Archive for Marzo, 2023

L’Europa costretta a rischiare

giovedì, Marzo 2nd, 2023

di Angelo Panebianco

Nel pericoloso mondo multipolare in cui siamo ormai immersi, saranno le nostre scelte e le nostre azioni a decidere del nostro futuro

Wang Yi, l’emissario di Xi Jinping, incontra gli americani a Monaco e poi vola a Mosca da Putin. La Cina propone il suo piano di pace a sostegno dell’alleato russo. La guerra in Ucraina si rivela apertamente per ciò che è sempre stata: posta in gioco in una partita triangolare fra Stati Uniti, Cina e Russia. All’Assemblea generale dell’Onu una schiacciante maggioranza di Paesi condanna l’aggressione russa ma esiste anche, guidata da Cina e India, una consistente minoranza (ne fanno parte, fra gli altri, diversi Paesi africani) che si astiene, rifiutando di schierarsi contro Putin. Il G20 si spacca, con la Cina, ancora una volta, al fianco della Russia. Il mondo è diventato multipolare ma, come ha osservato un acuto commentatore, Robert Kagan, c’è poco da stare allegri. I sistemi internazionali multipolari del passato non erano pacifici: le grandi potenze venivano coinvolte con grande frequenza in guerre locali e, periodicamente, entravano in conflitto (armato ) fra loro. La differenza — e che differenza — è che oggi le grandi potenze (e anche qualche media potenza) dispongono di armi nucleari.

L’unico modo che abbiamo noi occidentali per arginare il caos montante in età multipolare, e per difendere i beni di cui abbiamo fin qui goduto (pace, libertà, prosperità) è mantenere, oggi e in futuro, unità e coesione. Proprio ciò che russi e cinesi pensano che non saremo in grado di mantenere a lungo. Le due grandi potenze autoritarie, come recita un antico detto cinese, sono sedute sul greto del fiume e aspettano che passi davanti a loro il cadavere del nemico, del mondo occidentale. E non mancano le ragioni che rendono l’attesa russa e cinese tutt’altro che campata in aria.

Dopo le Presidenze del disimpegno (Obama e Trump) con Biden, causa la guerra di Putin, l’America è tornata, è di nuovo impegnata nella difesa dell’Europa. Ma tutto ciò quanto durerà? Non è affatto sicuro che le prossime Amministrazioni americane confermeranno le scelte di Biden. C’è l’Asia, c’è la Cina da contenere, e c’è una società americana divisa e polarizzata una parte della quale non capisce perché i ricchi europei non debbano difendersi da soli. E c’è per contro un’Europa che non è in grado di stare in piedi autonomamente. L’Europa è in una condizione di stallo. Ci sono, a indebolirla, le sue tante fratture (Paesi nordici/Paesi mediterranei; Europa centrale/Europa occidentale) ora meno visibili a causa della pandemia prima e della guerra poi, ma pronte a riesplodere una volta superata la fase più acuta dell’emergenza. Mentre continuano a gettare sale sulle ferite, nei vari Paesi, le pressioni (dette sovraniste) di chi vorrebbe innalzare ponti levatoi per bloccare la circolazione di persone e merci. Una Europa che, non potendo risolvere i propri problemi di leadership (la Francia non ha la forza per assumerla, la Germania non vuole, la Gran Bretagna se ne è andata), non è in grado di darsi, se non sotto la guida americana, una coesione sufficiente per fronteggiare le sfide esterne. Ogni tanto arriva qualcuno che immagina una difesa europea del tutto autonoma dalla Nato. Come se fosse possibile fare accettare agli europei un gigantesco spostamento di risorse dal welfare alla difesa militare. E come se fosse facile spiegare agli elettori che il sacrificio è reso necessario dal fatto che la kantiana «pace perpetua» che essi credevano ormai un dato acquisito (almeno nella nostra parte del mondo) non aveva nulla di perpetuo.

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Migranti, duello su Piantedosi. Schlein: lasci. Meloni: un dovere evitare tragedie

giovedì, Marzo 2nd, 2023

di Virginia Piccolillo

Il ministro: una nostra debolezza? Mi assumerei la responsabilità. FdI: giusto chiarire. Calenda: «Dal decreto contro i rave alle parole sul carico residuale Il ministro è inadatto»

Migranti, duello su Piantedosi. Schlein: lasci. Meloni: un dovere evitare tragedie

L’opposizione va all’attacco del governo e chiede le dimissioni del ministro Matteo Piantedosi, la maggioranza fa quadrato e difende il titolare dell’Interno. «Rifiuto l’idea che non si possa fare nulla» a livello europeo per evitare queste tragedie, dice la premier Giorgia Meloni. Di fronte alla neosegretaria dem Elly Schlein che chiede a Piantedosi di lasciare lui, si dice pronto ad «assumermi responsabilità» e il ministro FdI Francesco Lollobrigida auspica «giusti chiarimenti». Meloni, nella lettera indirizzata tre giorni fa ai vertici europei, torna a chiedere di «non lasciare sola l’Italia in una battaglia di civiltà». È un «dovere morale prima che politico che tragedie come questa non si ripetano», evidenzia. E invita a mettersi al lavoro per «soluzioni innovative, concrete, per disincentivare le partenze illegali anche con fondi straordinari». Se ne discuterà il 23-24 al Consiglio d’Europa.

Oggi a rendere onore alle vittime del naufragio di Crotone — 67 bare, 15 bianche — arriverà il presidente Sergio Mattarella. Seguito da una delegazione dem guidata da Schlein. In silenzio. Per rispetto. Le parole, anche dure, sono volate ieri, in Commissione Affari costituzionali alla Camera, nei confronti del ministro dell’Interno. Gli si chiede conto dei soccorsi. Ma anche di aver inizialmente detto che «in queste condizioni non bisogna partire, la disperazione non giustifica viaggi che mettono in pericolo i figli» e che nei panni di un migrante disperato lui non lo avrebbe fatto: «Sono abituato a chiedermi non cosa posso aspettarmi da un Paese ma cosa posso dare io per il suo riscatto».

«Parole indegne, disumane, inadatte», le ha definite Schlein, invitando Meloni «a una profonda riflessione». «Ma cosa può fare un ragazzino afghano per il proprio Paese?», rincara Riccardo Magi di +Europa appoggiando la richiesta di dimissioni con Avs, M5S e Carlo Calenda: «Dal dl Rave al carico residuale. È inadatto». Piantedosi replica: «Se la tragedia si fosse verificata per una debolezza del ministero dell’Interno mi assumerei, come sempre, le mie responsabilità».

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Inchiesta Covid a Bergamo: Conte, Speranza e Fontana indagati per la mancata «zona rossa»

giovedì, Marzo 2nd, 2023

di Maddalena Berbenni e Giuliana Ubbiali

Chiusa l’inchiesta sulla mancata zona rossa nel 2020: si potevano evitare oltre 4 mila morti. Una ventina sotto accusa

Inchiesta Covid a Bergamo:  Conte, Speranza e Fontana indagati per la mancata «zona rossa»

A Bergamo, i morti di Covid venivano portati verso i forni crematori di altre città con i mezzi militari, tanti erano. Quelli certificati, dopo un tampone positivo, furono 3.100, tra fine febbraio e la fine di aprile 2020, ma nello stesso periodo i decessi complessivi in tutta la provincia furono 6.200, di cui più di 5.100 a marzo, contro le precedenti medie mensili che solitamente si fermavano a 800 circa.

La foto dei camion è la più rappresentativa. La pandemia era così imprevista e imprevedibile, senza che si potessero risparmiare vite? Non secondo la Procura di Bergamo , che ha chiuso l’inchiesta per 17 indagati (ma ce ne sono altri, stralciati) con la principale ipotesi di epidemia colposa. Per l’allora premier Giuseppe Conte e l’ex ministro della Salute Roberto Speranza gli atti sono diretti a Brescia, al tribunale dei ministri. Per altri, qualcosa andrà a Roma. Ma il centro dell’inchiesta rimarrà a Bergamo.

Tra gli indagati ci sono il presidente della Regione Lombardia appena confermato Attilio Fontana e l’ex assessore al Welfare Giulio Gallera. Lo sono anche il presidente dell’Istituto superiore di Sanità Silvio Brusaferro, il presidente del Consiglio superiore di Sanità Franco Locatelli, l’allora coordinatore del primo Comitato tecnico scientifico Agostino Miozzo, l’allora capo della Protezione civile Angelo Borrelli e l’allora direttore scientifico dello Spallanzani Giuseppe Ippolito. Anche l’ex capo della Prevenzione del ministero della Salute Claudio D’Amario, l’ex segretario generale Giuseppe Ruocco, il responsabile delle Malattie infettive Francesco Maraglino. Si è perso tempo e si è sottovalutato il rischio, sono convinti i pm.

Secondo il loro consulente, Andrea Crisanti (oggi senatore del Pd), si sarebbero risparmiati 4.148 morti con una chiusura della Val Seriana dal 27 febbraio, 2.659 dal 3 marzo. Il punto è chi avesse a disposizione i dati. Governo, Regione e tecnici dell’emergenza, ritiene la Procura. Con le proiezioni, Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler di Trento tracciò gli scenari: il peggiore ipotizzava mille casi dopo 38 giorni dal primo positivo ufficiale, ma quel livello di contagio venne superato già il 29 febbraio.

Il 25 febbraio Merler invia a Brusaferro una nota: il tempo di raddoppio dell’epidemia è stimato tra i 3,5 e i 6,1 giorni. Nella riunione del 26 febbraio del Cts, però, non si ritiene di estendere le restrizioni del Lodigiano a nuove zone. In quella del 28, vengono proposte misure secondo un principio di proporzionalità ed adeguatezza. Merler scrive anche alla Regione, una mail «confidenziale» il 28 febbraio. Indica l’R0, l’indice di trasmissione del virus: a Bergamo è 1.80, a Codogno 1.84, in Lombardia 2.1. Solo sotto l’1 era gestibile. Quello stesso giorno, due ore prima, Fontana scrive una mail con cui chiede al ministero e alla Protezione civile «il sostanziale mantenimento» delle misure in corso per la settimana dal 2 all’8 marzo. Eppure, negli allegati, la stessa nota riporta l’R0 di 2. Ogni paziente infetto trasmetteva il virus ad altre due persone. Di chiudere la Val Seriana o un’area più estesa si parlò il 3 marzo in un verbale del Cts, secondo gli appunti di Miozzo già il giorno prima. Brusaferro riferì di numeri «preoccupanti» e suggerì che erano necessarie misure di limitazione in ingresso e in uscita.

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Stasera Italia, Pietro Senaldi ridicolizza il Pd: siamo alle comiche finali

mercoledì, Marzo 1st, 2023

Riflettori su Elly Schlein e sul futuro del Partito Democratico. La nuova segretaria dem vuole spostare il baricentro del partito più a sinistra. Ma fino a dove si spingerà? Fino ad assumere addirittura posizioni anti-atlantiste? Secondo il condirettore di Libero, Pietro Senaldi, se così fosse saremmo alle comiche finali e il Pd sarebbe destinato a una facile scissione. Se n’è parlato durante la puntata di Stasera Italia in onda il 28 febbraio su Rete4. Ospite in collegamento era il condirettore di Libero Pietro Senaldi.     

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Costanzo, oltre 6 milioni di spettatori per i funerali in tv: quando il lutto fa audience

mercoledì, Marzo 1st, 2023

ASSIA NEUMANN DAYAN

Il festival di Sanremo, i Mondiali, i funerali: questo è quello che rimane dei grandi eventi televisivi. Carmelo Bene aveva chiesto che gli venisse fatto «il funerale da vivo», perché «non c’è bisogno di consegnare un cadavere in pubblico per meritare la dimenticanza». Con la morte di Maurizio Costanzo tutti di colpo ci siamo ricordati dell’«Uno contro tutti» del Maurizio Costanzo Show con Carmelo Bene, e tutti siamo andati a riguardarcelo: quell’intervista è l’immaginario nazional popolare che ci siamo costruiti, l’evento fondativo di un certo tipo di televisione che non è più replicabile, e a pensare che non ci sono più né i Bene né i Costanzo ci mette una malinconia profondissima per la nostra vita di telespettatori. Quando a Bene fu chiesto perché fosse andato «a farsi adulare e lapidare» lui rispose: «Quello è stato un esempio di televisione non mediata, avevo intenzione di creare un cortocircuito, di parlare dell’uomo di cui non si parla mai perché voi della stampa non informate dei fatti ma informate gli stessi fatti. E lì, al Parioli, c’era questo pubblichetto che vuole continue certezze, questo elettorato perpetuo che si vota sempre».

Adesso la televisione non mediata non esiste più. Saremo sempre e per sempre grati a Maurizio Costanzo, anche e soprattutto per quelle due ore di messa in scena di un «Quinto Potere» più che credibile. I funerali di Maurizio Costanzo, andati in onda il 27 febbraio sia su Rai1 che su Canale 5, sono stati seguiti da circa 4,3 milioni di spettatori su Canale 5 e da 2,3 milioni su Rai1: parliamo di circa il 50% di share se consideriamo entrambe le reti (19,71% su Rai1 e 35,49% su Canale 5). Le curve di Rai1 e Canale 5 assomigliano a quelle che vengono chiamate in gergo «curve a panettone», sogno di tutti quelli che grazie alla tv pagano mutuo, bollette e tasse, gente che di solito la tv in casa non ce l’ha nemmeno: curve che partono, crescono, si stabilizzano e scendono a fine programma. Quello che succede nelle redazioni quando muore qualcuno di molto famoso è anche molto cinico: si stravolgono palinsesti, si cambiano gli ospiti, qualcuno sceglie di non andare in onda, altri scelgono di esserci sempre, anche per le settimane a seguire, perché magari conviene in termini di ascolti.

Non è possibile fare un’analisi dei dati auditel dei funerali celebri, per il semplice motivo che non possono essere paragonati orari e date di messa in onda così diversi e distanti, ma quello che possiamo dire è che il funerale è un genere televisivo a sé, e pure di successo. Il funerale di Fabrizio Frizzi venne seguito da 5 milioni e 174mila telespettatori, mentre quello di Raffaella Carrà, trasmesso al mattino da Rai1 e Rete4, viene visto da circa 3,5 milioni di spettatori con il 32,4%: 3 milioni con il 28,3% di share per lo speciale del Tg1, mentre lo speciale del Tg4 fece il 4,1% di share con 423mila spettatori. 4,5 miliardi di persone in tutto il mondo hanno seguito i funerali della Regina Elisabetta, mentre il funerale di Lady D venne visto da 10 milioni di telespettatori che piangevano: quello fu uno shock generazionale, un trauma collettivo che in numeri corrisponde al 75,9% di share, la percentuale più alta di tutto il 1997.

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Il bivio di Conte: il presidente 5S deve scegliere se collaborare col Pd di Schlein

mercoledì, Marzo 1st, 2023

Niccolò Carratelli

ROMA. Ora Giuseppe Conte deve scegliere. Avviare la collaborazione con il nuovo Pd guidato da Elly Schlein, come verrebbe naturale, oppure tentare di alimentare la contrapposizione, per continuare a mostrarsi alternativo agli occhi degli elettori di sinistra. Il presidente M5s, domenica sera, si è subito congratulato con la neo segretaria, con cui ha un buon rapporto personale: tra i due c’è stato uno scambio di messaggi su WhatsApp, concluso con la promessa di incontrarsi quanto prima di persona.

L’ex premier e i suoi fedelissimi pubblicamente continuano a definire l’elezione di Schlein «una buona notizia», a sottolineare come il popolo dem abbia scelto «una linea molto simile alla nostra su tanti temi, dal salario minimo alla transizione ecologica». Come dire: Elly ha vinto perché condivide le nostre battaglie. E c’è soddisfazione anche per la «fine dell’ambiguità del rapporto con Calenda e Renzi».

Nelle chiacchierate informali, però, emerge la preoccupazione di risultare «troppo simili» e di vedersi sottrarre voti, vanificando la rimonta degli ultimi mesi e il sogno del sorpasso a sinistra alle elezioni europee del 2024. Del resto, fanno notare alcuni deputati M5s, «alle europee si vota con il proporzionale, quindi l’urgenza di allearsi non c’è». Discorso che potrebbe valere a maggior ragione per il nuovo gruppo dirigente del Pd. Mentre le regionali in Friuli-Venezia Giulia e Molise, come pure le amministrative di metà maggio, «seguono un binario diverso, basata su logiche e rapporti locali». Insomma, nella sede di via di Campo Marzio non si vogliono precorrere i tempi o fare previsioni: «Aspettiamo di vedere come si pone lei, cosa vuole fare», è la risposta ricorrente.

E c’è chi indica a Schlein un’occasione per mandare un primo segnale, visto che oggi alla Camera il Movimento chiederà formalmente di incardinare in commissione la propria proposta di legge sul salario minimo, a prima firma Giuseppe Conte. «Lei ha detto di voler fare fronte comune su questo tema, lo dimostri sostenendo la nostra iniziativa», dicono le stesse fonti M5s. Sottolineando, al contempo, come tra i sostenitori di Schlein ci sia anche l’ex ministro del Lavoro, Andrea orlando, che sul salario minimo ha una posizione un po’diversa rispetto a quella dei 5 stelle, che prevede una paga minima da 9 euro l’ora.

Nessuno la butta giù in questi termini, ma se il dialogo con la nuova segretaria dem non dovesse decollare, non ci sarebbe da stracciarsi le vesti. Tutti quelli che invitano alla prudenza, rispetto al riavvicinamento al Nazareno, mettono in evidenza la stessa questione, ben sapendo che è destinata a restare divisiva nel rapporto con il Pd: «Cosa farà Schlein sull’invio di armi in Ucraina? » Domanda retorica, perché è improbabile che la leader appena insediata provi a modificare la linea tenuta finora dal partito su un terreno così delicato come il sostegno a Kiev. Nonostante i dubbi personali, il rischio di una spaccatura interna sarebbe troppo alto. C’è chi ricorda il voto contrario della deputata Schlein su tutte le risoluzioni presentate da M5S, Sinistra italiana e Verdi sullo stop all’invio delle armi, «tranne una volta che non ha partecipato al voto». Dunque, anche qui c’è un’aspettativa che sa di sfida: «Vediamo cosa farà». Stesso discorso sulla transizione ecologica, che può essere declinata in molti modi. Ad esempio, provoca un deputato 5 stelle, «Schlein avrà il coraggio di dire la sua sul progetto dell’inceneritore a Roma?». Il termovalorizzatore della discordia, all’origine della caduta del governo Draghi e della rottura tra Pd e M5s, è un altro ostacolo sulla strada del riavvicinamento politico.

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Meloni, missione India: la premier a Nuova Delhi stringe i legami con Modi per arginare la Cina e isolare Russia e Iran

mercoledì, Marzo 1st, 2023

Ilario Lombardo, Francesco Olivo

ROMA – NUOVA DELHI. Stringere al massimo i rapporti con l’India per allentare quelli con la Cina, isolando Russia e Iran. Il piano è molto ambizioso, e solo il tempo dirà quanto il ruolo dell’Italia sarà davvero cruciale. Giorgia Meloni parte oggi per una doppia missione: questa notte atterrerà a Nuova Delhi, mentre da venerdì sarà ad Abu Dhabi, per cercare di archiviare il grande gelo con gli Emirati Arabi, iniziato con il naufragio dell’intesa con la compagnia aerea Etihad e culminato con la chiusura della base militare italiana nel Golfo. Il governo ha una convinzione: una volta finita la guerra in Ucraina, tutte le attenzioni torneranno in Oriente, in particolare nei mari dell’Indo-pacifico, aree ancora troppo lontane dall’Italia non solo geograficamente.

In queste due tappe Meloni dovrà anche dare prova di aver superato le convinzioni del passato quando dall’opposizione tuonava contro i rapporti del governo italiano con le monarchie del Golfo («sistemi non democratici, nazioni che propagano le teorie fondamentaliste» diceva meno di dieci mesi fa l’allora presidente di FdI) o sponsorizzava una commissione di inchiesta sul caso dei due Marò tenuti prigionieri dall’India (fu l’attuale viceministro agli Esteri Edmondo Cirielli a firmare la proposta di legge).

Vista da Palazzo Chigi e non dai banchi più stretti dell’opposizione di destra, l’India è una porta per accedere alle grandi opportunità che offre quel pezzo di globo, un Paese in rapida espansione, economica e demografica. Guidato da un leader, Narendra Modi, dalle solide convinzioni sovraniste. La crisi diplomatica causata dalla questione dei due fucilieri di marina accusati di aver ucciso i pescatori indiani è lontana, così come quella legata all’inchiesta sulle tangenti per gli elicotteri Augusta: chi ha preparato questa visita conferma che il governo di Nuova Delhi considera quelle vicende completamente chiuse.

Il riavvicinamento era cominciato con la visita di Paolo Gentiloni nel 2017 e con quella, un anno dopo, di Giuseppe Conte. L’incontro tra Modi e Mario Draghi al G20 di Roma ha aperto definitivamente una strada (specie nella cooperazione della Difesa) e ora il governo Meloni vuole raccogliere quei frutti.

Il premier indiano, raccontano fonti dell’esecutivo, ha inviato un invito non formale a Meloni, partito subito dopo il bilaterale dello scorso novembre al G20 di Bali. La presidente del Consiglio, prima dell’incontro con il capo del governo di Nuova Delhi, inaugurerà domani il Raisina Dialogue, una conferenza sulla sicurezza, che si ispira a quella di Monaco di Baviera, alla quale la premier ha dato forfait per l’influenza. Nella scorsa edizione l’ospite era stata la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Le aspettative indiane sono alte, il vertice con Modi potrebbe essere l’occasione per firmare un protocollo di cooperazione nel settore della Difesa, i cui dettagli saranno definiti, è quello che si spera alla Farnesina, alla riunione del G20 di Nuova Delhi a settembre. L’espansione economica e demografica dell’India fa sì che il Paese voglia rendersi autonomo, nell’industria della Difesa, da una certa dipendenza russa, un fenomeno iniziato già prima dell’invasione dell’Ucraina. Negli ultimi anni l’amore con Mosca si è raffreddato e Modi ha ridotto il rifornimento di armi (a giovamento di Stati Uniti, Israele e Francia), i russi però rimangono decisivi per i pezzi di ricambio. Il progetto del premier è incrementare al massimo la produzione interna e aumentare la propria presenza in Africa. Meloni vuole sfruttare queste circostanze per tentare – come ha detto pubblicamente – di avvicinare alle posizioni occidentali i Paesi che all’Onu si sono astenuti durante il voto della risoluzione di condanna della Russia.

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Matteo Renzi: “Rottamo Italia Viva, ora partito unico con Calenda”

mercoledì, Marzo 1st, 2023

FABIO MARTINI

ROMA. Per qualche settimana si è ritrovato «protagonista» del dibattito interno al Pd come eterno «uomo nero» e tuttavia chi lo conosce bene, giura che già da settimane Matteo Renzi ha recuperato un buonumore che non gli si conosceva dagli anni d’oro, lui annuisce («È proprio così…») ed è con spirito sulfureo che l’ex presidente del Consiglio fa previsioni controcorrente: «La vittoria di Schlein? La peggiore notizia per Conte!». La nuova leader del Pd? «Dovrà decidere se mantenersi fedele al proprio programma, e allora il Pd si spacca. O se tenere tutti insieme, e allora lei perde la sua freschezza. È il dilemma di Elly. Non la invidio».

Meloni prevede un forte antagonismo con Schlein, quasi non vedesse l’ora di confrontarsi con un Pd più aggressivo: punta a denunciarne la demagogia e mostrarsi lei più in sintonia con l’interesse nazionale?
«
Una sinistra più radicale rende la Meloni più forte. È un dato di fatto. Ci sono due donne alla guida della destra e della sinistra, ma sono due leader che rischiano di estremizzare il confronto. Io penso invece che l’interesse degli italiani sia quello di pacificare, smussare, dialogare. Chi vince deve governare ma con equilibrio e compostezza: lo chiede l’Italia, non il Terzo polo».

Pensa che la permanenza di prefetti al Ministero dell’Interno segnali una tendenza alla «democrazia corporativa», o semplicemente servirebbe più senso politico in quel ruolo?
«Non parlerei di democrazia corporativa ma mi piacerebbe rivedere un politico al ministero dell’Interno. Un politico on la «p» maiuscola. Un eletto insomma, che sappia relazionarsi con la struttura impegnativa del Viminale. Ho stima per Piantedosi, ma la sua frase sui migranti che non devono partire è allucinante e assurda. Ma che ne sa Piantedosi della disperazione di una madre afghana, la cui bimba rischia di vivere imprigionata a vita dentro un burqa o di un profugo pachistano che non ha cibo e vive in un campo minato? Pensa che l’appello di un ministro blocchi questa ondata di disperazione? Sono morti decine di bambini e polemizzi con i genitori? Il Governo ha pensato più a fermare le Ong che a fermare gli scafisti. Io non strumentalizzo la strage, ma ricordo che nel 2015 dopo il naufragio nel canale di Sicilia Giorgia Meloni chiese che io fossi “indagato per strage colposa”. Non chiedo che la Meloni sia indagata. Mi basterebbe imparasse a chiedere scusa».

In queste ore in tanti ripetono a pappagallo che Pd e Cinque stelle sono destinati ad avvicinarsi: non pensa che invece stia per partire una competizione sullo stesso terreno, tra chi è più «puro» e anche senza esclusione di colpi?
«Sono d’accordo con lei: sarà una competizione durissima. E per questo noi siamo interessati ma distinti e distanti. La vittoria di Schlein è la peggiore notizia che Conte potesse ricevere. Saranno alleati ma oggi sono competitor. Tra di loro ci sarà una competizione cruenta, pescando nello stesso elettorato. E si pesteranno i piedi presto. E con un’elezione proporzionale alle porte, vedrà che questo farà la differenza. Sì, sarà una sfida a sinistra senza esclusione di colpi».

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Elly Schlein, il primo atto da segretaria Pd: “Sarò al corteo antifascista. Arrivano i lupi? Li affronterò”

mercoledì, Marzo 1st, 2023

Annalisa Cuzzocrea

«Andiamo a mangiare un panino? Ho il vuoto nella pancia». Sono le 16 e Elly Schlein ha passato le ultime ore in Transatlantico a stringere mani, ricevere abbracci e rispondere «Viva il lupo». Che i lupi siano già dietro l’angolo pronti ad attaccare, lo sa bene. «Li affronteremo», si limita a dire con un sorriso, avvolta dentro a un tailleur pantalone grigio che ora cade un po’ largo. Sarà stato il tour per le primarie, i tanti treni, l’Italia girata in due mesi. Attorno a lei, quasi a proteggerla, ci sono i deputati Marco Furfaro e Marco Sarracino, Chiara Gribaudo, poco più in là Peppe Provenzano e Andrea Orlando. Fanno come una selezione all’ingresso, ma cronisti a parte, Schlein riceve tutti. A fare la fila ci sono soprattutto quelli che non l’hanno sostenuta: Lia Quartapelle, con cui si ferma a parlare un po’ di più, Piero De Luca, Anna Ascani, Simona Bonafè. Ma anche Marina Sereni, la giovane Rachele Scarpa. L’applauso timido che l’accoglie al primo ingresso in aula mostra quanto la strada non sia facile. È così per tutti i neosegretari che si ritrovano con gruppi formati da altri. A Montecitorio i deputati pd che hanno sostenuto Schlein sono 25 su 67. Al Senato, 17 su 38. Geometrie variabili come in ogni legislatura, perché il nuovo corso segnerà un nuovo ordine. Ma certo, è un altro degli ostacoli da tenere presente, tra i mille che la strada già le offre davanti.

Il primo atto politico da segretaria del Pd sarà nel solco dell’antifascismo. «Sarò in piazza a Firenze accanto agli studenti del liceo Michelangiolo aggrediti da sei militanti di Azione studentesca». In piazza con Cgil, Cisl e Uil, i sindacati uniti, con il leader del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte e di certo anche con uno degli avversari della mozione opposta, il sindaco Dario Nardella, visto che è proprio nel suo consiglio comunale che gli esponenti dem hanno chiesto al governo, con un ordine del giorno, di « sciogliere – una volta per tutte – i movimenti di stampo nazifascista».

La nuova leader del Partito democratico non ha impiegato molto a scegliere da dove partire. Le basi: il no alle aggressioni squadriste fuori dalle scuole, il no alle sottovalutazioni del ministro dell’Istruzione Valditara, che quell’azione non l’ha ancora condannata, mentre ha criticato le parole di una preside che ricordava come il fascismo sia nato nell’indifferenza.

Alle provocazioni lanciate da Renzi, la fine del “riformismo” nel pd, Schlein sceglie scientemente di non rispondere. Sorride a chi lancia domande, ascolta tutti con attenzione. I “vecchi” che l’hanno sostenuta – Bettini, Franceschini, Zingaretti – dispensano consigli che la nuova segretaria mostra di apprezzare. Senza però rivelare minimamente cosa voglia farne. Nella vecchia guardia è buio assoluto su come sarà composta la segreteria, su chi saranno i nuovi capigruppo, su come sarà gestita la comunicazione. Ci sono dei vincitori e degli sconfitti, certo, ma c’è prima di tutto un partito da tenere insieme, così una delle poche cose che Schlein si lascia sfuggire è che Stefano Bonaccini lo ha già sentito e lo sentirà ancora. Non ha intenzione di relegare chi ha preso quasi la metà dei voti delle primarie al ruolo di segretario dell’Emilia-Romagna. Cosa ha in mente, però, è probabile lo sappia solo lei.

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Superbonus, si apre uno spiraglio: pronte quattro deroghe

mercoledì, Marzo 1st, 2023

Federico Capurso

ROMA. Il destino del Superbonus è nelle mani dell’Istat. Oggi l’Istituto aggiornerà i dati sul deficit del 2022 e, soprattutto, riscriverà le stime sul deficit per il 2023, incorporando – come indicato da Eurostat – il peso dei bonus edilizi sui conti pubblici. Un vero e proprio macigno, che grava soprattutto sull’anno appena concluso, mentre per il 2023 il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti si attende un impatto limitato sulla precedente stima del 4,5 per cento di deficit. Speranze alimentate dal decreto del 16 febbraio scorso, con cui proprio Giorgetti ha bloccato la cessione dei crediti di tutti i bonus. Grazie a quella frenata si potrebbe quindi aprire uno spazio per modificare in Parlamento il decreto del 16 febbraio, allargando provvisoriamente le maglie, come chiedevano a gran voce gli uomini di Forza Italia.

Così il governo ha trasformato il Superbonus in un affare per ricchi

Fonti del ministero dell’Economia chiedono però prudenza. Dovrà esserci un «passaggio graduale e determinato tra le vecchie misure e le nuove, attraverso una revisione doverosa ed equa». La cessione dei crediti non tornerà più nella forma iniziale, ma sono allo studio quattro deroghe su cui lasciare che il Parlamento intervenga. Un mezzo passo indietro che potrebbe coinvolgere il sisma-bonus, le onlus, le case popolari e gli incapienti. Per queste quattro categorie si riaprirebbe la finestra della cessione dei crediti, anche se solo in via temporanea. Il capitolo che riguarda il via libera agli incapienti è il più complicato. E infatti è quello più a rischio, perché vorrebbe dire, se non verranno fissati paletti stringenti, riaprire un flusso di cessione dei crediti molto maggiore rispetto alle altre tre deroghe.

Gli Italiani sono sempre più poveri, il dramma sono gli stipendi: ecco le vere cause

Tutto, dicevamo, dipende dai numeri che darà oggi l’Istat. Dopo aver fatto chiarezza sui conti, Giorgetti convocherà quindi il tavolo tecnico al ministero. Lo stesso che aveva già riunito due settimane fa per coinvolgere categorie e banche sul nodo dei crediti incagliati. Sulla trattativa per modificare il decreto, però, incideranno anche gli umori di Forza Italia, che aveva minacciato di alzare barricate contro lo stop dello scorso 16 febbraio. In quei giorni di litigi furibondi all’interno della maggioranza era stata la premier Giorgia Meloni, attraverso il capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia, Tommaso Foti, a siglare una tregua aprendo a successive modifiche in Parlamento che prevedessero quello che gli uomini di Silvio Berlusconi chiedono da tempo: la cartolarizzazione dei crediti, vista come unica via d’uscita per evitare di mandare in crisi l’intero settore edilizio. Questa ipotesi, però, è sparita dal tavolo. Il ministero dell’Economia non sta lavorando in questa direzione e fonti interne spiegano a La Stampa che si starebbero incontrando difficoltà anche sull’idea alternativa di compensare i crediti negli F24.

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