Archive for Febbraio, 2023

Sindrome da complotto, lo sfogo di Meloni sull’aereo da Berlino: “Giornali e sinistra vogliono azzopparmi all’estero”

domenica, Febbraio 5th, 2023

Ilario Lombardo

DALL’INVIATO A BERLINO. Giorgia Meloni sapeva che a Berlino, dopo giorni di silenzio, a quella domanda non sarebbe più potuta sfuggire. Eppure, appena scende il gradino del podio, dove fino a un attimo prima è rimasta accanto a Olaf Scholz e si dirige verso l’auto che la porterà all’aeroporto, non trattiene lo sfogo: «Lo hanno fatto apposta, potevano risparmiarsi questa domanda qui. E invece non aspettano altro che farmi fare una pessima figura all’estero, per azzopparmi». La frase ci viene riportata da una persona che era sull’aereo con lei durante il ritorno a Roma. Ed è una considerazione condivisa da tutti i suoi uomini più fidati. Il contesto del bilaterale con il cancelliere tedesco, insomma, secondo la premier avrebbe dovuto spingere i giornalisti a limitarsi solo alle questioni internazionali.

Era la prima volta che Meloni appariva di fronte alla stampa italiana dopo i giorni di furia sul caso che ha coinvolto il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro e il vicepresidente del Copasir Giovanni Donzelli. In Italia la tensione è al massimo livello. Gli anarchici scendono in piazza urlando il nome di Alfredo Cospito, in sciopero della fame contro il 41 bis. E i due guardiani del melonismo divulgano documenti sensibili, su conversazioni tra Cospito e altri detenuti per mafia, con l’obiettivo esplicito di sostenere la tesi politica del vassallaggio del Pd verso mafiosi e anarchici.

Meloni conosce il peso delle affermazioni di Delmastro. Un uomo di governo che si chiede se i democratici si stiano inchinando a Cosa nostra e alla ‘ndrangheta, vuol dire forzare la normale dialettica con l’opposizione. Meloni sa e deve decidere cosa fare. Sceglie di difenderlo. Di non indietreggiare. Decide la linea con il suo staff e con i falangisti più duri come il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, spiazzando invece i ministri e l’ala più morbida del suo partito che si attendeva un segnale diverso, di censura verso il fedelissimo di Via Arenula. Uno che, raccontano i leghisti ancora increduli, durante le notti della sessione di Bilancio, a Natale, urlava in Aula e faceva gestacci rivolti all’opposizione. Meloni rilancia, rispolverando l’adagio di sempre contro i media. Scardina ogni consuetudine con i giornalisti, quando non risponde alla domanda de la Stampa, la domanda di venti inviati italiani presenti a Berlino, e poi scrive una lettera al Corriere, in cui attacca il Pd. Sostenendo, in sostanza, quello che hanno detto Delmastro e Donzelli.

E si ritorna all’aereo. Alla premier che è grigia dalla rabbia per quell’eterna sensazione di essere assediata dalla sinistra e dai giornali. Non qui, non all’estero – dice – non di fronte a un altro leader, mentre sta trattando su aiuti di Stato e migranti «per l’interesse nazionale». Meloni ricorda benissimo i viaggi dei suoi predecessori, le domande sulle escort che inseguivano Silvio Berlusconi ovunque nel mondo, le domande, al termine dei vertici internazionali, sulle grane poste da Matteo Salvini che hanno tormantato prima Giuseppe Conte e poi Mario Draghi. Ma non le basta.

È convinta che ci sia «un accanimento». Studiato per colpirla nella credibilità che sta provando a costruirsi con i partner in Europa. È quello che dovrebbe ripetere anche oggi, dal palco dell’auditorium della Conciliazione a Roma, quando per la prima volta si ritroverà accanto Berlusconi e Salvini, per tirare la volata elettorale nel Lazio a Francesco Rocca.

La smorfia di Scholz che, stranito, sente parlare di una storia di due coinquilini, un sottosegretario e un parlamentare, che si passano documenti d’indagine delicati, le fa male. L’immagine all’estero, che sta faticosamente plasmando per far dimenticare la sovranista che urlava contro euro e banche, è la parte più delicata del suo racconto. Rifondare una reputazione, smentendo il vecchio amore per Orbàn e anni di battaglie politiche che ogni volta i giornalisti le ricordano, non è facile. Tanto che non ha ancora confermato una data per la conferenza con l’associazione della stampa estera in Italia. Meloni continua a rinviarla. L’ultima volta è stato a fine gennaio, quando aveva mandato a trattare il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. Proprio in quei giorni emergono le lamentele dei corrispondenti stranieri, le accuse per la mancanza di trasparenza a Palazzo Chigi. E spunta un sospetto: che Meloni non voglia buttarsi senza rete, e voglia sapere in anticipo le domande. Come il suo staff aveva chiesto durante la campagna elettorale. Una pretesa che la scorsa estate ha un po’ sorpreso i rappresentanti dei giornali stranieri. Le domande – le era stato risposto – non si concordano prima.

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Scatta l’embargo sui carburanti della Russia il pieno di gasolio rischia un’altra impennata

domenica, Febbraio 5th, 2023

Alberto Quarati

GENOVA. Da oggi scatta l’embargo dell’Unione europea all’importazione di prodotti petroliferi raffinati russi, dunque benzina ma soprattutto diesel. Con circa un milione di barili al giorno. L’Ue fino a oggi ha importato da Mosca oltre la metà del suo fabbisogno di gasolio, che in attesa della transizione energetica è il carburante che non muove solo 16 milioni di auto in Italia, ma la quasi totalità di camion e navi (e mezzi militari).

Assoutenti segnala che su alcune tratte autostradali il gasolio in modalità servito è già tornato a superare i 2,5 euro al litro; l’associazione lancia l’allarme su possibili ulteriori manovre speculative, ricordando, in una lettera inviata a ministero delle Imprese, Mister Prezzi e Antritrust, gli extraprofitti che le compagnie avrebbero realizzato nel 2022 (1,9 miliardi sulla benzina e 7,4 miliardi sul gasolio). Secondo i dati del ministero dell’Ambiente aggiornati a ottobre, a fronte di circa 19 milioni di tonnellate di gasolio vendute nel Paese fra autotrazione e altri usi, l’Italia ha importato dalla Russia 323 mila tonnellate di gasolio.

Arriverà la stangata sul diesel? Per Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, non subito: «È molto probabile che la dinamica del gasolio segua quella del greggio, embargato dai Paesi europei dallo scorso 5 dicembre. Grazie alle scorte accumulate nei mesi scorsi e per effetto del meccanismo del price cap, applicato dai Paesi dell’Ue del G7, il mercato dovrebbe mantenere una sua stabilità». L’accordo impone ai Paesi che non applicano l’embargo al gasolio russo di non comprare questo prodotto da Mosca a un prezzo superiore a 100 dollari al barile: ed essendo come il greggio merce che viaggia via mare ed è assicurata in Europa, lo strumento coercitivo può funzionare, come oggi funziona per il greggio. Il gasolio russo, dice Tabarelli, peraltro è quotato a 80 dollari al barile, quindi sotto la soglia imposta da Ue e G7.

Quindi tutto bene? Nel breve termine. Perché, dice Tabarelli, il vero riassetto degli approvvigionamenti globali arriverà nel momento in cui la Cina, che paga ancora le conseguenze della politica zero Covid con una crescita del Pil (2022) tornata ai livelli degli anni ’70, rialzerà la testa: «Questo, combinato alla corsa agli approvvigionamenti a partire dall’autunno, sarà un fattore che potrà influire negativamente sui prezzi del diesel». Allora sì che bisognerà capire se ci sarà gasolio per tutti.

Enrico Paglia, Research Manager di Banchero Costa Network, società di servizi legati allo shipping, spiega come «con l’imminente divieto assisteremo in misura crescente ad una riorganizzazione del trade di prodotti petroliferi raffinati con la Russia, che dovrà trovare nuovi mercati per i propri prodotti, mentre l’Europa dovrà approvvigionarsi in maniera crescente dai nuovi Paesi esportatori. Il mercato sarà particolarmente stressato per il diesel, la cui dipendenza europea dalla Russia è storicamente molto forte e per il quale esistono soltanto un paio di nazioni con una capacità sufficiente a sostituirla».

Secondo la società inglese di consulenza sull’energia Fge, l’Europa sostituirà i flussi dalla Russia aumentando le importazioni dagli Stati Uniti e dal Medio Oriente: comunque, un viaggio più caro rispetto al prodotto russo, che arrivava via condotta oppure dai porti del Mar Baltico o del Mar Nero. Le navi in partenza da questi ultimi, benché la Russia stia già aumentando i volumi verso la vicina Turchia o il non distante Marocco, dovranno ora coprire molte miglia in più per vendere il prodotto: ringraziano gli armatori di navi cisterna, che come riporta Banchero Costa nel 2022 hanno già visto aumentare di 2,5 volte i noli per il trasporto dei prodotti. E se aumenta il prezzo del trasporto, aumenta anche alle pompe del distributore.

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La presidente, gli squadristi e il nemico immaginario

domenica, Febbraio 5th, 2023

MASSIMO GIANNINI

Se fossi un elettore di destra, non sarei troppo contento del mio governo. La mia leader in campagna elettorale mi aveva illuso con quel promettente avviso ai naviganti: «Se vinciamo noi, è finita la pacchia». Dopo cento giorni di governo, la mia presidente del Consiglio mi ha spiegato che però «bisogna fare i conti con la realtà». E poi mi ha richiamato all’armi, in orbace nero-fascio ritinto in rosso-garibaldi: «Qui si fa l’Italia o si muore». E a me è rimasto questo filo di inquietudine, quest’ansia da prestazione insufficiente. Che io sia stato suo camerata dagli esordi nel Fronte della Gioventù, suo giovane follower all’epoca dei raduni di Atreju o suo sostenitore moderato in questo tempo di passioni tristi. Per adesso, trascorsi più di tre mesi a confutare e congetturare nell’agognata stanza dei bottoni, mi pare che si stia già un po’ morendo, mentre di fare l’Italia non se ne parla proprio.

Certo, c’è la floscia bandierina identitaria dell’Autonomia differenziata, ci sono i 15 decreti-lampo varati dal 22 ottobre, c’è la retorica tronfia delle “100 azioni in 100 giorni”, la postura muscolare da wrestler staraciano, “contro la Mafia”, “contro l’illegalità”, “contro le Ong”, e poi la vacua “volontà di potenza” spacciata per traguardo raggiunto, tra un «abbiamo ridato dignità all’Italia nel mondo» e un «abbiamo salvato l’ergastolo ostativo». Paccottiglia per la bassa propaganda, innocenti evasioni psicotrope da “Fascisti su Marte”, facilmente smascherate su queste colonne da Lucia Annunziata, che ci ricorda le uniche “cose nuove” fatte davvero fino ad ora (a parte gli sgravi anti-crisi energetica ripresi dalle manovre draghiane): la stretta al reddito di cittadinanza, i dodici condoni fiscali, la tassa piatta estesa per le partite Iva, l’innalzamento del tetto al contante.

Per il resto, svariate e sguaiate retromarce su Roma. E una stupefacente sequela di intemerate e intemperanze. Dunque, al fondo, una sensazione disturbante di casino che si insinua nella destra in sé e nella destra in me, ipotetico fan della Sorella d’Italia, sedotto dalle stentoree virtù decisioniste della “Ducia liberale” (come la definisce Giuliano Ferrara) o del “capriccio della Storia” (come si definisce lei stessa): ah Giò, che volemo fa’?

La bufera sulla premiata ditta Donzelli&Delmastro è solo l’ultima della serie, che era cominciata subito con il pasticcio del decreto-rave ed era proseguita con l’intoppo del decreto sicurezza, il disastro delle accise sui carburanti e il caos sulle intercettazioni. Ma mentre quelle di prima facevano sorridere, questa fa rabbrividire. Qui non c’è solo una sgrammaticatura lessicale, come ne abbiamo già sentite tante: le smargiassate di Urso con i benzinai, le sparate di Crosetto contro la Bce, le scivolate di Valditara sull’umiliazione degli studenti, le boiate di Sangiuliano su Dante, fino ad arrivare alle pasquinate repubblichine di La Russa, capace di condannare le leggi razziali mentre nel salone di casa venera il busto di Benito che le impose. Qui, viceversa, c’è una vera e propria rottura istituzionale. Il modo in cui la fratellanza italica ha gestito il caso Cospito è un concentrato dei peggiori vizi di certa destra nazionale: analfabetismo giuridico e squadrismo costituzionale, furia ideologica e spregiudicatezza politica.

A prescindere da come la si pensi su Cospito, sui suoi delitti e sulle sue pene (e io ne penso male), qui il problema è un altro: la vicenda di un detenuto che può morire per sciopero della fame è stata cavalcata per fare due “operazioni” di rozzo marketing politico. La prima operazione è vergognosa: appioppare all’apposito Pd lo stigma del fiancheggiamento all’anarchismo, al terrorismo e alla criminalità organizzata. Ora, la lista delle colpe politiche di quel partito esanime è infinita e forse non starebbe in un elenco telefonico. Ma questa proprio non si può sentire. Sul finire dei terribili ’70 Rossana Rossanda ebbe il coraggio di ammettere che le Br facevano parte dell’album di famiglia della sinistra. Ma oggi metterlo sul banco degli imputati per collusione con terroristi e mafiosi è un’accusa infame e miserabile. Tanto più se è rivolta a un fronte politico che in quella “guerra civile” sacrificò Aldo Moro e Pio La Torre, e ancora di più se a rispolverare la requisitoria dell’odio sono i nipotini del fronte opposto, che offrì manovalanza alle stragi di Stato, dall’Italicus alla Stazione di Bologna. La seconda operazione è pericolosa: alimentare nel Paese un clima di allarme, di tensione e di eversione, di cui onestamente c’è poca traccia e non si sente il bisogno. A meno che, come scrive Massimo Cacciari, non si voglia prendere per vera la furbizia paranoide di chi camuffa da nuovi e sanguinosi “anni di piombo” i pur gravi atti di violenza perpetrati dalla galassia anarchica (le scritte sui muri, i manifesti contro Mattarella, le aggressioni alle ambasciate, le molotov contro le auto della Polizia).

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Gianni Cuperlo: «Dietro Bonaccini e Schlein i soliti nomi. La prima volta che ho visto D’Alema mi chiese quanti libri leggessi»

domenica, Febbraio 5th, 2023

di Aldo Cazzullo

Primarie del Pd, il deputato in corsa per la segretaria: «Sono un idealista, forse ingenuo. Mi sono candidato perché la nostra casa brucia. Conte? Vuole distruggerci»

Gianni Cuperlo: «Dietro Bonaccini e Schlein i soliti nomi. La prima volta che ho visto D’Alema mi chiese quanti libri leggessi»

Cuperlo, lei è votato alla sconfitta.
«No, ma questa volta la casa brucia, e ci sono battaglie che vale la pena combattere».

L’ultimo romantico.
«Diciamo idealista. Ingenuo, forse».

Cuperlo che nome è?
«Forse ungherese: si scriverebbe con la K. Ma non ho un folto albero genealogico. I miei avi sono tutti triestini, tranne un nonno romagnolo».

Cosa facevano i suoi genitori?
«Mio padre impiegato in una ditta di import-export, mia madre casalinga. Eppure riuscivano a portare me e mio fratello a mangiare il pesce a Muggia una volta al mese, e ad agosto a passeggiare dieci giorni sulle Dolomiti. Oggi una famiglia come la mia di allora non potrebbe permetterselo».

Era l’Italia del miracolo economico.
«Che alle spalle aveva il lavoro duro, talvolta la fame. Nonno Vittorio Cuperlo era tipografo, lo ricordo con le dita sporche di inchiostro, ormai non veniva più via. L’altro nonno, Enea, morì giovane. Sua figlia Adriana, la sorella di mia madre, dovette emigrare: la rotta per le Americhe era chiusa; così nel 1957, appena sposata, partì in piroscafo per l’Australia. Melbourne».

Ha mai incontrato zia Adriana?
«Una volta sola, quando tornò in visita a Trieste. Accompagnai suo marito, zio Mario, in giro per la città, e vissi l’euforia e lo strazio dell’immigrato, che fatica a riconoscere la sua città così cambiata, e nello stesso tempo se l’è portata dietro. In Australia i triestini si trovavano tra loro, parlavano dialetto, cucinavano i loro cibi, ascoltavano le loro canzoni… Ancora adesso, ogni volta che viene a Trieste mia figlia Sara si sorprende: anche i farmacisti le parlano in dialetto».

Città letteraria, da Joyce a Magris.
«È dall’adolescenza che mi prefiggo di leggere l’Ulisse; non sono mai andato oltre pagina 80. Mi ha sempre affascinato l’amicizia tra Joyce e Svevo. Sa come si conobbero?».

No.
«Joyce andò nella villa di Svevo, anzi della moglie, a dargli lezioni di inglese. Lui gli fece leggere i suoi primi romanzi, Una vita e Senilità, stroncati dai critici. Joyce tornò dopo una settimana e gli disse, ovviamente in dialetto triestino: “I critici non capiscono nulla, lei è un grande scrittore”. Così Svevo ci regalò La coscienza di Zeno».

Quando vide D’Alema per la prima volta?
«Nel suo ufficio al secondo piano di Botteghe Oscure: lui capo della segreteria di Occhetto, io della Fgci, la Federazione giovanile comunista. Alzò lo sguardo e mi chiese, secco: tu quanti libri leggi al mese?».

E lei?
«È la classica domanda che ti mette in difficoltà. Infatti non risposi».

Lei Cuperlo quanti libri legge al mese?
«Cinque o sei. Quasi solo saggistica».

Romanzi no?
«Meno. Ma ho passato il lockdown a rileggere I fratelli Karamazov e a guardare lo sceneggiato Rai. Corrado Pani, che da bambino avevo visto al Rossetti di Trieste, è un Dmitrij straordinario».

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Il pallone spia cinese è stato abbattuto, ma la crisi (doppia) è solo all’inizio: ecco perché

domenica, Febbraio 5th, 2023

di Federico Rampini

E adesso che succede, tra Washington e Pechino? Ora che il pallone-spia è stato abbattuto con un’operazione di «precisione chirurgica» (sulla costa atlantica, quando non poteva più far danni cadendo a terra, ma entro la zona delimitata dalle acque territoriali Usa) la crisi politico-diplomatica continua.

Anzi, le due crisi gemelle. Perché questa vicenda ha due versanti: lo scontro tra i parlamentari repubblicani e l’Amministrazione Biden da una parte, quello tra Stati Uniti e Cina dall’altra.

Il pallone spia cinese colpito e abbattuto: le immagini della caduta in Usa

Video:Il pallone spia cinese colpito e abbattuto: le immagini della caduta in Usa

Biden è stato costretto a dare l’ordine al Pentagono di abbattere quel pallone perché era sotto un’escalation di attacchi interni. Molti deputati repubblicani – che sono la maggioranza alla Camera dall’inizio di quest’anno – hanno giudicato gravissimo che «uno strumento di spionaggio del partito comunista cinese sia stato lasciato sorvolare l’intero territorio continentale degli Stati Uniti, indisturbato». Il fatto che per le prime 48 ore di questa crisi la Casa Bianca si fosse limitata a condannare verbalmente la Cina, e a rinviare la visita del segretario di Stato Antony Blinken a Pechino, era stato stigmatizzato dalla destra come una prova di debolezza e arrendevolezza verso la grande rivale strategica. Alcuni esponenti del Grand Old Party erano arrivati a sostenere che il Pentagono, evitando di intercettare e abbattere o catturare l’oggetto volante, avesse violato i suoi stessi protocolli sulla difesa dello spazio aereo nazionale.

La scusa di Biden – non voleva correre il rischio che i detriti del pallone potessero colpire qualcuno a terra – è parsa inadeguata, tanto più che la U.S. Air Force dovrebbe essere in grado di reagire con efficacia a incursioni di oggetti volanti di ogni sorta. L’attacco «chirurgico» sul cielo sopra la South Carolina dovrebbe rassicurare almeno su questo.

Ammesso che Biden riesca a tacitare le critiche interne, lo fa al prezzo di alzare la tensione con Xi Jinping. Abbattere un pallone-spia che viola lo spazio aereo nazionale è del tutto lecito, e tuttavia questo significa denunciare pubblicamente come una menzogna la versione ufficiale cinese sul «pallone di osservazione meteorologica».

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La versione della Cina sul pallone spia è credibile? E cosa succede ora?

domenica, Febbraio 5th, 2023

di Guido Santevecchi

Il pallone spia cinese è stato abbattuto, la tensione tra Washington e Pechino è alta. Ma perché non è stato abbattuto subito? E che cosa succede ora con Xi Jinping?

La versione della Cina sul pallone spia è credibile? E cosa succede ora?

La U.S. Navy sta recuperando i rottami del pallone-spia cinese abbattuto dopo cinque giorni di volo sugli Stati Uniti. «Ce ne stiamo prendendo cura», ha risposto Joe Biden ai giornalisti che gli gridavano domande sul pallone scoperto mercoledì mentre volava sulla base missilistica americana del Montana. Poco dopo, l’azione risolutiva:l’abbattimento con i caccia sopra l’Oceano Atlantico, dopo aver fermato i voli civili in tre aeroporti e tenuto a distanza imbarcazioni private nella zona. Infine è partita l’operazione di recupero del relitto, con unità della Marina militare.

Intantoi suoi detriti politici sono già precipitati sulla diplomazia Usa-Cina in questi tempi di Nuova Guerra Fredda. Il Segretario di Stato Antony Blinken ha sospeso la visita a Pechino denunciando «l’inammissibile e irresponsabile» aggressione alla sovranità territoriale di Washington. Pechino sostiene che la «navicella aerea» aveva scopi di pura ricerca scientifica e meteorologica e ha perso la rotta per «force majeure», come si dice in linguaggio diplomatico quando ci si vuole scusare negando la colpa. Dopo la versione difensiva, il Ministero degli Esteri cinese ha contrattaccato, accusando «certi politici e giornali americani» di voler cavalcare il pallone per diffamare la Repubblica popolare. È stato avvistato un secondo vascello volante, questa volta sull’America Latina, e si sta verificando una segnalazione canadese, che potrebbe riferirsi alla rotta seguita dal primo pallone cinese, poi individuato mercoledì sulla base dei missili intercontinentali Minuteman III nel Montana. Dietro il pallone aerostatico (o i palloni) c’è una scia di domande.

La versione cinese è credibile?

Il Pentagono mantiene il punto: le dimensioni del pallone, «lungo come tre scuola-bus in fila» fanno escludere un innocuo impiego per rilevazioni meteo; la «forza maggiore» accampata dai cinesi (venti da Ponente sul Pacifico) è «inattendibile», perché il velivolo «ha mutato rotta e dimostrato capacità di manovrare». Conclusione: non sono stati i venti a portare casualmente il pallone-spia nel cielo sopra i silos del Montana dove sono celati 150 missili intercontinentali americani. L’avvistamento del secondo pallone toglie ogni dubbio: due «errori di rotta» contemporanei sembrano impossibili.

Che cosa è un pallone-spia?

La forma somiglia a quella di una grande sonda-meteo, ma alcuni elementi differiscono e dimostrano lo scopo di intelligence, spiega William Kim, specialista di questi velivoli da ricognizione presso il think tank Marathon Initiative di Washington. Sotto la «pancia» del pallone si nota un imponente «carico utile», costituito da apparecchiature elettroniche per la guida e la raccolta di dati, e anche da pannelli solari per l’alimentazione, ha detto Kim alla France Presse. Il tecnico sostiene che l’apparecchio cinese potrebbe imbarcare tecnologie di guida non ancora utilizzate dall’intelligence americana (che pure non disdegna i palloni da ricognizione e dal 2019 li impiega per esempio per dare la caccia ai narcotrafficanti). Kim parla di Intelligenza Artificiale: «Basta dotare un pallone di un programma AI per poter fare a meno di mezzi di propulsione propri, il sistema “intelligente” controlla semplicemente l’altitudine per sfruttare le correnti in quota e dirigere il pallone verso la destinazione voluta».

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I silenzi di Meloni e la ragion di Stato

venerdì, Febbraio 3rd, 2023

Andrea Malaguti

Giorgia Meloni si inabissa, sparisce e parla d’altro, mentre il caso Donzelli-Delmastro, Minnie e Topolino (?), terremota la credibilità di una maggioranza di governo che a cento giorni dal suo insediamento avrebbe bisogno di dare risposte su lavoro, sanità, guerra e giustizia, e invece sottopone il Paese al discutibile spettacolino di due parlamentari di prima linea colpevoli, a essere buoni, di incontinenza infantile e, a essere sinceri, di sconsiderato-bullismo-parlamentare da adulti in apparente delirio di onnipotenza.

Hanno idea, il sottosegretario alla giustizia e il vicepresidente del Copasir, del valore delle loro cariche, del dovere che impongono, dello stile che pretendono e dei danni che possono infliggere al sistema, umiliando il ruolo che è stato loro assegnato? E non pensa, la premier, che sarebbe meglio invitarli a farsi da parte?

Da ieri sappiamo ufficialmente che l’onorevole Delmastro, noto per la volontà di placcare in oro le aquile mussoliniane dello stadio di Biella, ha chiesto e ottenuto (legittimamente) dall’amministrazione carceraria informazioni sensibili sull’anarchico Alfredo Cospito. E che invece di evitarne la divulgazione, come da esplicita raccomandazione, ha deciso di condividerle col suo vivace compagno di stanza, che poi le ha maldestramente utilizzate in Aula per attaccare il Pd. Erano d’accordo? Qual era lo scopo? Nordio sapeva? Chi ha avallato, insomma, questa ridicola indecenza?

In attesa di risposte credibili, siamo costretti a fare i conti col geroglifico vergato ieri dal ministero della Giustizia, che toglie apparentemente dal tavolo presunti risvolti penali della vicenda, ma non cancella le responsabilità politiche dei protagonisti di questo horror-show, consegnandoci, per altro, l’impressione di considerare l’opinione pubblica come un’unica, gigantesca, massa di allocchi.

In assenza della stele di rosetta per imbarazzanti fumisterie ministeriali, il comunicato di via Arenula sembrerebbe spiegare che i documenti non erano secretati, ma che la loro divulgazione doveva essere “limitata”. Significa che Delmastro avrebbe potuto parlarne al bar ma non alla messa del papa in Congo? Significa che i dialoghi tra criminali rinchiusi al 41bis, proprio perché i loro pensieri non diventino patrimonio comune, possono essere spiattellati a mogli e amici ma è meglio se non arrivano nei salotti tv?

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Autonomia, gli effetti sulla Sanità: così si allarga il divario tra le regioni

venerdì, Febbraio 3rd, 2023

PAOLO RUSSO

ROMA. L’autonomia differenziata finirà per sbriciolare quel po’ di solidaristico che ancora c’è nel nostro servizio sanitario nazionale a vantaggio delle regioni più ricche e a tutto discapito di quelle messe peggio. L’allarme ieri lo hanno dato i governatori del sud e l’Ordine dei medici, insieme agli esperti del settore. Tutti contrari al disegno di legge approvato dal governo, che minaccia di accentuare le diseguaglianze che in sanità sono casomai da ripianare. E il problema non è tanto la divisione delle competenze, che saranno stabilita dalle intese siglate dalle singole regioni con lo Stato. A quest’ultimo già oggi restano infatti di esclusiva competenza solo la profilassi internazionale, i contratti del personale sanitario e i Lea, i livelli essenziali di assistenza, che elencano le prestazioni mutuabili su tutto il territorio nazionale. Il ddl su questo si limita a un cambio di nome, trasformando i Lea in Lep, i Livelli essenziali di prestazioni, che dovrebbero essere uguali da nord a sud. Ma che il condizionale sia d’obbligo lo dice l’articolo 5 del ddl Calderoli, dove si specifica che ogni intesa Stato-regione «individua le modalità di finanziamento delle funzioni attribuite attraverso compartecipazioni al gettito di uno o più tributi o entrate erariali maturato nel territorio regionale». E siccome le più ricche regioni del centro-nord potranno attingere a un gettito fiscale maggiore di quelle del sud, è chiaro che i Lep o i Lea che dir si voglia non saranno affatto uguali da un punto all’altro dello Stivale.

Già oggi ci sono regioni che finanziano con le entrate proprie una fetta dei servizi sanitari offerti ai propri assistiti. Anche se il 10% lo superano soltanto la Valle d’Aosta (13,8% del finanziamento totale e la Liguria (10,4%). Ma a marcare la vera differenza è il sistema di riparto del fondo sanitario nazionale, che dando maggiore peso alla popolazione anziana anziché alla deprivazione sociale, finisce per avvantaggiare le regioni più ricche. Al netto delle risorse per la lotta al Covid il Crea sanità ha evidenziato che la spesa pro-capite raggiunge il suo apice in Emilia Romagna con 2.200 euro, seguita da Valle d’Aosta a 2.150 e con una manciata di euro in meno dalla Liguria, Ma ad accezione del Molise le regioni del sud vanno dai duemila euro a scendere, fino ad arrivare al minimo della Calabria con poco più di 1.900 euro.

Come ha rilevato di recente la Corte dei Conti, non sempre alla maggiore disponibilità di denaro corrisponde un migliore livello dei servizi. Perché poi entrano in gioco fattori come quello del personale – che al sud è più carente- e dell’organizzazione. Però la differenza di qualità tra ricchi e poveri c’è e si vede.

Sempre il Crea nel suo ultimo rapporto annuale ha dato i punti alle regioni sulla base di 18 indicatori, che comprendono la quota di persone che rinunciano alle cure causa liste di attesa, la quota di anziani e disabili che ricevono le cure domiciliari o i tassi di copertura degli screening oncologici, che solo per focalizzarci su quelli al seno passano da un 63% al nord al 53% del centro per finire al 41% del sud. Esaminati tutti gli indicatori Veneto ed Emilia Romagna superano i 50 punti, mentre le altre regioni del nord fluttuano tra 48 e 40, con un pelo sotto Piemonte e Valle d’Aosta. Ma tutte le regioni del Sud, Lazio compreso, vanno da 30 in giù, con la Calabria ultima nella classifica dei finanziamenti e altrettanto in quella delle performance.

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Autonomia: quali competenze potrebbero passare alle singole Regioni e cosa sono i Lep?

venerdì, Febbraio 3rd, 2023

di Marco Cremonesi

Ecco i punti fondamentali del disegno di legge presentato dal ministro Calderoli e approvato all’unanimità dal Consiglio dei ministri

Autonomia: quali competenze potrebbero passare alle singole Regioni e cosa sono i Lep?

Che cosa è l’autonomia differenziata?
È la possibilità per ciascuna Regione di chiedere allo Stato nuove funzioni insieme alla risorse «umane, strumentali e finanziarie» per svolgere adeguatamente tali compiti. Il disegno di legge approvato ieri in Consiglio dei ministri definisce «i principi generali per l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di Autonomia» nonché le «modalità procedurali di approvazione delle intese fra lo Stato e una Regione». È insomma, anche, una sorta di programma di quanto accadrà nei prossimi mesi. Secondo il ministro Roberto Calderoli l’iter richiederà circa un anno.

Si tratta di una riforma costituzionale?
No. Proprio perché il ddl approvato ieri dà attuazione a quanto previsto dalla riforma costituzionale del 2001 (titolo V), le Autonomie avranno un percorso parlamentare e istituzionale normale, anche se piuttosto articolato: non sono comunque previste doppie approvazioni distanziate nel tempo come nel caso delle riforme costituzionali.

Che cosa contiene il disegno di legge approvato ieri dal Consiglio dei ministri?
Ieri è stata data all’unanimità l’approvazione preliminare dei 10 articoli del disegno di legge di attuazione delle Autonomie. I passaggi attraverso cui le Autonomie entreranno nell’assetto dello Stato. Il prossimo passaggio è il parere della Conferenza unificata, che dovrebbe avvenire entro due o tre settimane. A quel punto il Consiglio dei ministri potrà approvare definitivamente il quadro della riforma che poi affronterà l’esame delle Camere.

Quali sono le competenze che potrebbero passare alle Regioni?
Ciascuna Regione può chiedere le competenze che ritiene di poter svolgere tra le 23 materie indicate nella riforma del titolo V del 2001. Si tratta di un lungo elenco di materie anche se, al momento, soltanto il Veneto ha chiesto tutte le materie possibili secondo Costituzione.

Che cosa sono i Lep che accendono la discussione politica?
I Livelli essenziali di prestazione sono, materia per materia, i livelli minimi dei servizi erogati dallo Stato. Una delle discussioni cruciali a venire, sarà appunto su come definirli e, in caso di necessità, come finanziarli. Non è un passaggio eludibile: secondo il ddl, la richiesta di Autonomia «è consentita subordinatamente» alla definizione dei Lep. Per comprendere che cosa siano i Lep, spesso vengono paragonati ai Livelli essenziali di assistenza (Lea), già definiti nel 2001 e poi nel 2017. E cioé le prestazioni e i servizi sanitari, con il loro corrispettivo economico, che lo Stato è tenuto ad assicurare a tutti i cittadini. In questo senso in queste settimana si è sentito chiamare i Lea «i Lep della sanità». La definizione dei Lep sarà utile anche a definire i cosiddetti «costi standard» dei diversi servizi.

Che cosa è la «cabina di regia»?
I Lep saranno determinati da una commissione paritetica tra Stato e Regioni. A supporto di quest’organo, il ministro Roberto Calderoli nelle prossime settimane costituirà una «cabina di regia» a cui daranno il loro contributo numerosi esperti di chiara fama, ciascuno per l’argomento di competenza.

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Un pallone – spia cinese sullo spazio aereo Usa: «Ha sorvolato una base con missili nucleari»

venerdì, Febbraio 3rd, 2023

di Viviana Mazza

L’incidente, a pochi giorni dalla visita del Segretario di Stato Blinken a Pechino, potrebbe rappresentare una delle più aggressive manovre di raccolta di informazioni degli ultimi anni da parte della Cina

Un pallone - spia cinese sullo spazio aereo Usa: «Ha sorvolato  una base con missili nucleari»

DALLA NOSTRA CORRISPONDENTE
NEW YORK – Un pallone spia cinese sorvola da un paio di giorni gli Stati Uniti: mercoledì è stato avvistato dal Pentagono sopra in Montana e in precedenza sopra le Isole Aleutine in Alaska e in Canada.

La Casa Bianca ha preso in considerazione l’ipotesi di abbatterlo inviando i caccia F22, ma il segretario della Difesa Lloyd Austin e il generale Mark Milley, capo dello stato maggiore congiunto, hanno valutato i rischi finendo per sconsigliarlo, temendo che i frammenti cadendo giù dal cielo possano causare danni.

L’annuncio arriva da Washington a pochi giorni dalla partenza del segretario di Stato Antony Blinken per Pechino, dove arriverà domenica e incontrerà Xi Jinping. Blinken è il primo segretario di Stato americano da sei anni a questa parte – e il primo ministro del governo Biden – a sedersi faccia a faccia con il leader cinese.


La visita segue l’incontro tra Biden e Xi al G20 di Bali a novembre, dove i due presidenti si sono trovati d’accordo sulla necessità di stabilizzare i rapporti Cina-Usa, complicati anche dalla pandemia di Covid, e giunti al punto più basso da quando i due Paesi hanno stabilito relazioni diplomatiche nel 1979.

L’amministrazione Biden ha fortemente limitato l’accesso della Cina alla tecnologia americana e le tensioni sono cresciute in relazione all’intervento russo in Ucraina, con Pechino che continua i commerci e l’appoggio diplomatico a Mosca. La questione più calda è naturalmente Taiwan. Gli Stati Uniti ripetono che ci sono aree di competizione ma che può esserci anche cooperazione tra le due potenze.

In Montana si trova una delle tre basi americane con missili nucleari: nello Stato sono presenti 150 missili balistici intercontinentali. I funzionari del Pentagono credono che l’obiettivo del pallone spia sia di raccogliere informazioni e avrebbe sorvolato anche altri luoghi sensibili. Sono state prese alcune misure protettive non specificate, ma i l’opinione dell’Amministrazione è che non si tratti di una minaccia significativa né dal punto di vista dell’intelligence (Pechino dispone di satelliti assai più sofisticati, anche se i palloni spia soffermandosi sull’area possono fornire ulteriori dati) né per gli aerei civili, che volano ad una altitudine molto più bassa.

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