Archive for Marzo, 2023

Globalizzazione e concorrenza: in Italia i salari giù del 2,9% in 30 anni

lunedì, Marzo 6th, 2023

di Milena Gabanelli e Giuseppe Sarcina

Ora vacilla anche il totem della libera concorrenza. Dagli Stati Uniti all’Europa il principio base dell’economia di mercato è rimesso pesantemente in discussione: le imprese, compresi i grandi gruppi industriali, non sono in grado di affrontare da sole la sfida epocale della transizione ecologica. Il presidente americano Joe Biden, la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen, i leader di diversi governi hanno già adottato o stanno studiando sovvenzioni, aiuti di Stato, agevolazioni fiscali. Tutte misure guardate con sospetto fino a poco tempo fa, specie nell’Unione europea. I Trattati che regolano la vita economica della Ue danno grande rilievo al principio della «libera concorrenza». Come si legge sul sito del Parlamento europeo, «le imprese devono essere in grado di competere alla pari tra di loro per offrire ai consumatori i migliori prodotti al miglior prezzo possibile», con benefici anche per l’innovazione e la crescita dell’economia nel suo complesso.

La concorrenza globalizzata

Questa dottrina economica e giuridica non sembra più in grado di mantenere le promesse diffuse da una drastica accelerazione negli anni Ottanta, prima negli Usa e in Gran Bretagna (Reagan e Thatcher) e poi nel resto d’Europa. Questi ultimi 40 anni sono stati segnati, in grande sintesi, da tre passaggi fondamentali che riguardano diversi Paesi, Italia compresa.
Primo: la vendita di aziende pubbliche (dalle autostrade alle telecomunicazioni) ai privati.
Secondo: il varo di nuove norme per liberalizzare il mercato del lavoro, ovvero l’introduzione di innumerevoli tipologie di contratto che ha dato vita ad una larga fascia di lavori precari od occasionali con poche garanzie contrattuali.
Terzo: l’apertura delle frontiere per facilitare gli scambi commerciali. Da questo punto di vista la data simbolo è l’11 dicembre 2001, con l’ingresso della Cina nel Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio. Di fatto l’inizio della «globalizzazione». Si pensava fosse questa la via migliore per alimentare lo sviluppo economico, benessere diffuso, dinamismo imprenditoriale, opportunità per i giovani più meritevoli. Ma non è andata esattamente così. Vediamo perché.

Il calo dei salari

I dati mostrano come il trionfo della concorrenza su scala planetaria abbia penalizzato i lavoratori, cioè la stragrande maggioranza dei cittadini. Che cosa è successo realmente? Da una parte le retribuzioni sono effettivamente aumentate, sospinte dagli adeguamenti contrattuali per recuperare l’inflazione, oppure perché i governi hanno alleggerito le imposte a carico dei lavoratori. Le cifre dell’Ocse, rielaborate da Stefano Bernabei per Openpolis, segnalano che dal 1990 a oggi, il valore medio lordo delle retribuzioni sia aumentato in 37 Paesi sui 38 che aderiscono all’organizzazione (del 33,7% in Germania, del 31,1% in Francia). L’unico Stato in cui sono calate è proprio l’Italia: -2,9% rispetto agli importi del 1990.

Ma attenzione, nonostante questi incrementi, in generale i salari non sono cresciuti in modo proporzionale rispetto all’aumento del prodotto interno lordo. La torta della ricchezza si è allargata, però la fetta destinata ai lavoratori non è aumentata abbastanza per mantenere le stesse proporzioni che c’erano negli anni Ottanta, prima della globalizzazione. Il Fondo monetario internazionale ha calcolato che dal 1980 al 2017 la quota del prodotto interno lordo (la fetta di torta) destinata ai salari e stipendi è diminuita in 26 Paesi industrializzati, passando dal 66,1% al 61,7%. Le medie però nascondo differenze importanti fra singoli Paesi, come mostra lo studio pubblicato il 22 settembre 2022 dall’istituto Bruegel di Bruxelles in collaborazione con il German Marshall Fund, la quota destinata ai salari in Germania nel 1980 era pari al 71%, oggi è al 63%. I dipendenti francesi partivano dal 75% e si ritrovano al 66%, mentre l’Italia è passata dal 68% al 59%.

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Come cambia il Reddito di cittadinanza, nel 2023: due importi, a settembre diventa Misura di inclusione

lunedì, Marzo 6th, 2023

di Enrico Marro

I testi abbozzati dal ministero del Lavoro sono da qualche giorno alla valutazione del Tesoro perché per fare tutto, compreso l’allargamento della platea di lavoratrici ammesse a Opzione donna e il rafforzamento delle politiche attive,servirebbe quasi un miliardo di euro. Ma il tempo stringe e nel giro di un paio di settimane la ministra del Lavoro, Elvira Calderone, porterà in consiglio dei ministri almeno il decreto legge per riformare il Reddito di cittadinanza.

La stessa ministra ha rassicurato le parti sociali, che seguono con una certa preoccupazione il dossier, che il sussidio per i poveri non sparirà, anche per i cosiddetti «occupabili», cioè coloro che potrebbero lavorare, ma verrà sostituito da uno strumento che ha definito «Misura di inclusione attiva». Il nuovo acronimo dovrebbe quindi essere Mia.

Il via a settembre

La misura scatterà già quest’anno, dopo i sette mesi di proroga accordati ai beneficiari del Reddito di cittadinanza con la legge di Bilancio 2023. La Mia si dovrebbe quindi poter chiedere da agosto o più realisticamente dal primo settembre.

I potenziali beneficiari, in linea con quanto deciso con la manovra, verranno divisi in due platee: famiglie povere senza persone occupabili e famiglie con occupabili. Le prime sono quelle dove c’è almeno un minorenne o un anziano over 60 o un disabile. Le seconde quelle dove non ci sono queste situazioni ma almeno un soggetto tra 18 e 60 anni d’età. In sostanza, gli occupabili (stimati in 300 mila nuclei monofamiliari più 100 mila nuclei con più membri), che beneficiano dell’attuale Reddito al massimo per 7 mesi nel 2023 e comunque non oltre il 31 dicembre, scaduta la prestazione potranno presentare la domanda per la Mia: che però, per loro, sarà meno generosa e avrà una durata inferiore rispetto al Reddito di cittadinanza e anche alla Mia di cui beneficeranno le famiglie senza persone occupabili.

Occupabili e non

Tuttavia anche per questi nuclei, composti di poveri senza possibilità di inserimento nel mercato del lavoro, la riforma prevede una stretta. Queste famiglie continueranno a ricevere un sussidio, la Mia appunto, il cui importo base (per un single) dovrebbe restare di 500 euro al mese, come nel Reddito. C’è invece ancora discussione sulla quota aggiuntiva nel caso in cui il beneficiario debba pagare l’affitto. Il Reddito prevede fino a 280 euro al mese. Con la Mia questa quota potrebbe essere alleggerita e modulata sulla numerosità del nucleo familiare. Ma la stretta maggiore colpirà gli occupabili. Qui l’ipotesi che ha più chance è quella che vede l’assegno base ridotto a 375 euro. Inoltre, mentre per i poveri tout court la Mia durerà, in prima battuta, fino a 18 mesi (come ora il Reddito), per gli occupabili non più di un anno.

Il decalage

A completare la stretta, la proposta del governo dovrebbe recuperare anche l’idea del decalage avanzata alcuni mesi fa dal sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon. Il nuovo sussidio, in sostanza, non si potrà più chiedere a ripetizione, come il Reddito, ottenendo ogni volta altri 18 mesi di assistenza. Per le famiglie senza occupabili, dalla seconda domanda in poi, la durata massima della Mia si ridurrà a 12 mesi. Come accade ora, prima di chiedere nuovamente la prestazione dovrà passare almeno un mese.

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L’ultimo jolly di Putin: la superbomba

domenica, Marzo 5th, 2023

Federico Giuliani

Pesa 1,5 tonnellate, contiene 1.010 chilogrammi di esplosivo e può colpire obiettivi altamente protetti situati che si trovino in un raggio d’azione di 40 chilometri. Sono queste le caratteristiche principali della bomba planante UPAB-1500B usata alcune settimane fa, per la prima volta in Ucraina, dall’esercito russo. La notizia è stata diffusa soltanto adesso dal sito Defense Express che ha citato fonti anonime. Se il rapporto dovesse essere confermato Mosca avrebbe nella propria manica un nuovo asso da prendere seriamente in considerazione.

L’asso di Mosca

Da quanto appreso, i russi avrebbero utilizzato la potente bomba guidata progettata per colpire obiettivi “altamente protetti a una distanza fino a 40 km grazie ai suoi 1.010 kg di esplosivo ad alto potenziale”. La prova che l’episodio sia effettivamente avvenuto? Tra alcuni rottami recuperati c’erano resti di segni che corrispondevano proprio alla UPAB-1500B.

Questa bomba, svelata in Russia nel 2019, sarebbe stata usata qualche settimana fa nella regione di Chernihiv, nel nord dell’Ucraina. Non si conosce quale sia stato l’obiettivo. Lunga 5,05 metri con un diametro di 40cm, la bomba può essere sganciata fino a 15 chilometri di un’altitudine.

La bomba planante UPAB-1500B

Una munizione del genere è destinata a ingaggiare bersagli terrestri e di superficie, semi- e completamente temprati, di piccole dimensioni. Con un peso di 1.525 kg, la bomba guidata trasporta una testata ad alto esplosivo (HE) da 1.010 kg accoppiata con un’unità di navigazione combinata (un’unità di misurazione inerziale e un ricevitore satellitare), nonché un fusibile di contatto con tre modalità di ritardo.

Scendendo nei dettagli, l’UPAB-1500B-E è lunga 5,05 metri e ha un diametro di 0,4 metri. Può, come detto, essere lanciata da un’altitudine di 15 chilometri a una distanza massima di 50, con un errore circolare possibile (CEP) fino a 10 metri.

Parlando al MAKS 2019, il direttore generale della regione GNPP Igor Krylov dichiarava che l’UPAB-1500B-E aveva superato i processi statali. Questi sistemi sarebbero in fase di consegna ai militari e sarebbero già stati firmati i primi contratti di esportazione.

Una nuova minaccia

La suddetta munizione planante è stata dimostrata nel 2019 alla mostra MAKS, nella versione da esportazione con l’indice К029БЕ, dallo sviluppatore “GNPP Region“, che fa parte della società “Tactical Armament”. Allo stesso tempo, è stato riferito che questa bomba è già stata testata e messa in servizio con la divisione aerospaziale delle forze armate della Federazione Russa. Avrebbe inoltre già ricevuto i primi ordini di esportazione.

L’alta minaccia dell’utilizzo dell’UPAB-1500B deriva dal fatto che la bomba in questione appartiene agli alianti, è dotata di un sistema di navigazione inerziale e satellitare, e ha una testata progettata per colpire oggetti altamente protetti.

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Troppe volgarità, Pier Silvio Berlusconi cancella la replica della puntata del Gf Vip

domenica, Marzo 5th, 2023

Niente replica per la serata del Grande Fratello Vip 7 prevista su La5. E’ stato lo stesso Pier Silvio Berlusconi a voler cambiare il palinsesto, dopo aver visto l’ultima puntata andata in onda con toni volgari e numerose parolacce in diretta. In diretta, appunto, ma non in differita, secondo la decisione di Pier Silvio.

Volgarità non tollerate, giudicate eccessive e per questo niente più replica della trasmissione condotta da Alfonso Signorini su La5, dopo la diretta su Canale 5: al posto delle vicende degli abitanti della «casa», un film.

LA STAMPA

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Lo sfogo di Spielberg: “L’antisemitismo è qui non se n’è mai andato”

domenica, Marzo 5th, 2023

Simona Siri

NEW YORK. «L’antisemitismo c’è sempre stato, che fosse dietro l’angolo o leggermente nascosto, è sempre stato in agguato. Nella Germania degli anni ’30 è stato palese. Oggi, l’antisemitismo non è più in agguato, ma è in piedi, orgoglioso con le mani sui fianchi come Hitler e Mussolini, che ci sfida a guardarlo in faccia». Sono le parole pronunciate dal regista Steven Spielberg a Stephen Colbert durante un’intervista registrata andata in onda giovedì sera durante il Late Night Show. L’occasione è l’avvicinarsi della notte degli Oscar, prevista per domenica 12 marzo: il nuovo film di Spielberg, The Fabelmans, è candidato a sette statuette tra cui quelle più importanti per miglior regista e miglior film. Considerato il suo lavoro più personale e autobiografico, il film racconta la vita della famiglia Fabelman/Spielberg, della separazione dei genitori dopo che viene alla luce la storia della madre con il miglior amico e socio del padre. Racconta anche la nascita della passione del giovane Steven (nel film Sammy) per il cinema e di come, arrivato in California negli anni ’60, sia stato vittima di bullismo, deriso e picchiato per il suo essere ebreo.

«The Fabelmans non è un film sull’essere ebrei tanto quanto è soffuso di ebraicità», ha scritto sul New York Times Jason Zinoman. «È una cosa che in questi termini non avevo mai sperimentato, soprattutto in America», ha continuato Spielberg da Colbert. «L’emarginazione di persone che non fanno parte di una sorta di razza maggioritaria è qualcosa che si è insinuato in noi per anni e anni. Di recente l’odio è diventato una sorta di appartenenza a un club che ha raccolto più membri di quanto avessi mai pensato fosse possibile in questo Paese. E odio e antisemitismo vanno di pari passo, non si può separare l’uno dall’altro». Nato in Ohio nel 1946, Spielberg ha vissuto con la sua famiglia in Arizona prima di arrivare in California. «Spesso eravamo l’unica famiglia ebrea del quartiere. Ero imbarazzato, impacciato. Sono sempre stato consapevole di distinguermi per la mia ebraicità. Al liceo, sono stato preso a schiaffi e a calci. Due nasi sanguinanti. È stato orribile», ha detto in passato. Un rapporto, quello con le sue origini, non sempre facile. Pur avendo membri della famiglia morti nell’Olocausto, Spielberg da giovane non è mai stato troppo interessato all’argomento. Decide di girare Schindler’s List solo nel ’93, a 46 anni, dopo aver rifiutato il film 10 anni prima, nel momento in cui decide di riavvicinarsi alla sua identità ebraica. «Quando sono nati i miei figli, ho fatto la scelta che volevo che crescessero come ebrei e che ricevessero un’istruzione ebraica», scrive nella sua biografia dove racconta anche il modo particolare in cui ha imparato i numeri: «Da un sopravvissuto di Auschwitz che usava il tatuaggio sul braccio per insegnarmeli. Si rimboccava le maniche e diceva: “Questo è un quattro, questo è un sette, questo è un due”. È stato il mio primo concetto di numeri. In modo strano, la mia vita è sempre tornata alle immagini che circondano l’Olocausto. Faceva parte della mia vita, era ciò che i miei genitori mi raccontavano a tavola. Abbiamo perso cugini, zie, zii».

Le sue parole oggi rispecchiano la preoccupazione di molti ebrei americani: i dati della Anti-Defamation League – l’organizzazione che dal ’79 monitora gli incidenti antisemiti – parlano di un aumento del 167% rispetto all’anno precedente per quanto riguarda molestie, atti vandalici e violenze dirette contro gli ebrei. Tra queste l’episodio più grave rimane l’attacco del 2018 alla sinagoga Tree of Life di Pittsburgh, dove un uomo armato uccise 11 fedeli ebrei, così come il famoso raduno «Unite the Right» a Charlottesville, in Virginia, due anni prima, dove i manifestanti estremisti cantavano «gli ebrei non ci sostituiranno». Altre opere recenti stanno provando a raccontare questo nuovo antisemitismo.

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È l’Africa la nuova trincea dei mercenari di Putin

domenica, Marzo 5th, 2023

di Maurizio Molinari

La Russia non riesce a vincere militarmente in Ucraina ma investe risorse nel Sahel al fine di trasformare l’Africa in una nuova trincea della competizione strategica contro l’Occidente che si gioca nello scacchiere cruciale del Mediterraneo allargato.

Minniti: “L’Europa scommetta sull’Africa: farà bene a entrambe”

di Lucio Caracciolo, Guglielmo Gallone 10 Febbraio 2023

Di questo si è parlato a Roma durante l’incontro a porte chiuse fra il generale americano Michael Langley, capo del Comando Africa (Africom) del Pentagono, e i capi di Stato Maggiore di 43 Paesi africani “partner” di Washington (su un totale di 54). Poco prima in Senegal si era svolta un’analoga seduta fra i capi delle aviazioni militari di 38 Paesi africani con i rappresentanti americani. Per comprendere le ragioni della preoccupazione di Washington bisogna guardare alla mappa della presenza della Brigata Wagner nel Continente. I mercenari russi e filorussi guidati da Yevgeny Prigozhin – l’ex cuoco di Putin diventato uno dei suoi più stretti consiglieri militari – proteggono tre basi di Mosca nella Cirenaica libica grazie all’intesa con le milizie del generale Khalifa Haftar, controllano miniere di diamanti ed oro nella Repubblica Centrafricana, hanno basi in Sudan ed ora puntano a rovesciare il governo di Mahamat Idriss Déby in Ciad.

 proprio quest’ultimo tassello della penetrazione russa che ha fatto scattare l’allarme a Washington. Mahamat Idriss Deby è salito al potere nell’aprile del 2021 dopo l’uccisione del padre Idriss Deby da parte dei ribelli del Fronte per l’Alternanza e la Concordia in Ciad (Fact) e da diversi mesi un altro gruppo della guerriglia, l’Unione delle forze repubblicane di Timan Erdimi chiede al presidente della Repubblica Centrafricana, Faustin Archange Touadera, di “convincere i russi” a “intervenire in Ciad” per “cacciare Mahamat ed i francesi”.

Seppur indebolita dalle perdite subite in Ucraina, la Brigata Wagner resta in grado di gestire con efficacia operazioni militari in Africa e se riuscisse a insediarsi in Ciad raggiungerebbe due obiettivi non indifferenti. Primo: creare una continuità territoriale con Libia, Repubblica Centrafricana e Sudan ovvero un blocco di Stati filorussi a cavallo del Sahara. Secondo: privare gli Stati Uniti delle basi operative ciadiane da dove truppe speciali e droni alleati intervengono contro i gruppi jihadisti fedeli a Stato Islamico e Al Qaeda che operano in Niger, Camerun, Nord della Nigeria e altrove nel Sahel. Se a questo aggiungiamo l’aumentata visibilità di gruppi filorussi in Mali dopo il ritiro delle forze francesi e il sospetto che la Brigata Wagner sia riuscita anche a fomentare l’ostilità popolare che ha obbligato Parigi – dopo ben 15 anni – a ritirare i militari dal Burkina Faso, non è difficile capire perché il generale Langley abbia spiegato ai colleghi africani che “dopo aver destabilizzato il Sahel negli ultimi anni, ora i russi puntano a espandere la loro presenza” in quest’area strategica.

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Da Firenze arriva l’urlo dei giovani contro l’indifferenza

domenica, Marzo 5th, 2023

di Corrado Augias

L’annuncio è stato “Siamo quarantamila!”, forse è vero probabilmente no, ma non ha tutta questa importanza. Dopo mesi di silenzio delle piazze conta più il clima dei numeri che di necessità sono sempre approssimativi. Il clima a Firenze è stato quello giusto e non parlo dell’abbraccio tra Schlein e Conte, forse ne scaturirà un accordo politico, vedremo. Parlo proprio della piazza che si riscuote da un lungo letargo in nome di quell’antifascismo che, dopo il 1° gennaio 1948, è alla base della nostra civile, pacifica convivenza.


Giorni fa su questo giornale Luigi Manconi constatava con rammarico il silenzio, l’apatia, un po’ di tutti su una situazione politica degradata e incerta. Aveva ragione Manconi ma non poteva chiedere una risposta, come invece faceva, ai Grandi Vecchi. La risposta è arrivata sabato da Firenze ed è una risposta che ha la voce della scuola, cioè dei giovani, potrebbero essere loro il segnale di quel piccolo clic che rimette in moto il meccanismo inceppato della democrazia.


Durante la campagna elettorale il tema dell’antifascismo è stato più volte dichiarato eccessivo o pleonastico, un inutile richiamo ad un lontano passato. È successo invece che il comportamento di alcuni ministri ha reso evidente la giustezza di quelle preoccupazioni. Il ministro Giuseppe Valditara, con ogni dovuto rispetto, non ha capito che il suo richiamo alla preside Annalisa Savino per la lettera da lei scritta era profondamente ingiusto. Quella lettera avrebbe meritato l’elogio, non il biasimo, di un ministro che assumendo l’incarico ha giurato fedeltà alla Costituzione. Lo spirito di quella lettera rispecchiava la Costituzione, il richiamo del ministro la negava. Di fronte alle critiche, il ministro è sembrato cadere dalle nuvole, mi è parso di vedere sincero stupore nelle sue reazioni, era evidente la sua buona fede ed è proprio questo l’aspetto più inquietante.

La stessa buona fede, la stessa sorpresa, l’ho letta nella reazione del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi quando ha detto, con candore, che i migranti non dovrebbero partire col brutto tempo. Uguale stupore di fronte alle critiche ha dimostrato il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano che, con perfetta innocenza, aveva proclamato Dante fondatore della cultura di destra. Perché dico che proprio l’innocenza è l’aspetto più inquietante? Perché le loro reazioni rivelano di quale cultura questi uomini, oggi rappresentanti dello Stato, si siano nutriti, con quanta superficialità abbiano letto davanti al presidente della Repubblica la formula della loro investitura.

Parole semplici, un solo stringato periodo: “Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi, di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione”. Per osservare lealmente la Costituzione bisognerebbe in primo luogo sapere che cosa c’è scritto in quel sudatissimo pezzo di carta, al prezzo di quali lotte il famoso popolo italiano sia finalmente riuscito ad avere, con ritardo su altri paesi, la sua carta fondamentale dei diritti.


Qui torna il discorso sulla manifestazione di Firenze e sull’antifascismo richiamato con insistenza durante la campagna elettorale di settembre. Nessuno pensa che Giorgia Meloni si affaccerà un giorno dal balcone di palazzo Venezia osannata dalla folla. Il fascismo che si deve temere non sono le camicie nere, l’olio di ricino per gli oppositori, gli scalmanati che gridano Duce, a noi! L’eterno fascismo, come scriveva Umberto Eco, è quello inconsapevole di chi s’è nutrito d’indifferenza, di vecchi pregiudizi, di chi non si rende conto che accusare o deridere Elly Schlein per la sua ebraicità è un atteggiamento orribile anzi, dopo quello che è successo nel XX secolo, intollerabile.

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La banca clandestina

domenica, Marzo 5th, 2023

di Carlo Bonini (coordinamento editoriale), Giuliano Foschini, Antonio Fraschilla. Coordinamento multimediale di Laura Pertici. Produzione Gedi Visual

In Italia c’è una banca segreta con filiali a Roma, Firenze, Padova, Prato, Napoli e Reggio Calabria. Un istituto di credito che muove miliardi di euro verso la Cina offrendo servizi speciali per clienti speciali. “China underground bank” la chiamano gli investigatori italiani, a partire da quelli della Guardia di finanza: i primi a capire che qualcosa di strano si sta muovendo nel nostro Paese. Una sigla che adesso è entrata anche nei sistemi dell’Europol, che ha già lanciato un alert a tutte le polizie dell’Unione europea. Perché qui non si tratta più di “singole operazioni sospette” e nemmeno di piccole transazioni di cinesi che inviano soldi in Madrepatria, frutto di riciclaggio ed evasione spesso della stessa economia illegale cinese in Italia. Ma nel sottosuolo del nostro Paese si sta muovendo un sistema organizzato e complesso. Che comincia allo “sportello” qui da noi e arriva dall’altra parte del mondo. Probabilmente grazie a una regia unica che potrebbe anche sfruttare una copertura statale: ma su questo aspetto indagini sono in corso. Di certo la banca segreta made in China è in grado di riciclare somme miliardarie senza lasciare traccia.
Ecco perché a questo istituto di credito sommerso si rivolgono non solo i cinesi stessi che hanno liquidità frutto di evasione fiscale con il meccanismo ormai noto e collaudato egli “apri e chiudi”: aziende fantasma che non versano Iva e contributi e che chiudono prima ancora che la Finanza possa entrare nei loro conti. Ma a questa banca sotterranea si rivolgono anche i narcotrafficanti legati alla Camorra e alla ‘ndrangheta per pagare i più feroci cartelli della droga colombiani; oppure gli imprenditori in gran parte del Nord-Est che hanno capitali in banca frutto di evasione e vogliono riciclarli in fretta prima che qualcuno delle forze dell’ordine metta il naso nei loro affari; e, ancora, agli “sportelli” cinesi si rivolgono oligarchi russi che dopo le sanzioni per la guerra in Ucraina non possono fare acquisti tracciati in Italia, e gli stessi super ricchi cinesi che vogliono fare shopping nelle grandi vie della moda tra Milano, Firenze e Roma senza rispettare il limite di 50 mila euro fissato dalle banche cinesi nei loro conti per spese all’estero. Perfino gli imprenditori edili protagonisti di truffe milionarie sul superbonus hanno avuto contatti con “funzionari” della banca segreta cinese.
In cambio i dirigenti di questo grande istituto di credito nascosto incassano percentuali delle somme da movimentare per il disturbo: soldi che, quasi per un obbligo di Pechino, tornano tutti in patria.

Flourish logo

A Flourish network chart

Ecco: i soldi dei cinesi in Italia devono tornare in gran parte a Pechino, questa è stata sempre la regola in fondo. Così la banca segreta spiega il motivo di un altro fenomeno molto strano che negli ultimi dieci anni la Banca d’Italia ha registrato: il crollo delle rimesse ufficiali dei cinesi in Italia verso la Cina. Dai 5 miliardi di euro del 2017 si è passati ad appena 9 milioni del 2021. Un dato in controtendenza con ogni logica sociale ed economia: perché l’ordine di Pechino non è cambiato e il guadagno di aziendine e negozietti cinesi nel nostro Paese non deve essere reinvestito qui, per non lasciare nulla all’Occidente; ma soprattutto perché il numero di partite iva cinesi in Italia è cresciuto in questi dieci anni,  quasi triplicato. Dunque, come è possibile che le rimesse sono crollate fino a scomparire e nel frattempo non un punto di Pil in più ha registrato l’Italia dall’aumento dell’economia Sinica?
Il generale Bruno Buratti, oggi a capo dell’area Italia Centrale ed ex comandante dell’area Triveneto della Finanza, che negli anni scorsi ha coordinato alcune importanti operazioni sulla movimentazione di denaro in Cina, nell’ultima relazione che ha firmato per il Veneto ha affermato che <tra il 2008 e il 2020 solo nel Nord-Est sono state aperte da cinesi 15 mila partite Iva e il 55 per cento ha dichiarato zero euro, il 20 per cento tra 6 mila e 0 euro di fatturato>. E che in Veneto <gli interventi ispettivi nei confronti di ditte individuali cinesi hanno consentito agli inquirenti di scoprire un debito tributario pari a 2 miliardi di euro a fronte di un recupero di appena 50 milioni di euro>. Dove sono finiti tutti questi soldi?
La grande banca sotterranea spiega cosa sta accadendo: soltanto questo “istituto” starebbe movimentando da 1 a 2 miliardi di euro all’anno facendo arrivare un fiume di denaro nei conti correnti delle grandi banche di Stato cinesi: come, a esempio, The Agricultural bank of China, Bank of China, China citic bank, Cina construction bank corporation. Si stima, a volersi tenere bassi, che oltre 15 miliardi di euro dall’Italia, tramite triangolazioni che coinvolgono società fantasma in Slovenia, Bulgaria e soprattutto Ungheria, quest’ultima diventata una quinta colonna dell’economia cinese in Europa, sono arrivate negli ultimi anni nelle filiali dello Stato guidato da Xi Jinping. I numeri sono impressionanti, tanto che è stata costituita una unita ad hoc al comando centrale della Guardia di finanza.
Ma come funziona questa banca? Chi davvero si rivolge a queste “filiali” nascoste per riciclare soldi, pagare i cartelli del narcotraffico o semplicemente per avere contanti da poter spendere in tranquillità?  E chi sono i cinesi coinvolti in queste operazioni? Sono tutti prestanome o ci sono anche leader delle comunità locali?
La risposta a queste domande sta arrivando da un grande viaggio a ritroso che gli inquirenti stanno facendo, oltre alle indagini in corso e molto importanti per cifre in ballo. Ma è la storia passata che sta spiegando il presente, come sempre accade: così, riprendendo anche vecchie operazioni nelle quali ci si era concentrati sull’evasione o sul traffico di droga e poco sulla movimentazione del denaro, si stanno riannodando i fili nascosti di questa banca segreta. Le indagini, e le storie che queste inchieste raccontano, stanno consentendo di comporre il grande puzzle della banca underground cinese in Italia in maniera nitida e chiara: senza questa banca i soldi non potrebbero tornare in Patria ed è quindi l’anello finale di una catena di comportamenti e azioni che sembra davvero frutto di un grande libro delle istruzioni.  Perché c’è un corollario di questa vicenda. Gli inquirenti ritengono ormai che ci sia una sorta di manuale dell’economia illegale cinese per creare nero attraverso aziendine apri e chiudi e commercio di prodotti contraffatti: con l’obiettivo poi di far tornare i proventi in Patria. Una tesi che se dimostrata aprirà anche un fronte politico. È questa l’altra faccia della medaglia, insieme al denaro, della China underground bank d’Italia.

Gli italiani evasori

Questa storia inizia a emergere in controluce da alcune indagini che hanno come fulcro centrale l’evasione fiscale degli imprenditori italiani. Nel febbraio del 2014, a esempio, la polizia del Ticino insieme alla Guardia di finanza scopre un meccanismo che somiglia davvero a un gioco dell’oca. Da una parte un gruppo di imprenditori evasori italiani, con aziende oltre confine che attraverso canali illeciti, società fasulle, sponsorizzazioni sportive gonfiate e false fatturazioni, facevano arrivare bonifici per milioni di euro su conti bancari in Ticino. Dall’altra, la comparsa di due cinesi che si occupavano di far transitare questi soldi dai conti correnti del Ticino verso la Cina. In questa operazione le Fiamme gialle seguendo un cinese arrivano a un appartamento a Milano. Entrano e trovano un deposito con centinaia di migliaia di euro in contanti: l’abitazione era di un cinese già condannato per criminalità organizzata. Chiaramente tutto avveniva grazie alla compiacenza di un dipendente della banca ticinese e di un consulente finanziario che faceva da commercialista agli italiani. Un caso isolato, si pensa.

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Guerriglia anarchica a Torino, il ricatto della violenza che rafforza il partito del 41-bis

domenica, Marzo 5th, 2023

Luigi La Spina

Manifestare è un diritto sancito dalla nostra Costituzione e scendere in piazza contro il 41 bis è del tutto legittimo. Sia la Corte costituzionale, sia quella europea hanno criticato quella speciale carcerazione, nata in situazioni d’assoluta emergenza e giustificabile solamente in particolarissimi e comprovati casi. Quando, cioè, ci siano prove sicure di collegamenti tra il carcerato e gruppi malavitosi o pericolosi nemici della nostra democrazia. Ma le devastazioni della città che hanno caratterizzato il corteo di ieri a Torino avranno un effetto sicuramente controproducente per la sorte di Alfredo Cospito, perché sembrano costringere lo Stato a non subire il ricatto della violenza, mantenendo l’anarchico al 41 bis. Sarà probabilmente proprio Cospito, perciò, il primo a rammaricarsi per l’epilogo inaccettabile di una manifestazione che era cominciata in modo civile ed è finita nel peggiore dei modi.

I timori della vigilia per l’appello a gruppi anarchici e insurrezionali di tutt’Europa a partecipare al corteo di Torino non erano purtroppo infondati, come qualcuno aveva affermato nei giorni scorsi. L’impressione era che l’occasione si prestasse non tanto a esprimere solidarietà all’anarchico in sciopero della fame, né a protestare contro il 41 bis, ma allo sfogo di una violenza incontrollata lungo le strade della città.

Così, i peggiori pronostici si sono avverati, con un premeditato piano di battaglia cittadina che non ha avuto nemmeno l’ipocrita giustificazione di provocazioni repressive da parte delle forze dell’ordine. Anzi, l’imponente presenza della polizia e dei carabinieri è riuscita a controllare la manifestazione in modo tale che non si è arrivati a scontri con gravi feriti, come è avvento in tempi passati.

La furia dei partecipanti si è così abbattuta su obiettivi assolutamente non giustificati da alcuna motivazione: vetrine sfasciate, auto distrutte, facciate di palazzi imbrattati, sedi di banche assaltate. Una rincorsa tra le strade del centro cittadino tra manifestanti e chi cercava di fermarli senza senso, se non quello di danneggiare Torino.

Non si capisce davvero come tali atteggiamenti possano indurre un’opinione pubblica, comprensibilmente divisa sull’opportunità di mantenere il 41 bis, ma disposta a riflettere seriamente sulla questione, a propendere per quella soluzione che gli anarchici dichiarano di voler sostenere.

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Firenze, selfie e sorrisi (un po’ tesi) per l’esordio in piazza di Elly Schlein, la «compagna segretaria»

domenica, Marzo 5th, 2023

di Fabrizio Roncone, inviato a Firenze

Alla manifestazione antifascista l’abbraccio (misurato) di Maurizio Landini. E ora la cercano i bonacciniani. In corteo sfilano anche vecchie e logore bandiere del Pci. Le mamme con sciarpa arcobaleno

Firenze, selfie e sorrisi (un po’ tesi) per l’esordio in piazza di Elly Schlein, la «compagna segretaria»

Urla antiche.
Dov’è Elly?
Qualcuno ha visto Elly?
Oh, dov’è finita la compagna segretaria? (roba da documentario: compagna segretaria, la chiamano).
Calma. Stanno arrivando anche Conte e Landini e comunque Elly è lì sotto, sommersa da quella tonnara di fotografi e di cameramen, di militanti giovani e di anziani con il fazzoletto dell’Anpi al collo.

Ci sono anche operai e disoccupati, presidi e insegnanti, bidelli precari, una folla di sinistra con facce di sinistra, certi con le vecchie e logore bandiere del Pci, di Rifondazione, e poi ci sono mamme con la sciarpa arcobaleno e papà venuti a difendere la Costituzione e i propri figli dai pestaggi delle nuove squadracce nere: tutti scossi e però anche mossi da un sentimento di legittima curiosità, un miscuglio di automatico affetto e stupore ancora non sopito, perché non era proprio scontato di potersi ritrovare, in una giornata così, con una segretaria alla guida del Pd e, addirittura, del corteo.

Ecco, appunto.

«Meglio fermarci e aspettare gli altri due», suggerisce pieno di saggezza politica Dario Nardella, con la fascia tricolore da sindaco di Firenze e quella certa confidenza con Elly da far sospettare che, nonostante alle primarie fosse schierato con Stefano Bonaccini, le chiacchiere sul suo destino imminente (sarà presidente o, piuttosto, vice-segretario del partito?) possano avere un solido fondamento.

Lei, Elly Schlein, un po’ pallida e forse un po’ tesa in questo esordio di popolo, con il solito outfit da centro sociale, la solita estrema attenzione a non sbagliare mosse, niente lasciato al caso, smorfie, parole, carezze ai bambini, mentre tutti le chiedono un selfie, perché c’è ormai questa moda assurda anche nei cortei, e se hanno chiesto un selfie a Maria De Filippi davanti al feretro di Maurizio Costanzo, figuriamoci se si lasciano sfuggire Elly. Ai ragazzi che le cantano «Bella ciao», dice «Grazie e complimenti», e poi, di botto, molto teatrale, sparisce alla vista, lasciandosi inghiottire dal mischione e accovacciandosi, il cellulare all’orecchio e una mano davanti alla bocca.

Siamo fermi sul Lungarno della Zecca Vecchia, sotto l’hotel Ritz, sotto un sole improvvisamente caldo: con i manifestanti che sfilano diretti verso piazza Santa Croce, dov’è stato allestito il palco, ma molti di loro non resistono all’idea di indugiare, e buttare un occhio. Così Elly chiude la telefonata e si rialza in piedi, ricompare tra spinte e gomitate, tutti si ondeggia pericolosamente, c’è uno che cade, parte un bestemmione, la verità è che il servizio d’ordine della Cgil sembra composto da frati trappisti, niente a che vedere con i leggendari energumeni che arrivavano dai porti di Genova e di Livorno, tipi che avevano bicipiti come tronchi, e mani come pale.

Pure il segretario generale Maurizio Landini è seguito da una scorta un po’ sfilacciata. Nardella, tattico: «Elly, eccolo…». E allora lei mette su un sorriso un po’ fisso, e gli va incontro. Lui è uno di quegli uomini incapaci di fingere, e se fingono, te ne accorgi. Prima gli hanno chiesto con insistenza, pitoneschi, se fosse contento di ritrovarsi circondato dalle bandiere del Pd. «Ma questa è una manifestazione di tutti», ha risposto Landini, gelido. L’abbraccio con Elly è — diciamo così — di circostanza. Buono per i fotografi, già un po’ meno per le telecamere (molte croniste televisive sono furibonde, dovranno montare i servizi con immagini accroccate: il fatto è che la Schlein si muove ancora, praticamente, senza ufficio stampa, senza staff comunicazione; adesso: va bene farsi intervistare e consacrare dal New York Times, ma mediaticamente è qui, in Italia, che deve funzionare).

Meglio, comunque, più partecipati, gli abbracci con capi e capetti di partito. Affettuosità con Cuperlo, Provenzano e Zingaretti. La Gribaudo, con lo sguardo tipo: io sono molto amica sua, eh. Più discreto Marco Furfaro (segnatevi questo cognome: rapido, colto, talento politico in purezza). Grande affetto dei manifestanti per Roberto Speranza: «Grazie, ministro, di averci guidato fuori dal Covid». Poi è arrivata Debora Serracchiani. Meravigliosa. Aveva scommesso tutto su Bonaccini, ma ora briga per essere confermata — lo stesso — al comando del gruppo alla Camera: e allora eccola che, sprizzando allegria, va verso la segretaria come fosse sua sorella, «Elly, evviva!».

Lentamente, entriamo in piazza Santa Croce. Bella, piena di antifascismo. Dicono di aver avvistato Teresa Bellanova e la coppia verde gruppettara Bonelli/Fratoianni (sempre un po’ mogi, dopo aver portato a Montecitorio il compagno Soumahoro, quello dell’«Anch’io ho diritto all’eleganza»). La comparsa di Giuseppe Conte rassicura i retroscenisti. Il grande capo grillino che pensava di poter mangiare a morsi la sinistra italiana è venuto a mischiarsi con la sua sciarpa di cachemire purissimo, il «duvet», sottomantello delle capre, una rarità (certo, costicchia). A Elly dona persino una maglietta con la sua firma (proprio di Elly): «In difesa della scuola e della Costituzione». Poi si appartano, parlano. Gira voce si siano dati un appuntamento per la prossima settimana.

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