Archive for Marzo 16th, 2023

Cos’è il fondo salva stati, a cosa serve e perché l’Italia frena: rischi e opportunità del Mes

giovedì, Marzo 16th, 2023

Mattero Giusti

Il Meccanismo europeo di stabilità (Mes), noto anche come «fondo salva stati», è stato creato sulla scia degli interventi nella crisi del debito sovrano avvenuta nel 2010 con gli interventi ripetuti per scongiurare il default della Grecia. Con l’arrivo della pandemia si è pensato di modificarlo dotandolo di 240 miliardi da utilizzare per affrontare l’emergenza sanitaria. Nato nel 2012 con un trattato intergovernativo, il Mes serve a concedere a condizioni prestabilite assistenza finanziaria ai Paesi membri che dovessero trovarsi in difficoltà a finanziarsi attraverso il collocamento normale di titoli di Stato. In cambio ci sono da sottoscrivere una serie di condizioni. Fino ad ora è intervenuto in aiuto di Irlanda, Portogallo, Cipro, Spagna per l’esposizione finanziaria delle banche e Grecia per complessivi 295 miliardi, considerando anche gli interventi garantiti dall’Ue dal 2010. In cambio dei prestiti, è previsto un programma di rientro e di controllo del debito con piani di aggiustamento macroeconomico, riforme draconiane secondo i più critici che vanno dalle pensioni alla spesa pubblica a interventi più diretti. Criteri più leggeri sono richiesti invece per le linee di credito precauzionali, per Stati colpiti da choc avversi ma in condizioni finanziarie che presentano fondamentali sani. Pochi mesi dopo lo scoppio del Covid, il Mes è stato messo in campo anche con una linea di credito per 240 miliardi come sostegno alla crisi pandemica, a disposizione dei Paesi dell’Eurozona per finanziare esclusivamente i costi legati all’emergenza sanitaria anche se finora la linea di credito non è stata usata dai partner Ue. Il meccanismo è guidato da un Consiglio dei Governatori, composto dai ministri delle Finanze dell’area dell’euro, e assume all’unanimità le principali decisioni. Ha un capitale sottoscritto di 704,8 miliardi, 80,5 miliardi già versati, con una capacità di prestito di 500 miliardi. L’Italia, terzo socio dopo Germania e Francia, ne ha sottoscritto il capitale per 125,1 miliardi e versandone oltre 14,3 miliardi. La riforma del Trattato del Mes del 2021, votata in Consiglio a Bruxelles durante il secondo governo Conte, interviene ulteriormente sulle condizioni per l’assistenza finanziaria e sulle differenze tra le linee a condizionalità rafforzata o semplice, come nel caso della richiesta di intervento per le spese sanitarie legate alla Pandemia. Il cuore della riforma è però attribuire al Mes la funzione di fornire una rete di sicurezza finanziaria (backstop) al Fondo di risoluzione unico nell’ambito del sistema di gestione delle crisi bancarie. In altre parole da strumento di assistenza agli Stati, il Mes entra in gioco anche nelle crisi del credito, passaggio centrale per completare l’Unione bancaria. Prevede tra l’altro che il Mes possa fare da mediatore tra Stati e investitori privati nel caso servisse la ristrutturazione di un debito pubblico. Dopo le modifiche apportate gli unici paesi rimasti a non averle ratificate erano Germania e Italia.

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Ora il vero rischio è la crisi di fiducia

giovedì, Marzo 16th, 2023

Stefano Lepri

Quando sono addirittura le banche a dubitare l’una dell’altra, viene subito di pensare che là dentro si sa qualcosa che ancora noi non sappiamo. Stando alle cifre che si conoscono, non ci sarebbero i presupposti per difficoltà diffuse come quelle di cui i mercati finanziari in questi giorni stanno mostrando di temere. Ma di certezze solide non ce ne sono, quando tutto dipende dalla fiducia.

Una crisi di fiducia può abbattere anche una banca sana, come sapevano benissimo gli sceneggiatori hollywoodiani del film «Mary Poppins» nel 1964 e come dimostrarono con rigore scientifico nel 1983 i due vincitori del Nobel 2022 per l’Economia, Douglas Diamond e Philip Dybvig. Non è necessario dunque che ci siano magagne nascoste. Può bastare il contagio della paura.

Da queste cognizioni ormai condivise, dopo la grande crisi finanziaria del 2007-2008, ci si era illusi di aver tratto tutte le conseguenze necessarie. Non è così. Negli Stati Uniti, una legge giusta è stata rivista a causa di pressioni lobbistiche. In tutti i Paesi, i banchieri tentano di eludere i controlli delle autorità di regolazione pubbliche incaricate di verificare i loro conti.

Inoltre, quando una banca va a rotoli può far danni molto più gravi di quanto la sua dimensione potrebbe far pensare. In Italia lo abbiamo visto alla metà dello scorso decennio, quando le malefatte clientelari di Vicenza o di Arezzo hanno scosso l’economia nazionale, spingendo a interventi di Stato e anche collettivi del sistema bancario (a Washington avrebbero fatto bene a studiarlo).

Facile ironizzare sui banchieri che fino a ieri inneggiavano a una assoluta libertà di mercato e oggi implorano soccorso dai governi. In realtà la ricetta giusta non era facile stabilirla in anticipo. I due casi della Silicon Valley Bank e del Crédit Suisse non potrebbero essere più diversi, eppure cooperano a suscitare uno stesso panico.

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Fisco, l’ultimatum di Landini

giovedì, Marzo 16th, 2023

PAOLO BARONI

ROMA. Il fisco «è la madre di tutte le battaglie» scandisce Maurizio Landini, chiamando Cisl e Uil all’immediata mobilitazione. «Bisogna incalzare il governo su tutte le nostre piattaforme – risponde a stretto giro, Luigi Sbarra – . Finito il congresso vediamoci subito per valutare insieme iniziative di lotta comuni». D’accordo Pierpaolo Bombardieri: «Noi abbiamo già iniziato da due mesi, bene se continuiamo assieme. Vediamoci già domenica per decidere un percorso unitario di mobilitazione».

Dal palco del congresso nazionale, che si è aperto ieri al Palacongressi di Rimini, il segretario generale della Cgil boccia il governo sia nel merito della riforma fiscale, perché il taglio delle aliquote e la flat favoriscono solo i ricchi, sia nel metodo, e chiede all’esecutivo di ritirare la legge delega.

I tamburi della protesta stanno già rullando e c’è aria di sciopero generale. Da subito la Cgil propone a Cisl e Uil di lanciare «già nei prossimi giorni una campagna straordinaria di assemblee nei luoghi di lavoro e sul territorio» per discutere e sostenere tutte le proposte su fisco, sanità, previdenza, salario e rinnovo dei contratti, politiche industriali e ambientali, superamento precarietà, coinvolgendo le categorie e strutture «su un programma di iniziative necessarie, senza escludere nessuno strumento» puntualizza Landini.

È una sfida aperta alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni che domani alle 12 interverrà a Rimini e da cui i quasi mille delegati si aspettano risposte più precise delle parole che ha affidato ieri a Facebook, ribadendo il suo entusiasmo per la “rivoluzione fiscale” attesa in Cdm. È una critica a tutto campo quella della Cgil – e nei loro interventi di saluto al congresso Sbarra e Bombardieri confermano una grande sintonia con Landini, critica che oltre a fisco tocca anche pensioni e reddito di cittadinanza, altri argomenti su cui il governo ha deciso di intervenire senza consultare i sindacati, e arriva sino all’autonomia differenziata, progetto contestato perché al paese serve più unità.

La relazione-fiume del segretario Cgil, oltre 70 pagine, 2 ore e un quarto no stop senza nemmeno bere un sorso d’acqua, parte dalla constatazione che in Italia ed in Europa è in atto «una crisi democratica senza precedenti» e per questo «c’è bisogno che il mondo del lavoro torni a essere al centro dell’azione sindacale e politica, dei governi e dei parlamenti». È un nuovo modello sociale quello che auspica Landini ed un sindacato più aperto e vicino ai bisogni delle persone, mettendo al centro il lavoro: «Il lavoro crea il futuro» recita del resto il documento congressuale votato dalla stragrande maggioranza degli iscritti Cgil. La sfida è allargare la rappresentanza alle nuove generazioni, alle partite Iva ed agli autonomi, ed essere in grado di offrire a tutte le persone che lavorano tutele e parità di trattamento all’insegna dello slogan «stesso lavoro, stessi diritti, stesso salario».

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Messina Denaro, il mistero della donna che scriveva al boss “Sei il regalo più bello”. Arrestata la coppia Bonafede-Lanceri per favoreggiamento

giovedì, Marzo 16th, 2023

Rino Giacalone

Il pranzo della domenica, o la cena del fine settimana erano un appuntamento fisso. La tavola era ben preparata per accogliere il boss, che era diventato l’amico o lo zio di famiglia. Conviviali che servivano anche a far circolare i “pizzini”. Altri due favoreggiatori della latitanza del capo mafia di Castelvetrano Matteo Messina Denaro sono stati arrestati stamane all’alba dai Carabinieri del Ros e del Comando Provinciale di Trapani.

Sono Emanuele Bonafede, 50 anni, e Lorena Ninfa Lanceri, 48 anni, marito e moglie. Emanuele è fratello di Andrea, il dipendente comunale che fu arrestato assieme al medico Alfonso Tumbarello: Andrea Bonafede avrebbe fatto da messaggero col boss per fargli avere le prescrizioni mediche per curare il tumore che l’aveva aggredito.

Stamane i nuovi arresti che si aggiungono a quelli di Giovanni Luppino, l’autista del capo mafia, di Andrea Bonafede, classe 63, che diede la sua identità al capo mafia, e di Rosalia Messina Denaro, sorella del boss, che al fratello faceva da contabile e postina dei suoi pizzini.

Il dopo cattura del capo mafia trapanese, avvenuta lo scorso 16 gennaio a Palermo, viene quindi ancora segnata da un ulteriore sviluppo delle indagini. Gli arrestati di oggi, sono stati colpiti da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Tribunale di Palermo, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia.

La coppia Bonafede-Lanceri è indagata per favoreggiamento personale e procurata inosservanza di pena, reati aggravati per avere agevolato cosa nostra. Dopo la cattura del boss si erano presentati ai carabinieri dicendo di essere rimasti sorpresi nel vedere Matteo Messina Denaro in Tv: «Noi eravamo convinti che si chiamasse Francesco Salsi, diceva di essere un medico in pensione. E di tanto in tanto veniva a casa nostra a pranzare». Ma sapevano benissimo che quell’uomo era Matteo Messina Denaro.

La donna avrebbe assistito il boss dopo gli interventi, e avrebbe fatto anche da messaggera dei biglietti che il boss si scambiava con un’altra donna la cui identità resta misteriosa. Intanto per domani a Palermo è fissata udienza dinanzi al Tribunale del riesame, dopo che Rosalia Messina Denaro ha chiesto la revoca del suo arresto. Lei è indagata per l’appartenenza a Cosa Nostra.

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Le duellanti. Botta e risposta tra Elly Schlein e Giorgia Meloni

giovedì, Marzo 16th, 2023

Annalisa Cuzzocrea

Elly Schlein è un avversario che Giorgia Meloni non sa ancora bene dove colpire. Non la prende di petto, non la schernisce, non trascende nei toni. È come se la stesse ancora studiando. Come se riconoscesse – nella prima leader che si trova di fronte – un oppositore temibile. E per questo, da rispettare.

Il question time dedicato alla presidente del Consiglio è appena finito. L’aula si sta svuotando velocemente. I cronisti sono già quasi tutti usciti dalla tribuna. Elly Schlein rimette gli appunti e il tetrapak con l’acqua nello zaino. Alza lo sguardo, incrocia quello della premier che sta per uscire, le fa un cenno di saluto. Meloni ricambia, esita, torna indietro e le va incontro per una rapida stretta di mano. Chi sperava nel catfighting, nei colpi sotto la cintura, in una riedizione stanca dell’ennesimo Eva contro Eva è stato costretto a riporre la penna nel taschino annotando, magari, «che noia».

Perché è vero, Schlein e Meloni hanno recitato ognuna la sua parte. La prima, la giacca di un rosa talmente chiaro da sembrare bianca, ha interrogato la presidente del Consiglio sul precariato, il lavoro povero, il salario minimo: «Lei lo ha definito uno specchietto per le allodole, vada a dirlo a chi ha salari da fame!». La seconda ha subito attaccato: «Sono felice che il Pd ammetta che il nostro Paese è l’unico in cui negli ultimi 20 anni il salario annuale è diminuito e che è diminuita la quota del Pil dedicata agli stipendi. Chi ha governato finora ha reso più poveri i lavoratori italiani e ora questo governo deve invertire la rotta».

Sbaglia la mira. Perché Schlein non ha fatto parte di quei governi e neanche del Pd che ne è stato protagonista. Perché ha vinto le primarie con un programma di ripensamento radicale proprio sui temi del lavoro, ed è per questo che ha deciso di renderli protagonisti ieri in aula. Per non essere etichettata come la segretaria «dei migranti e dei diritti».

I banchi di destra applaudono furiosi. Meloni continua spiegando che il rischio è che il salario minimo peggiori le cose, che inneschi una gara al ribasso. Qui è il Pd a rumoreggiare. Peppe Provenzano fa un gesto plateale – muovendo le mani giunte avanti e indietro – come per chiedere: «Ma che dice?». Meloni, invece di affondare, tende una mano: sui congedi parentali paritari evocati da Schlein «perché la denatalità è soprattutto una questione di squilibri nel lavoro di cura», la premier dice: «Abbiamo fatto il possibile». E promette: «Sul tema delle madri lavoratrici sono sempre disponibile a confrontarmi e parlare».

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Giorgia Meloni difende l’interesse dell’Italia: andiamo avanti a testa alta

giovedì, Marzo 16th, 2023

Un’ora e mezza di question time, otto interrogazioni parlamentari che spaziavano dai migranti al fisco passando per il Mes, Meccanismo europeo di stabilità e l’energia. È stato un pomeriggio intenso quello di Giorgia Meloni ieri alla Camera. 
Migranti
Inizio in orario alle 15, la prima interrogazione è presentata da Riccardo Magi, segretario di +Europa, il tema è il solito che ha occupato le pagine di tutti i giornali in queste ultime settimane: migranti. Nello specifico «chiarimenti in merito alla vicenda della segnalazione alle autorità italiane di un’imbarcazione carica di migranti al largo delle coste libiche nella notte tra il 10 e l’11 marzo 2023» dove sono morte 30 persone. Le opposizioni, dopo un primo momento in cui hanno attaccato alla cieca imputando al governo la tragedia, hanno dovuto aggiustare il tiro. La ricostruzione della vicenda ha sancito che l’area in cui è avvenuto l’incidente non era un’area Sar, Search and rescue, di competenza italiana, ma libica; non solo è emerso come, nonostante la competenza non fosse dell’Italia, il nostro Paese abbia comunque coordinato i soccorsi . Così le opposizioni passano dall’accusa alla domanda: «avete fatto abbastanza?». La premier risponde utilizzando le parole di Gianluca D’Agostino, capo della centrale operativa della Guardia costiera che ha ricordato come: « Quando abbiamo capito che la guardia costiera libica non sarebbe intervenuta, abbiamo assunto il coordinamento, anche se sarebbe toccato a Malta». Aggiungendo come: «nessuno mi può costringere a non salvare vite in mare, neppure un Ministro, perchè la responsabilità giuridica sarebbe mia».
Energia
Finito Magi, inizia Angelo Bonelli dell’Alleanza Verdi-Sinistra italiana con una interrogazione che ha chiesto lumi sulla «strategia del Governo in campo energetico per il raggiungimento degli obiettivi climatici stabiliti dall’Unione europea e intendimenti sull’utilizzo delle centrali nucleari da fissione». In parole povere: perchè il Governo non accoglie le ultime normative europee in materia ambientale? Meloni risponde: «Sono due, fondamentalmente, i principi che ci muovono: la sostenibilità ambientale non deve mai essere disgiunta dalla sostenibilità economica e sociale e, una volta definiti i target di riduzione delle emissioni, deve essere assicurata neutralità tecnologica», ricordando poi le azioni messe in campo dal governo dalle «comunità energetiche rinnovabili alla semplificazione per l’installazione di impianti da fonti rinnovabili» passando per «la cabina di regia sulla crisi idrica». 
Mes
Poi è la volta di Luigi Marattin di Azione-Italia Viva che chiede quando l’Italia ratificherà la riforma del Trattato istitutivo del Mes, Meccanismo europeo di stabilità. Il presidente del Consiglio risponde usando le parole del presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, storicamente grande sostenitore dello strumento del MES, che dice testualmente: «se noi riteniamo che il nuovo regolamento sul MES non sia nell’interesse nazionale del Paese, che non sia un fondo adeguato per affrontare le sfide, allora dovrebbe essere il momento per discutere di usarlo come uno strumento di politica industriale europea». Per questo Meloni sottolinea come l’esecutivo voglia «discutere del quadro generale della governance europea e della possibilità che le risorse, che oggi sono destinate al “salva Stati”, possano essere davvero utili agli Stati che aderiscono». 

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Omicidio Cerciello Rega, la Cassazione annulla le condanne. Elder e Hjorth verso l’appello bis

giovedì, Marzo 16th, 2023

Tutto da rifare nel processo per i due americani accusati di omicidio e concorso in omicidio per la morte del carabiniere Cerciello Rega. Appello bis per Gabriel Natale Hjorth sull’accusa di aver concorso nell’omicidio del carabiniere Mario Cerciello Rega, e appello bis per le aggravanti e la resistenza a pubblico ufficiale per Finnegan Lee Elder la cui condanna per omicidio viene confermata. È la decisione della Cassazione nel processo per omicidio del vicebrigadiere che smonta l’impianto accusatorio per il quale erano stati condannati in appello, a 22 e 24 anni di carcere.

Soddisfatte le difese con Fabio Alonzi, legale di Gabriel Natale Hjorth, che esulta: «Abbiamo finalmente trovato qualcuno che ha sentito le nostre ragioni e siamo arrivati ad un annullamento della sentenza per il tema fondamentale che riguarda la posizione del Natale». Mentre Renato Borzone, difensore di Finnegan Lee Elder, evidenzia: «Dal primo minuto in cui abbiamo parlato con Elder, in cui abbiamo esaminato le carte processuali, abbiamo capito che Elder non aveva assolutamente compreso di trovarsi di fronte a degli agenti della forza pubblica». L’accusa chiedeva la conferma delle condanne inflitte in appello per l’assassinio, che risale alla notte del 26 luglio 2019 a Roma. Tutto avvenne in un paio d’ore: dopo un tentato acquisto di droga, non andato a buon fine, i due americani, all’epoca diciannovenni, rubarono lo zaino di Sergio Brugiatelli, l’uomo che, in Piazza Mastai a Trastevere, aveva indicato loro il pusher dal quale potevano rifornirsi. Gli americani pretendevano 100 euro e della cocaina, per restituire il maltolto, e Brugiatelli (teste chiave della vicenda, deceduto nel 2021) chiese aiuto al 112.

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Crolli bancari: le colpe sono note

giovedì, Marzo 16th, 2023

di Daniele Manca

Dobbiamo iniziare ad aver paura davvero? La settimana scorsa la crisi in California di una banca legata alla Silicon Valley, simbolo della tecnologia motore della crescita. Un istituto tanto interconnesso da aver nel suo nome, Silicon Valley Bank (SVB), la ragion d’essere. Ieri in Svizzera, la caduta di un altro istituto, il Credit Suisse, anch’esso con nel nome la presunta quanto iconica solidità elvetica. Due inneschi per un incendio che ha coinvolto i mercati mondiali crollati in Europa come in America.

La risposta alla domanda iniziale dovrebbe essere «no». Ma solo in teoria. E non dovremmo aver paura per almeno un paio di motivi. Il primo è che paradossalmente le crisi finanziarie che abbiamo vissuto negli ultimi 15 anni avrebbero dovuto insegnare molto a chi queste situazioni doveva controllare. Ed evitarle. Il secondo è che, in entrambi i casi, la caduta delle due banche è legato non tanto a sofisticati investimenti in esotici derivati o a chissà quale truffa. Ma a ragioni chiare ed evidenti.

In California è stata l’incapacità di comprendere che se i tassi di interesse erano aumentati del 4% nel giro di poco tempo qualcosa doveva cambiare nella strategia della banca. (E analoga riflessione dovranno fare anche gli istituti europei).

In Svizzera era chiaro che inanellare nel giro di un paio d’anni investimenti sbagliati, perdite, fuga dai depositi e dalle gestioni, bilanci da chiarire, e infine l’ingresso di azionisti mediorientali ricchi quanto poco accorti, poteva avere conseguenze.


Ma conoscere le ragioni della caduta delle due banche non spinge certo a essere tranquilli. I crolli sui mercati di ieri fanno capire quanto il nervosismo pervada il mondo dell’economia. In fondo SVB investiva in «noiosi» quanto sicuri titoli di Stato americani. Il Credit Suisse aveva varato un aumento di capitale miliardario. Ma abbiamo capito purtroppo a nostre spese quanto possano essere fatali in questa situazione imperizie nella gestione delle banche e una vigilanza non all’altezza per dire chiaramente carente.

Il crollo delle Borse di questi giorni (e ieri è toccato anche a Wall Street che sembrava avesse digerito la crisi della SVB), dimostra che la mancanza di fiducia in un uno o due istituti fa presto a trasformarsi in panico generale. Ogni crisi bancaria inizia dal fatto che investitori, imprese e cittadini tolgono la fiducia al proprio istituto ritirando depositi e investimenti. Ma se il panico si diffonde, il tutto si trasforma in perdurante crisi. Ed è questo che va evitato.

Almeno la lezione del 2008 dovrebbe essere stata imparata. Iniziò a cadere la Bear Sterns, oggi dimenticata. Ma anche 15 anni fa quel segnale fu sottovalutato. E quando, sempre nel settembre 2008 fallì Lehman che diventò l’emblema della crisi, la bufera fu tale che solo parecchi anni dopo il mondo intero riuscì a uscirne. E qual era la lezione? Che la stabilità finanziaria va preservata o sarà l’intera attività economica a soffrirne.

Avere strade in disordine o senza manutenzione non permette ad automobili e camion di poter viaggiare. Alla stessa maniera, un sistema finanziario traballante frena o addirittura blocca l’economia. E le banche sono l’architrave di quel sistema. «Attaccate» a un istituto ci sono milioni di persone, migliaia di imprese. Ma questo non deve significare conferire a banche e banchieri una sorta di salvacondotto.

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Napoli, sette arresti per la guerriglia con gli ultrà dell’Eintracht. Devastato il centro della città

giovedì, Marzo 16th, 2023

di Angelo Agrippa

Cordone di polizia per il trasferimento degli ultrà tedeschi a Salerno e Roma per il rientro in Germania. Previsti altri arresti nelle prossime ore

Scontri ultrà Eintracht Francoforte a Napoli, Carlo Calenda (Azione) attacca Matteo Piantedosi. Carlo Calenda: «Ministro del nulla»

I cori sportivi si sono ben presto trasformati in inni di guerra. E la strada, nel terreno di scontro dove sampietrini, bombe carta e fumogeni hanno preso violentemente il sopravvento. Piazza del Gesù a Napoli è stata sfigurata dalla cecità dei teppisti, fino a cadere sotto i colpi della guerriglia. E ciò che è rimasto è soltanto rabbia e devastazione. Con un’auto della polizia data alle fiamme, altre vetture danneggiate, cinque bus dell’Azienda napoletana di mobilità presi a sassate, alcuni feriti — tra cui un autista, alla guida di uno dei mezzi per il trasferimento degli ultrà dell’Eintracht, colpito ad un occhio dal lancio di un oggetto contro il finestrino — locali e ristoranti saccheggiati, sette ultrà del Napoli arrestati e circa duecento tifosi tedeschi identificati e posti sotto controllo. Poi, la guerriglia si è spostata durante la notte nella zona del lungomare, tra via Chiatamone e via Partenope, dove i supporter bianconeri hanno scelto di alloggiare in uno dei principali alberghi. 

Gli assalti

Qui è continuata la sassaiola, a fine partita, con decine di ultrà azzurri che hanno assaltato con petardi e bombe carta l’hotel e colpito con i sampietrini i bus con a bordo i tifosi ospiti in predicato di essere trasferiti fuori città per organizzare il ritorno in Germania . Seicento, secondo una stima, gli ultrà di Francoforte che sono riusciti, martedì sera, a raggiungere Napoli in treno, facendo scalo a Salerno, e con essi anche supporters atalantini, rivali storici dei partenopei. Benché il prefetto di Napoli non avesse autorizzato la presenza della tifoseria tedesca allo stadio temendo proprio ciò che invece è avvenuto. Episodi che hanno spinto fonti di Polizia a sottolineare come «il divieto di vendita dei biglietti» ai tifosi dell’Eintracht «era più che giustificato». Del resto, gli apparati di sicurezza italiani avevano «piena contezza della pericolosità» delle frange estreme dei sostenitori tedeschi e del concreto rischio di conflitto con quelli locali, tanto da rinnovare il provvedimento dopo la decisione di sospensione del Tar, nonostante alcuni sostenessero che si trattasse di un «atto discriminatorio» quello commesso dall’Italia. 

Scontri e devastazioni

Già al loro arrivo si erano registrate le prime tensioni, con l’assalto condotto a colpi di petardi da alcune fazioni di facinorosi napoletani contro un bus su via Marina e il lancio di bottiglie all’indirizzo di un bar chiuso di piazza Bellini ad opera di un gruppo di ultrà della squadra ospite. Tuttavia, una volta accesa la miccia del conflitto è diventato quasi impossibile spegnerla. Fino alle 17 di ieri, quando almeno duecento supporters del Francoforte, sotto scorta della Polizia, hanno raggiunto il centro storico di Napoli, ma ad attenderli vi erano alcune decine di sostenitori azzurri. I tentativi di accerchiamento esperiti da questi ultimi sono stati più di una volta respinti dagli agenti di Polizia e dai Carabinieri che, in assetto anti sommossa, hanno separato e distanziato le due fazioni. È qui che, tra piazza del Gesù e Calata Trinità Maggiore, è stata scatenata la guerriglia. Nei luoghi della movida turistica e sotto lo sguardo terrorizzato di passanti e commercianti della zona che sono riusciti a malapena a trovare un riparo sicuro. 

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Elly Schlein-Giorgia Meloni. Così va in scena il duello tra le 2 donne più potenti

giovedì, Marzo 16th, 2023

di Fabrizio Roncone

Una diversità marcata anche dai gesti (e dalla voce)

Elly Schlein-Giorgia Meloni. Così va in scena il duello tra le 2 donne più potenti

L’incarico: raccontare ogni dettaglio di questo primo incontro tra Giorgia ed Elly . Toni della voce e occhiate, postura, sospiri, mani. Ecco: le mani. Sono due leader che gesticolano molto. Graditi anche particolari minori: tipo come sono vestite (quassù, nella tribunetta stampa di Montecitorio, evocato subito il fantasma di Giampaolo Pansa, principe dei cronisti, che infatti veniva con un binocolo).

Partiamo.

La premier: in tailleur nero (o di un blu talmente scuro da apparire nerastro). La segretaria del Pd: con giacca rosa pallido e camicia fantasia. E, già qui, gente brava tirerebbe giù ottanta righe. Ma adesso Elly è in piedi e, subito, attacca Giorgia sulla necessità di introdurre il salario minimo. La chiama: «Signora presidente…» (è noto che la Meloni chiede invece di essere definita «il premier», o «il presidente»). Elly: voce meno spezzata del solito (sensazione: con un po’ di rodaggio può migliorare ancora), argomenti lunari per i dem degli ultimi anni («Sotto una certa soglia, non si può chiamare lavoro: ma sfruttamento!»), dito indice puntato verso Giorgia.

Strategia evidente: sono venuta qui per te, parlo con te, guardami mentre parlo con te. Ora: se un po’ conoscete la Meloni, provate a immaginare anche la faccia che mette su. Una roba che, più o meno, dice: tranquilla cara, sto qui, adesso ti rispondo.

Difficile dire se lo viva come un duello: di certo questa segretaria di 37 anni – determinata, libera, di puro fascino – Giorgia l’ha vista arrivare fin troppo bene; e sa certamente valutarne la travolgente freschezza (poi, tra qualche mese, vedremo se alla tramontana di novità, avrà saputo aggiungere anche solidità politica).

Comunque: il giochino del question time prevede, per la premier, una sola risposta (mentre Elly avrà diritto alla controreplica). Ma tanto Giorgia sa tutto, ha visto tutto. Si porta addosso un mestiere pazzesco: è entrata qui dentro a soli 29 anni, divenne subito vice-presidente della Camera, poi un pomeriggio si presentò dal Cavaliere (ai tempi in cui le luci di Palazzo Grazioli restavano accese – diciamo così – tutta la notte) e gli spiegò: «Sono a disagio, me ne vado». «Cosa ti serve?», replicò il Cavaliere, pensando che chiunque abbia un prezzo. «Non ha capito: fondo un partito tutto mio».

Insomma: pensare che la Meloni possa essere anche solo preoccupata di rispondere alla Schlein, è un po’ troppo. Però sa che la politica è una lunga partita quotidiana. E che, oggi, adesso, ha appena una manciata di minuti a disposizione per la replica. E così: snobba la sua avversaria, definendola «gli interroganti». Poi, prima picchia duro sulle opposizioni («Chi ha governato finora ha reso più poveri gli italiani»), quindi propone l’estensione della contrattazione collettiva.

Con i deputati che l’hanno incalzata poco fa, è stata pacata, con botte di sarcasmo. Ora la voce gli va su. Scandisce le parole. Quanti comizi avrà fatto in vita sua? È una richiesta precisa: dai banchi della maggioranza, puntuale, rotola una standing ovation.

Calma. Sentiamoci Elly (che l’ha ascoltata tamburellando le dita della mano destra). Sensazione confermata: impara in fretta. «Signora presidente, le sue risposte non ci soddisfano!».

La premier ascolta con una vaga aria di sufficienza, il mento appoggiato sulla mano, mezza parola a Matteo Salvini, che le siede accanto, e che annuisce (è sempre emozionante vedere Salvini annuire alla Meloni: un po’ meno vedere il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, bello pacioso, mentre Napoli è in fiamme).

Elly prende forza: «Le ricordo che ora sono io all’opposizione, e lei al governo…». Aspettate. Elly dice — esattamente — così: «O-ra-so-no-io-all-oppo-si-zio-ne».

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