Archive for Marzo, 2023

Leonardo, il braccio di ferro

venerdì, Marzo 17th, 2023

Alessandro Barbera Ilario Lombardo

ROMA.  Soldi, commesse, relazioni internazionali, potere. Di tutte le aziende che partecipano al gran gioco delle nomine di Stato – soprattutto tra le geostrategiche – la partita più interessante da seguire è quella su Leonardo, ex Finmeccanica. Perché l’esito non è così scontato, e perché si sta consumando una lotta interna al governo tra la premier Giorgia Meloni e il ministro della Difesa, Guido Crosetto, fondatori entrambi di Fratelli d’Italia. Come ormai è noto, li divide il nome del possibile amministratore delegato, colui che prenderà il posto di Alessandro Profumo. Meloni lo ha garantito a Roberto Cingolani, scienziato, ex ministro della Transizione ecologica durante il governo di Mario Draghi, rimasto come consulente nell’attuale esecutivo di centrodestra, con la promessa di finire proprio a guidare Leonardo. La stessa promessa, però Crosetto l’ha fatta a Lorenzo Mariani, ex capo del commerciale dell’azienda, un dirigente che conosce molto bene la macchina, e sa quanto la dimensione dell’export sia essenziale per tenere in salute il colosso.

Da quello che raccontano , si sarebbe arrivati a immaginare uno schema a due al vertice. Una sorta di compromesso che prevederebbe il ruolo di ad per Cingolani e quello comunque operativo di direttore generale per Mariani. Una soluzione che al momento non sarebbe così gradita al secondo. La sfida, comunque, è tra loro due, anche se sullo sfondo ci sono altre due ipotesi. Una è quotata Lega ma appare poco più che un tentativo: Gian Piero Cutillo, responsabile della divisione elicotteri di Leonardo, la stessa dove lavora Francesco Giorgetti, fratello di Giancarlo, numero due del Carroccio e ministro dell’Economia. La seconda ipotesi è su un manager, che torna spesso nel totonomi, anche se in questo caso nella parte dell’outsider: Flavio Cattaneo, ex ad di Terna, oggi vicepresidente esecutivo di Italo, con ottimi rapporti nel centrodestra.

Leonardo ha più di quarantasettemila dipendenti sparsi in quindici paesi ed è organizzata in sette divisioni di business: elicotteri, velivoli, aerostrutture, sistemi avionici e spaziali, elettronica per la difesa terrestre e navale, sistemi di difesa e per la sicurezza e le informazioni. Inutile dire che di tutte le aziende a partecipazione pubblica, è quella con i rapporti più intensi con gli apparati di intelligence, e lo prova la presidenza di Luciano Carta, ex capo dei Servizi segreti esterni. Oltre ad altre controllate Leonardo partecipa a diverse joint venture: Drs Technologies, Telespazio, Thales Alenia Space, Atr e Mbda. Quest’ultima è la società che oggi guida Mariani, il candidato di Crosetto. Il ministro ha legato con Mariani negli anni in cui il ministro guidava l’Aiad, la federazione delle imprese per l’aerospazio e la difesa. Il forte sostegno al manager nasce poi da una convinzione strategica: benché Leonardo sia tuttora uno dei principali player mondiali del settore e sia controllato al 30 per cento dal ministero del Tesoro, Crosetto è convinto che l’azienda debba rafforzare le sue alleanze internazionali e se possibile andare a nozze con un’azienda cugina. E dunque quello di Mariani sarebbe il profilo perfetto: Mbda è un consorzio europeo, leader nel continente nella costruzione di missili, ed è partecipata dagli inglesi di BAE Systems, da Airbus, da Leonardo (al 25 per cento), e negli anni ha acquisito alcune società in Germania.

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Campo largo, ora la “Cosa” esiste davvero

venerdì, Marzo 17th, 2023

Marcello Sorgi

«La cosa esiste!», si potrebbe dire – o ripetere – ricordando uno slogan molto in voga trent’anni fa, quando i post-comunisti, liquidato il Pci insieme con le macerie del Muro di Berlino, impiegarono un paio d’anni a scegliere il nuovo nome della «cosa», che intanto continuò a chiamarsi così. Invece al congresso della Cgil, padrone di casa Landini, che sabato sarà riconfermato segretario del maggior sindacato italiano, il «campo largo» di cui si parla da tempo si è materializzato con i leader del centrosinistra, da Calenda a Fratoianni, passando per Conte e – manco a dirlo – Schlein, seduti uno accanto all’altro sul palco. E sebbene nessuno abbia preso impegni per il futuro, di buona volontà se ne è vista, chissà che non possa servire per le prossime amministrative d’autunno, dove, senza costruire una coalizione, la sconfitta sarebbe nuovamente assicurata. Intendiamoci: le difficoltà ci sono ed è inutile nascondersele, hanno ripetuto uno dopo l’altro i potenziali alleati. Ma l’ingresso in scena della nuova segretaria del Pd ha introdotto una novità che può funzionare, nel bene e nel male. Nel bene: Schlein, al di là degli slogan a cui è affezionata, sta rivelando giorno dopo giorno un pragmatismo insospettabile e una testardaggine imprevedibile alla vigilia delle primarie. Tanto che certe volte, a sentirla parlare, sembra di ascoltare Bonaccini e non lei.

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Se il governo ha paura del dolore

venerdì, Marzo 17th, 2023

Annalisa Cuzzocrea

Tutto di questo incontro comunica distanza: le foto scelte da Palazzo Chigi, le uniche accessibili, perché il governo ha fatto attraversare mezza Italia ai sopravvissuti della strage di Cutro, ai parenti delle vittime – la conta è arrivata a 86, di cui 35 minori – preoccupandosi soprattutto che nessuno li vedesse. Che nessuno potesse avvicinarli. Che con loro non ci fossero gli avvocati. Che i giornalisti fossero tenuti il più possibile distanti. Il pullman della Polizia che li ha condotti fin qui si attacca al portone sul retro di Palazzo Chigi in modo che neanche lo zoom di un fotografo possa cogliere uno sguardo, un volto, tanto meno intercettare una frase. Si spostano le auto degli apparati di sicurezza per fare da schermo a chi si assiepa e con quelle persone vorrebbe parlare. L’incontro dura poco più di un’ora e mezza. Si appellano alla madre Giorgia Meloni, i naufraghi, perché comprenda il loro dolore. Ma la madre Giorgia Meloni chiede: «Sapevate quali sono i rischi della traversata? Eravate al corrente?». Non solo, lo chiede. Ma si premura di far sapere di averlo chiesto con lo scarno comunicato che esce a mezzogiorno e mezzo dal suo ufficio comunicazione. La presidente del Consiglio ha incontrato il dolore che aveva voluto sfuggire a Crotone, quando non si era avvicinata neanche a portare un fiore su una bara, una simbolica carezza a quei naufraghi senza colpa. Tutti profughi, fossero vivi lo sarebbero stati, visto che arrivavano da Siria, Afghanistan, Pakistan. Aveva addirittura tentato il blitz, il governo: spostare le salme a Bologna prima del suo arrivo in Calabria, in modo da non doversi neanche giustificare per il mancato omaggio a quelle morti. Ma quella scelta ha fatto troppo rumore: le bare sono rimaste, l’opinione pubblica chiede conto di un’assoluta mancanza di empatia.

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Effetto Schlein, il Pd torna al 20%. Pesa il caso migranti, FdI sotto il 30%

venerdì, Marzo 17th, 2023

Alessandra Ghisleri

Martedì 13 marzo il sondaggio di Euromedia Research per Porta a Porta relativo al consueto rilevamento sulle intenzioni di voto a livello nazionale evidenzia la riconferma di Fratelli d’Italia come primo partito con il 29,2% dei consensi, nonostante un piccolo calo dello 0,4% nell’arco di due settimane. La vera sorpresa comunque è il Partito Democratico che torna sopra la soglia psicologica del 20,0% (20,3%). Il Movimento 5 Stelle occupa il terzo posto con il 15,0% perdendo ancora poco più di mezzo punto percentuale (-0,6%). Segue la Lega di Matteo Salvini con il 9,4%, Azione-Italia Viva con l’8,4% (+0.1%) e Forza Italia con 6,5% (-0,4%). Alleanza Verdi e Sinistra (2,6%) insieme al partito di Giuseppe Conte pagano il prezzo più pesante della novità Elly Schlein.

Dall’elezione del nuovo Segretario del Partito Democratico infatti si è creata una nuova attenzione attraverso due poli principali che si confrontano tra loro attraverso le leader e che, a loro volta, danno origine ad una nuova “tensione” con una forte energia che passa veloce da un capo all’altro e che genera di volta in volta due fazioni sempre più contrapposte, in tensione appunto. Giorgia Meloni e Elly Schlein, mettendo sul piatto in maniera chiara anche il loro genere, rappresentano quelle nuove generazioni che disegnano una delle più importanti priorità per il Paese. I temi delle due leader sono sempre più identitari e nei discorsi prefigurano una nuova Italia più evoluta e femminile con tutta quella energia che deriva proprio dal voler essere giovani. Forse i tempi stanno proprio per cambiare se, anche i cittadini italiani nella fascia tra i 18 e i 24 anni iniziano a sentirsi e a dichiararsi più coinvolti dalla politica. Forse si è troppo ottimisti, tuttavia, nelle intenzioni di voto rilevate all’inizio di questa settimana, si è registrata un’interessante partecipazione soprattutto da parte di quel mondo giovanile che molto spesso è giudicato impreparato, distaccato, distante e indeciso.

Nelle registrazioni delle dichiarazioni è significativo che il target under 25 si polarizza nelle sue scelte emergendo proprio da quell’area dell’astensione e dell’indecisione e concentrandosi principalmente su due partiti: Partito Democratico con il 25,6% e Fratelli d’Italia con il 23,3%. Questo significa che 1 giovane su 4 che decide di esprimere la sua preferenza sceglie una di queste due leader. I ragazzi rivendicano un approccio meno teorico, più pratico e pluralista, sicuramente lungimirante, perché le nuove generazioni necessitano di farsi carico di loro stessi e del futuro che li aspetta, e proprio per questo desiderano nuovi percorsi innovativi per agevolare il loro passaggio nella fase adulta. Ed è qui che si infrange quella politica che usa sempre i soliti percorsi di cooptazione, spesso obsoleti e lontani dalla realtà delle persone.

L’ovvio è che in ogni caso ci troviamo sempre di fronte al gioco delle parti dove quanto accade all’avversario politico diventa materia buona di scontro per far eccellere le proprie identità. Questo confronto tra le due leader si è palesato proprio nella tragedia di Cutro (Crotone). Gli italiani si sono trovati di fronte al “gioco politico delle parti” in ogni sua regola, e i giudizi, filtrati anche dalle immagini che accompagnavano i diversi racconti mediatici, non hanno promosso le operazioni del governo soprattutto nella gestione post naufragio.

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La flat tax estesa a tutti i contribuenti: Irpef e riforma fiscale, cosa cambia e come

venerdì, Marzo 17th, 2023

a cura di Luca Monticelli

IRPEF – Servono dai 4 ai 10 miliardi di euro
La delega fiscale contiene solo i principi generali, la cornice in cui costruire gli interventi, mentre i decreti attuativi saranno emanati entro 24 mesi. La riforma quindi entrerà in vigore nel 2025. Gli articoli sono 22, divisi in cinque titoli. Secondo il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti le misure vanno nella direzione di «semplificare e ridurre la pressione fiscale».

Nel testo si parla di «sistema ad imposta unica» come se ci fosse solo la flat tax, ma in realtà l’intenzione del governo è ridurre gli scaglioni dell’Irpef dagli attuali quattro (che sono 23%, 25%, 35% e 43%) a tre già dal prossimo anno. Ci sono due ipotesi sul tavolo: una con le aliquote al 23, 33 e 43%, l’altra 23, 27 e 43%. I redditi oltre i 50 mila euro sarebbero comunque tassati al 43%, ma quelli medio-alti potrebbero godere di un’imposta più bassa. I tecnici del Mef hanno realizzato simulazioni che solo per l’Irpef prevedono un costo che va dai 4 ai 10 miliardi. La prima ipotesi è quella che costa meno. Le coperture si devono trovare dalla razionalizzazione delle tax expenditures, magari con un tetto alle detrazioni parametrato sul reddito (senza toccare le spese sanitarie).

L’obiettivo, a regime, è arrivare a una flat tax per tutti, intanto c’è quella «incrementale» per i dipendenti, che usufruiranno di un’aliquota ridotta sui redditi aggiuntivi rispetto all’anno precedente. Arriva anche l’equiparazione della No tax area tra dipendenti e pensionati.

I PROFESSIONISTI – Irap abolita e moratoria estiva
Si va verso l’abolizione dell’Irap, che sarà graduale, e i primi a beneficiarne saranno artigiani, commercianti, società di persone e professionisti. L’articolo 8 tratteggia, al posto dell’Irap, l’istituzione di una “sovraimposta” in grado di assicurare un equivalente gettito fiscale per il finanziamento del fabbisogno sanitario e per le Regioni soggette ai piani di rientro. Questa sovraimposta è realizzata con le stesse regole previste per l’Ires e va ripartita tra le Regioni sulla base dei criteri vigenti in materia di Irap. Per le grandi aziende la delega vuole introdurre una “cooperative compliance”, cercando di dialogare con loro e ridurre l’elusione.

Mentre per il mondo delle piccole imprese si può andare verso un sistema di tassazione chiamato “concordato preventivo biennale”. In poche parole, l’amministrazione fissa un’imposizione all’imprenditore in base ai suoi redditi precedenti e per due anni non chiede altro. Il concordato preventivo ha la finalità di favorire l’emersione e dà la possibilità ai contribuenti di non pagare «eventuali maggiori redditi imponibili rispetto a quelli oggetto del concordato, fermi restando gli obblighi contabili e dichiarativi».

Per i professionisti, si punta a una moratoria estiva, senza scadenze di versamento nel mese di agosto, e a una trimestralizzazione dei versamenti minori. Novità anche sulla cedolare secca, estesa agli immobili commerciali. 

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Il doppio segnale della Bce

venerdì, Marzo 17th, 2023

di Federico Fubini

Molti banchieri centrali dell’Europa centrale e del Nord vorrebbero continuare la stretta monetaria. Altri, soprattutto dell’Europa del Sud, vorrebbero che la banca centrale si fermasse per vedere e capire cosa sta accadendo, Ma ieri la Bce non si è lasciata bloccare dai tremori delle banche

Se la democrazia è la peggiore forma di governo eccetto tutte le altre, come diceva Winston Churchill, allora la Banca centrale europea è profondamente democratica. Non solo perché decide a maggioranza e chi è in minoranza — ieri tre o quattro contrari al sesto aumento consecutivo dei tassi — semplicemente accetta. Lo è anche perché ha sviluppato un suo modo di lavorare che ne garantisce l’equilibrio anche quando prende dei rischi. Lo è anche quando le minacce all’esterno e i conflitti al suo interno non sono risolti: sono solo rimandati a quando, si spera, la turbolenza sui mercati si sarà diradata.

Ieri la Bce non si è lasciata fermare dai tremori delle banche. Negli ultimi giorni i dissesti in serie da Silicon Valley Bank in California a Credit Suisse a Zurigo hanno spazzato via dal settore del credito 120 miliardi di euro di valore di Borsa in Europa e 229 miliardi di dollari negli Stati Uniti. La Bce ha comunque alzato i tassi dello 0,5%, come aveva promesso di fare tre mesi fa scommettendo (con troppa sicurezza di sé) sulla sua capacità di leggere il futuro. Probabile che senza quell’impegno la Banca centrale ieri si sarebbe mossa con più cautela. A maggior ragione dopo aver spiegato essa stessa ai ministri finanziari che alcune banche europee potrebbero essere vulnerabili in questa fase di contagio. Ma anche se prosegue così l’aumento del costo del denaro più rapido della storia dell’euro, Francoforte non è un’eccezione. L’area euro continua ad avere un costo del denaro fra i più bassi dell’Occidente, pur essendo lontana dall’avere l’inflazione più bassa.

Che i banchieri centrali abbiano deciso di andare avanti, conoscendo i segreti dei bilanci meglio di chiunque altro, significa che non vedono rischi di crac bancari nell’area euro. In realtà ne erano convinti anche nel 2008 e nel 2011, quando la Bce alzò i tassi più volte subito prima dei passaggi più drammatici della crisi finanziaria. Ma stavolta la storia non è esattamente uguale, o almeno si spera che quegli errori non saranno ripetuti in una sorta di ciclo dell’eterno ritorno. La vigilanza sulle banche in Europa oggi dovrebbe essere più omogenea e stringente di allora. E la Bce di Christine Lagarde sta dando segni di non essere accecata dalla stessa arroganza di quella, ormai lontana, di Jean-Claude Trichet. Ieri per la prima volta da molti mesi ha ammesso di non conoscere il futuro e dunque ha sospeso ogni giudizio: non c’è più alcun impegno a continuare ad alzare i tassi, prima di capire come si svilupperà la situazione sui mercati e nell’economia reale da ora in poi.

Naturalmente dietro questa apparente umiltà si nascondono anche divisioni profonde. Molti banchieri centrali dell’Europa centrale e del Nord vorrebbero continuare la stretta monetaria, anche se più gradualmente, per anticipare il momento in cui l’inflazione tornerà al 2%. Altri, soprattutto dell’Europa del Sud, fanno presente che le previsioni della stessa Bce di fatto indicano già una discesa del carovita verso l’obiettivo fra due anni. Dunque i primi vorrebbero frenare di più l’economia fin da subito, creando disoccupazione per sradicare il rischio di perdere il controllo dei prezzi. Gli altri vorrebbero che tra poco la Banca centrale si fermasse per vedere e capire cosa sta accadendo, a maggior ragione ora che la sfiducia corre di nuovo sui mercati e di sicuro renderà l’offerta di credito più scarsa e più costosa per le famiglie e per le imprese.

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Ponte sullo Stretto al via: tre km di lunghezza, sostenuto da cavi

venerdì, Marzo 17th, 2023

di Marco Cremonesi

Il governo ha fatto partire la procedura. Salvini: sarà un’opera green
Ponte sullo Stretto al via: tre km di lunghezza, sostenuto da cavi

Il ponte sullo Stretto ottiene il via libera per decreto. Lo ha approvato ieri il Consiglio dei ministri «salvo intese», il che significa che non tutto è stato ancora perfezionato. Ma, comunque, approvato. Alle 19.10 di ieri, come specifica una nota del ministero dei Trasporti per sottolineare il dettaglio che segna la svolta, il governo ha fatto partire la procedura. Anche se il testo definitivo non è stato ancora diffuso: «Sarà disponibile a breve perché sono necessari gli ultimi approfondimenti tecnici», si spiega.

Il ministro Matteo Salvini non esita a usare il tono epocale: è «una giornata storica». Perché «dopo cinquant’anni di chiacchiere, questo Consiglio dei ministri approva il «ponte a campata unica» che unisce «la Sicilia all’Italia e al resto dell’Europa». L’opera «più green del mondo», secondo il ministro perché consentirà di ridurre l’inquinamento da anidride carbonica. Anche un’attrazione turistica, secondo Salvini, perché sarà il ponte «strallato» (significa sostenuto da cavi) più lungo al mondo, circa 3,2 chilometri tra Villa San Giovanni e Messina.

In sostanza, il provvedimento resuscita la società ponte sullo Stretto spa costituita nel 1971 a cui parteciperanno «Rete ferroviaria italiana spa, Anas spa., le Regioni Sicilia e Calabria, nonché, in misura non inferiore al 51%, il ministero dell’Economia e delle Finanze, che esercita i diritti dell’azionista d’intesa con il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, al quale ultimo sono attribuite funzioni di indirizzo, controllo, vigilanza tecnica e operativa» sull’opera. In passato, l’azionista di riferimento era Anas. Giusto ieri mattina, il ministro ha incontrato i presidenti di Sicilia e Calabria, Renato Schifani e Roberto Occhiuto.

Del Ponte, Salvini ha appena parlato anche con Gelsomina Vigliotti, la vice presidente della Banca europea di investimento (Bei) : l’istituto è disponibile a valutare una sua partecipazione, fermi restando la compatibilità ambientale della grande opera. Da sottolineare il fatto che sempre la Bei sarà parte del piano Invest-Eu che metterà a disposizione 3,4 miliardi euro per il rinnovo della tratta ferroviaria Palermo- Catania. Il ministro dei Trasporti sottolinea anche il significato per l’occupazione: «Il Ponte darà lavoro a molte migliaia di persone per diversi anni». Su quanti anni, si sbilancia Edoardo Rixi, il viceministro leghista al Mit: «I tempi di realizzazione tecnica del ponte sullo Stretto sono di un quinquennio».

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Fisco, nella riforma spunta l’evasione «per necessità» (e non sarà sanzionata)

venerdì, Marzo 17th, 2023

di Diana Cavalcoli

Spunta il concetto di evasione di necessità nella riforma del Fisco che sarà attuata dopo il via libera del Consiglio di ministri al disegno di legge delega. Con l’obiettivo di instaurare nuovo rapporto di fiducia tra Stato e contribuente, la riforma sembra differenziare tra evasori con dolo o senza. Come scrive il Sole 24 Ore l’obiettivo è eliminare le sanzioni penali per gli omessi versamenti quando emerge «l’impossibilità di far fronte al pagamento del tributo» per evitare che il contribuente rischi di essere condannato per reati «anche in caso di fatti a lui non imputabili». Potrà quindi incidere l’oggettiva difficoltà economica nel far fronte agli adempimenti, difficoltà che andrà però dimostrata dal contribuente.Un caso possibile potrebbe essere l’imprenditore in crisi che dichiara il giusto ma non paga le tasse per poter corrispondere gli stipendi ai dipendenti.

Le sanzioni

Nel capitolo della legge delega riferito alle sanzioni, si prevede «di rivedere i profili relativi alla effettiva sussistenza dell’elemento soggettivo, nell’ipotesi di sopraggiunta impossibilità a far fronte al pagamento del tributo, non dipendente da fatti imputabili al soggetto stesso, al fine di evitare che il contribuente debba subire conseguenze penali anche in caso di fatti a lui non imputabili». Tra le proposte, il testo è ancora in definizione in vista del Cdm, anche tutele maggiori per chi si impegna in piani di rateizzazione dei debiti con il fisco.

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Cos’è il fondo salva stati, a cosa serve e perché l’Italia frena: rischi e opportunità del Mes

giovedì, Marzo 16th, 2023

Mattero Giusti

Il Meccanismo europeo di stabilità (Mes), noto anche come «fondo salva stati», è stato creato sulla scia degli interventi nella crisi del debito sovrano avvenuta nel 2010 con gli interventi ripetuti per scongiurare il default della Grecia. Con l’arrivo della pandemia si è pensato di modificarlo dotandolo di 240 miliardi da utilizzare per affrontare l’emergenza sanitaria. Nato nel 2012 con un trattato intergovernativo, il Mes serve a concedere a condizioni prestabilite assistenza finanziaria ai Paesi membri che dovessero trovarsi in difficoltà a finanziarsi attraverso il collocamento normale di titoli di Stato. In cambio ci sono da sottoscrivere una serie di condizioni. Fino ad ora è intervenuto in aiuto di Irlanda, Portogallo, Cipro, Spagna per l’esposizione finanziaria delle banche e Grecia per complessivi 295 miliardi, considerando anche gli interventi garantiti dall’Ue dal 2010. In cambio dei prestiti, è previsto un programma di rientro e di controllo del debito con piani di aggiustamento macroeconomico, riforme draconiane secondo i più critici che vanno dalle pensioni alla spesa pubblica a interventi più diretti. Criteri più leggeri sono richiesti invece per le linee di credito precauzionali, per Stati colpiti da choc avversi ma in condizioni finanziarie che presentano fondamentali sani. Pochi mesi dopo lo scoppio del Covid, il Mes è stato messo in campo anche con una linea di credito per 240 miliardi come sostegno alla crisi pandemica, a disposizione dei Paesi dell’Eurozona per finanziare esclusivamente i costi legati all’emergenza sanitaria anche se finora la linea di credito non è stata usata dai partner Ue. Il meccanismo è guidato da un Consiglio dei Governatori, composto dai ministri delle Finanze dell’area dell’euro, e assume all’unanimità le principali decisioni. Ha un capitale sottoscritto di 704,8 miliardi, 80,5 miliardi già versati, con una capacità di prestito di 500 miliardi. L’Italia, terzo socio dopo Germania e Francia, ne ha sottoscritto il capitale per 125,1 miliardi e versandone oltre 14,3 miliardi. La riforma del Trattato del Mes del 2021, votata in Consiglio a Bruxelles durante il secondo governo Conte, interviene ulteriormente sulle condizioni per l’assistenza finanziaria e sulle differenze tra le linee a condizionalità rafforzata o semplice, come nel caso della richiesta di intervento per le spese sanitarie legate alla Pandemia. Il cuore della riforma è però attribuire al Mes la funzione di fornire una rete di sicurezza finanziaria (backstop) al Fondo di risoluzione unico nell’ambito del sistema di gestione delle crisi bancarie. In altre parole da strumento di assistenza agli Stati, il Mes entra in gioco anche nelle crisi del credito, passaggio centrale per completare l’Unione bancaria. Prevede tra l’altro che il Mes possa fare da mediatore tra Stati e investitori privati nel caso servisse la ristrutturazione di un debito pubblico. Dopo le modifiche apportate gli unici paesi rimasti a non averle ratificate erano Germania e Italia.

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Ora il vero rischio è la crisi di fiducia

giovedì, Marzo 16th, 2023

Stefano Lepri

Quando sono addirittura le banche a dubitare l’una dell’altra, viene subito di pensare che là dentro si sa qualcosa che ancora noi non sappiamo. Stando alle cifre che si conoscono, non ci sarebbero i presupposti per difficoltà diffuse come quelle di cui i mercati finanziari in questi giorni stanno mostrando di temere. Ma di certezze solide non ce ne sono, quando tutto dipende dalla fiducia.

Una crisi di fiducia può abbattere anche una banca sana, come sapevano benissimo gli sceneggiatori hollywoodiani del film «Mary Poppins» nel 1964 e come dimostrarono con rigore scientifico nel 1983 i due vincitori del Nobel 2022 per l’Economia, Douglas Diamond e Philip Dybvig. Non è necessario dunque che ci siano magagne nascoste. Può bastare il contagio della paura.

Da queste cognizioni ormai condivise, dopo la grande crisi finanziaria del 2007-2008, ci si era illusi di aver tratto tutte le conseguenze necessarie. Non è così. Negli Stati Uniti, una legge giusta è stata rivista a causa di pressioni lobbistiche. In tutti i Paesi, i banchieri tentano di eludere i controlli delle autorità di regolazione pubbliche incaricate di verificare i loro conti.

Inoltre, quando una banca va a rotoli può far danni molto più gravi di quanto la sua dimensione potrebbe far pensare. In Italia lo abbiamo visto alla metà dello scorso decennio, quando le malefatte clientelari di Vicenza o di Arezzo hanno scosso l’economia nazionale, spingendo a interventi di Stato e anche collettivi del sistema bancario (a Washington avrebbero fatto bene a studiarlo).

Facile ironizzare sui banchieri che fino a ieri inneggiavano a una assoluta libertà di mercato e oggi implorano soccorso dai governi. In realtà la ricetta giusta non era facile stabilirla in anticipo. I due casi della Silicon Valley Bank e del Crédit Suisse non potrebbero essere più diversi, eppure cooperano a suscitare uno stesso panico.

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