanza dell’Italia e per mettere a disposizione la nostra Protezione Civile”. Lo scrive su Twitter il ministro degli Esteri Antonio Tajani. 06 feb 09:51

Usa: morti potrebbero essere 10mila

Secondo l’Istituto geologico degli Stati Uniti, le vittime del sisma potrebbero essere almeno 10mila.

Terremoto al confine tra Turchia e Siria, morti e feriti

09:45

Solidarietà e aiuto anche da Putin e Zelensky

Anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha espresso su Twitter le sue condoglianze alle vittime del terremoto. “Siamo al fianco del popolo turco in questo momento difficile. Siamo pronti a fornire l’assistenza necessaria per superare le conseguenze del disastro”, ha detto. Lo stesso messaggio è arrivato dal presidente russo Vladimir Putin, secondo cui Mosca è pronta a fornire tutta l’assistenza necessaria ad Ankara. 06 feb 09:44

Josep Borrell: “L’Europa è pronta ad aiutare”

L’Ue è pronta ad aiutare”, ha scritto in un tweet l’Alto Rappresentante per la Politica Estera Josep Borrell. L’Europa ha, infatti, attivato il suo meccanismo di protezione civile con l’invio di squadre di soccorso, come ha spiegato il commissario Ue alle Crisi Janez Lenarcic. 
  06 feb 09:43

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Visco “promuove” Giorgetti. Ma sul deficit niente sconti

domenica, Febbraio 5th, 2023

Gian Maria De Francesco

Il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ieri a Milano nel corso del suo intervento al 29simo congresso Assiom-Forex non ha criticato la politica economica del governo, ma ha lanciato una serie di avvertimenti sui prossimi passi da compiere nel contrasto all’inflazione. I toni sostanzialmente morbidi nei confronti dell’esecutivo Meloni lasciano trasparire un moderato apprezzamento dell’operato del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, e le sue parole sono risuonate come un invito a proseguire sulla strada della prudenza di bilancio.

«La stabilità dei prezzi – ha detto Visco – richiede inoltre che in tutti i Paesi i conti pubblici siano tenuti sotto controllo». L’equilibrio è necessario «non solo per evitare un surriscaldamento della domanda e un più lento rientro dell’inflazione, ma anche per prevenire i rischi connessi con percezioni negative, anche se non interamente condivisibili, sulla sostenibilità delle finanze pubbliche». Il messaggio è chiarissimo: se lo spread tra Btp e Bund decennali si attesta sui 190 punti base è perché il governo ha tenuto il deficit sotto controllo con la legge di Bilancio.

Dunque, bisogna proseguire «con interventi temporanei e mirati ad alleviare gli effetti dell’inflazione sulle fasce più deboli della popolazione». Anche perché la discesa dell’inflazione non sarà rapida: dopo l’8,7% del 2022 dovrebbe diminuire di due punti nell’anno in corso (6,7%) per avvicinarsi al 2%, obiettivo della Bce, nel 2025. Ecco perché gli aiuti alle fasce meno abbienti della popolazione dovrebbero essere basati su «una redistribuzione tra percettori di reddito, tanto da lavoro quanto da capitale, e senza ricadute sulle future generazioni». Insomma, niente deficit per non compromettere la tenuta del debito pubblico, ma aumento del prelievo sulle rendite, siano esse mobiliari o immobiliari. Avvertimento giunto più volte anche dalla Commissione Ue e dalla Bce.

Ma Visco si è rivolto anche ai sindacati esortandoli a non scaricare sui rinnovi contrattuali la perdita di potere d’acquisto causata dal caro-prezzi. «Per riportare l’inflazione all’obiettivo è fondamentale che in tutte le economie dell’area dell’euro le parti sociali adottino decisioni responsabili, volte a garantire che la dinamica di prezzi e salari resti coerente con il mantenimento della stabilità monetaria». La crescita delle retribuzioni, ha proseguito, deve essere proporzionale a quella della produttività. In Italia, ha sottolineato il governatore, «i salari in termini reali ristagnano ormai da troppo tempo» e, quindi, «gli investimenti e le riforme previsti dal Pnrr» saranno fondamentali in questa direzione.

Non è un caso che, concludendo il proprio discorso, Visco abbia citato Carlo Azeglio Ciampi che nel 1981 rimarcò come «la stabilità monetaria è una responsabilità comune, un bene mai definitivamente acquisito». Ma anche la Bce deve giocare un ruolo decisivo e «bilanciare il rischio di una ricalibrazione troppo graduale, che potrebbe far radicare l’inflazione, con quello di un inasprimento eccessivo che comporterebbe gravi ripercussioni per l’attività economica». Per fermare la corsa dei prezzi Lagarde & C. non devono usare la clava altrimenti rischiano di uccidere anche l’economia, occorre moderazione

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Sanremo 2023, ecco tutti gli ospiti del Festival

domenica, Febbraio 5th, 2023

Come tradizione vuole, anche l’edizione numero 73 del Festival di Sanremo, altrimenti detta la Ama Quater, sarà ricca di ospiti che infarciranno le giù lunghe serate. 

Martedì 7 febbraio sul palco dell’Ariston saliranno i primi 14 artisti in gara e potremo rivedere i vincitori dello scorso anno, Mahmood e Blanco, che riproporranno Brividi. In collegamento dalla nave da crociera, sponsor della manifestazione, attraccata al largo di Sanremo, ci sarà l’esibizione di Salmo. Salto generazionale e sotto con la reunion dei Pooh (ci sarà anche Riccardo Fogli). Sul versante non musicale, spazio all’attrice Elena Sofia Ricci che lancerà la nuova fiction in onda su Rai1 Fiori sopra l’inferno. Ci sarà anche il monologo di Chiara Ferragni

Mercoledì 8 ascolteremo gli altri 14 artisti in gara. Gli ospiti saranno Gianni Morandi, che per qualche minuto abbandonerà il ruolo di presentatore, Massimo Ranieri e Al Bano, che daranno vita anche a un trio mai visto. Mentre dagli Stati Uniti arriveranno i Black Eyed Peas, ormai orfani di Fergie. La quota cabaret è affidata ad Angelo Duro. Non mancherà lo spot per una fiction Rai, stavolta con Francesco Arca e Resta con me. Ci sarà il monologo della co-conduttrice Francesca Fagnani

Nella terza sera ascolteremo tutti i 28 brani in gara. Come ospiti ci saranno i Måneskin e Peppino Di Capri. Non insieme. Il monologo sarà della superstar del volley Paola Egonu.

Il venerdì sarà, come nelle ultime edizioni, dedicato ai duetti e alle cover. Essendoci gli ospiti che si esibiranno con gli artisti in gara, non ci saranno altri nomi della musica. Vedremo il giovane cast di Mare dentro cantare la sigla della serie tv. Il monologo sarà di Chiara Francini

Nella finale di sabato 11 febbraio Amadeus potrà contare sulla presenza dei grandi Depeche Mode. È la terza volta che la band inglese passa da Sanremo: il debutto fu nel 1986 per promuovere l’album Black Celebration, vi tornarono nel 1989 con Everything Counts e pure l’anno dopo quando portarono nella città dei fiori Enjoy the Silence. Vedremo anche Gino Paoli e un altro collegamento dalla nasce da crociera. Riflettori puntati sul videomessaggio del presidente ucraino Volodymyr Zelensky che tante polemiche ha causato. Per promuovere la nuova stagione di Lolita Lobosco ci sarà Luisa Ranieri. Tornerà Chiara Ferragni

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Meloni, la rammendatrice dei bastonatori

domenica, Febbraio 5th, 2023

Marcello Sorgi

Ha un bel dire l’onorevole Meloni di voler costruire un grande partito conservatore, qualcosa che in Italia mai s’è visto, per renderlo protagonista in Europa già prima delle prossime elezioni per il Parlamento di Strasburgo del 2024. La premier non a caso ha fatto di tutto finora per accreditarsi con i partner dell’Unione come alleata credibile. Anche ieri pomeriggio, a Berlino, ha cercato come poteva di assumere un atteggiamento persuasivo con l’incalzante Cancelliere Scholz. E di riportare la calma sulla scena nazionale, afflitta ancora dalle tensioni per il caso Cospito-Donzelli-Delmastro. L’appello all’unità che Meloni ha pronunciato sembrava scritto nel linguaggio del Quirinale, da cui sarà venuta preoccupazione per gli scontri degli ultimi giorni. Un tentativo di imporre l’immagine di una presidente del Consiglio calma, responsabile, consapevole del ruolo che ricopre.

Un compito del genere sarebbe certo meno difficile se la premier potesse svolgerlo senza fare ogni volta, quasi ogni settimana, un passo avanti e due indietro, risucchiata dalla necessità di mettere toppe alle imprevedibili uscite dei suoi collaboratori. L’ultima, appunto, è stata quella dei due “gemelli separati” Donzelli e Delmastro, protagonisti del nuovo corso di Fratelli d’Italia, considerati pupilli, o pupille degli occhi di Giorgia, come la chiamano loro. Due che sempre andavano in giro a vantarsi che per lei sarebbero stati pronti a gettarsi nel fuoco. Ma quando l’hanno fatto, martedì in Parlamento, c’è mancato poco che non la trascinassero nel rogo.

Al punto in cui sono le cose ormai non è poi decisivo – ammesso che sia possibile – sapere se sia partita da Palazzo Chigi la spinta al feroce attacco contro il Pd, fondato sulla divulgazione di documenti riservati riguardanti le connessioni tra l’anarchico Cospito che digiuna contro il 41 bis e mafiosi e ’ndranghetisti che condividono con lui il carcere duro e sperano di trarre vantaggi dalla sua protesta. Se cioè sia stata la stessa Meloni a incaricare Donzelli di scagliarsi contro gli avversari, sia pure senza immaginare di quale materiale si sarebbe servito il devoto coordinatore del partito, con l’aiuto dell’amico e coinquilino sottosegretario. Conta invece che la premier abbia dovuto affrontare le conseguenze delle imprese dei suoi fedelissimi, i bastonatori che nelle stesse ore in cui Meloni da Berlino invocava la tregua, ancora ci davano sotto con il Pd. Un partito che tra le sue vittime annovera Moro e La Torre, e non può certo essere accusato di complicità con terrorismo e mafia se ha fatto la fesseria di inviare in carcere a incontrare Cospito una delegazione che l’anarchico ha mandato a parlare con i criminali con cui condivideva il 41 bis.

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Maurizio Leo: “Fisco, via le sanzioni per chi non ce la fa. Tasse da tagliare, iniziamo dall’Irap”

domenica, Febbraio 5th, 2023

PAOLO BARONI

ROMA. Rivedere l’Iva, in particolare per i beni sottoposti ad aliquote ridotte, e poi l’Irpef, lavorare per superare rapidamente l’Irap e rimodernare il sistema delle accise. Ovviamente verificando le compatibilità finanziarie, spiega il viceministro all’Economia Maurizio Leo che di qui a metà marzo si prepara a presentare la nuova delega fiscale e in questa intervista conferma l’intenzione di intervenire sia sulle sanzioni amministrative che su quelle su penali. «Va colpita la frode, non chi omette un versamento magari per ragioni di necessità, e l’evasione va combattuta prima che si realizzi». La sfida più impegnativa, ovviamente, riguarda l’Irpef e il passaggio a breve da quattro a tre aliquote. «Stiamo lavorando a una riforma complessiva del sistema fiscale. Un disegno di legge delega che entro poche settimane sarà presentato in Consiglio dei ministri – anticipa Leo -. L’obiettivo, in aggiunta a quello principale della riduzione del prelievo, resta la semplificazione dell’imposta personale, anche attraverso una razionalizzazione delle tax expenditures. Sul passaggio da 4 a 3 aliquote stiamo facendo le necessarie simulazioni. Poi il Governo dovrà valutare le compatibilità con il quadro di finanza pubblica. La riforma sarà fatta prima possibile, con attenzione assoluta al rispetto dei vincoli di bilancio».

Come pensate di riordinare gli sconti fiscali?
«Ci sono sconti e bonus la cui utilità sociale è condivisa: salute e previdenza, per fare due esempi. Poi ci sono storture evidenti sulle quali intervenire. Serve uno sfoltimento e una semplificazione. Ritengo vadano preservate le tax expenditure che si sono dimostrate utili per stimolare il contrasto di interessi. Il riordino non dovrà penalizzare chi sta fruendo di sconti e bonus connessi a spese effettuate prima dell’entrata in vigore delle nuove regole».

Da subito ha detto di voler cancellare l’Irap: solo per questo bisognerà però trovare 12 miliardi.
«Il superamento dell’Irap è e resta tra i nostri obiettivi. Bisognerà farlo presto ma gradualmente. C’è, ovviamente, un tema di risorse, che stiamo già affrontando al Mef coi tecnici».

Metterete fine alla stagione delle rottamazioni? Lo stralcio delle cartelle che cancella 18 miliardi di debiti a 7 milioni di contribuenti non è un bel segnale per chi paga tutte le tasse: sa di condono.
«La tregua fiscale, proposta dal governo e approvata dal Parlamento, non è un condono. C’è un arretrato di oltre 1.100 miliardi di euro di cartelle esattoriali, di cui oltre la metà non più esigibile: si tratta di soggetti defunti, estinti, nullatenenti. L’operazione che stiamo facendo serve a consentire di non rincorrere inutilmente chi non pagherà mai, per concentrare l’attività dove il recupero è ancora possibile».

L’evasione secondo lei come si combatte?
«Impostando su un piano di parità e di maggior dialogo il rapporto tra fisco e contribuenti. E con la semplificazione, con la certezza del diritto. Con un sistema di controlli giusto e non punitivo. Si combatte con banche dati aggiornate, efficienti e interconnesse. Si combatte con la digitalizzazione, con i nuovi mezzi che la tecnologia offre. Ma l’evasione si combatte anche prima che si realizzi, puntando sugli strumenti in grado di favorire la tax compliance, l’adempimento spontaneo. Faccio un esempio: per i contribuenti meno strutturati – parliamo di piccole imprese, artigiani, commercianti e professionisti – pensiamo al sistema volontario di concordato preventivo. Con le informazioni già ora disponibili nelle banche dati del fisco, l’amministrazione potrà proporre a ogni contribuente una sorta di contratto con il quale si determinano in anticipo il reddito e le imposte per un biennio. Chi aderirà, potrà ottenere semplificazioni e gli eventuali incrementi di reddito rispetto al concordato non subiranno altre imposizioni».

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