Archive for Marzo, 2023

Talebani e Ayatollah: uomini che odiano le donne

mercoledì, Marzo 8th, 2023

di Milena Gabanelli e Marta Serafini

«Io non ho paura delle minacce di morte. Sono loro che hanno paura. Altrimenti non vorrebbero uccidere una piccola donna come me». Scrive Shirin Ebadi, la prima donna musulmana a cui è stato assegnato nel 2003 il Nobel per la Pace. Al grido di «Donna, vita e libertà» migliaia di ragazze e ragazzi scendono in piazza in ogni città dell’Iran da ormai più di 160 giorni. É il 16 settembre quando Mahsa Amini viene arrestata e poi picchiata a morte a Teheran perché non indossa il velo correttamente. Da allora, insieme alle proteste, è iniziata l’oscena contabilità di morte: si tratta in molti casi di donne giovanissime, torturate e violentate, prima di essere uccise dalla polizia morale. Tra loro Nika Shakarami (17 anni), Hadis Najafi (20 anni), Hannaneh Kia (23 anni), Ghazaleh Chalavi (32 anni), Mahsa Moguyi (18 anni), Aida Rostami (36 anni), la dottoressa che curava i feriti. Secondo le Ong per i diritti umani attive in Iran sono oltre 100 le manifestanti in carcere. Negli ultimi giorni inoltre sono stati segnalati casi di avvelenamento intenzionali su centinaia di bambine nelle scuole di Qom. Si sospetta si tratti di una pratica per scoraggiare l’istruzione femminile.

525 morti in 5 mesi

A sostenere la loro lotta anche i giovani iraniani. E anche per loro nessuna pietà. Aveva poco più di trent’anni Mehdi Zare Ashkzari, ex studente dell’università di Bologna. È morto in custodia in Iran, dove era tornato per assistere la madre malata, dopo essere stato arrestato in manifestazione. Prosegue inoltre l’angoscia per la sorte di quanti, tra le migliaia di giovani arrestati, rischiano di finire nel braccio della morte o sono stati già condannati alla pena capitale. Come per Mohammad Boroghani, arrestato in settembre con l’accusa di essere uno dei leader della rivolta e quindi processato per il reato di «guerra contro Dio». Doppia condanna a morte per Mehdi Mohammadifard, un manifestante di 18 anni, arrestato durante le proteste e che non ha avuto la possibilità di essere difeso da un avvocato. L’8 dicembre scorso le autorità hanno impiccato il manifestante Mohsen Shekari, dopo un processo gravemente iniquo con l’accusa di «inimicizia contro Dio». Quattro giorni dopo la stessa sorte è toccata a Majidreza Rahanvard, dopo un processo farsa a suo carico. Il 7 gennaio sono avvenute le esecuzioni di Mohammad Mehdi Karami e di Seyed Mohammad Hosseini.

A tutti loro è stato negato il diritto di essere difesi da un avvocato di propria scelta, alla presunzione di innocenza, e ad avere un processo giusto e pubblico. Numerosi imputati sono stati torturati e le confessioni, estorte, sono state usate come prove nel corso dei processiLe TV di Stato hanno trasmesso le «confessioni» forzate di almeno nove imputati, prima che il processo avesse luogo. Secondo Amnesty International 525 manifestanti, tra cui 71 bambini, sono stati uccisi e più di 19 mila persone sono state arrestate da settembre ad oggi.

La lotta non si ferma

Nonostante la repressione, nonostante la frequenza delle proteste siano diminuite, le manifestazioni continuano. Le donne lottano contro un regime che esercita una doppia oppressione: politica e di genere. E lo fanno strappandosi il velo ai funerali delle compagne uccise, a rischio della loro stessa vita, o tagliandosi i capelli, un gesto mutuato dall’usanza curda che vede le donne privarsi della loro femminilità in segno di lutto. I giovani non temono l’Ayatollah, e di giovani in Iran ce ne sono tanti: l’età media è di 27 anni.

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Muti davanti all’orrore

martedì, Marzo 7th, 2023

Domenico Quirico

Nella tragedia del barcone sfasciatosi di fronte alla spiaggia calabra, in fondo, tutti hanno recitato il loro copione, sono stati fedeli al ruolo: gli xenofobi, di tinta più o meno fosca, imprecando alla follia dei disperati colpevoli di sfidar la morte mettendosi per mare riempiendo le tasche dei “mercanti’’; i buoni, gli uomini di fede e buona volontà, ce ne sono di veri ma pochi, trovando una nuova terribile prova di quello che dicono da sempre, che il nostro dovere si risolve nel salvare chi si affida al mare per fuggire una condizione umana insopportabile, che questo impongono le leggi e la morale. Anche i migranti in fondo hanno recitato la parte in cui sono imprigionati dal 2011, ovvero quella di rischiare e di morire. Non siamo ipocriti: in questi dodici anni di ciance di diverso colore che abbiamo fatto, davvero, perché questo non fosse periodicamente il loro destino? Li abbiamo insultati, raccolti, respinti, usati per i nostri piccoli traffici politici, giornalisti, umanitari. E poi?

Innumerevoli sono le tragedie in questo tempo infinito della Storia, la nostra di privilegiati distratti e spesso indifferenti, e la loro, di fuggiaschi senza alternative. Hanno riempito il mare, i morti sono migliaia; morti per lo più nel silenzio o in poche righe di agenzia o di telegiornale: normalità del dolore, usura della sofferenza… Ma questa volta l’eco, la emozione collettiva, l’indignazione per il “delitto’’ è più grande, si chiede di fissare le colpa, si invoca la verità e si assicura che non deve ripetersi: il troppo sembra esser diventato davvero troppo… Sono espressioni, queste, in cui impacchettiamo ciò che intimamente e con precisione non sappiamo o vogliamo risolvere. Dopo tredici anni di sbarchi, di morti, di polemiche ancora una volta le parole, queste parole non esprimono l’essenziale. Improvvisamente tutti parlano: dei bambini morti della stiva piena di esseri umani come se fossero oggetti o merce, dello strazio dei cadaveri senza nome, delle bare e del lutto, si cronometrano i tempi del salvataggio possibile ma mancato, i messaggi, i protocolli, (dove alla fine forse tutto si spegnerà) le consuetudini e le abitudini, si sbraita contro gli scafisti, finalmente li hanno arrestati! Quando si sa che nessun scafista vero, quello che incassa i soldi lerci di questi viaggi, in terra e in mare, farebbe mai la follia di salire a bordo del marciume su cui spedisce i suoi disperati “clienti’’.

Ho attraversato il mare, era un’altra rotta, su un barcone di clandestini quando questa tragedia era all’inizio. C’erano già i mugugni e le urla contro “l’invasione’’. Ma allora le unità della guardia costiera uscivano dieci, venti volte al giorno da Lampedusa cercando i dispersi di questa odissea, le barche senza nome segnalate da aerei ed elicotteri. Per questo sono, siamo, io e i mie 112 compagni vivi. Quando affondammo Lampedusa non si scorgeva nella notte. Se la guardia costiera non fosse arrivata saremmo spariti inghiottiti dal nulla. Cosa c’è di diverso questa volta? La questione è: quello che è accaduto, la morte, i cadaveri che abbracciano la sabbia della riva, le loro povere cose, lo scheletro della barca, è successo sotto i nostri occhi, a uomini in carne e ossa, non a numeri segnati in un comunicato: una barca è affondata al largo della Libia, a bordo forse cinquanta persone si dispera di trovare superstiti…l’ennesimo dramma del mare, ancora? Si depreca, si brandisce come arma politica, o si passa oltre come la pioggia o la siccità: come si fa a salire su un rottame? … poveretti… ma perché continuano a partire?… nessuno li avverte? Fine.

Questa volta non solo è accaduto, come le altre volte: le lunghe contrattazioni con gli scafisti, cinquemila no seimila euro … turchi tunisini libici la avidità non ha sfumature, passaporti… quanti siete? Quattro due bambini ci sono due bambini piccoli … e allora? Lo spazio che occupano è lo stesso, non siamo un traghetto di lusso, loro pagano eguale… ma la barca è sicura? Certo è grande tiene bene il mare e poi se hai paura vai al porto è pieno di navi grandi come vuoi tu… e poi la notte della partenza, dalla spiaggia la barca di legno sembra fragile, indifesa sullo sfondo del mare… ma che fare ora che si è pagato … si sta schiacciati l’uno all’altro, fortunati quelli che sono vicino alle pareti della stiva che si possono appoggiare, o al boccaporto da dove arriva un po’ d’aria… dopo poche ore l’odore del mare non riesce più a soffocare quello di umanità povera, odore spesso, acre, denso … essere insieme, così vicini in fondo da un po’ di sicurezza … tutti tacciono, ascoltano il fragore che viene dall’esterno che cresce quando il vento rinforza e la barca geme contro le onde… lo si ascolta con tutto il corpo, con tutti i nervi, non solo con l’udito… passano le ore, si sta rannicchiati come gli animali in una tana… finisce il poco, cibo e acqua, che si è portato dietro venite leggeri niente bagagli pesano tolgono spazio… faremo in fretta ad arrivare …. allora perché, perché qui? E poi la tempesta e il fasciame che raschia fischia esplode … si è svolto, in apparenza, come le altre volte, come sempre dunque.

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Reddito, l’Isee punisce il Nord

martedì, Marzo 7th, 2023

Chiara Saraceno

La bozza di riforma del Reddito di cittadinanza che delinea la nuova misura (Mia – Misura di inclusione attiva) che lo sostituirà a fine anno, circolata ieri, presenta alcuni aspetti positivi ma anche diverse criticità. Sicuramente positivo è il fatto che sia stata abbandonata l’idea di lasciare senza sostegno economico coloro che sono ritenuti occupabili, contravvenendo le indicazioni della Raccomandazione europea sul reddito minimo che anche il governo italiano ha approvato a gennaio. Positiva è anche l’attenzione per le politiche attive del lavoro in cui coinvolgere coloro che sono definiti “occupabili”, intendendo non solo l’incrocio di domanda e offerta tramite una piattaforma digitale, ma concrete attività di formazione e consulenza. Non si tratta, per altro, di una novità, stante che ciò avrebbe dovuto avvenire anche con il RdC e se non è avvenuto non è certo per responsabilità dei percettori di RdC, ma di chi avrebbe dovuto offrire e monitorare queste attività, ovvero Centri per l’impego e Anpal. Occorrerà vedere se questa è la volta buona. I segnali non sono del tutto positivi, stante che il governo finora nulla ha fatto perché si potesse dar seguito agli obblighi per i beneficiari che ha introdotto nella legge di bilancio: corsi intensivi di formazione e aggiornamento a partire dal 1° gennaio e corsi per l’acquisizione del titolo dell’obbligo scolastico per i giovani che ne sono privi, all’interno di un accordo (a tutt’oggi non formalizzato) tra ministero del lavoro e ministero dell’istruzione. Le politiche attive del lavoro continuano ad essere il tallone d’Achille delle politiche del lavoro (e dell’assistenza) italiane. Aggiungo che il programma Gol (Garanzia di occupabilità dei lavoratori) riguarda solo una frazione dei percettori di RdC tenuti a firmare il patto per il lavoro.

Due grandi criticità che richiedono maggiore attenzione da governo e opposizione riguardano l’abbassamento del tetto Isee che darà accesso alla nuova misura e la divisione della platea dei potenziali beneficiari in due gruppi distinti per quanto riguarda sia gli importi massimi, sia la durata. L’abbassamento dell’Isee escluderà di fatto per lo più famiglie che abitano nelle grandi città, specie nel Centro-Nord, dove redditi e ricchezza medie sono più alti, ma così anche il costo della vita. Sono personalmente contraria a stabilire soglie territorialmente differenziate per l’accesso a politiche pubbliche nazionali, non solo perché è difficile individuare i confini territoriali adeguati, ma anche perché accanto a costi della vita differenziati c’è, purtroppo, molto spesso anche una disponibilità di beni pubblici (scuola, sanità, trasporti) simmetricamente altrettanto differenziati. Ma abbassare così drasticamente la soglia Isee avrà un impatto negativo soprattutto al Nord. Quanto alla divisione dei beneficiari in due platee, sulla base della presenza o meno di minorenni, persone con disabilità, anziani, per quanto riguarda non solo la durata massima (molto più breve per le famiglie senza quelle figure) ma anche l’importo massimo (rispettivamente 500 e 375 euro per una persona sola) non se ne capisce la logica. Se, infatti, si può comprendere, pur senza condividerla, la motivazione della riduzione della durata come forma di stimolo all’attivazione, salvo chiedersi con che cosa vivrà chi, pur avendo fatto tutto quanto richiesto, non trova una occupazione con remunerazione adeguata in tempo utile., la riduzione dell’importo sembra avere una logica puramente punitiva, stante i bisogni non cambiano a livello individuale a seconda che uno abbia o meno un disabile o un minorenne in famiglia. Questi conteranno per la propria quota (e non sembra che per ora si intenda modificare la scala di equivalenza che attualmente penalizza i minorenni e le famiglie con minorenni e numerose). Aggiungo che tra coloro che vivono in famiglie senza minorenni, o disabili, o anziani possono esserci persone che non sono di fatto occupabili in modo adeguato, ad esempio ultracinquantenni con scarsa qualifica molto lontani dal mercato del lavoro. Infine, nella bozza i minorenni che hanno 16 anni e non sono in formazione sono considerati adulti tenuti a partecipare alle politiche attive del lavoro. Siamo sicuri che non sarebbe opportuno rimetterli invece in formazione, o almeno dare loro l’opzione?

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Il Btp Italia fa boom: richieste per 4 miliardi. Ecco come protegge dall’inflazione

martedì, Marzo 7th, 2023

Sandra Riccio

MILANO. Sì è chiusa con ordini quasi 4 miliardi di euro (3,64 miliardi) la prima giornata di collocamento del nuovo Btp Italia (cedola al 2%). La domanda ha superato quella registrata per la precedente edizione del titolo di Stato linkato all’inflazione italiana che, nel novembre scorso, aveva archiviato il primo giorno di emissione a quota 3,18 miliardi (durata 5 anni cedola all’1,6%). Il totale raggiunto a fine periodo aveva sfiorato i 12 miliardi di euro.

Il collocamento della diciannovesima edizione del Btp Italia è partita oggi e si concluderà giovedì 9 marzo (quest’ultima giornata sarà dedicata solo agli investitori istituzionali). Il nuovo titolo avrà una durata di cinque anni (scadenza marzo 2028). La cedola annua minima sarà pari al 2%, come annunciato venerdì scorso dal Tesoro. Questo livello di cedola è più alto rispetto a quello deciso per la tornata precedente, del novembre 2022. Allora il tasso era stato fissato all’1,6%. Come di consueto, la cedola definitiva sarà comunicata all’apertura della quarta giornata di emissione (giovedì) e potrà essere confermata o rivista al rialzo.

La rivalutazione
Ad attirare i piccoli investitori è soprattutto la rivalutazione semestrale del capitale per effetto dell’inflazione. Una strada per consentire ai piccoli risparmiatori di mettersi al riparo dal caro vita. Ogni 6 mesi il Btp Italia riconosce al suo detentore il recupero della perdita del potere di acquisto realizzatasi in quel periodo, attraverso il pagamento della rivalutazione semestrale del capitale sottoscritto. Inoltre, le cedole, anch’esse pagate semestralmente, garantiscono un rendimento minimo costante in termini reali. Infatti, l’ammontare di ciascuna cedola è calcolato moltiplicando la metà del tasso di interesse reale cedolare annuale fisso, stabilito all’emissione, per il capitale sottoscritto rivalutato sulla base dell’inflazione verificatasi su base semestrale.

Questo significa che la struttura cedolare caratterizzata da una componente minima a tasso fisso al 2% e da una legata all’andamento dell’inflazione (nello specifico dell’indice Foi ex Tobacco). Vi sarà inoltre un premio fedeltà pari all’8 per mille per coloro che acquisteranno il buono in fase di emissione e lo manterranno in portafoglio fino a scadenza.

Le attese sull’inflazione
Il tasso d’inflazione ufficiale italiano pubblicato dall’Istat la settimana scorsa ha registrato, per la prima volta da 5 mesi, una cifra inferiore al 10% (9,2%) e l’attesa è di concludere l’anno attorno al 6/7% di media. «Tale previsione implica una discesa molto aggressiva nella seconda parte dell’anno» spiega Paolo Barbieri Responsabile Fixed Income di Valori Asset Management.

Per l’esperto, queste stime riducono l’attrattiva di tale strumento in quanto sarà difficile che l’inflazione ripeta il trend osservato negli ultimi 24 mesi e quindi vi è il serio rischio che gli investitori non possano beneficiare della rivalutazione legata al Foi come accaduto negli ultimi tempi.

Il premio fedeltà
Il nuovo Btp Italia offre come anche le passate tornate un premio fedeltà dell’8 per mille sul capitale investito (non rivalutato). A patto però che l’investitore che acquista nei giorni di emissione detenga il titolo fino a scadenza.

Le possibili alternative
«Il nuovo Btp Italia, in questo momento storico, presenta valide alternative a cominciare dalla curva Btp che presenta rendimenti dal 4% al 4,5% su scadenze 2027-2033 – afferma Barbieri –. Anche il mercato Corporate Investment grade europeo (che a simil duration presenta rendimenti tra il 4,5%-5%) offre soluzioni alternative». Per l’esperto è proprio in quest’ultimo comparto che si possono trovare le offerte più interessanti come il Pirelli 2028 (XS2577396430) al 4,65% di rendimento a scadenza o, in alternativa con taglio retail, le Newlat 2027 (XS2289795465) e le Alerion 2028 (XS2455938212) al 5,15%. Occorre però muoversi con prudenza e valutare sempre la liquidabilità di questo tipo di obbligazioni. Il Btp ha dalla sua parte il fatto di essere uno strumento molto scambiato e molto liquido e di conseguenza è possibile separarsene in qualsiasi momento.

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Fisco, la riforma: nel piano del governo Irpef semplificata e abolizione Irap

martedì, Marzo 7th, 2023

Luca Monticelli

La riforma fiscale è in dirittura d’arrivo. Il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, conferma che la settimana prossima, «entro metà marzo», il disegno di legge delega dovrebbe approdare in Consiglio dei ministri. «Siamo alle battute finali», prosegue l’esponente di Fratelli d’Italia e aggiunge: «Il fisco può essere una leva per accelerare la ripresa, i tempi sono maturi per una riforma strutturale che cambi un’impostazione ormai datata del sistema tributario».

L’orizzonte è quello delle tre aliquote Irpef, del taglio dell’Ires, dell’abolizione dell’Irap, della rimodulazione della aliquote agevolate dell’Iva, tuttavia – al di là del riordino delle “tax expenditures” che tutti i governi hanno sbandierato senza venirne a capo – le coperture sono una grande incognita, perché la delega si limiterà ai principi, senza indicare nel merito i nuovi scaglioni.

Il titolare del Tesoro, Giancarlo Giorgetti, annuncia «un graduale processo di riduzione del carico fiscale» e sulle tempistiche rimane prudente.

Per la sua riforma, l’esecutivo Draghi aveva messo da parte tre miliardi grazie al fondo alimentato dalle entrate strutturali derivanti dalla lotta all’evasione. Bisogna ricordare che la delega del precedente governo – mai andata in porto – si fondava su un sistema di tassazione duale (redditi da capitale e da lavoro) che avrebbe ampliato la base imponibile e dunque il gettito. Il centrodestra assicura che l’attuazione della riforma non peserà sui conti pubblici, però non si conoscono ancora le risorse disponibili, se non, appunto, l’impegno a trovare dei margini dalla revisione di deduzioni e detrazioni.

Secondo il preconsuntivo del bilancio dello Stato diffuso ieri dal Mef, nel 2022 l’Irpef ha portato alle casse dell’erario 205,8 miliardi di euro. Di questi 81 circa provengono dai dipendenti del settore pubblico e 85,6 dai dipendenti del settore privato. Per capire le proporzioni, le entrate tributarie complessive nel 2022 sono state 544,5 miliardi. L’Iva, pagata dai consumatori finali, vale 171,6 miliardi di euro.

Leo, parlando a un convegno dei commercialisti a Milano, sostiene che è necessario «intervenire sui procedimenti di accertamento, bisogna cambiare il rapporto tra fisco e contribuente, semplificare e cercare di ridurre il tax gap che negli ultimi quarant’anni si è attestato tra i 75 e i 100 miliardi. L’evasione si riduce in una logica di collaborazione fisco-contribuente». Il mantra che viene ripetuto è che bisogna cambiare l’approccio per migliorare l’accertamento.

Intanto, le parti sociali attendono di conoscere il testo e avanzano le prime richieste. La Confedilizia si aspetta che non ci sia alcun «tentativo di aumentare le tasse sugli immobili attraverso il catasto», auspicando invece un intervento contro «le distorsioni che continua a provocare la patrimoniale annuale sugli immobili, che occorrerebbe sostituire con un tributo locale legato ai servizi forniti dai Comuni».

Aliquote ridotte ricalibrando deduzioni e detrazioni
L’intenzione del governo è quella di ridurre a tre le aliquote dell’Irpef, rispetto alle attuali quattro che sono 23%, 25%, 35% e 43%. Gli scaglioni potrebbero essere fissati intorno al 20%, al 30% e al 40%, ma è probabile che a intervenire su questa materia saranno i decreti legislativi in un secondo momento, e non la delega prevista in Consiglio dei ministri la prossima settimana.

Questa operazione di riduzione delle aliquote, sempre secondo il progetto dell’esecutivo, dovrebbe essere coperta facendo leva anche su una razionalizzazione delle tax expenditures, cioè le detrazioni e le deduzioni fiscali. «Abbiamo circa 600 tax expenditures che cubano 156 miliardi, là si può intervenire. Se si fa una revisione attenta si possono trovare le risorse per calibrare meglio le aliquote», sostiene il vice ministro Leo. 

Assunzioni incentivate ipotesi utili detassati e sussidi per la ricerca
Nella delega fiscale troveranno posto anche gli incentivi per le aziende che assumono. La riduzione dell’Ires è uno dei pilastri del piano del governo: «Pensiamo di ridurre la tassazione laddove l’impresa assuma i lavoratori che hanno percepito il Reddito di cittadinanza, gli ultracinquantenni, le donne. Oppure qualora si facciano investimenti più innovativi come il 4.0, il Patent box, ricerca e sviluppo», spiega Maurizio Leo.

Insomma, l’ipotesi è detassare gli utili delle imprese se queste risorse vengono reinvestite. L’obiettivo è semplificare l’imposta sul reddito delle società per attrarre gli investitori esteri e rivedere i crediti di imposta. Sempre in materia di Ires, sul piatto ci sono le modifiche alla deduzione delle auto aziendali, alla deducibilità degli interessi passivi e alla disciplina delle perdite. 

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L’avvertimento della Cina agli Usa: “Se non tirano il freno ci saranno conflitti catastrofici. Noi e la Russia, una forza trainante”

martedì, Marzo 7th, 2023

Lorenzo Lamperti

TAIPEI. «Se gli Stati Uniti non tireranno il freno e continueranno sul sentiero sbagliato, ci saranno sicuramente un conflitto e un confronto. Chi ne sopporterà le conseguenze catastrofiche?».  È questo il passaggio più drammatico della conferenza stampa di Qin Gang, ministro degli Esteri cinese, sulle prospettive della politica estera di Pechino. Una conferenza molto attesa, perché inserita nel contesto annuale delle “due sessioni” legislative, ma anche perché si trattava dell’esordio di Qin nella nuova veste. Lui, che fino a pochi mesi fa era l’ambasciatore cinese a Washington, ha utilizzato parole molto dure nei confronti degli Stati Uniti. «Il contenimento e la repressione non faranno grande l’America e non fermeranno il rinnovamento della Cina», ha detto Qin, il quale ha utilizzato il lessico proprio di Xi Jinping nell’addebitare al rivale quanto non va nel rapporto bilaterale: «protezionismo, egemonismo, gioco a somma zero». Secondo Qin, gli Usa hanno una percezione della Cina «distorta» che ha portato alla «presunzione di colpevolezza» sulla vicenda del presunto pallone-spia che ha portato alla sospensione della visita del segretario di Stato Antony Blinken a Pechino. Il riavvio del dialogo sembra ora più lontano che mai, anche e soprattutto per le tensioni su Taiwan.

Il liveblog- Guerra Russia-Ucraina, la Cina: “Assieme alla Russia saremo una forza trainante nel mondo”. Zelensky giura che Bakhmut sarà difesa corpo a corpo

Ieri sera, il Financial Times ha svelato il piano di un incontro tra la presidente taiwanese Tsai Ing-wen e lo speaker repubblicano Kevin McCarthy. Dovrebbe avvenire in California a inizio aprile, durante uno scalo nell’ambito di una viaggio più ampio di Tsai in America centrale. Taipei e Washington ritengono sia meno sensibile incontrarsi in California, piuttosto che a Taiwan come sembrava potesse avvenire già nei prossimi mesi. Ma Qin ha indirettamente chiarito che il dossier è la principale “linea rossa” dei rapporti tra Pechino e Washington. «Nessuno dovrebbe sottostimare la nostra determinazione alla riunificazione», ha detto il ministro, che nel momento poi più social della conferenza ha tirato fuori il libretto rosso della costituzione della Repubblica popolare leggendo il passaggio in cui si sostiene che Taiwan appartiene al territorio cinese.
Qin ha invece elogiato il rapporto con la Russia, fondato sulla «fiducia strategica» e «buon esempio di relazioni tra grandi paesi». A domanda di un giornalista della Tass, l’agenzia di stampa statale di Mosca, il ministro ha parlato di «partnership» e non “alleanza” per definire i rapporti, definiti comunque come “una forza trainante per il multilateralismo”. Sulla guerra in Ucraina, Qin ha ribadito la posizione cinese già espressa dal documento pubblicato qualche settimana fa: no alle sanzioni e sì agli sforzi per colloqui di pace. Accuse nemmeno troppo implicite a Usa e Nato quando Qin ha parlato di una «mano invisibile» che spinge per l’escalation del conflitto. Sulle armi, il ministro garantisce che «la Cina non ha dato armi a nessuna delle due parti coinvolte». I maligni potrebbero dire che manca la garanzia sul futuro, anche perché Qin ha sottolineato che gli Usa non possono fare la morale a Pechino visto che continuano a fornire armi a Taiwan. Solo la settimana scorsa, la Casa Bianca ha approvato un nuovo pacchetto da 619 milioni di dollari.

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Così Meloni ha «sfilato» il dossier migranti a Piantedosi: con Bruxelles dialogo diretto

martedì, Marzo 7th, 2023

di Francesco Verderami

La risposta arrivata da von der Leyen viene considerata «molto positiva». La richiesta di più sinergia e meno esposizione e il segnale a Salvini

Così Meloni ha «sfilato» il dossier migranti a Piantedosi: con Bruxelles dialogo diretto

Un premier ha molti modi per intervenire senza toccare gli equilibri del governo e senza sconfessare formalmente un ministro. Sul «caso Piantedosi», Meloni ha scelto la strada europea per avocare di fatto il dossier immigrazione, su cui d’altronde Palazzo Chigi vanta delle competenze. E il carteggio con le istituzioni di Bruxelles dopo la tragedia di Cutro è funzionale all’obiettivo. La risposta arrivata ieri dalla von der Leyen — a fronte delle sollecitazioni italiane sull’emergenza migranti — viene considerata «molto positiva» da fonti qualificate del governo, perché «vengono riconosciute le ragioni esposte dalla presidente del Consiglio». Che in Europa come in Italia mira a muoversi su undoppio binario : rafforzare il contrasto all’immigrazione clandestina e allo stesso tempo garantire una maggiore flessibilità nella politica dei flussi.

Questo dialogo diretto tra Palazzo Chigi e la Commissione finisce in pratica per ridurre il ruolo di Piantedosi, al quale la premier chiede una «maggiore sinergia». Che nel lessico politico equivale a un ridimensionamento del titolare del Viminale ed è inoltre un segnale a Salvini , sponsor del ministro. Tutto ciò si traduce anche in una indiretta richiesta di maggiore coordinamento sul piano della comunicazione e di minore esposizione pubblica. «Chi guida gli Interni — ricorda non a caso un membro anziano del governo — di solito rilascia due interviste l’anno». Ed è proprio per lesa verbosità che Piantedosi è finito al centro della polemica dopo il naufragio del barcone sulle coste calabre.

Nelle ore successive alla drammatica vicenda, il responsabile del Viminale si era mosso istituzionalmente in modo corretto, prima di lasciarsi andare a dichiarazioni che hanno messo in difficoltà Meloni. Perché a quel punto la tragedia è diventata un caso politico, che ha suscitato qualcosa in più di un’irritazione a palazzo Chigi. E ha prodotto forti tensioni con la Lega, che ha evidenziato alla premier il differente atteggiamento assunto con Piantedosi rispetto al caso «Delmastro-Donzelli»: mentre con i due esponenti di FdI Meloni si era subito esposta a loro difesa, nei riguardi del ministro dell’Interno — è stato rilevato da Salvini — è mancata una attestazione pubblica.

In attesa dell’indagine investigativa sul naufragio, che dovrà stabilire se e cosa eventualmente non ha funzionato nel dedalo di competenze tra strutture dello Stato, la premier si cura anzitutto di salvaguardare la stabilità del suo governo (che peraltro non è mai stata in dubbio) e in più centralizza la materia migratoria, adottando un escamotage politico che attraverso il passaggio in Europa finisce per aggirare l’Interno. Racconta uno dei più autorevoli ministri che su questo piano «c’è l’impronta di Mantovano», il sottosegretario alla Presidenza che «da palazzo Chigi sorveglia il Viminale», di cui «conosce ogni dinamica» dopo averlo frequentato ai tempi dei governi Berlusconi.

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Galli: «L’indecisione sul Covid ha causato troppi morti, sui tamponi avevo ragione io»

martedì, Marzo 7th, 2023

di Laura Cuppini

L’infettivologo: il ruolo degli asintomatici nella diffusione dei contagi è emerso quasi subito. La mia posizione, che tuttora rivendico, era testare più persone possibile per circoscrivere i focolai d’infezione

«Nelle prime fasi della pandemia sono stati fatti certamente errori, ma soprattutto il sistema ha mostrato tutta la propria inadeguatezza».

Massimo Galli, già professore ordinario di Malattie infettive all’Università degli Studi di Milano, ha detto in audizione alla Commissione Affari sociali della Camera che i contrasti tra istituzioni nella gestione della pandemia sono stati evidenti e che per il futuro servirà una catena di comando meglio definita. Quali ritiene siano stati gli aspetti più critici?
«Abbiamo una sanità pubblica regionalizzata, con 21 tra Regioni e provincie autonome che decidono, in larga misura in autonomia, sui temi della salute. Questa situazione non ha aiutato a fronteggiare un’emergenza sulle implicazioni della quale già sapevamo pochissimo. Ridimensionare il ruolo delle Regioni nella sanità, anche per superare disuguaglianze territoriali inaccettabili, potrebbe essere un buon punto di partenza. Possiamo anche chiederci a quanto serva puntare sugli ospedali d’eccellenza se ci si dimentica della prevenzione, non si riesce a fronteggiare le emergenze e, solo per fare un esempio, alle politiche vaccinali, uno degli aspetti principali su cui si fonda la prevenzione, non si garantisce lo spazio sufficiente».

Secondo la ricostruzione della Procura di Bergamo, la mancata istituzione della zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro, in Val Seriana, a fine febbraio 2020 ha causato la morte di oltre 4 mila persone. Che cosa non ha funzionato?
«La mia sensazione di allora era che la zona rossa sarebbe stata necessaria anche lì, come a Codogno. Quelli tra fine febbraio e inizio marzo 2020 sono stati giorni costellati di indecisioni, quando invece sarebbe servito tutt’altro. Chi sia stato responsabile dei mancati interventi non sta a me stabilirlo».

Un capitolo dell’inchiesta di Bergamo riguarda i test Covid. Che cosa ha da dire al riguardo?
«Il ruolo degli asintomatici nella diffusione dei contagi è emerso quasi subito. La mia posizione, che tuttora rivendico, era testare più persone possibile per circoscrivere i focolai d’infezione e i fatti hanno dato ragione a quelli che la pensavano come me. Nei primi tempi della pandemia la disponibilità di strumenti diagnostici, i cosiddetti tamponi, era terribilmente limitata, e di conseguenza ho ritenuto importante sostenere la possibilità di estenderla. Uno studio condotto nel 2020 nello Stato di Washington (Kimball e altri), all’interno di una Residenza sanitaria assistenziale, ha mostrato che circa la metà degli anziani positivi al test non aveva sintomi. Il monitoraggio che abbiamo condotto tra maggio e giugno 2020 a Castiglione d’Adda ha dato un risultato analogo: un terzo degli ultraottantenni risultati positivi per gli anticorpi non sapeva di aver avuto l’infezione. Possiamo presumere che la percentuale di asintomatici sia superiore tra i giovani adulti».

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Le profezie sbagliate sulla crisi e l’apocalisse mai avvenuta

martedì, Marzo 7th, 2023

di Federico Rampini

Non solo non c’è stata la recessione dovuta alle sanzioni contro la Russia, ma sono cresciute le esportazioni

Dovremmo imparare qualcosa dall’Apocalisse che non è mai avvenuta. Un anno fa a quest’epoca l’Occidente cominciava ad applicare le sanzioni economiche contro la Russia. Ne seguì uno psicodramma nazionale, sui danni tremendi che ci saremmo auto-inflitti con quelle sanzioni. Nel discorso pubblico giganteggiavano delle emergenze presentate come certezze. Una maxi-recessione con crolli di reddito e di occupazione doveva abbattersi su di noi, causata dalla perdita del mercato russo e dal rincaro energetico. Avremmo passato un inverno al gelo. Le penurie alimentari, oltre ad affamare il popolo italiano, avrebbero gettato in una carestia senza precedenti il «grande Sud globale»: con guerre civili e altre gigantesche ondate di profughi verso le nostre terre.

Un anno dopo, nulla di tutto ciò si è verificato. L’arrivo di una recessione continua a slittare, forse potrebbe non verificarsi, in ogni caso sarebbe la conseguenza delle strette monetarie varate per domare l’inflazione, non delle sanzioni. Sul mercato del lavoro fa notizia la difficoltà delle imprese a trovare la manodopera di cui hanno bisogno. I flussi migratori da Sud a Nord — pur segnati dai tragici eventi del Mediterraneo — non hanno subito variazioni di rilievo. Non abbiamo passato l’inverno al gelo. Il gas oggi costa meno di prima della guerra.

Un dato spicca su tutti, è l’exploit delle esportazioni italiane in questi dodici mesi che dovevano essere rovinati dall’impatto delle sanzioni. L’export del made in Italy ha conosciuto un rialzo del 20% nel 2022. All’interno di questo dato già brillante si segnala un successo regionale che è perfino sopra la media nazionale. Il Friuli Venezia Giulia ha fatto ancora meglio, le sue esportazioni sono cresciute del 22,3%. Eppure è un territorio che confina con i Balcani, proiettato a Oriente, abituato a esportare (anche) sul mercato russo. Per spiegare l’anno felice del «made in Italy», la chiave ce la fornisce l’Istat: è il formidabile incremento negli acquisti di prodotti italiani da parte degli Stati Uniti (+22,5%).

La distanza dalle profezie apocalittiche di un anno fa è abissale. Ci impone di analizzare le cause di una previsione così clamorosamente sbagliata. La Russia — proprio per l’incapacità di Putin di modernizzarla — ha un’economia minuscola: pesa un quattordicesimo di quella americana, non si classifica tra le prime dieci economie del pianeta. Partendo da questa realtà ci vuole molta immaginazione per trasformare la perdita del mercato russo in una catastrofe. Viceversa, ciò che è avvenuto all’economia italiana nel 2022 ci ricorda a quale mondo apparteniamo. Il concetto di Occidente non evoca soltanto una realtà geopolitica, un sistema di alleanze, un modello di valori al quale ci sforziamo di essere fedeli: è anche un aggregato di interessi materiali, costruito in molti decenni di scambi commerciali e investimenti. I nostri mercati di gran lunga più importanti sono e resteranno sempre dislocati sull’asse atlantico, situati nell’Unione europea e nel Nordamerica.

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Elly Schlein e il Pd, che significa rottura con il passato? Il direttore Fontana spiega un passaggio storico

martedì, Marzo 7th, 2023

Un estratto della diretta video riservata in esclusiva agli abbonati del «Corriere della Sera»

Fenomeno Elly Schlein: gli elementi di rottura. Come si configura la cesura con il passato rappresentata dall’elezione della prima segretaria nella storia del Partito democratico? Il direttore del «Corriere della Sera» Luciano Fontana risponde alle domande dei lettori nella diretta video riservata in esclusiva agli abbonati. Ecco un estratto dell’incontro, moderato da Maria Serena Natale.


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