Archive for Marzo 27th, 2023

“Nessun rottamato in Fi, lealtà a Meloni”

lunedì, Marzo 27th, 2023

Fabrizio De Feo

"Nessun rottamato in Fi, lealtà a Meloni"

«In politica l’immobilismo fa male, per questo Forza Italia si è sempre e continuamente rinnovata nella sua storia ormai trentennale». A distanza da 48 ore dal suo affondo, il presidente di Forza Italia spiega al Corriere della Sera le ragioni della decisione a sorpresa che lo ha portato a sostituire il capogruppo alla Camera, Alessandro Cattaneo e alcuni coordinatori regionali. «Non abbiamo rottamato nessuno, abbiamo reso più efficiente la struttura, sostituendo alcuni coordinatori che, avendo assunto altri incarichi o non essendo stati rieletti, non erano più in condizione di svolgere il loro compito con l’impegno di prima». Berlusconi non vede nel cambio al vertice del gruppo il segno di una insoddisfazione o una riscrittura della linea politica. «Nulla di tutto questo: la linea è quella indicata da me. La stragrande maggioranza, direi anzi la totalità dei militanti e degli eletti, mi chiede ogni giorno di continuare a esercitare la leadership e di essere garante di una linea politica che da trent’anni è quella di lavorare per l’unità del centrodestra. Lo spostamento di Alessandro Cattaneo non è una punizione, è una razionalizzazione, utile a rafforzare il Coordinamento nazionale, mentre abbiamo voluto recuperare l’esperienza e la saggezza di Paolo Barelli nel ruolo di capogruppo», spiega il leader azzurro. Una linea politica più fedele e meno in polemica rispetto alla premier Meloni, suggerita dalla sua famiglia, da Marina in primis e da Marta Fascina. È così? «Con mia moglie Marta e con mia figlia Marina c’è un rapporto fatto di amore, stima e totale fiducia: quindi, come è naturale, capita spesso di parlare di politica e i loro consigli sono preziosi. Ma la linea politica e le scelte operative di Forza Italia sono esclusivamente una mia responsabilità. Quanto al rapporto con il presidente Meloni, è improntato alla massima lealtà, alla stima personale, a una amicizia sincera, nella convinzione che stia facendo bene e che Forza Italia debba dare un contributo costruttivo all’azione di governo.

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Dopo tanti proclami. Schlein rimette in pista tutti i dinosauri del Pd

lunedì, Marzo 27th, 2023

Pasquale Napolitano

Elly Schlein «rottama» i cacicchi ma si riprende nel Pd i «dinosauri» dal vecchio Pci. Si riaffacciano al fianco della segretaria gli intellettuali rossi, molti dei quali hanno spadroneggiato a Napoli e in Campania negli anni di Antonio Bassolino.

Dalla città partenopea, ecco che puntuale arriva l’appello dal mondo della cultura per la nuova «eroina» della sinistra.

Un copione già visto con gli ex leader del Pd Zingaretti, Renzi e Letta. È la mossa per ritornare in pista. Il governatore della Campania Vincenzo De Luca li ha pensionati, tenendoli fuori dalla gestione del potere in Campania. Ora si riaccende la luce della speranza con Schlein. Spulciando i nomi nulla di nuovo sotto il sole di Napoli. Sono i soliti. C’è Maurizio De Giovanni, lo scrittore che appena intravede una lettera-appello si fionda sopra per sottoscriverla. Aveva già firmato l’appello per Roberto Saviano. Tra gli intellettuali spunta Nino Daniele, bassoliniano della prima ora. Ma poi anche vicesindaco dello «scassatore» Luigi de Magistris. Insomma, non proprio una novità. E ancora; Elisabetta Gambardella, più volte candidata e da sempre legata ad Antonio Bassolino. Nel gruppo spicca il nome di Salvatore Vozza, sindaco di Castellammare e deputato del Pds. Poi scrittori e trombati delle ultime tornate elettorali. In comune hanno la radice: hanno gravitato nel mondo del Pci. Tutti reduci dalle stagioni rosse a Napoli come Adriana Buffardi, ex assessore delle giunte Bassolino, pronta a ritornare. La segretaria ringrazia: «Il nuovo corso del Pd si arricchisce ogni giorno di presenze e di testimonianze attive che danno forza a questa comunità. Voglio per questo ringraziare tutte e tutti i 168 intellettuali che hanno sottoscritto l’appello Una speranza e un’opportunità per la sinistra. Vogliamo dare una mano. Perché è esattamente questo quello che desideravamo suscitare: la condivisione, insieme, di un impegno, di una passione, di una visione comune. Solo così, tutte e tutti insieme, ce la faremo a ricostruire fiducia con le persone e dar vita a una vera alternativa a questo governo, che si batta per la giustizia sociale e climatica, per il lavoro di qualità e i diritti».

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Destra e sinistra, scosse e correnti

lunedì, Marzo 27th, 2023

Alessandro De Angelis

Da un lato, dunque, Giorgia Meloni si è presa Forza Italia, nell’ambito di un’intesa con Marina, i cui prodromi erano ravvisabili già all’atto della formazione del governo, quando la primogenita stoppò le bizze del padre in nome del realismo aziendale. Insomma, un classico esempio di “successione in vita”, fondato sullo scambio tra dominio politico assicurato alla premier e tutela dell’impero, non proprio competitivo ma molto bisognoso di un legislatore che blindi lo status quo: duopolio, canone, concorrenza delle nuove piattaforme, eccetera.

Dall’altro Elly Schlein con grande fatica riuscirà a piazzare i suoi capogruppo solo grazie a un’intesa con Pina, nel senso di Picierno. E, parafrasando Peppino: “Ho detto tutto”. Destinata a diventare vicesegretaria di Bonaccini se avesse vinto, Picierno, con altri, ha fondato una corrente formata da un pezzo della minoranza che diventa maggioranza non su una rottura politica su un tema politico – immigrazione, Ucraina, lavoro – ma in nome, semplicemente, dei posti. E così, con questa, siamo più o meno a quota dieci correnti: quella di Franceschini, che ottiene Chiara Braga come capogruppo alla Camera, i “lettiani” di Boccia (prossimo capogruppo al Senato), Orlando che fa partita a sé (con Schlein ma un po’ in disparte), Provenzano pure, poi Cuperlo coi suoi, De Micheli, Articolo 1, i popolari di Castagnetti e la minoranza di Bonaccini.

Solo apparentemente la dinamica racconta di un rafforzamento della neo-segretaria che, due settimane fa, aveva promesso di “estirpare i cacicchi”. Occhio alla modalità: non nomina i capigruppo, lanciafiamme in mano, sulla base di una spinta esterna, ma si adatta a un meccanismo, che si riproduce uguale a se stesso, di un partito – o meglio: una confederazione di cacicchi – a vocazione minoritaria dove l’unica cosa che conta è il rapporto col potere: i ministeri, quando sta al governo, ciò che rimane quando è all’opposizione.

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L’audio presunto degli oligarchi russi intercettati a parlar male di Putin: “Ha fottuto noi, i nostri figli, il loro futuro, il loro destino, dannazione”

lunedì, Marzo 27th, 2023

Jacopo Iacoboni

Una telefonata intercettata, leakata all’esterno molto probabilmente dai servizi segreti ucraini, pubblicata sui media ucraini, sta facendo molto rumore nella «verticale del potere» di Vladimir Vladimirovich Putin. A parlare, inconsapevolmente intercettati, sono il produttore musicale (uno dei più importanti del Paese) Iosif Prigozhin (niente a che fare con l’omonimo Evgheny, il capo dei mercenari di Wagner) e l’oligarca miliardario Farkhad Akhmedov, ex membro del Consiglio della Federazione russa. I due parlano spigliatamente e si lasciano andare a giudizi pesantissimi su Putin. La telefonata è stata (un po’ flebilmente) smentita da Iosif Prigozhin, che ha detto che la sua voce è stata in parte ricreata usando l’intelligenza artificiale e i network neurali. La cosa potrebbe far sorridere ma va riferita.

Tuttavia ieri sera “Important Stories”, il collettivo giornalistico di Roman Anin, uno dei giornalisti indipendenti russi più autorevoli e stimati, e temuti dal Cremlino, l’ha avvalorata citando una fonte nel Fsb, il servizio segreto interno russo, che dichiara testualmente: «La registrazione della conversazione tra Prigozhin e Akhmedov è autentica, la dirigenza del FSB ha recentemente tenuto una riunione e ha ordinato ai subordinati di agire». Si  capirebbe, di qui, il terrore che emerge nel video di smentita di Iosif Prigozhin.

Nel presunto audio, i due parlano francamente, come tipico nelle conversazioni private. Prigozhin racconta: «Hanno collaborato, Igor Ivanovich (Sechin, nda.), Sergei Viktorovich (Chemezov) e Viktor Zolotov. Incolpano Shoigu per tutto. Lo chiamano un idiota, alle sue spalle, ovviamente. E loro hanno il compito di demolirlo, porca miseria. Sì, ma perché qualcuno deve essere incolpato. Ascolta. Sono le persone più stupide. La mia opinione è semplice: si comportano come re, come fottuti dei. Sono creature finite». Akhmedov replica: «Hanno incasinato la situazione. Hanno rovinato il paese. Hanno fottuto tutti. La domanda è: cosa succederà dopo di loro? Dannazione, da un lato, kadyroviti, prigozhiniti, ci saranno guardie. Agiteranno pugnali, martelli. Una totale follia». «Di tutto questo risponderà il Presidente. Per tutti. Glielo chiederanno. Hanno fottuto noi, i nostri figli, il loro futuro, il loro destino, dannazione, capisci?».

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La stanga di De Gasperi e la forza di Mattarella

lunedì, Marzo 27th, 2023

MASSIMO GIANNINI

Le democrazie resistono. Ma se la passano male. L’America non ha ancora superato il trauma dell’assalto a Capitol Hill: resta ipertesa per le mattane di Trump e rimane appesa alla ricandidatura di Biden. Israele è a un passo dalla guerra civile: da due mesi l’intero Paese, compresi i riservisti dell’esercito e i dipendenti del Mossad, si mobilita contro la riforma della giustizia del falco Netanyahu, che toglie poteri alla Corte Suprema. In Francia Macron impone la riforma previdenziale solo grazie ai “poteri speciali” (manco ci fosse un Papeete a Parigi). Il popolo in piazza risale sulle barricate, ancora annerite dai roghi che cinque anni fa i gilet gialli appiccavano ogni fine settimana sui Campi Elisi: oggi come allora, per stare alle parole di Annie Ernaux, non se ne può uscire «senza un po’ di violenza».

E pazienza se la legge Macron alza l’età pensionabile a 64 anni, nell’unico Paese europeo che ancora la fissa a 62. Ce n’è abbastanza per mettere a ferro e fuoco la non più Douce France, con buona pace per quei fessi degli italiani che nel 2011 accettarono senza un plissé la legge Fornero, che l’età pensionabile l’ha elevata a 67 anni. E ce n’è abbastanza perché Simone Kuper, sul New York Times, scriva «è tempo di porre fine alla Quinta Repubblica, con la sua presidenza onnipotente, la cosa più vicina a una dittatura eletta nel mondo sviluppato, e inaugurare una Sesta Repubblica meno autocratica». La Germania di Olaf Scholz sta pagando il prezzo più alto all’indecisione politica del Cancelliere e alla storica dipendenza dal gas russo: tremano i giganti del credito, e anche lì da domani scatta la rivolta sociale con il Gross Streik, il maxi sciopero che paralizzerà i trasporti in tutto il Paese, unendo in una storica alleanza le due principali sigle sindacali.

La Gran Bretagna di Rishi Sunak vive l’ora più buia, unico Paese in recessione già dal 2023, con un Pil che cala dello 0,6%, un’inflazione al 16. Sei inglesi su dieci sono pentiti della Brexit e voterebbero per un ritorno immediato nella Ue, con tanti saluti al premier che considera ancora “un’enorme opportunità” il divorzio tra Londra e Bruxelles.

Tre choc globali in quindici anni hanno fiaccato i governi, devastato le economie, avvelenato le società. In modo strisciante, si insinua anche in Occidente l’idea che dalla delegittimazione della politica e dalla disaffezione delle opinioni pubbliche si possa uscire solo con la secessione delle élite: cioè alterando la qualità delle democrazie, intaccando i pilastri del costituzionalismo e rafforzando l’esecutivo a scapito degli altri poteri. Per questo, in Italia, è prezioso il Presidente della Repubblica. Teniamocelo stretto, Sergio Mattarella. Nella sua ultima esternazione, all’assemblea fiorentina delle Camere di Commercio, rilancia l’appello di Alcide De Gasperi, che al congresso della Dc di Venezia, nel giugno del ’49, invitò tutti gli italiani a “scendere dal carro e a mettersi alla stanga”, per trainare l’Italia fuori dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale. Parla del “Piano nazionale di ripresa e resilienza”, il Capo dello Stato, preoccupato dei ritardi conclamati della macchina politico-amministrativa, che possono farci perdere i 34 miliardi dei prossimi due “assegni” europei. Rischiamo di fallire l’obiettivo, perché come avverte Paolo Gentiloni, invece di essere ossessionata da questa missione la politica insegue le farfalle del Ponte sullo Stretto e della flat tax. Sarebbe un delitto. Il Pnrr è il nostro Piano Marshall, che proprio De Gasperi ottenne nel suo “Viaggio del pane”, nel gennaio del ’47, quando volò con il cappello in mano negli Stati Uniti.

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Questo governo discrimina i bambini

lunedì, Marzo 27th, 2023

Annalisa Cuzzocrea

Eugenia Roccella ha ragione: vengono prima i diritti del bambino. Se la ministra della Famiglia fosse in grado di seguire il significato di questa sua affermazione, tutto il resto semplicemente non ci sarebbe. Non ci sarebbe la mostrificazione della gestazione per altri, non si tirerebbe fuori – addirittura – la categoria del razzismo perché gli ovociti delle donne nere sarebbero meno costosi di quelli delle donne bianche. Non si chiederebbe di andare a controllare su internet, non si evocherebbero pericolose fiere dell’“utero in affitto” in giro per l’Italia.

Peccato che a questa destra del superiore interesse del minore non interessi nulla. Non interessano i 35 minori morti nel naufragio di Cutro, o i 26 bambini che restano chiusi in carcere grazie agli emendamenti di Lega e Fratelli d’Italia. Non importa nulla degli 800mila ragazzini privi di cittadinanza e dei conseguenti diritti. Men che meno dei figli delle coppie arcobaleno, che siano queste formate da due donne o da due uomini. L’unica cosa che interessa a questa destra di cui Eugenia Roccella – dopo essere transitata da molti lidi politici – è fiera portatrice, è la propaganda.

I sondaggi dicono che gli italiani sono contrari alla gestazione per altri. E allora, è quella che bisogna evocare. Le persone che sfilano chiedendo diritti per i loro figli non vogliono l’introduzione in Italia di una pratica che da noi è illegale, molti di loro con la gestazione per altri non hanno nemmeno avuto a che fare, pretendono solo che i loro bambini siano trattati dallo Stato come tutti gli altri. Riconosciuti, come tutti gli altri. Ma tant’è: la propaganda non guarda la realtà, la distorce a suo piacimento. Alla destra serve proclamare la sua idea di famiglia: una madre un padre e più bambini possibile. Per farlo, è disposta a disconoscere tutte le altre, in una deriva da Stato etico di cui su queste pagine ha scritto Luigi Manconi e che va rigettata per la sua violenza.

La gestazione per altri è un tema che divide il mondo e di cui occorrerebbe parlare con una profondità di cui con tutta evidenza nessun esponente di questo governo è capace. Ma non è un tema all’ordine del giorno. Di più, l’unica proposta di legge evocata – quella del segretario di Più Europa Riccardo Magi – la prevederebbe solo in caso di assoluta gratuità e volontarietà. Niente a che vedere col mercato cui allude Roccella, che pure c’è ma non riguarda noi.

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Israele, proteste oceaniche nella notte. Netanyahu verso lo stop alla riforma della giustizia. Gli Usa: siamo preoccupati

lunedì, Marzo 27th, 2023

a cura della redazione

In Israele rivolta nella notte. Il presidente israeliano Isaac Herzog chiede al primo ministro Benjamin Netanyahu di fermare la riforma della giustizia che – scrive in una nota riportata dai media locali – «indebolisce il sistema giudiziario». Herzog ha fatto appello direttamente al premier, facendo riferimento anche ai disordini avvenuti nel Paese: «Abbiamo assistito a scene molto difficili. Faccio appello al Primo Ministro, ai membri del governo e ai membri della coalizione. Per il bene dell’unità del popolo di Israele, per amore della responsabilità a cui siamo obbligati, ti invito a interrompere immediatamente il processo legislativo» della riforma.

Rivolta nella notte a Israele, i manifestanti cantano la loro rabbia contro Netanyahu: “Democrazia”

Scontri da Tel Aviv a Gerusalemme, anche nei pressi della residenza del premier. Secondo i media israeliani, sono scese in strada centinaia di migliaia di persone. La polizia ha aperto gli idranti e lanciato lacrimogeni. Ora Netanyahu starebbe valutando di ritirare la riforma.

Israele, proteste nella notte: i manifestanti bloccano l’autostrada e la polizia apre gli idranti

08:39

Nuovo appello del presidente Herzog: “Fermate subito l’iter riforma”

Il presidente israeliano Isaac Herzog ha rinnovato l’appello al governo e al premier Benjamin Netanyahu a fermare il progetto di riforma della giustizia dopo la nottata di proteste che ha scosso il Paese. «Per il bene dell’unità del Popolo d’Israele, per le responsabilita’ a cui siamo tenuti io vi invito a fermare immediatamente il processo legislativo», ha affermato il capo di Stato. 08:20

Media: Netanyahu verso la sospensione della riforma

Il premier israeliano Benyamin Netanyahu parlerà oggi alla nazione e, secondo i media che citano fonti vicino al primo ministro, potrebbe annunciare la sospensione della riforma giudiziaria. La decisione è arrivata dopo la nottata di forti proteste in tutto il Paese a causa del licenziamento del ministro della difesa Yoav Gallant, reo di aver chiesto il fermo della riforma. Anche il presidente Herzog questa mattina ha chiesto al premier lo stop dell’iter legislativo della riforma. Secondo alcune fonti, il discorso di Netanyahu è atteso attorno alle 10.30 ora locale (le 9.30 in Italia). 08:00

Indetta una protesta di massa davanti la Knesset: Gallant sia rimesso al ministero della Difesa

I leader delle proteste anti riforma giudiziaria hanno indetto una manifestazione di massa alle 14 (ora locale) davanti la Knesset a Gerusalemme. «Non consentiremo alcun compromesso – hanno sostenuto – che danneggi l’Indipendenza della Corte Suprema». Gli stessi hanno chiesto che il ministro Gallant, licenziato dal premier Benyamin Netanyahu, sia riportato alla responsabilità della difesa. Oggi il governo ha convocato una Commissione che intende modificare il meccanismo di nomina dei giudici della Corte assicurando alla maggioranza politica la preminenza nella scelta 07:46

Proteste ignorate in Israele, riprende in Commissione esame riforma

In Israele, alla Knesset, si sono aperti i lavori in Commissione Giustizia per votare e poi consegnare al Parlamento per il voto definitivo il ddl di riforma giudiziaria che ha scatenato violente proteste nel Paese. Il gesto della coalizione al governo sembra platealmente ignorare le proteste senza precedenti che si sono svolte nella notte e anche i rumours, non confermati però, che il premier Benjamin Netanyahu potrebbe cedere e sospendere la riforma. 07:27

Uno degli avvocati della difesa di Netanyahu minaccia di non rappresentare più il premier israeliano

Uno degli avvocati della difesa di Benjamin Netanyahu, Boaz Ben Tzur, avrebbe minacciato di non rappresentare più il premier israeliano nelle aule di tribunale se non fermerà la riforma giudiziaria che ha scatenato violente proteste nel Paese. Lo scrive la stampa israeliana. Netanyahu e’ sotto processo, accusato in tre diversi procedimenti di corruzione. Boaz Ben Tzur lo difende nel processo cosiddetto Case 4000. 07:06

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Vini (e super mancia). Obama al ristorante servito da mio figlio

lunedì, Marzo 27th, 2023

di Federico Rampini

Gli aneddoti sull’ex presidente Usa: in Cina al G20 di Hangzhou il 2 settembre 2016 Xi Jinping lo umiliò

Vini (e super mancia). Obama al ristorante servito da mio figlio
Barack Obama (Ap)

Il mio ricordo più imbarazzante su Barack Obama risale agli ultimi mesi della sua presidenza. Lo seguii al G20 di Hangzhou il 2 settembre 2016, nell’antica capitale cinese della seta resa celebre da Marco Polo. La presidenza cinese che organizzava il vertice orchestrò un dispetto all’ospite americano. Quando l’Air Force One atterrò sulla pista, c’erano telecamere di tutti i network mondiali per riprendere il leader che si affaccia allo sportello del Jumbo 747 e scende dalla scaletta. È una scena vista cento volte ma conserva una solennità. Quella volta lo sportello non si aprì. Io ero lì con i giornalisti accreditati alla Casa Bianca. Passavano i minuti, molti, e lo sportello rimaneva chiuso. Il comandante dell’Air Force One non poteva aprirlo: il personale di terra dell’aeroporto non forniva una scaletta abbastanza alta per arrivare al «muso» del Jumbo.

La tensione era palpabile per l’incidente tecnico-logistico senza precedenti. Alla fine si vide in movimento sulla pista una scaletta, ma troppo bassa. La misero davanti all’uscita di servizio, sotto la coda, praticamente al «sedere» del Jumbo. Passò altro tempo in trattative febbrili tra americani e cinesi. Vinsero i padroni di casa che controllavano la logistica del cerimoniale di Stato. Obama dovette, per la prima volta nella storia dei viaggi ufficiali, uscire dal retro dell’Air Force One, alla chetichella, in una zona oscurata sotto i motori, invisibile alle telecamere che lo avevano atteso dall’uscita d’onore. Il suo arrivo fu reso irrilevante. Lo screzio venne dimenticato. Guai a sottovalutare questi segnali. Nella cultura cinese non c’è disastro peggiore che il «perdere la faccia». Quel giorno Xi Jinping aveva umiliato il leader americano. Due mesi dopo vinse l’elezione Trump, il quale non si lasciò mai sfuggire un’occasione per accusare Obama di ingenuità nei rapporti con i cinesi. L’ex vice di Obama, Joe Biden, si è convinto che la Cina sia una potenza antagonista, il cui espansionismo va contenuto. Forse quel gesto di Xi al G20 era una premonizione. LEGGI

Ho intervistato Obama due volte. La prima il 17 ottobre 2016 quando lui accolse alla Casa Bianca l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi, che piaceva ai democratici americani. Già allora era emergenza profughi nel Mediterraneo. Obama volle soffermarsi su questo. «L’Italia — mi disse — è in prima linea nella crisi dei rifugiati, una catastrofe umanitaria e un test della nostra comune umanità. Le immagini di tanti migranti disperati, uomini, donne e bambini che affollano piccole imbarcazioni e annegano nel Mediterraneo, sono più che strazianti. L’Italia ha un ruolo di leadership. Ha salvato la vita di centinaia di migliaia di migranti, si adopera per arrivare ad una risposta compassionevole e coordinata alla crisi, mettendo in evidenza la necessità di dare assistenza ai Paesi africani da cui tanti di questi migranti provengono». Lui in quel momento stava affrontando un dramma simile a casa sua, al confine con il Messico, dove tentava di arginare l’ingresso di clandestini, usando anche dei metodi duri (centri di detenzione, minorenni separati dai genitori, deportazioni) che poi avrebbero fatto scandalo sotto la presidenza Trump.

La mia seconda intervista mi rimane impressa per la sincerità. Dicembre 2020. Era ormai un ex presidente da quattro anni, il periodo trumpiano si era appena concluso con la vittoria di Biden. «Fare il presidente degli Stati Uniti — mi disse Obama — è come partecipare a una gara di staffetta. Prendi il testimone da chi ti ha preceduto: alcuni erano degli eroi, altri erano al di sotto dell’ideale. Se corri al meglio delle tue forze, quando passi il testimone la nazione o il mondo saranno un po’ meglio di prima». Questa descrizione era tipica del personaggio, consapevole dei propri limiti e dei limiti della politica in generale; un uomo capace di osservare se stesso e l’America quasi dall’esterno, con distacco, disincanto. Sfoderava il tono pacato che ricordo della sua presidenza. Non tutti lo ammiravano per quello. La destra lo scherniva come «il presidente che girava il mondo a scusarsi per le colpe dell’America»: una forzatura, però coglieva una sua caratteristica, la consapevolezza del declino relativo degli Stati Uniti. Un atteggiamento più da studioso di geopolitica che da leader. A sinistra contro di lui c’è una lunga litania di lamentele. L’ala socialista del partito democratico non gli perdonò mai i salvataggi dei banchieri nella crisi del 2008. Black Lives Matter e gli intellettuali dell’estremismo antirazzista lo accusavano di «non essere nero abbastanza».

Lui aveva il torto di non condividere la cultura del vittimismo, la recriminazione arrabbiata, la ricerca costante di risarcimenti, il razzismo a rovescia contro i bianchi, l’apologia della violenza. Nella deriva sempre più intollerante della woke culture, Obama ha una macchia: governò da moderato. Una volta pensionato, non gli giova di avere accumulato un patrimonio di 70 milioni con il successo dei libri; e di frequentare troppe celebrity multimilionarie, da Richard Branson a Bruce Springsteen. Resta il fatto che nella sinistra dei campus universitari non va giù la saggezza di Obama che mi parlava così: «La democrazia funziona se ti siedi attorno a un tavolo con persone che non la pensano come te, e cerchi di convincerli. Se non ci riesci, accontentati di quello che ottieni. Perché in una nazione pluralista, nessuno mai ottiene tutto quello che vuole».

Ma l’intervista con Obama che ricordo con più gusto — e invidia — è di un altro Rampini: mio figlio Jacopo, attore, ebbe con lui un contatto più intimo e molto meno convenzionale.

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Ivano Marescotti morto a 77 anni: lutto nel mondo del cinema

lunedì, Marzo 27th, 2023

di Roberta Bezzi ed Enea Conti

L’attore era ricoverato a Ravenna dopo una lunga malattia. Originario di Villanova di Bagnacavallo, lascia la moglie Erika e la figlia Iliade

Marescotti

Lutto nel mondo del cinema. Ivano Marescotti è morto nel pomeriggio di oggi, domenica 26 marzo, all’Ospedale Civile di Ravenna, al termine di una lunga malattia. Oginario di Villanova di Bagnacavallo in Romagna, aveva 77 anni, compiuti lo scorso 4 febbraio; lascia la moglie Erika e la figlia Iliade.

L’intervista

A febbraio di un anno fa Marescotti, in un’intervista al Corriere,  aveva ripercorso la sua carriera che diceva essere iniziata per caso. «Non solo iniziata per caso, ma pure molto in ritardo! Finito il liceo artistico, mi ero iscritto alla facoltà di Architettura, poi vengo assunto come impiegato nell’ufficio di Urbanistica nel Comune di Ravenna, mi occupavo del piano regolatore, un lavoro che ho svolto fino all’età di 35 anni – raccontava – Nel 1981, un mio amico mi propone di sostituirlo in uno spettacolo e mi chiedo ancora perché avesse pensato proprio a me, dato che non avevo alcuna esperienza scenica. Senza arte, né parte, senza conoscere il mestiere dell’attore, ho deciso di licenziarmi e di accettare questa avventura che, all’inizio, si prospettava come una occasione unica in tutti i sensi. Abbandonavo il certo per l’incerto assoluto, non sapevo dove sarei finito e non potrei consigliare a nessuno di compiere una scelta del genere, così radicale».

La carriera

 Dopo il diploma al liceo artistico Nervi-Severini di Ravenna e dopo aver lavorato per dieci anni all’ufficio urbanistica del Comune di Ravenna, ormai trentenne, si era lanciato con coraggio nel mondo del teatro e del cinema, riuscendo a conquistare il successo in pochi anni. In teatro aveva lavorato, fra gli altri, con Leo De Bernardinis, Mario Martone, Carlo Cecchi, Giampiero Solari, Giorgio Albertazzi. Il debutto al cinema risale al 1989, in una piccola parte nel film «La cintura». Poi aveva incontrato Silvio Soldini e aveva partecipato al film «L’aria serena dell’ovest». La sua è stata una carriera ricca e longeva, con circa 130 lavori sia in Italia che all’estero, tra fiction e film, fra tv e cinema. Incredibile è stata la sua capacità di calarsi in personaggi anche molto diversi fra loro, dal dottor Randazzo in «Johnny Stecchino» di Roberto Benigni al leghista padre della ragazza che ha una relazione con Checco Zalone nel film «Cado dalle nubi», e fino al papà di Alex in «Jack Frusciante è uscito dal gruppo» di Enza Negroni tratto dall’omonimo romanzo di Enrico Brizzi. Ha lavorato anche su set internazionali, avendo ruoli in film come «Il talento di Mr Ripley» di Anthony Minghella, «Hannibal» di Ridley Scott e «King Arthur» di Antoine Fuqua. 

Nel 2022 si era ritirato dalle scene per dedicarsi all’insegnamento. 

La famiglia e la passione per la politica

Dopo un anno didattico sperimentale con le “Cento ore con Marescotti” nel 2016, sono seguite sei edizioni di Tam – Teatro Accademia Marescotti, organizzate in collaborazione con il Circolo degli attori di Ravenna. Proprio nei giorni scorsi, intervistato, aveva parlato del desiderio di mettersi in proprio con la nuova «Accademia Marescotti» e con l’annessa compagnia teatrale formata dagli allievi più promettenti il cui debutto era in programma per il prossimo 16 aprile al Teatro Socjale di Piangipane con lo spettacolo «Nudi». Un progetto correlato alla nuova associazione “Accademia Baccano”, con l’intento di avere da un lato un radicamento sul territorio e dall’altro una vocazione nazionale. In molti ricordano anche l’impegno politico di Marescotti. A chi lo intervistava, ripeteva sempre di essere nato con la tessera del Pci, al punto da guadagnarsi la fama di ‘comunista’ del cinema. A lungo simpatizzante del Pd, aveva però finito col rimanerne deluso. Così cinque anni fa, dopo un’attenta riflessione, si era deciso a dare il suo sostegno pubblico al Movimento 5 Stelle, «l’unica alternativa utile al governo di destra».

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Regioni a statuto speciale, ecco i privilegi: perché sono a spese di tutti noi

lunedì, Marzo 27th, 2023

di Milena Gabanelli e Simona Ravizza

Si narra che il cancelliere tedesco abbia chiesto a Prodi: «Fammi avere la cittadinanza di Bolzano, così potrò passare una vecchiaia prosperosa». A dire il vero l’idea non dispiace a nessuno, anzi: il Ddl Calderoli sull’autonomia differenziata si ispira grossomodo proprio alle Regioni a statuto speciale. Se il decreto approvato dal Consiglio dei ministri il 2 febbraio 2023 avrà anche il via libera dal Parlamento, diventerà legge, come annunciato, entro l’inizio del 2024. Allora per cominciare vediamo perché in Italia abbiamo 5 Regioni a statuto speciale.

Cosa hanno in comune

L’origine risale all’art.116 della Costituzione del 1948. I commi 1 e 2 sanciscono che «Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale». Le ragioni della scelta hanno radici diverse: la forte spinta indipendentista in Sicilia; le rivendicazioni austriache in Trentino-Alto Adige; la prevalenza del dialetto francese in Valle d’Aosta; la complessità linguistica e l’influenza dell’allora regime comunista jugoslavo in Friuli-Venezia Giulia; la povertà secolare in Sardegna.

Invece il Ddl Calderoli si rifà al comma 3 nato dalla legge costituzionale del 18 ottobre 2001, che conferisce alle Regioni a statuto ordinario (Rso) la possibilità di vedersi attribuite «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» in 23 materie tra cui istruzione, salute, ambiente, internalizzazione delle imprese, tutela e sicurezza del lavoro e produzione di energia. La norma nasce su iniziativa del governo D’Alema alle prese con le rivendicazioni di autonomia della Lega Nord e diventa legge sotto il governo Berlusconi. In cosa consiste la similitudine fra le Regioni a statuo speciale e il Ddl Calderoli? Nel principio che ogni Regione possa negoziare con lo Stato i settori che intende gestire in proprio trattenendo i tributi equivalenti (qui art. 2 e 5). Entriamo allora nel vivo del meccanismo che regola le Regioni a statuto speciale con l’analisi di Massimo Bordignon, Federico Neri, Leonzio Rizzo e Riccardo Secomandi per l’Osservatorio dei Conti Pubblici Italiani della Cattolica (qui).

Quanto trattengono le Regioni a statuto speciale

Il punto sostanziale è quello di trattenere per sé la gran parte delle imposte: la Valle d’Aosta si tiene il 100% di Irpef, Ires (imposta per le società), Iva e accise sui carburanti; le Province autonome di Trento e Bolzano il 90% e l’80% di Iva; il Friuli-Venezia Giulia il 59% e il 30% delle accise; la Sicilia il 71% dell’Irpef, il 100% dell’Ires e il 36% di Iva; e la Sardegna il 70% su tutto e il 90% di Iva. Con questi soldi si pagano: sanità, assistenza sociale, trasporti e viabilità locali (che però si pagano in proprio anche Regioni come Lombardia, Toscana e Lazio), manutenzione del territorio, infrastrutture per l’attrazione turistica. La Valle d’Aosta e le due province del Trentino si finanziano anche l’istruzione, ovvero gli stipendi degli insegnanti.

Cosa paga lo Stato

Lo Stato paga tutto il resto: le spese per la giustizia (procure e tribunali), le forze dell’ordine, le infrastrutture di carattere nazionale (come la rete ferroviaria, i trafori, pezzi di autostrada, a partire da quella del Brennero), i servizi Inps, oltre alla macchina politica e amministrativa statale. Tutte spese che sono finanziate dalla fiscalità generale, alle quali queste regioni non partecipano, o lo fanno in piccola parte.

Costi a Roma, vantaggi alle Regioni

A conti fatti, come mostrano i dati dei Conti Pubblici Territoriali, lo Stato in media spende all’anno per ogni cittadino italiano che vive nelle Regioni a statuto ordinario 10.737 euro, tanto quanto spende per un cittadino valdostano (10.708), per un abitante del Friuli-Venezia Giulia 12.170, per un trentino 9.343, un altoatesino 9.222, un sardo 9.666, e per un siciliano 8.214.

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