Archive for Febbraio 17th, 2023

Per salvare la Scala serve competenza. Non basta il jazz

venerdì, Febbraio 17th, 2023

di Milena Gabanelli

Caro Direttore, sabato scorso leggendo il Foglio mi ha attratto un titolo: “Paolo Conte non profani la Scala, firmato da Piero Maranghi, direttore del canale Sky Classica. “Oddio i fanatici della Scala – ho pensato – che appena gliela tocchi ti fulminano!”. Ma poi leggendo la lettera, e a seguire le risposte e i commenti che ha suscitato (Sgarbi sul Foglio e Merlo su Repubblica) vorrei fare alcune considerazioni. Scrive Sgarbi che in passato sono già stati ospiti della Scala artisti del pop e del jazz, e quindi perché non andrebbe bene il grande Paolo Conte? Per essere precisi: Bobby McFerrin alla Scala ha diretto la Filarmonica, Stefano Bollani ha suonato Ravel, diretto da Riccardo Chailly; Milva ha cantato Berio. Ci sono stati anche due balletti: l’Altra metà del cielo (musica di Vasco Rossi che non era neppure presente), e il Pink Floyd Ballet, con la coreografia del maestro Roland Petit.
Dunque il tema posto da Maranghi non è chi porti alla Scala, ma il cosa. E dire “vogliamo Paolo Conte perché è bravo” significa ben altro, ovvero: non vogliamo più che alla Scala si ascoltino solo opere, sinfonie, balletti, quartetti, ma anche cantautori, rapper, musical, cabaret ecc. Porre questo tema non credo sia da reazionari (come scrive Merlo su Repubblica), e tantomeno di distinzione fra musica alta e musica bassa.

È il caso di ricordare che la Scala rappresenta un simbolo di unicità universalmente riconosciuto. Non un tempio inviolabile, ma un simbolo che ha saputo adeguarsi ai costumi del pubblico ed è stato capace anche di dettarli, con coerenza e caparbietà, anche in periodi bui della nostra storia. E allora qual è l’utilità di smontare le fondamenta di questa istituzione? Forse perché non riesce più a stare in piedi con le proprie gambe, nonostante i corposi finanziamenti e sponsorizzazioni? Se è così il problema sta nella gestione, non all’altezza del suo compito. Infatti occorre guardare alla classe dirigente del Paese e alla politica culturale: siamo certi che, una volta avviato il “liberi tutti”, esistano freni alle pressioni e richieste di coloro che aspirano a quel palcoscenico e dei loro padrini?

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Panetta cita Battisti per frenare i rialzi della Bce: “Non si corre a fari spenti nella notte”

venerdì, Febbraio 17th, 2023

dalla nostra corrispondente Tonia Mastrobuoni

Berlino – «Non dobbiamo guidare come un pazzo a fari spenti della notte». Forse mai Lucio Battisti avrebbe immaginato di finire in un discorso di un banchiere centrale. In onore dell’ottantesimo anniversario dalla nascita del grande cantautore italiano, Fabio Panetta ha scelto “Emozioni” per sottolineare che la Bce, se trascinata dall’impazienza dei falchi, rischia di andare dolorosamente a sbattere.

Nel discorso di ieri del membro del board della Banca centrale europea – a un evento del Centre for European Reform a Londra – si coglie un’intenzione molto chiara: ribilanciare una discussione che sembra tenere poco conto degli sviluppi dell’ultimo anno, dei ripetuti rialzi di interesse e di un quadro economico talmente incerto da rendere pericolose le previsioni che si spingano su un orizzonte di molti mesi. Tanto più in un quadro di ripresa fragile che potrebbe essere compromessa da una stretta troppo feroce.

Una posizione condivisa dal Parlamento europeo, che ha votato ieri una risoluzione a stragrande maggioranza in cui chiede un «aggiustamento più equilibrato e graduale, dato l’elevato livello di incertezza».
Sulle sgrammaticature di alcuni suoi colleghi, Panetta è stato ieri esplicito: «La Bce non dovrebbe vincolare in modo incondizionato la sua politica monetaria futura».

Invece è quello che i falchi nord ed est europei portano avanti da tempo, anche spaventati da una situazione interna allarmante, di inflazione al 15 o al 20%, come nel caso dei baltici. E in tanti – dall’olandese Knot al tedesco Nagel – hanno espresso la granitica certezza che si continuerà a stringere sul costo del denaro ben oltre marzo, quando è già previsto un altro rialzo di 50 punti. Una pressione che sembra aver condizionato le parole, di recente molto dure, della presidente della Bce Christine Lagarde.

Oltre a Panetta, anche da altri membri del board si coglie – a microfoni spenti – un certo malumore per i colleghi che prevedono aumenti dei tassi per mesi e mesi. Primo, perché «i governatori dovrebbero sempre ricordarsi che fanno parte di un consiglio direttivo che parla sempre a tutta l’eurozona». Insomma, «non dovrebbero solo parlare al loro Paese», sottolinea una fonte autorevole. In secondo luogo, perché si può dissentire sulla traiettoria dell’inflazione e sulle condizioni monetarie, che secondo Panetta «stanno diventando più restrittive», mentre il governatore della Bundesbank Nagel è convinto del contrario, ossia che «non stiamo entrando in territorio restrittivo».

Ma sul metodo è bene che i guardiani dell’euro convergano, anzitutto per non perdere credibilità agli occhi dei mercati. E Panetta ridimensione il rischio che le rivendicazioni contrattuali in atto in molti Paesi alimentino ulteriormente l’inflazione. È giusto compensare i salari per l’aumento dei prezzi, secondo il banchiere centrale italiano.

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Siccità, dal Po al Garda, il Nord è già a secco. E scoppia la guerra dell’acqua

venerdì, Febbraio 17th, 2023

di Giampaolo Visetti

OSTIGLIA – Per secoli, sulle Alpi e in Pianura padana, la gente ha lottato per aiutare la corsa di torrenti e fiumi verso l’Adriatico. Questo mondo di neve e di acqua, sangue che nutriva ogni terra, oggi è una lontana nostalgia. “La siccità è così profonda – dice Fabio Dosoli, barcaiolo sul Po a Ostiglia – che perfino i letti vuoti ci lasciano indifferenti. Il dramma ormai è sotterraneo e purtroppo invisibile”.

Aridità senza precedenti

Un’aridità senza precedenti prosciuga sorgenti, risorgive, pozzi e bacini di Piemonte, Lombardia, Trentino e Veneto. L’ossessione non è più incanalare i flussi, ma fermare anche una goccia. Il primo febbraio senza pioggia e con temperature primaverili assedia la Food Valley italiana. Minaccia di privare le campagne di oltre il 40% della produzione nazionale, equivalente al crollo di un 2022 già in ginocchio causa siccità e caldo record: e innesca un’inedita “guerra dell’acqua” che oppone la montagna alla pianura, il cibo all’energia, le persone alle industrie, le regioni confinanti, non solo del Nordest. “Denunciare l’emergenza del cambiamento climatico – dice Ettore Prandini, presidente di Coldiretti – non ci salverà. Dobbiamo realizzare subito migliaia di invasi per raccogliere l’acqua piovana. Siamo fermi all’11%, in Spagna sfiorano già il quadruplo. Sono interventi immediatamente realizzabili: se non agiamo, presto anche nell’ex giardino d’Europa mangiare sarà un lusso e bere un’utopia”.

Ambiente sconvolto

L’epicentro della crisi, che da Monviso, Monte Rosa e Cevedale, raggiunge i delta di Adige e Po, si trova tra le province di Mantova, Verona, Rovigo, Modena, e Reggio Emilia, cuore della produzione italiana di cereali, carne, latte, ortaggi e frutta. Nessuno, qui, ricorda un mondo più secco di quello di oggi. “Manca oltre un metro e mezzo di acqua – dice Orazio Baldessari, da mezzo secolo pescatore di tinche a Lazise sul Garda – i bulbi delle barche a vela, già prima del porto, toccano il fondo. Se a Peschiera non avessero chiuso la diga sul Mincio, saremmo già sotto il livello minimo toccato nel settembre scorso. Caldo e diminuzione della profondità sconvolgono l’ambiente: scompaiono canneti e grandi pesci, distese di alghe assorbono l’ossigeno”. Le rive del lago più grande del Paese si sono allargate di 16 metri, le scale dei moli e dei porti non toccano più la superficie.

Agricoltura in ginocchio

Alla vigilia della cruciale stagione padana delle semine, mentre in alta quota ghiaccio e inverno dovrebbero ancora regnare, numeri e orizzonti sono quelli della fine di un’estate nordafricana. Al Ponte della Becca, nel Pavese, il Po scorre 3,3 metri sotto lo zero idrometrico. Nelle ex paludi di Ostiglia, oggi un deserto, siamo sotto di 2 metri. Il riempimento del lago di Garda non arriva al 35%: il Maggiore è al 38%, il lago di Como è ridotto a un quinto. L’anno scorso le piogge sono crollate del 40%, da gennaio dell’87%. Già dimezzate, sulle Alpi, le riserve dei bacini artificiali che alimentano le centrali elettriche. L’apertura delle piste da sci, grazie ai cannoni, induce la percezione di montagne innevate. “Ma la realtà – dice Andrea Crestani, direttore dell’Associazione nazionale dei consorzi di gestione del territorio e delle acque irrigue – è che l’accumulo nivale è inferiore a quello catastrofico del 2022 e non raggiunge la metà di quello medio. Senza una primavera piena di neve, in estate alla pianura mancherà una massa impressionante d’acqua”.

Un deficit irrecuperabile

In Lombardia e Veneto le falde non hanno reagito alle scarse precipitazioni di autunno e inverno: la maggior parte non è nemmeno misurabile perché gli idrometri non scendono più fino a trovare acqua. “La visione del Po in secca a febbraio lascia sgomenti – dice Crestani – ma a noi preoccupa l’aridità invisibile della linea delle risorgive che dalla Valle d’Aosta al Friuli Venezia Giulia segue sotterranea l’arco alpino. Nel 2022 sono mancati 300 millimetri di pioggia, pari a 35 centimetri d’acqua sull’intera superficie del Nord Italia: se nei prossimi mesi non ne cadono 1000, la prospettiva è un deficit irrecuperabile”.

Indietro di venti anni

Il meteo, fino a marzo, annuncia sole. Per questo, tra Vercellese e Bassa Veronese, le risaie stanno rivoluzionando le coltivazioni. “Per raccolta e uso dell’acqua – dice Luca Melotti, simbolo del riso a Isola della Scala – siamo indietro di vent’anni. Fermi però, se non vogliamo vedere morire le nostre aziende, non possiamo stare. Dovremo arare meno in profondità, cambiare concimi, usare semi meno produttivi, irrigare in modo scientifico, rivoluzionare le colture preferendo il grano al mais. Siamo già in uno scenario israeliano: se però in inverno non nevica sulle Alpi e in primavera non piove sulla pianura Padana, la prospettiva di un esodo umano dal Nord va approfondita. Inutile nasconderlo, oggi l’acqua rende più soldi se è usata per energia e industrie: le necessità potabili, agricole e del futuro non mi pare riversino la folla in piazza”.

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Pazienti contro medici: è boom di cause e denunce in Tribunale, ma solo uno su cinque ottiene il risarcimento

venerdì, Febbraio 17th, 2023

Paolo Russo

Che tra medici e pazienti non ci sia più quel rapporto di fiducia che c’era una volta lo si è capito da un bel po’. La riprova viene dal fatto che nei tribunali italiani sono accatastate circa 300 mila cause contro medici e strutture sanitarie pubbliche e private, dicono i numeri presentati a Roma all’incontro su qualità e sicurezza nelle sale operatorie, organizzato dall’Acoi, la società scientifica dei chirurghi ospedalieri.
Ogni anno si contano trentacinquemila nuove azioni legali, ma solo nel 15 % dei casi viene accertata la responsabilità del medico e la liquidazione in questi casi è del 30 % rispetto alle richieste spesso stratosferiche.
Una pressione che secondo i chirurghi ospedalieri finisce per incentivare scelte di medicina difensiva – “ti dovrei operare però non lo faccio per non incappare in una causa”- mentre a complicare il tutto c’è poi l’impoverimento tecnologico delle nostre sale operatorie.
Secondo i dati dell’Ania, l’associazione delle compagnie assicuratrici, il 40 % delle richieste di rimborso non sono supportate da evidenze clinico procedurali, il 10 % è supportata da dichiarazioni artefatte o false e solo il 3 % è basata su errori procedurali del personale. I procedimenti riguardano l’attività chirurgica 38,4% dei casi, diagnosi errate nel 20,7%, errori in fase di terapia nel10,8% e le infezioni per il 6,7%. Nello specifico i reparti dove avvengono più sinistri sono ortopedia e traumatologia (20,3%), chirurgia generale (12,9%), pronto soccorso (12,6%), ostetricia e ginecologia (10,9%). Riguardo la distribuzione territoriale delle denunce i numeri dicono che vengono presentate principalmente al Sud e nelle isole (44,5%). Al Nord la percentuale scende al 32,2% mentre al Centro si ferma al 23,2%. Le aree maggiormente a rischio contenzioso sono quella chirurgica (45,1% dei casi), materno-infantile (13,8%) e medica (12,1%). Per quanto riguarda i costi per intraprendere un’azione legale, partendo da una richiesta risarcitoria media di 100 mila euro, servono 50.128 euro per una causa civile, per il penale 36.901 euro. E si tratta di dati che non lasciano indifferente la categoria dei medici: il 78,2% di loro ritiene di correre un maggiore rischio di procedimenti rispetto al passato. Il 68,9% pensa di avere 3 probabilità su 10 di subirne; il 65,4% avverte una pressione indebita nella pratica quotidiana. «Non oso pensare cosa genererà il contenzioso apertosi durante la pandemia, che ha generato un aumento esponenziale delle denunce» dichiara il presidente di Acoi,  Pierluigi Marini.
Ma a complicare la vita dei chirurghi è anche l’obsolescenza delle apparecchiature utilizzate in sala operatoria. «Per capire come questa finisca per influire sul nostro lavoro e sulla sicurezza dei pazienti -spiega ancora Marini – basti pensare alla chirurgia mininvasiva laparoscopica. È chiaro che se abbiamo telecamere di ultima generazione aumenta la definizione delle immagini e questo ci permette di operare con più precisione», spiega il professore. «Purtroppo oggi con le imprese stritolate dal cosiddetto Pay back, che le impone di rimborsare 2,2 miliardi per il ripiano dello sfondamento di un tetto di spesa sottostimato, oggi abbiamo carenza anche di cose come bisturi elettrici e suturatrici meccaniche», denuncia il professore. Lamentando poi il fatto che «il Pnrr investe circa 4 miliardi per l’ammodernamento tecnologico della sanità, ma nulla per quello delle sale operatorie».

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Andrea Margelletti: “Dal Baltico all’Artico le armi di Putin ora mirano dritte all’Europa”

venerdì, Febbraio 17th, 2023

Emanuela Minucci

Professore, l’escalation dell’attacco russo è inedita. Navi militari e sottomarini atomici russi che montano missili nucleari nelle acque del Baltico. Bombardieri strategici Tupolev-95MS che sorvolano il mare di Bering e quello di Norvegia. Siamo al gran finale?
«Assolutamente no. Già da parecchi mesi abbiamo discusso proprio su queste colonne del fatto che la Russia continui a utilizzare lo scenario di un conflitto nucleare limitato come metodo per spaventare la coalizione occidentale e ottenere così il risultato più importante per Mosca. Ci stanno provocando, questo è fuor di dubbio. D’altronde il passaggio di aerei ai confini dell’Europa mira a logorare i nervi già tesi dell’Occidente. I russi hanno capito che politicamente non c’è unità fra i Paesi dell’Ue e si inseriscono in questa frattura, si incuneano in questa fragilità. D’altronde se da un lato Zelensky sbarca nel Regno Unito a bordo di un aereo inglese e viene ricevuto con tutti gli onori dal primo ministro e dal Re Carlo in persona e dall’altro a Sanremo si relega la lettura del suo comunicato, negandogli l’intervento in diretta, alle due di notte non v’è chi non veda che qualche differenza di postura solidale c’è. E la vedono benissimo soprattutto dal Cremlino. Quindi i Russi trovano terreno fertile per provocarci, alzare la posta e costringerci a mostrar loro le carte per capire se c’è o meno un bluff». 

Dopo l’Alaska la Russia fa volare due bombardieri nucleari supersonici sul Mare di Norvegia a nord della Scozia

Mirano a dividerci.
«Proprio così: tutti abbiamo visto nel corso di questo anno la grande debolezza delle forze armate russe sia sotto il profilo dottrinale, logistico, di addestramento e tecnologico: criticità che sicuramente hanno destato grande preoccupazione al Cremlino. Quindi se le armi non sono al massimo bisogna puntare sulla propaganda per ottenere l’obiettivo strategico: che è quello di frantumare l’unità dell’Occidente».

Che cosa dobbiamo aspettarci per l’anniversario del primo anno di guerra il 24 febbraio?
«Il contrario di un avvicinamento diplomatico: i russi potrebbero incrementare gli attacchi per dimostrare al governo ucraino e a quelli occidentali che sono determinati ad andare avanti per giungere al compimento del sogno: la completa presa dell’Ucraina».

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Fisco, la rottamazione si fa con un clic

venerdì, Febbraio 17th, 2023

Per fare pace con il Fisco basterà un clic. Ma per fortuna non ci sarà alcun clic day come in occasione dei vari bonus varati negli ultimi anni. Semplicemente per accedere alla nuova rottamazione si potrà dialogare con l’Agenzia delle Entrate direttamente online e si potrà conoscere preventivamente l’importo da pagare per chiudere le proprie vertenze. A comunicarlo sarà l’agenzia della Riscossione: per conoscere la cifra esatta basterà accedere al sito e fare una semplice richiesta online. La macchina è partita, ma per avere il conteggio effettivo – e definitivo – i contribuenti dovranno aspettare giugno.

Nel frattempo, chi farà la domanda non dovrà pagare la rata prevista a fine mese per la rottamazione ter (siamo alla quater). Sul sito di Agenzia Riscossione è possibile compilare online la domanda per ottenere via e-mail il prospetto informativo con il dettaglio di cartelle, avvisi di accertamento e avvisi di addebito. Il prospetto consentirà ai contribuenti di poter visionare il debito attuale e gli importi dovuti senza sanzioni, interessi e aggio. Sono riportate, quindi, tutte le informazioni per valutare la propria situazione e individuare i debiti che possono essere inseriti nella domanda di adesione da presentare in via telematica entro il 30 aprile 2023.

Per richiedere online il prospetto informativo e riceverlo via email bisogna accedere alla sezione Definizione agevolata (www.agenziaentrateriscossione.gov.it). In area pubblica, senza necessità di pin e password, è sufficiente inserire i dati e il codice fiscale della persona intestataria dei carichi e allegare la relativa documentazione di riconoscimento. A seguito della richiesta, il sistema invierà alla casella di posta elettronica indicata una prima e-mail contenente il link per confermare la richiesta (valido solo per le successive 72 ore). Una volta convalidato il link, il servizio trasmetterà una seconda e-mail di presa in carico con il numero identificativo e la data dell’istanza. Se la documentazione risulta corretta, il contribuente riceverà una e-mail di accoglimento, con il link per scaricare il prospetto informativo entro 5 giorni (decorso tale termine non sarà più possibile scaricare il documento).

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Meloni salta la conferenza per la sicurezza di Monaco e non vede Metsola: «Motivi di salute»

venerdì, Febbraio 17th, 2023

di Monica Guerzoni

La premier ha una brutta influenza con febbre alta, tosse e raffreddore. Resta confermata la missione a Kiev a ridosso del 24 febbraio

Meloni salta la conferenza per la sicurezza di Monaco e non vede Metsola: «Motivi di salute»

«Aveva una faccia, si vedeva che era febbricitante…». Giorgia Meloni è in smart working, ha presieduto il Consiglio dei ministri da casa, in video-collegamento, con gli esponenti del governo che le auguravano pronta guarigione.

Una brutta influenza, con temperatura alta, tosse e raffreddore, sta bloccando l’agenda della premier, che ha saltato diversi appuntamenti e altri ne perderà nei prossimi giorni. «Per il persistere di sintomi influenzali» Palazzo Chigi ha annullato tutti gli incontri e gli impegni. Niente faccia a faccia oggi alle 11.30 con la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola. Niente conferenza per la sicurezza domani a Monaco di Baviera, dove saranno presenti tra gli altri la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, il presidente francese Emmanuel Macron, il premier britannico Rishi Sunak e Kamala Harris, vicepresidente degli Stati Uniti. Annullato il viaggio in India dei primi di marzo, mentre resta confermata la missione a Kiev a ridosso del 24 febbraio, primo anniversario dell’invasione russa. Una visita a cui Meloni tiene moltissimo: «In Ucraina vado sicuramente».

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Il dilemma che torna per il Pd

venerdì, Febbraio 17th, 2023

di Antonio Polito

Non sapendo come ripartire dagli ultimi, la sinistra potrebbe ripartire da Ultimo. La suggestione di Goffredo Bettini, davvero l’ultimo ingraiano rimasto, ricorda al suo partito che per riconnettersi con il popolo anche le canzonette possono servire. Ma sembra una metafora perfetta del dilemma del Pd. In particolare di quella sua parte che nella battaglia congressuale si definisce più di sinistra, ascrive a un’eccessiva moderazione i recenti guai elettorali, e propone dunque una radicalizzazione del messaggio politico.

Due vicende recenti, il caso Cospito e il caso Sanremo, spiegano bene perché questa operazione non è facile, e anzi possa dare risultati opposti a quelli sperati, al limite dell’autolesionismo. Non sorretta infatti da convinzioni forti e da un pensiero politico, si trasforma in una radicalizzazione senza principi, un’agitazione vuota, che peggiora le cose per sé e migliora le chance dell’avversario.

Nella vicenda del capo anarchico, per esempio, grazie all’iniziativa di massimi dirigenti come Andrea Orlando, ex ministro della Giustizia, il Pd è parso chiedere un allentamento, o addirittura l’eliminazione del regime di carcere duro per il detenuto. Intendiamoci: sarebbe legittimo e forse perfino utile che una forza di opposizione si ergesse in difesa delle libertà costituzionalmente garantite, che valgono per tutti. Ma il Pd non ha fatto questo.

Non ha chiesto l’abolizione del 41 bis per tutti, mafiosi compresi. Ha lasciato solo capire che sarebbe bene toglierlo a Cospito. Forse perché è un anarchico e non un camorrista? Forse perché a differenza dei capi di Cosa Nostra sta facendo uno sciopero della fame? Il colpo basso sferrato in aula dai Fratelli d’Italia è stato giustamente condannato: non si può davvero accusare il Pd, il partito degli eredi di Pio La Torre, di intendersela con i mafiosi. Ma l’ambiguità del messaggio uscito da quella visita in carcere, che certo non era fatta agli «ultimi» ma anzi a una qualificata rappresentanza dei primi delinquenti d’Italia, ha in ogni caso regalato un «momento Thatcher» a Giorgia Meloni alla vigilia delle elezioni regionali, consentendole di presentarsi come la sentinella di «legge e ordine».

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Superenalotto, centrato il «6» da record. Vale oltre 371 milioni di euro

venerdì, Febbraio 17th, 2023

di Redazione Online

La vincita è stata realizzata grazie «a un sistema a caratura giocato attraverso la bacheca dei sistemi di Sisal», spiegano dal gruppo

Superenalotto, centrato il «6» da record. Vale oltre 371 milioni di euro

La combinazione vincente è: 1, 38, 47, 52, 56, 66; il numero jolly 72; il numero Superstar 23.

La vincita da oltre 371 milioni di euro è stata realizzata grazie «ad un sistema a caratura giocato attraverso la Bacheca dei Sistemi di Sisal», spiegano dal gruppo. Le 90 quote da 5 euro ciascuna sono state acquistate dalle ricevitorie Sisal e poi proposte ai propri giocatori. Si tratta del jackpot più alto al mondo.

Ai 90 giocatori che hanno centrato il super premio andranno oltre 4 milioni di euro a testa.

È stata la Campania la regione regina del «6» dei record – segnala l’agenzia Agimeg – centrato questa sera. Ben 14 infatti le vincite milionarie frutto di altrettante quote acquistate in Campania. Il record nazionale appartiene al Bar Paradiso di Stelle, di Atripalda, in provincia di Avellino, dove sono state vendute 6 quote milionarie ognuna da oltre 4 milioni di euro. Tre quote sono state vendute anche nel Comune di Milano : in una tabaccheria di via Novara, in un punto Sisal di via Ugo Bassi e in un negozio di via Dogana. Due a Torino, in una tabaccheria di piazza Mattirolo e in un bar di via Sospello.

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Superbonus, cosa succede ai cantieri dopo lo stop del governo a cessione del credito e sconto in fattura?

venerdì, Febbraio 17th, 2023

di Gino Pagliuca

Superbonus, si chiude l’epoca dello sconto in fattura e della cessione del credito. Resta solo la possibilità di eseguire i lavori a proprie spese e provvedere in un secondo momento alla detrazione fiscale. La svolta è epocale anche per un istituto, cioè uno «sgravio fiscale», così giovane ma enormemente fortunato.
Il sunto della questione è questo: per i bonus che matureranno da ora in poi non ci sarà più la possibilità di ottenere lo sconto in fattura né di cedere i crediti. Resta solo la detrazione nella dichiarazione dei redditi. Questi i contenuti del decreto legge approvato giovedì dal Consiglio dei ministri. Un provvedimento inserito all’ultimo momento per fermare una situazione, secondo il governo, «quasi fuori controllo», con gravi conseguenze sul debito.

1. A che cosa porterebbe un blocco delle cessioni del credito?
Per limitarci al Superbonus bisogna distinguere tre diverse situazioni.
La prima è di chi ha già avviato i lavori e, soprattutto se ha eseguito almeno una cessione a Sal (stato avanzamento lavori), possibile quando si siano effettuate almeno il 30% delle opere: non ci dovrebbero essere problemi a ultimare il cantiere.
La seconda, molto più incerta, è di chi ha depositato la Cilas (la Comunicazione di inizio lavori) ma non ha ancora anche avviato le opere. Qui bisognerà vedere gli ulteriori sviluppi e comunque il rischio è di incontrare una controparte bancaria non troppo disponibile.
La terza situazione invece appare chiara: per chi non ha ancora presentato la Cilas non ci sarà la possibilità di cedere il credito. Casa

2. Il Superbonus però non viene eliminato…
Senza cessione del credito è un bonus per pochi (e anche molto ricchi), perché per evitare l’incapienza fiscale servono redditi imponibili molto alti. E questo per i condomini. Per le villette si ricorre al quoziente familiare con valori piuttosto bassi, incompatibili con l’importo delle detrazioni di cui eventualmente godere. Un blocco avrebbe effetti pesantissimi sulle famiglie, sulle imprese e su tutta la filiera delle costruzioni.


3. Perché il meccanismo delle cessioni si è arenato?
Le banche, dopo aver fatto il pieno di crediti, sono arrivate al limite della capienza fiscale; inoltre, diversi provvedimenti normativi e le interpretazioni talora date dalle Entrate consigliavano agli istituti di muoversi con molta prudenza per evitare il rischio, qualora finanziassero operazioni non regolari, di vedersi sequestrare il credito. Questo secondo aspetto è stato però superato dalla circolare del 6 ottobre 2022 delle Entrate, con cui si afferma che qualora la banca avesse effettuato adeguati controlli non poteva essere considerata responsabile in solido con il cedente. Questo principio viene recepito anche dal decreto.


4. Quali contromisure sono state prese per favorire la circolazione dei crediti?
Dopo una prima cessione, fatta dal contribuente o all’impresa o a un qualsiasi soggetto, la seconda e la terza cessione devono avvenire obbligatoriamente a un soggetto vigilato (banca, finanziaria, assicurazione). Le banche possono ricevere anche una quarta cessione e a loro volta cedere alla clientela professionale. Finora è servito a poco. L’ultimo rimedio cui si era pensato era la cessione a enti pubblici, ma il governo ha detto stop.

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