Archive for Marzo, 2023

Superbonus, le novità nel decreto: sblocco dei crediti, per le villette c’è la proroga al 30 settembre

giovedì, Marzo 23rd, 2023

di Claudia Voltattorni

L’agevolazione del Superbonus 110% destinata agli interventi edilizi sulle unifamiliari potrebbe slittare a fine settembre. È una delle nuove ipotesi su cui sta lavorando la commissione Finanze della Camera che da mercoledì ha iniziato a votare gli emendamenti al decreto Crediti, il provvedimento approvato lo scorso 16 febbraio dal Consiglio dei ministri che blocca la cessione dei crediti edilizi e lo sconto in fattura.

Il relatore Andrea De Bertoldi (FdI) ha presentato un pacchetto di 8 emendamenti riformulati condivisi con la maggioranza che includono novità come la proroga al 30 novembre per la comunicazione delle cessione dei crediti (con il pagamento di una mora da 250 euro) che rischiavano altrimenti di scadere il prossimo 31 marzo; la compensazione tra debiti per contributi previdenziali o assistenziali e crediti tributari o viceversa; l’allineamento delle detrazioni dei bonus a 10 anni. E la proroga dal 31 marzo al 30 giugno per i lavori «scontati» sulle villette.

Ma questo termine potrebbe slittare ancora al 30 settembre: il ministero dell’Economia sta valutando la proposta del relatore condivisa da tutta la maggioranza e oggi darà il suo parere. L’orientamento è di spostare più avanti la fine dei lavori sulle unifamiliari. Oggi il voto.

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La classifica delle migliori università del mondo: ci sono la Sapienza, il Politecnico di Milano e la Bocconi

giovedì, Marzo 23rd, 2023

di Gianna Fregonara e Orsola Riva

Il Qs ranking by subject 2023: confermati i risultati dell’anno scorso. Il sistema Italia è terzo in Europa per i migliori piazzamenti. Anche la Normale al top in Classics. Risultato positivo per la Luiss di Roma

Le eccellenze

La Sapienza si conferma prima al mondo negli studi classici per il terzo anno di fila, davanti alle storiche rivali Oxford e Cambridge. Ma il «Qs ranking by subject 2023» la classifica mondiale che valuta le università in base ai diversi corsi di studio porta quest’anno risultati eccellenti anche per altre università italiane: sono nelle posizioni di testa, con piccoli cambiamenti rispetto al 2022, il Politecnico di Milano in Architettura e Design e in Ingegneria, la Bocconi in Economia, Marketing e Finanza, la Normale di Pisa in studi classici e la Luiss in Scienze Politiche e internazionali . Il Qs ranking by subject è una classifica internazionale incentrata – contrariamente ad altri ranking come il Times Higher Education e l’Arwu di Shanghai – sull’aspetto reputazionale, cioè sulla considerazione di cui un’università gode presso professori e ricercatori di altri atenei e presso i datori di lavoro. Un criterio che ha sollevato diverse critiche in quanto gli esperti di Qs possono fare consulenza alle università per aiutarle a migliorarne il gradimento.
Su 54 materie censite nella classifica, gli Stati Uniti si aggiudicano 32 prime posizioni, il Regno Unito 15, le altre sette se le spartiscono la Svizzera (quattro), l’Olanda (due) e l’Italia (una). Fuori tutti gli altri continenti, dall’Asia all’Oceania, dal Sudamerica all’Africa. Se allarghiamo lo sguardo alle prime dieci posizioni, l’Italia si piazza al terzo posto nell’Europa continentale, con sette piazzamenti nella top ten, dietro alla Svizzera (32) e all’Olanda (16) ma davanti a Francia (sei), Svezia (cinque) e Germania (quattro). In generale il sistema Paese registra un trend di crescita con 139 piazzamenti in salita e 103 in discesa.

Il Politecnico di Milano al vertice in Ingegneria, Architettura e Design

Al Politecnico di Milano per la prima volta quest’anno gli ingegneri battono gli architetti grazie all’exploit di Ingegneria Meccanica e Aeronautica, disciplina nella quale l’università milanese scala ben sei posizioni in un anno piazzandosi al settimo posto al mondo. Seguono Arte e Design (ottavo posto in leggera flessione rispetto al quinto posto dei due anni precedenti) e Architettura appunto in cui si conferma al decimo posto. Nella top twenty mondiale si confermano Ingegneria civile (12esimo posto: era undicesima nel 2022) seguita da Ingegneria elettrica e Ingegneria e tecnologia, entrambe 18esime (ma la prima guadagna una posizione, la seconda ne perde cinque). Merita una segnalazione Computer science, dove il Polimi guadagna ben 16 posizioni piazzandosi al 33esimo posto al mondo: un exploit notevole visto che in questo settore la competizione è durissima e le università asiatiche continuano a scalare posizioni. Subito dietro, al 34esimo posto, Ingegneria chimica (giù di quattro posizioni) e Scienze dei materiali (su di venti posizioni). Stessa posizione, 34esima,in Matematica:in questi caso però si tratta di un balzo in avanti di 25 posizioni. Anche il Politecnico di Torino si difende assai bene piazzando sei corsi nella top 50 mondiale: in particolar modo è al primo posto in Italia e 15esimo al mondo (era sedicesimo) in Ingegneria petrolifera.

La conferma della Bocconi

Anche la Bocconi si conferma al top nell’affollata classifica che riguarda le materie economiche e manageriali. Settima in Business & Management (era sesta nel 2022), è ottava in Marketing (materia censita per la prima volta e in cui si sono classificate solo venti università), 16esima in Economy & Econometrics. Perde due posti – da 15 a 17 – in Accounting & Finance.

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Migranti, schiaffo a Meloni, l’Europa nega al governo la discussione sui profughi

mercoledì, Marzo 22nd, 2023

Ilario Lombardo

«La presidente della Commissione e la presidenza svedese ci offriranno un breve aggiornamento sull’argomento». Punto. Solo «un breve aggiornamento». Niente di più. A questo si ridurrà la discussione sui migranti nel Consiglio europeo di domani e venerdì. Il presidente Charles Michel ha relegato il tema alla fine della lettera con cui ha formalizzato l’invito a Bruxelles ai leader europei. I punti all’ordine del giorno sono il sostegno all’Ucraina, le misure economiche sulla competitività, il commercio, l’energia, e poi i profughi, nella formula così scritta: «Short debrief».

Giorgia Meloni aveva chiesto di più. «C’è un cambio di paradigma ma non possiamo ancora dirci soddisfatti», la premier lo ha dichiarato in Aula, in Senato, e lo ha ribadito durante la telefonata con Ursula Von der Leyen. È lei, la presidente tedesca della Commissione Ue, la principale sospettata. L’Italia si aspettava «un cambio di passo», dopo il Consiglio informale di febbraio, quando Meloni rivendicò come un successo gli impegni espressi nelle conclusioni. Si aspettava che la Commissione avrebbe tradotto in proposte ufficiali le vaghe promesse strappate ai capi di Stato e di governo, così come avvenuto per i tedeschi e l’allentamento dei vincoli sugli aiuti di Stato alle imprese, considerato vitale dalla cancelleria di Berlino.

Un mese dopo, invece, per l’Italia poco è cambiato. Dopo il colloquio telefonico con Von der Leyen, in serata, da Palazzo Chigi filtrava un filo di ottimismo in più. Le parole della leader tedesca tentano di tamponare i malintesi. Definisce la telefonata «fruttuosa» e conferma «la necessità di agire in maniera rapida e coordinata» e di «sostenere i partner nordafricani, di prevenire le partenze irregolari e le perdite delle vite umane».

Meloni, però, vuole garanzie che le dichiarazioni si traducano in misure concrete. Chiede che qualcosa venga anticipato al Consiglio di domani. «Condividiamo un’urgenza» ha detto a Von der Leyen, ora servono i fatti.

Meloni non è tranquilla. Le pressioni della diplomazia italiana hanno prodotto poco. Il tema dei migranti è rimasto in coda, appena toccato da Michel. E anche per questo ieri, in Senato, durante l’informativa sul vertice europeo, la presidente del Consiglio ha alzato nuovamente i toni e sfoderato il repertorio di sempre dei sovranisti italiani. È tornata ad attaccare le Ong: «Gli Stati che li finanziano devono assumersi le responsabilità che il diritto del mare assegna loro. Le operazioni Sar non possono gravare solo sugli Stati di approdo». E ha polemizzato con la sottovalutazione, percepita tra i partner, dell’«enorme problema» della Tunisia: «Il commissario all’Economia Paolo Gentiloni, che aveva immaginato già all’inizio di questo mese di recarsi là per affrontare la vicenda, poi ha rimandato». Il rischio di default del Paese, secondo la premier, non può essere affrontato finché il Fondo monetario internazionale non sblocca i finanziamenti destinati a Tunisi. È quello il primo banco di prova, agli occhi della premier. L’Europa può dimostrare di condividere la strategia italiana che prevede di aumentare il denaro verso i Paesi di transito del Nord Africa.

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Ecobonus e bonus facciate, la maxi truffa: istanze da clochard o morti, anche per comuni inesistenti. La procura di Asti ordina un sequestro da un miliardo e mezzo

mercoledì, Marzo 22nd, 2023

La Guardia di Finanza ha avviato l’esecuzione – insieme ai colleghi di Campania, Emilia Romagna, Lazio Lombardia, Puglia, Toscana, Trentino Alto Adige e Veneto – di una ordinanza di custodia cautelare del giudice per le Indagini preliminari del tribunale di Asti, nei confronti di 10 persone, per reati di associazione a delinquere, truffa nei confronti di Enti Pubblici, riciclaggio, emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte. In corso nel contempo l’esecuzione di un decreto di sequestro, anche per equivalente, ai fini della confisca, di crediti fiscali, profitti illeciti, immobili e altre disponibilità per oltre un miliardo e mezzo.
Settantatre le perquisizioni, in corso in 18 province, con l’impiego di 150 finanzieri.I militari dei Comandi provinciali della Guardia di Finanza di Napoli ed Avellino stanno eseguendo un sequestro preventivo emesso dal gip del Tribunale di Avellino e un sequestro preventivo d’urgenza della Procura, per crediti d’imposta inesistenti per un miliardo e 700 mila euro. L’indagine coordinata dalla Procura di Avellino riguarda una maxi truffa messa a segno con i bonus per l’edilizia, principalmente e “Ecobonus” e “Bonus Facciate”. Si tratta del sequestro di crediti d’imposta più alto di sempre.

In corso perquisizioni nelle province di Napoli, Avellino, Salerno, Milano, Lodi, Torino, Pisa, Modena e Ferrara nei confronti di 21 indagati per il reato di associazione per delinquere finalizzata alla truffa aggravata ai danni dello Stato.
Il caso Avellino
Ad innescare l’indagine che la Procura di Avellino ha delegato ai finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Napoli e del Gruppo di Avellino, è stata un’analisi di rischio del Settore Contrasto Illeciti dell’Agenzia delle Entrate. Dai controlli sono emersi fattori di rischio nelle comunicazioni di cessione per esempio, intestate a persone senza fissa dimora, decedute e oppure con precedenti penali. Sono state inoltrate istanze anche per immobili inesistenti, senza fatture assenti oppure riportanti importi “incoerenti”.

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Riforma Irpef, quanto si risparmia di tasse? Fino a 206 euro per redditi sotto ai 28 mila euro

mercoledì, Marzo 22nd, 2023

di Massimiliano Jattoni Dall’Asén

Leo: «Amplieremo il primo scaglione»

Da quattro a tre aliquote Irpef. Questo è il primo step della riforma fiscale targata Meloni, dopo che ha avuto l’ok dal Consiglio dei ministri alla legge delega e che dovrebbe prendere il via dal primo gennaio del 2024 (con effetto sulle dichiarazioni dei redditi del 2025). Su come però cambieranno gli stipendi davvero non si può ancora dare numeri certi, perché all’appello manca l’altro elemento fondamentale che partecipa al calcolo dell’imposta: ovvero, le detrazioni per lavoro, le cui nuove formulazioni (rispetto a quelle definite dal governo Draghi nel 2022) e le loro applicazioni non son state ancora definite. Dal palco della Cgil, la premier Meloni ha sottolineato il desiderio di dare subito un segnale ai lavoratori con stipendi più bassi. A spiegare come ci ha pensato qualche giorno dopo il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, che durante un’intervista a SkyTg24 ha parlato di «ampliare lo scaglione della prima aliquota» al 23%, che attualmente arriva fino a 15 mila euro di redditi da lavoro. Leo però si è detto prudente: «vedremo dove si fermerà l’asticella», ha concluso. Comunque sia, le risorse per questa riforma non potranno che arrivare dall’annunciata “potatura” delle tax expenditures, cioè le circa 600 agevolazioni che riducono ogni anno il gettito dello Stato (ma pare verranno salvate quelle legate alla famiglia, alla salute e alla casa).
Fatte queste dovute premesse, proviamo a vedere qual è il calendario di questa riforma e proviamo a fare anche qualche ipotesi su come gli stipendi potrebbero cambiare.

Le percentuali delle tre aliquote

Come detto, la premier Meloni davanti alla platea della Cgil ha chiarito di voler partire dall’attuale secondo scaglione Irpef, quello cioè dei rediti da lavoro tra i 15 mila e i 28 mila euro, ai quali attualmente si applica un’aliquota del 25%. Il governo dice di voler abbassare la pressione fiscale per questa fascia di lavoratori e sta lavorando all’accorpamento a partire dal 2024 del secondo scaglione al primo, che ha un’aliquota del 23%. Questo, significherebbe che la fascia 15-28 mila andrebbe a risparmiare 2 punti percentuali di Irpef. Per gli altri due scaglioni le ipotesi di cambio aliquote sono ancora più incerte. L’ultima fascia, quella sopra i 50 mila euro, probabilmente non vedrà alcun cambiamento e resterà l’aliquota del 43%. Per quelo che diventerà lo scaglione intermedio (28 mila-50 mila euro) le ipotesi sul tavolo sono varie: si è parlato di un irrealistico 27%, poi di un 33% e di un 35%.

Come potrebbero cambiare gli stipendi fino a 28 mila euro

Lo abbiamo detto all’inizio: senza sapere quale saranno le percentuali e come verranno rimodulate le detrazioni per il lavoro, è impossibile calcolare come le tre nuove aliquote incideranno realmente sugli stipendi. In questa fase, però, per iniziare a farsi un’idea possiamo fare un calcolo immaginando che le attuali detrazioni restino così come sono e applicando le aliquote che i rumors danno più probabili.
Se l’aliquota scendesse al 23% fino a 28 mila euro, chi guadagna tra i 15 mila e i 28 mila avrebbe un vantaggio crescente di 2 punti percentuali rispetto a oggi. Uno stipendio di 20 mila euro annui, ad esempio, risparmierebbe circa 100 euro di Irpef (il 4,9%), uno di 24 mila circa 180 euro (5,3%) e uno di 28 mila circa 260 euro (5,5%), che è poi la percentuale (e dunque il risparmio Irpef) che si applicherebbe anche a tutti i redditi superiori ai 28 mila euro per la parte che corrisponde appunto al secondo scaglione. Sotto i 20 mila euro di redditi, il risparmio è irrisorio (poche decine di euro).
Se l’aliquota scendesse addirittura al 20% (ipotesi circolata nelle scorse settimane, ma assai poco probabile), un reddito di 20 mila euro, che oggi versa 4.700 euro di Irpef, ne andrebbe a versare 4.000 e avrebbe dunque uno sgravio fiscale di circa 700 euro (-14,89%). Il vantaggio aumenterebbe via via che il reddito cresce.

Come potrebbero cambiare gli stipendi tra i 28 mila e i 50 mila euro

La riduzione di 2 punti percentuali fino a 28 mila euro avrebbe una ricaduta anche sui redditi superiori. Un reddito annuo di 30 mila euro, per esempio, risparmierebbe il 5,5% fino a 28 mila euro, sui restanti 2 mila euro, poi, entrando nello scaglione successivo e immaginando invariata l’aliquota del 35% per i restanti 2 mila euro, vedrebbe scendere il risparmio a 4,6%; mentre un reddito di 40 mila risparmierebbe in valori assoluto il 2,6% di Irpef.
Nell’ipotesi che anche il secondo nuovo scaglione (da 28 mila a 50 mila euro) vedesse scendere l’aliquota dal 35% al 33%, un reddito annuo di 40 mila euro vedrebbe un risparmio Irpef di circa 500 euro totali, mentre uno di 50 mila euro toccherebbe quota -700 euro circa di Irpef.

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“Il Pd stia con noi”. Conte sfida la Schlein sull’Ucraina

martedì, Marzo 21st, 2023

William Zanellato

Giorgia Meloni è attesa, questa mattina al Senato e domani alla Camera, per le comunicazioni in vista del prossimo Consiglio europeo del 23 e 24 marzo. Tra i temi sul tavolo del vertice di Bruxelles ci sono il nodo immigrazione e il proseguimento del sostegno militare a Kiev. Se il centrodestra si presenta con una risoluzione unitaria e convinta sul sostegno armato alla resistenza di Kiev, le opposizioni procedono in ordine sparso. Le risoluzioni saranno tre, tutte con sfumature e posizioni diverse. Il Movimento 5stelle prova a smarcarsi e incalza il nuovo Pd a trazione Schlein sull’invio delle armi.

Conte sfida Schlein sull’invio di armi

Il nuovo campo largo, guidato da Elly Schlein eGiuseppe Conte, non riesce nemmeno a muovere i primi passi. Le passerelle anti-fasciste e i proclami dal palco della Cgil svelano solamente un’ipocrisia di fondo che aleggia nel campo della sinistra. In Aula, dem e grillini si dividono su tutto: prima sul salario minimo, ora sul conflitto russo-ucraino. Nella nuova linea pacifista anti-sostegno militare, il Movimento 5stelle ha trovato un nodo politico per attaccare Elly Schlein e ribaltare la narrazione che vede i grillini come ultima ruota del carro.

Un importante esponente penta stellato, raggiunto da Repubblica, evidenzia il punto focale della questione: “Mettere alla prova il pacifismo della Schlein, vediamo se davvero come dice vuole dare voce a quello che pensano i suoi elettori”. Un riassunto perfettamente in linea con le dichiarazioni del leader 5stelle, Giuseppe Conte: “Per quanto riguarda l’invio delle armi – spiega l’ex premier – abbiamo già dato. Mi auguro che il Pd, con il nuovo vertice, possa fare una scelta nella direzione che noi abbiamo già intrapreso”.

Le opposizioni in ordine sparso

Elly Schlein raccoglie la sfida lanciata dall’avvocato del popolo e spezza la finta unità creata, solo a parole, con i grillini. La mozione che il Partito democratico presenterà oggi in Parlamento, seppur con qualche modifica linguistica, ribadisce il pieno sostegno alla difesa dell’Ucraina. Nella bozza del testo della risoluzione la parola “armi” non c’è da nessuna parte mentre è presente la richiesta di“un’iniziativa diplomatica per la pace” guidata dall’Unione europea.

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La linea di Schlein: “Diplomazia, ma senza mollare la resistenza”

martedì, Marzo 21st, 2023

Francesco Grignetti

Sentendo il vento in poppa, dopo il successo delle sue prime uscite in piazza e ancora oggi in cerca del bis alla marcia antimafia di Milano, Elly Schlein guarda in Parlamento alle altre componenti dell’opposizione e cerca di puntare su quanto unisce. Per questo la risoluzione che il Pd presenta oggi al Senato contiene parole durissime su come il governo Meloni sta gestendo l’immigrazione, il terreno comune, l’arma con cui si può dare battaglia alla destra in modo unitario. Ma nonostante la condanna corale di Cutro, oggi al Senato salterà agli occhi soprattutto ciò che divide il Partito democratico dal M5S, e cioè il sostegno all’Ucraina.

Oddio, la mozione Schlein tenta di limare qualche spigolo. La parola «armi», per dire, non c’è da nessuna parte. Ma la sostanza è che il Pd ribadisce il pieno sostegno alla difesa dell’Ucraina e per tutto il tempo che sarà necessario. Non c’è alcun cambio di rotta, al fondo. Anzi, il Pd, guardando all’opinione pubblica più pacifista, rimarca la drammatica realtà dei fatti: la Russia è l’aggressore, l’Ucraina è uno Stato devastato alla cui popolazione sono state inflitte «immani sofferenze», a causa di Mosca si rischia un conflitto globale con ripercussioni in Medio Oriente e in Africa.

E c’è una novità che gli “equidistanti” forse non hanno valutato a sufficienza, specie il M5S, sempre attento alle ragioni della giustizia: Vladimir Putin ora è un ricercato, il mandato di cattura della Corte penale internazionale sancisce che l’esercito russo si sta accanendo sui civili. Putin stesso è ritenuto la mente della deportazione di migliaia di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia. Peraltro le conclusioni della CPI fanno seguito alla Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite.

Per tenere a bada i malumori interni al partito, la risoluzione avrà anche un forte appello alla diplomazia per uno sforzo politico dell’Unione. Obiettivo dev’essere il raggiungimento di una pace «giusta e duratura, basata sul rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina». Come arrivarci? Spiegano fonti del Pd: «Ci vuole un ulteriore rafforzamento dell’Ue, una pressione collettiva che ponga fine ai combattimenti e si ritiri dal territorio occupato». Ad esempio tagliando definitivamente le importazioni di gas e petrolio.

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Pnrr, governo all’esame Ue per la terza rata: la melina sui balneari complica i piani

martedì, Marzo 21st, 2023

ALESSANDRO BARBERA

ROMA. Sulla linea del telefono Roma-Bruxelles, più che delle modifiche al Piano nazionale delle riforme e di quel che l’Italia vuol fare coi fondi generosamente offerti dai Ventisette (siamo di gran lunga il primo beneficiario), si discute spesso di quel che l’Italia non ha fatto. Quanto si è effettivamente speso fin qui? Quindici miliardi? Venti? Sui siti ufficiali non vi è traccia di un cronoprogramma, né il governo ha ancora fornito alla Commissione dati chiari. I continui richiami di Paolo Gentiloni sono direttamente proporzionali al terrore per un epic fail all’italiana. L’ultimo rapporto presentato da Raffaele Fitto a Natale sull’uso dei fondi ordinari di coesione sta lì a dimostrare che non c’è nessun pregiudizio: siamo cronicamente incapaci di spendere presto e bene. Il ministro degli Affari comunitari – sulle cui spalle pesa il successo o l’insuccesso dell’enorme operazione – non si occupa d’altro, evitando il più possibile di esporsi con interviste e uscite pubbliche.

Il primo problema – e grosso – riguarda la seconda rata del 2022 chiesta a dicembre. Invece dei canonici due mesi, per giudicare il rispetto degli impegni sulle riforma gli uffici della Commissione si sono dati come scadenza il 30 marzo. Fin qui era accaduto solo due volte, con Romania e Bulgaria. Ai tecnici non è ad esempio chiara la riorganizzazione dei poteri a Palazzo Chigi. Chi si occuperà di monitorare il rispetto delle procedure e la destinazione dei fondi? Quali responsabilità resteranno in capo al Tesoro, la struttura che fin qui ha fatto quel lavoro? E ancora: quanto precisa è stata l’implementazione della riforma sulla concorrenza? Se – come molti sono convinti accadrà – Roma passerà indenne la scadenza di fine marzo, il governo avrà un altro mese a disposizione per chiedere le modifiche ai progetti del Piano.

Il pretesto trovato con una certa abilità diplomatica da Fitto è la redistribuzione di alcuni fondi minori rimasti inutilizzati, chiamati «Repower Eu». Per dirla in estrema sintesi: con la scusa di ridestinare poco meno di sei miliardi, il ministro sta cercando di cancellare le opere programmate sgradite al governo (o che non hanno alcuna speranza di essere realizzate entro il 2026) con altre comprese negli obiettivi del “Repower” dedicate allo sviluppo delle energie rinnovabili. L’obiettivo è di farlo nel modo più esteso possibile e per una ragione prosaica: quei progetti passano anzitutto attraverso gli investimenti delle grandi partecipate (su tutte Eni ed Enel) e dunque hanno molte più chance di essere realizzati entro la scadenza del 2026 di quante non ne abbiano molte proposte in mano a Comuni e Regioni. Chi ha visto le carte riservate parla di un rimescolamento che varrà ben oltre i dieci miliardi.

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Il vero nemico resta l’inflazione

martedì, Marzo 21st, 2023

Veronica De Romanis

Guidare la Banca centrale europea sta diventando sempre più complesso. In questi ultimi mesi, la Bce ha ricevuto molte critiche da diversi esponenti politici del nostro Paese. Per alcuni fa “troppo”, per altri “troppo poco”, per altri ancora fa “troppo tardi”. Eppure, fino allo scorso anno, l’operato di Francoforte non è mai stato messo in discussione. Il motivo è semplice. La politica monetaria era espansiva. Che cosa significa? I tassi venivano tenuti bassi e i debiti degli Stati membri dell’area dell’euro venivano acquistati in quantità significative. In particolare, durante la pandemia. L’obiettivo era quello di sostenere le famiglie e le imprese con iniezioni di liquidità e basso costo del denaro. Una simile politica non poteva che raccogliere il favore della classe dirigente di un’economia come la nostra che “vanta” il secondo debito in rapporto al Pil più elevato dopo quello greco. Con l’arrivo della crisi energetica, quindi dell’inflazione, la Bce ha dovuto “normalizzare” la sua politica mettendo fine al periodo (durato probabilmente troppo a lungo) dei tassi bassi. E, così, sono iniziate le critiche.

In primo luogo, si è detto che alzare i tassi era inutile in presenza di un’inflazione da offerta, cioè derivante dall’aumento dei prezzi dell’energia: tassi più alti non avrebbero cambiato la situazione che era il risultato di uno shock esogeno: l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Nel giro di pochi mesi, però, l’inflazione ha smesso di essere generata solo dal lato dell’offerta. Lo dimostra la dinamica dell’inflazione core, l’indicatore depurato dagli energetici e dagli alimentari. A febbraio ha raggiunto il 6,3 per cento, quasi un punto percentuale in più rispetto al mese di novembre. A fronte di questi dati, alzare i tassi è la cosa giusta da fare. Eppure, le critiche non sono finite. Sono in molti a ritenere che il rialzo dei tassi dovrebbe avvenire in modo ben più graduale. Una posizione che si è rafforzata in questi giorni con il fallimento della Silicon Valley Bank e i problemi della banca svizzera Credit Suisse.

L’incremento di mezzo punto percentuale deciso dal Consiglio direttivo della Bce giovedì scorso non è piaciuto a più di un esponente del governo. In particolare, il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha dichiarato che «aumentare il costo del denaro non è giusto perché arreca danno alle imprese». A suo avviso «bisognerebbe studiare una strategia differente per combattere l’inflazione». Studiare soluzioni alternative è certamente possibile. È bene, però, tenere a mente che – ad oggi -, variare i tassi (in aumento quando c’è inflazione, in diminuzione nel caso contrario) è la politica a cui ricorrono tutte le banche centrali. Nessuna esclusa. Chiaramente questa politica ha delle implicazioni. Del resto, è esattamente ciò che ci si aspetta che accada: tassi più elevati servono a raffreddare l’economia e, quindi, a calmierare la corsa dei prezzi. In altre parole, l’impatto negativo a cui fa riferimento Tajani è inevitabile quando si combatte l’inflazione che, non deve essere dimenticato – è una tassa che colpisce maggiormente le persone svantaggiate. Fa, quindi, molto bene la Bce a perseguire il suo obiettivo, ossia la stabilità dei prezzi. Il compito di chi ha responsabilità di governo dovrebbe essere quello di minimizzarne gli impatti. Ciò dovrebbe avvenire attraverso provvedimenti capaci di distribuire i costi tra i cittadini. Ma anche con scelte politiche volte a contribuire al rafforzamento dell’Unione.

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Vergogna nella curva della Lazio: cori antisemiti e una maglia inneggiante a Hitler

martedì, Marzo 21st, 2023

MATTEO DE SANTIS

Spuntano i video dei cori antisemiti, affiorano le foto della maglietta «Hitlerson 88» e fioccano gli attestati di solidarietà, accompagnati da promesse interventiste: sembra quasi di rivivere, all’indomani dello squallido spettacolo tra spalti, campo e spogliatoi proposto dal derby romano, un altro Giorno della marmotta della vergogna (non solo) curvaiola. Alzato il sacrosanto polverone per gli inqualificabili canti della curva laziale, intonati almeno tre volte durante la partita, incombe il rischio che l’indignazione possa terminare sotto il tappeto del silenzio e del lassismo con il passare dei giorni. «Una curva intera che canta cori antisemiti, un “tifoso” in tribuna con la maglia Hitlerson e il numero 88 e noi, come sempre, gli unici a indignarci e a protestare. Possibile che tutti continuino a far finta di nulla?», la domanda posta su Twitter da Ruth Dureghello, presidente della Comunità Ebraica di Roma, allegando i video di una parte dell’Olimpico laziale intento a cantare l’orrido motivetto «In sinagoga vai a pregare, ti farò sempre scappare… romanista vaff» e la foto di un sedicente tifoso biancoceleste con indosso la maglia con richiamo di nome (Hitlerson) e numero (l’88 rapportato all’alfabeto significa HH di «Heil Hitler») ad Adolf Hitler. «Impossibile far finta di nulla. Farò la mia parte, come sento di fare. Il rispetto è dovuto e non è negoziabile», il commento di Andrea Abodi, ministro per lo sport e per i giovani.

«Intollerabile. Preparo subito un’interrogazione al Viminale», scrive Ivan Scalfarotto, senatore di Italia Viva. Il prefetto Giuseppe Pecoraro, coordinatore nazionale per la lotta contro l’antisemitismo e già a capo della Procura della Figc al tempo dell’apparizione degli intollerabili adesivi raffiguranti Anna Frank romanista, lancia un’idea: «In caso di mancata identificazione dei responsabili è necessario un intervento sulle società per le quali fanno il tifo». Sull’ultimo atto del derby dell’inciviltà e della vergogna, giocato macabramente da anni dalle parti non sane delle due curve romane (con disgustose repliche come adesivi di Hitler con la casacca della Roma, ad esempio), dovrebbero arrivare le punizioni della giustizia sportiva, orientata a squalificare per due turni i rissaioli Marusic e Cristante, e ordinaria. Forse oggi, con la curva laziale già sotto esame per cori antisemiti nella sfida d’andata e nelle trasferte con Sassuolo, Lecce e Napoli, il Giudice Sportivo potrebbe decretare la chiusura della Curva Nord (almeno) contro la Juve. Molto vicino a essere identificato, invece, l’indossatore della maglia «Hitlerson 88»: rischia il Daspo.

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