di Giampaolo Visetti
OSTIGLIA – Per secoli, sulle Alpi e in Pianura padana, la
gente ha lottato per aiutare la corsa di torrenti e fiumi verso
l’Adriatico. Questo mondo di neve e di acqua, sangue che nutriva ogni
terra, oggi è una lontana nostalgia. “La siccità è così profonda – dice Fabio Dosoli,
barcaiolo sul Po a Ostiglia – che perfino i letti vuoti ci lasciano
indifferenti. Il dramma ormai è sotterraneo e purtroppo invisibile”.
Aridità senza precedenti
Un’aridità senza precedenti prosciuga sorgenti, risorgive, pozzi e
bacini di Piemonte, Lombardia, Trentino e Veneto. L’ossessione non è più
incanalare i flussi, ma fermare anche una goccia. Il primo febbraio
senza pioggia e con temperature primaverili assedia la Food Valley
italiana. Minaccia di privare le campagne di oltre il 40% della
produzione nazionale, equivalente al crollo di un 2022 già in ginocchio
causa siccità e caldo record: e innesca un’inedita “guerra dell’acqua”
che oppone la montagna alla pianura, il cibo all’energia, le persone
alle industrie, le regioni confinanti, non solo del Nordest. “Denunciare
l’emergenza del cambiamento climatico – dice Ettore Prandini,
presidente di Coldiretti – non ci salverà. Dobbiamo realizzare subito
migliaia di invasi per raccogliere l’acqua piovana. Siamo fermi all’11%,
in Spagna sfiorano già il quadruplo. Sono interventi immediatamente
realizzabili: se non agiamo, presto anche nell’ex giardino d’Europa
mangiare sarà un lusso e bere un’utopia”.
Ambiente sconvolto
L’epicentro della crisi, che da Monviso, Monte Rosa e Cevedale,
raggiunge i delta di Adige e Po, si trova tra le province di Mantova,
Verona, Rovigo, Modena, e Reggio Emilia, cuore della produzione italiana
di cereali, carne, latte, ortaggi e frutta. Nessuno, qui, ricorda un
mondo più secco di quello di oggi. “Manca oltre un metro e mezzo di
acqua – dice Orazio Baldessari, da mezzo secolo
pescatore di tinche a Lazise sul Garda – i bulbi delle barche a vela,
già prima del porto, toccano il fondo. Se a Peschiera non avessero
chiuso la diga sul Mincio, saremmo già sotto il livello minimo toccato
nel settembre scorso. Caldo e diminuzione della profondità sconvolgono
l’ambiente: scompaiono canneti e grandi pesci, distese di alghe
assorbono l’ossigeno”. Le rive del lago più grande del Paese si sono
allargate di 16 metri, le scale dei moli e dei porti non toccano più la
superficie.
Agricoltura in ginocchio
Alla vigilia della cruciale stagione padana delle semine, mentre in
alta quota ghiaccio e inverno dovrebbero ancora regnare, numeri e
orizzonti sono quelli della fine di un’estate nordafricana. Al Ponte
della Becca, nel Pavese, il Po scorre 3,3 metri sotto lo zero
idrometrico. Nelle ex paludi di Ostiglia, oggi un deserto, siamo sotto
di 2 metri. Il riempimento del lago di Garda non arriva al 35%: il
Maggiore è al 38%, il lago di Como è ridotto a un quinto. L’anno scorso
le piogge sono crollate del 40%, da gennaio dell’87%. Già dimezzate,
sulle Alpi, le riserve dei bacini artificiali che alimentano le centrali
elettriche. L’apertura delle piste da sci, grazie ai cannoni, induce la
percezione di montagne innevate. “Ma la realtà – dice Andrea Crestani,
direttore dell’Associazione nazionale dei consorzi di gestione del
territorio e delle acque irrigue – è che l’accumulo nivale è inferiore a
quello catastrofico del 2022 e non raggiunge la metà di quello medio.
Senza una primavera piena di neve, in estate alla pianura mancherà una
massa impressionante d’acqua”.
Un deficit irrecuperabile
In Lombardia e Veneto le falde non hanno reagito alle scarse
precipitazioni di autunno e inverno: la maggior parte non è nemmeno
misurabile perché gli idrometri non scendono più fino a trovare acqua.
“La visione del Po in secca a febbraio lascia sgomenti – dice Crestani –
ma a noi preoccupa l’aridità invisibile della linea delle risorgive che
dalla Valle d’Aosta al Friuli Venezia Giulia segue sotterranea l’arco
alpino. Nel 2022 sono mancati 300 millimetri di pioggia, pari a 35
centimetri d’acqua sull’intera superficie del Nord Italia: se nei
prossimi mesi non ne cadono 1000, la prospettiva è un deficit
irrecuperabile”.
Indietro di venti anni
Il meteo, fino a marzo, annuncia sole. Per questo, tra Vercellese e
Bassa Veronese, le risaie stanno rivoluzionando le coltivazioni. “Per
raccolta e uso dell’acqua – dice Luca Melotti, simbolo del riso a Isola
della Scala – siamo indietro di vent’anni. Fermi però, se non vogliamo
vedere morire le nostre aziende, non possiamo stare. Dovremo arare meno
in profondità, cambiare concimi, usare semi meno produttivi, irrigare in
modo scientifico, rivoluzionare le colture preferendo il grano al mais.
Siamo già in uno scenario israeliano: se però in inverno non nevica
sulle Alpi e in primavera non piove sulla pianura Padana, la prospettiva
di un esodo umano dal Nord va approfondita. Inutile nasconderlo, oggi
l’acqua rende più soldi se è usata per energia e industrie: le necessità
potabili, agricole e del futuro non mi pare riversino la folla in
piazza”.