Luigi Mascheroni
Domanda. Il ruolo di conduttrice in una trasmissione del servizio
pubblico televisivo, è compatibile con quello di portavoce di Gianfranco
Fini? «Io sono stata bresidende della Rai, e garandisgo ghe si può. E
comunque gui si fa gome digo io…».
Dicono che faccia sempre
quello che dice lei. Autoritaria, incomprensibile, intrattabile,
incazzosa. Quando stava per prendersi la striscia di informazione fra il
Tg1 e il prime time poi andò male – risuonò stentoreo nei corridoi Rai:
«Je spacco er culo a Lilli!».
Sangue
caldo meridionale e vocetta perennemente raffreddata, partita primula
rossa e arrivata a resuscitare mediaticamente l’ex leader di An
l’irrilevanza dei fondatori e l’ostinazione delle inamovibili – Lucia
Annunziata, cronista di razza campana e pasionaria di ascendenze
comuniste, flirta da sempre col giornalismo e con la politica. Convinta
che il primo serva a rafforzare la seconda, la seconda a proteggere il
primo.
Primadonna, e non solo in ordine alfabetico, delle Nostre
Signore dei Talk Show Annunziata, Berlinguer, Gruber, Palombelli che
castrando la mascolinità catodica ed esagerando con le quote rosa
tracciano la rotta della telepolitica italiana, Lucia la sciantosa
(ragazza carinissima, ai tempi del Manifesto faceva girare tutti i
colleghi, da cui il soprannome «la svolta di Salerno») è da trent’anni
in Rai e da quasi venti, minuto più minuto meno, accompagna la controra
domenicale degli italiani, in una mezz’ora annunziatesca che ormai si
dilunga oltre l’ora, le opere, i giorni, le settimane, le stagioni, gli
anni…
La
Santissima Annunziata. Chi buttiamo giù dalla torre Annunziata? Nuntio
vobis… Santa Lucia protettrice degli occhi e della vista. Lucky Lucia.
Renzi e Lucia. Lucy in the Sky with Rai…
Cronaca di una
cronista Annunziata. Figlia di un ferroviere comunista e partorita
dall’Agro Nocerino Sarnese, terra di Osci, di Sanniti e di baroni, narra
la leggenda – che è un racconto solo un po’ meno affidabile del
giornalismo che da piccolissima, già scampata a un fulmine che le
lesionò un occhio, il papà la portasse tutte le mattine all’asilo, in
treno, affidandola a un collega in quel di Avellino Scalo. Un giorno
nevicava. E per non farle bagnare le scarpine, Lucia fu deposta su un
giornale. E la sera si scoprì che sapeva leggere: aveva imparato da
sola. Tanti anni dopo, rievocando quelle antiche storie di folgori e
miracoli, Enzo Siciliano, prefigurazione della presidenza Rai, la chiamò
«la maga di Sarno».
Poi il mito diventa Storia. Da Salerno ai
grandi reportage nel mondo, dopo la laurea in Filosofia e un esilio da
insegnante in Sardegna, fra Gramsci e li beltj, li boi e li peguri,
Lucia Annunziata, cresciuta nel ventre ideologico romano e militante
scatenata nel ’68, comincia a collaborare col Manifesto, pezzi lunghi e
gonne corte, e poi con Repubblica, corrispondente dagli Stati Uniti,
quando le malelingue dicono che le riscrivessero i pezzi perché scritti
in un italiano stentato… La rivoluzione in Nicaragua in sandali e
Sandinisti, la guerra civile salvadoregna, l’invasione di Grenada… Poi
corrispondente dal Medioriente, con base a Gerusalemme, già molto
filo-israeliana. Poi il Corriere della sera e di nuovo negli Usa, Paese
cui Lucia l’Amerikana resterà sempre legata per motivi professionali e
sentimentali (il marito è un giornalista del Washington Post), dalla
sinistra operaista e radicale al mainstream globalista e transnazionale
Aspen Institute, Eni, Fondazione Italianieuropei… – e quindi negli
anni ’90 il ritorno in Italia, da papà e da Mamma Rai. Scarpe rasoterra e
autostima altissima, cuore rosso e tailleur total black, Lucia
Annunziata – citizen journalism, servizio pubblico e battaglie private
conduce Linea tre, poi dirige il Tg3, quindi l’agenzia di stampa
APBiscom e infine, nel 2003, Governo Berlusconi, quando la Rai veniva
spacchettata tra maggioranza (che esprimeva il direttore generale,
all’epoca Flavio Cattaneo) e opposizione (cui spettava la Presidenza),
Lucia Annunziata diventa la seconda donna presidente della Rai, dopo
Letizia Moratti. Con l’auspicio di tutti che «Peggio di quell’altra non
potrà fare».
In
sella al Cavallo di viale Mazzini Lucia, l’amazzone – «Femmina alfa»
che si veste e pensa da uomo dura il tempo direttamente proporzionale al
suo potere decisionale: pochissimo. Lo spazio di una raffica di crudeli
parodie di Sabina Guzzanti, che la Presidente non digerisce, e se ne va
sbattendo la Porta a Porta (l’Annunziata e Bruno Vespa non si possono
vedere, ndr).