L’uomo che inventò il talk
sabato, Febbraio 25th, 2023Massimiliano Panarari
Il talk show prima che imparassimo a chiamarlo così ha avuto un creatore indiscusso. Maurizio Costanzo ne è stato il demiurgo nazionale. Lo ha inventato sotto le vesti di «Bontà loro», e in seguito ne ha brevettato la formula-format, salutata da un successo via via crescente, stabilendone stilemi e variazioni interne con il programma che da lui ha tratto il nome e il titolo, il famosissimo e intramontabile Maurizio Costanzo show.
È stato un talento comunicativo molto versatile, che ha esordito con la stampa cartacea (fare il giornalista rappresentava la sua aspirazione giovanile) tra il quotidiano Paese Sera, il settimanale Grazia e la direzione de La Domenica del Corriere. Ha fatto l’autore radiofonico ed è stato pure il coinventore del personaggio di Fracchia. E a lui si deve la copaternità di un tentativo originale nel panorama della stampa italiana, la direzione nel’79 de L’Occhio, ovvero un esperimento di quotidiano popolare in un Paese quale il nostro che, per molteplici ragioni, è rimasto perennemente estraneo a quel paradigma giornalistico che ha riscosso tanto successo in molte altre nazioni. Ma la sua impronta più rilevante, naturalmente, l’ha lasciata in virtù del suo ruolo storico di «comunicatore della tv», ovvero di inventore-utilizzatore della logica del piccolo schermo quale medium attraverso cui riscrivere la grammatica comunicativa e conversazionale generale del vasto pubblico che lo seguiva con assiduità.
Il «Codice Costanzo» è stato uno dei capitoli e degli snodi fondamentali della neotelevisione italiana, per usare la nota categoria di Umberto Eco, ispirato – come da precetti della cultura postmoderna della cui applicazione al tubo catodico il conduttore-autore ha giustappunto identificato un pioniere – alla mescolanza «alto-basso» e all’ibridazione dei generi. Con quell’aria sorniona e ammiccante (connotato antropologico di una certa romanità), e quel look rassicurante – e immutabile – imperniato sul panciotto e su una camicia azzurra senza cravatta, è divenuto la quintessenza di una «forza tranquilla» televisiva. In grado, pertanto, di entrare nelle case di tutti avvalendosi di un linguaggio familiare, ma che – attraverso quella che si potrebbe etichettare come la «disciplina della chiacchiera» – faceva della contaminazione la propria cifra distintiva e disseminava il discorso di spunti tutt’altro che scontati e temi della vita pubblica. Era proprio la disinvolta «chiacchiera tra amici» (che, nell’arco di un quarantennio di programma, ha visto susseguirsi svariate decine di migliaia di interviste) a fare scattare il meccanismo mimetico e dell’identificazione tra il costanziano salotto mediatico e quello domestico e casalingo dove era collocato il televisore. Quella chiacchiera che, difatti, era frutto solo all’apparenza di casualità e divagazione e, al contrario, come tutto ciò che sembra «naturale» dentro il piccolo schermo, costituiva l’esito di una lavorazione e di una scrittura piuttosto intense.
Tra il 1976 e il 1978 Bontà loro in onda sulla Rai – espressione che risuonava come un tributo a coloro che facevano la gentilezza di rendersi disponibili all’intervista in trasmissione – aveva consentito il rodaggio dello «show di chiacchiere di varia umanità», via via perfezionato, fino all’approdo al suo omonimo programma-ammiraglia trasmesso da Fininvest a partire dal 1982. E in questo periplo televisivo, come nelle varie altre tappe del suo viaggio autoriale e di conduttore – Acquario, Grand’Italia, Fascination e Buona domenica – si colgono con nettezza i tratti e gli elementi costitutivi di quello che possiamo chiamare il “mauriziocostanzismo”, da cui traspaiono anche una passione per il potere e quella dimensione self-centered, che la televisione – in Italia vero potere fortissimo e autoriferito – compendia infatti in maniera esemplare. E, dunque, nel «mauriziocostanzismo» si ritrovano la circumnavigazione attorno alla sfera privata e intima dell’ospite, che viene invitato a mettersi a nudo e a una sorta di confessione per scoprire – riprendendo uno dei suoi slogan più conosciuti – «cosa c’è dietro l’angolo». E, in materia, rimane agli annali la replica di Giancarlo Pajetta – «un altro angolo» –, la migliore risposta mai ricevuta, a insindacabile giudizio dello stesso conduttore-intervistatore. Ancora, il gusto, molto italico, per la conversazione (per l’appunto la chiacchiera), che spazia in lungo e in largo, e senza soluzione di continuità, tenendo insieme argomenti e argomentazioni differenti, secondo uno schema di orizzontalizzazione che nell’età postmoderna ha trovato la propria celebrazione assoluta. Insomma, se il giornalismo popolare cartaceo, per la cui diffusione Costanzo si era adoperato, non ha colto i risultati sperati, per contro i suoi format hanno imposto una televisione e informazione pop decisamente vincenti, e capaci di fare scuola. Uno «spettacolo di parola» che ha fatto da palestra e luogo di scouting di talenti e personaggi tv, e in cui hanno trovato spazio eventi mediali unici e dirompenti come la maratona-staffetta Rai-Fininvest contro la mafia condotta insieme a Michele Santoro, che ha spianato la strada al salto nel talk show cosiddetto «di seconda generazione» (e nella quale si intravede anche la relazione di amicizia e stima che legava Costanzo a Giovanni Falcone).