Archive for Aprile, 2023

Sala chiede rinforzi. Ma il sindaco Pd ora è un problema anche per il partito

domenica, Aprile 30th, 2023

Antonio Ruzzo

Milano. «Mi sono sentito con prefettura e questura, il ministro Piantedosi tornerà presto a Milano, obiettivamente è un lavoro lungo che richiede tanto impegno…». Così il sindaco di Milano Giuseppe Sala, rispondendo a chi gli chiede un commento su quanto accaduto due giorni fa in stazione Centrale, dove una giovane turista straniera è stata stuprata da un nordafricano irregolare mentre stava prendendo un ascensore. Un’aggressione brutale, non la prima purtroppo.

«Io non ho mai scaricato su altri le responsabilità – mette un po’ le mani avanti il sindaco -. È evidente che il ministero è fondamentale, le forze di polizia sono fondamentali nel fare rispettare la sicurezza, però lo sento come un mio dovere. Con Piantedosi, al di là di tutto, sulle questioni che hanno a che fare con Milano noi si lavora. I controlli in città sono tecnicamente aumentati però succede ancora, quindi il tema è che si deve aumentare ancora di più la presenza di uomini e di telecamere…».

Benvenuti a bordo. Forse ora anche a sinistra, anche nelle file del nuovo Pd che la neo segretaria Elly Schlein sta «armonicamente» pilotando verso colorate e illuminate posizioni di avanguardia civile, sociale e culturale si rendono conto che, nella città che da anni amministrano, c’è un serio problema di sicurezza. Che non esiste solo una metropoli splendente, patinata, sostenibile ed europea ma che ci sono «sacche» oscure di illegalità dove vivono centinaia di irregolari che in realtà sono fantasmi che non hanno nome, non hanno casa, non hanno lavoro, che sopravvivono da disperati e che è meglio fingere che non esistano.

Guai a chiamarla «emergenza», perché a sinistra non usa. Guai a pensare che l’immigrazione non sia solo la normale opportunità di una città sempre più cosmopolita ma anche un disagio concreto per chi ci fa i conti quotidianamente quando esce di casa, per i poliziotti, per i tranvieri che vengono aggrediti se osano chiedere un biglietto, per chi vive in quartieri-ghetto di periferia come Selinunte, le Case Bianche o il Corvetto dove l’integrazione è rimasta lettera morta. Altro che «modello Milano».

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Un euro su due finisce in tasse: il cuneo fiscale si mangia gli aumenti

domenica, Aprile 30th, 2023

PAOLO BARONI

ROMA. Hai voglia a fare buoni contratti e a spuntare aumenti con due zeri se poi il Fisco se ne mangia una fetta enorme. Anche il 50% stimano i metalmeccanici della Cisl, secondo cui più si contratta salario e più aumentano le tasse. In pratica ogni 10 euro «guardagnati», 5 si volatilizzano. Per cui ora «non basta un piccolo taglio del cuneo fiscale ma occorre ripristinare il recupero del fiscal drag, rivedere le aliquote ed adeguare le detrazioni all’inflazione», sostiene il sindacato.

Il caso più emblematico, secondo uno studio della Fim che La Stampa è un grado di anticipare, è quello dei 69 mila lavoratori del Gruppo Stellantis, di Iveco, CnhI e Ferrai che, sulla base degli importanti aumenti salariali ottenuti per il 2023 e 2024 col recente rinnovo del contratto specifico di lavoro (Ccsl), finiscono per essere ancora più tartassati e spremuti dalla pressione fiscale.

Uno stipendio medio
Se si prende ad esempio il caso di un lavoratore residente a Torino di Stellantis, con un reddito annuo di 30 mila euro, i 207 euro di aumenti mensili in busta paga (ottenuti col recente rinnovo del Ccsl, assieme a 400 euro di una tantum e 200 di flexible benefit) scattati in parte a marzo (119 euro) ed in parte a gennaio 2024 (87,8 euro) vengono tassati al 50% per effetto delle aliquote marginali, del minore impatto delle detrazioni e delle addizionali comunali e regionali alte e progressive. Risultato? Al lavoratore, tolti contributi sociali e tasse, al netto restano in tasca solamente 103,4 euro dei 207 contrattati.

Per il segretario generale della Fim Cisl Roberto Benaglia «siamo di fronte ad una situazione paradossale e ormai insostenibile. Il ritorno del fiscal drag, che né il governo precedente né quello attuale hanno considerato nelle manovre fiscali, fa sì che più il sindacato difende le buste paga con la contrattazione e più il lavoratore è vessato. La pressione fiscale media che per un metalmeccanico, con un reddito medio è sotto il 25%, si raddoppia ad ogni ulteriore aumento contrattuale» aggiunge il sindacalista, secondo cui «vedere tassati del 50% circa l’11,3% di aumento ottenuto per difendere i lavoratori del Gruppo Stellantis dall’inflazione è incredibile. La dice lunga sugli effetti distorsivi del nostro sistema fiscale che continua a “tosare” sempre di più chi le tasse le paga veramente».

Quanto pesa il taglio del cuneo
E il taglio del cuneo fiscale? A parte il fatto che per il 2024 lo sconto è tutto da confermare, anche perché per farlo servirebbero ben 10 miliardi di euro, quello previsto da maggio secondo l’analisi della Fim-Cisl, questo mese produrrà solo una lievissima attenuazione della crescente pressione fiscale di pochi euro. Prendendo ad esempio una retribuzione media di 30.000 euro, corrispondente a 2.308 euro lordi mensili, col taglio contributivo di due punti (dal 9,49% al 7,49) la retribuzione imponibile mensile è pari a 2.135 euro, 1.778 euro al netto dell’Irpef nazionale che poi diventano 1.721 euro applicando le addizionali locali.

A marzo con l’aumento di 119 euro la retribuzione lorda sale invece a 2.427 euro, ma il netto finale per effetto dei meccanismi fiscali sale invece della metà, 60 euro in tutto, a quota 1.781. Da rilevare dal punto di vista fiscale che con l’aumento di 119 euro mensili, la retribuzione media che prima ricadeva nel secondo scaglione Irpef ricade invece nel terzo scaglione (oltre 28.000 euro di imponibile). Lo stesso vale per le addizionali comunali, dove si passa dal primo scaglione (aliquota dello 0,8%) al secondo (1,1% sopra i 28.000 euro); e per quelle regionali, dove si passa dal secondo (aliquota del 2,13%) al terzo scaglione (aliquota del 2,75%).

Il nuovo sconto sui contributi
A maggio, secondo quanto previsto nel Def, ci sarà il nuovo taglio contributivo al 5,49 che farà scendere da 183 a 133 euro le trattenute con un risparmio di poco più di 49 euro. Parte di questa diminuzione è però erosa dall’aumento dell’imponibile che produce un aumento di tassazione tanto che la retribuzione netta finale aumenta praticamente solo della metà, 25 euro.

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Il capitano delle Frecce tricolori Alessio Ghersi muore precipitando con un ultraleggero in Friuli

domenica, Aprile 30th, 2023

E’ il pilota di Domodossola Alessio Ghersi, 34 anni, capitano dell’Aeronautica e dal 2018 alla Pattuglia acrobatica nazionale «Frecce tricolori» una delle due vittime dell’incidente aereo avvenuto attorno alle 18,30 di sabato in Friuli. L’altra è Sante Ciaccia, 35 anni, originario di Monopoli e residente a Milano, impiegato e parente della moglie di Ghersi.

Da quanto riporta il Messaggero Veneto, i due sono morti carbonizzati nella caduta nell’ultraleggero su cui si trovava assieme a un parente sulla catena dei Musi, nell’area dell’Alta Val Torre, a circa 25 chilometri da Udine.

Sono stati tre testimoni oculari a lanciare l’allarme dopo aver visto il velivolo schiantarsi e aver sentito un forte boato. Subito sono intervenuti i vigili del fuoco di Gemona, i volontari del Soccorso alpino di Udine e Gemona, la guardia di finanza di Tarvisio, i carabinieri di Pradielis, l’elisoccorso regionale e l’elicottero dei vigili del fuoco da Venezia. Il campo base dei soccorsi è stato istituito a Lusevera. Difficile per i soccorritori raggiungere il punto della tragedia perché il velivolo è caduto in un bosco, in una zona. Quando sono arrivati hanno trovato l’ultraleggero carbonizzato: per Ghersi e l’altro occupante non c’è stato nulla da fare.

L’ultraleggero precipitato in Friuli  (ansa)

Da quanto ricostruito, il velivolo – un Pioneer 300 – era decollato attorno alle 18 dall’aviosuperficie di Campoformido (Udine): saranno le indagini coordinate dalla procura di Udine a dover accertare perché l’ultraleggero abbia perso quota e sia andato a schiantarsi. Intanto anche l’Anav, l’Agenzia nazionale per la sicurezza del volo, ha subito aperto un’inchiesta e ha inviato sul posto i suoi ispettori. Le salme dei sue

Alessio Ghersi era sposato, aveva due figlie e viveva a Rivolto (Udine) dove ha base la Pattuglia acrobatica nazionale.

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Migrante con la protezione speciale accoltella poliziotto

domenica, Aprile 30th, 2023

Mario Benedetto

Ha aspettato sotto casa il poliziotto che lo aveva arrestato alcune settimane prima, per accoltellarlo. Il tutto risiedendo in Italia con un permesso di soggiorno per protezione speciale. La storia del 23enne ivoriano, tratto per l’ennesima volta in arresto nell’occasione citata con l’accusa di tentato omicidio, arricchisce il dibattito sviluppatosi sulla questione, evidenziando le ragioni della messa in discussione dell’istituto. Oltre a rappresentare una delle tante storie che ha a che vedere con la disciplina degli ingressi nel nostro Paese e con la situazione recidive di reati con cui le forze dell’ordine hanno quotidianamente a che fare, mettendo a rischio la propria incolumità.

Utile ricostruire la storia giuridica e criminale dell’aggressore, con più di un precedente, la cui domanda di protezione internazionale alla questura di Palermo risale al 12.02.2018. In essa aveva dichiarato di essere sbarcato a Lampedusa ben un paio d’anni prima, precisamente il 23.01.2016. Richiesta rigettata il 30.07.2018 dalla commissione territoriale di Palermo, considerata l’assenza del fondato timore di trattamenti persecutori nei suoi confronti e di gravi motivi di carattere umanitario.

Dunque non sussistevano i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o dello status di protezione sussidiaria e umanitaria. Segue un ricorso del richiedente alla sezione specializzata del Tribunale civile che, con decreto del 24.10.2019, rigettava la richiesta dello status di rifugiato o la protezione sussidiaria in virtù dell’assenza delle condizioni che li giustificassero quali persecuzioni o rischi di danno o minaccia grave individuale.

Al contempo, però, il Tribunale gli riconosceva il diritto a un permesso di soggiorno per protezione speciale ai sensi dell’art. 1, comma 9 del d.l. 113/18 in virtù delle prove fornite dal richiedente circa il proprio positivo inserimento e radicamento nel tessuto economico-sociale dello Stato italiano, raggiunto tra l’altro mediante l’impegno profuso nello studio. Il 30.10.2019 la Commissione Territoriale prendeva atto della decisione del Tribunale e la Questura rilasciava il permesso con scadenza 23.12.2021. Protezione speciale rinnovata sino al dicembre 2023: l’Italia, e non la Costa d’Avorio, costituiva «il principale centro di interessi del richiedente».

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Elly Schlein, Mentana picchia duro: “Ho risparmiato mezz’ora”

domenica, Aprile 30th, 2023

Giada Oricchio

L’intervista di Elly Schlein a “Vogue” è piaciuta a pochi. Quasi tutti gli addetti ai lavori hanno criticato la segretaria Pd (stabilmente al 20% nei sondaggi dal suo arrivo, nda) per la decisione di rilasciare la sua prima intervista a un mensile di posizionamento, elitario e non di massa. Anche Enrico Mentana, direttore del Tg La7, ha bocciato la scelta. Non per la forma né per l’ormai famosa armocromista che consiglia i look a Schlein, ma per qualcosa di peggio: il contenuto.

In un post su Instagram e Facebook, Mentana è andato dritto al punto: “Questa mattina ho risparmiato mezz’ora: non ho letto nessuno degli articoli su come si veste Elly Schlein. Metto da parte questa mezz’ora, per leggere quel che Schlein scriverà – spero presto – su come deve cambiare la sinistra per superare la sua crisi”.

Il direttore sembra pensarla come Paolo Mieli che qualche giorno fa, in un editoriale per il Corriere della Sera, ha accusato la segretaria dem di “scivolare nei gorghi di nebbiose fumisterie” quando deve rispondere a domande pubbliche.  Al momento la linea della nuova segretaria ha scontentato diversi senatori e deputati: sono diverse le fuoriuscite dal partito, l’ultima in ordine di tempo è quella di Caterina Chinnici, figlia del consigliere Rocco assassinato dalla mafia.

IL TEMPO

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Napoli, la gloria e la clemenza

domenica, Aprile 30th, 2023

di Beppe Severgnini

Per i tifosi è il momento di lanciare, insieme alle grida di gioia, anche un pernacchio doc contro i luoghi comuni. Certo, Napoli ha dovuto sopportare tante cattiverie. Ma «la vera gloria di un vincitore è quella di essere clemente»

«I problemi della vittoria sono più piacevoli di quelli della sconfitta, ma non sono meno ardui». Lo sosteneva Winston Churchill, che non s’era portato a casa uno scudetto, ma qualche successo l’aveva ottenuto. La frase mi è tornata in mente alla vigilia del trionfo del Napoli e di Napoli. Trionfo meritato, che deve riempire di soddisfazione chi ama il calcio. Finché vincono i più forti, andiamo bene.

    Cosa aspetta i tifosi azzurri nelle prossime ore o, tutt’al più, nei prossimi giorni? Il terzo titolo, molto entusiasmo e una lunga festa. La scudetto precedente risale al 1990: chi lo ricorda non è più giovane, l’anagrafe non mente. Portare a casa il titolo nazionale è una gioia che cancella di colpo anni di ansie, dubbi e disturbi psicosomatici. Una botta di infanzia di cui tutti, a ogni età, avremmo bisogno.

    Solo chi ha sofferto sa sorridere, nel calcio e non solo. E Napoli è una città che, sulla sofferenza, potrebbe tenere il congresso mondiale. Ma anche sull’intelligenza emotiva che porta una comunità a reagire. Vincere — scusate, stravincere — il campionato è anche una forma di riscatto? Certo: e allora? Il successo sportivo — dovunque — si carica di allegorie, fantasie, ricordi, rivincite. Perché lo scudetto a Napoli dovrebbe costituire un’eccezione?

    Non tutte le vittorie sono simili, e non tutte le celebrazioni sono uguali. Alcune squadre le hanno rovinate, insultando gli avversari sconfitti; tanti tifosi hanno esagerato. Non parliamo dei delinquenti, che in fondo tifosi non sono (solo fanatici in cerca di un’occasione). Parliamo dei sostenitori di una squadra. Quelli per cui uno scudetto è un cerchio che si chiude. Un momento di armonia.

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Decreto lavoro, più contratti a termine e voucher per occasionali fino a 15 mila euro

domenica, Aprile 30th, 2023

di Claudia Voltattorni

Decreto lavoro, più contratti a termine e voucher per occasionali fino a 15 mila euro

C’era una volta il decreto dignità. Fortemente voluto nel 2018 dall’allora ministro del Lavoro Luigi Di Maio, modificava il Jobs Act e introduceva nuove regole per i contratti a tempo determinato. Da un lato li accorciava dai 36 ai 24 mesi massimi e riduceva da 5 a 4 le proroghe, ma poi permetteva il rinnovo dopo i primi 12 mesi e per un massimo di altri 12 mesi solo in presenza di alcune causali senza le quali il contratto sarebbe stato trasformato in assunzione definitiva. Una norma criticata perché rischiava di scoraggiare le azienda ad assumere a tempo indeterminato: queste avrebbero preferito, allo scadere dei 24 mesi, rivolgersi a un nuovo dipendente con un nuovo contratto a tempo determinato. lavoro

Contratti più flessibili

Il nuovo decreto Lavoro allo studio del governo, e che lunedì primo maggio arriverà in Consiglio dei ministri, rimette tutto in discussione, in particolare per quanto riguarda i contratti a termine. Le causali dai 12 ai 24 mesi diventeranno più «soft» e saranno legate ai contratti collettivi o aziendali oppure demandate a patti tra datore di lavoro e lavoratore. «Una nuova deregulation che favorisce la precarietà» attacca l’opposizione. Ma secondo la ministra del Lavoro Marina Calderone, «l’obiettivo non è precarizzare ma rendere più fluido e più corretto il singolo adempimento e la gestione dei contratti». le misure

Incentivi e giovani

Ma le novità riguardano anche altro. Per le nuove assunzioni, ai datori di lavoro sono riconosciuti degli incentivi. Quelli per i giovani fino a 30 anni che rientrano nella categoria «neet», cioè che né studenti né lavoratori, durano 12 mesi e valgono per le assunzioni dal primo giugno 2023 a fine anno e pesano per il 60% della retribuzione mensile lorda. Ma l’incentivo viene esteso anche per i contratti di apprendistato e somministrazione. Confermato l’esonero contributivo per l’assunzione nelle regioni del Mezzogiorno e nelle Isole di giovani fino ai 35 anni e disoccupati. Il decreto prevede inoltre un fondo di 10 milioni di euro per il 2023 e di 2 milioni dal 2024 per le famiglie di studenti di scuole e università deceduti (dal primo gennaio 2018) mentre erano impegnati in attività di formazione, come ad esempio l’alternanza scuola-lavoro. il decreto

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Mattarella: “Il lavoro antidoto alle discriminazioni, la precarietà stride con la crescita. Pnrr ineguagliabile opportunità”

domenica, Aprile 30th, 2023

Un monito contro la precarietà, «un sistema che stride con la crescita». E un avviso fortissimo a tutte le istituzioni: non bisogna arrendersi all’idea che possa esistere il lavoro povero. Sergio Mattarella parla da Reggio Emilia e alla vigilia del Primo spiega che «il lavoro è l’antidoto contro discriminazione e criminalità». L’inquilino del Colle constata con «amarezza» che la «piena occupazione di giovani e donne» è un traguardo ancora da venire, e parla di «costo umano inaccettabile» per gli infortuni sul lavoro.

Primo maggio e lavoro, ecco perché i giovani non vogliono più rinunciare alla qualità della vita: le storie di Sara, Giacomo, Giorgia, Vincenza e Luca

CATERINA STAMIN 01 Maggio 2023

Secondo il presidente della Repubblica «ampliare la base del lavoro, e la sua qualità, deve essere assillo costante a ogni livello, a partire dalle istituzioni». Mentre «si riaffaccia la tentazione di arrendersi all’idea che possa esistere il lavoro povero, la cui remunerazione non permette di condurre una esistenza decente, è necessario affermare con forza, invece, il carattere del lavoro come primo, elementare, modo costruttivo di redistribuzione del reddito prodotto. Il Primo Maggio è la festa della dignità del lavoro. È la festa della Repubblica fondata sul lavoro» scandisce, citando Luigi Einaudi e Giorgio La Pira. «L’unità del Paese significa unità sostanziale sul piano delle opportunità di lavoro. Significa impegno per rimuovere le disuguaglianze territoriali. Presidiare e promuovere l’unità nazionale significa anche questo. Il lavoro è indice di dignità perché è strettamente collegato al progetto di vita di ogni persona».

Lavoro minorile: “In Italia un quattordicenne su cinque lavora prima dell’età consentita”

ROSALBA MICELI 29 Aprile 2023

E poi il Capo dello Stato accende un faro su una ferita aperta nel nostro Paese, quella dei morti sul lavoro, una piaga che non si rimargina. Gli incidenti sul lavoro sono un aspetto «da porre in primo piano perché distruggono vite, gettano nella disperazione famiglie, provocano danni irreversibili, con costi umani inaccettabili» ha spiegato Mattarella.
Pnrr: “Una ineguagliabile opportunità per colmare ritardi strutturali”

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Primo maggio di resilienza tra economia e armocromia

domenica, Aprile 30th, 2023

MASSIMO GIANNINI

Ci aspetta un bel Primo Maggio. Da una parte il vecchio “Partito del trolley”, che in un giovedì di euforia vacanziera alla Camera ha rischiato di far cadere il governo. Dall’altra il “nuovo” Partito democratico, che in attesa di tirare fuori un’idea sull’economia ci ha fatto scoprire le meraviglie dell’armocromia. In mezzo c’è un’Italia distratta ma non disfatta, che aspetta più fatti e meno parole. Ricucita con tante scuse a tutti la “toppa” sul Def, domani Giorgia Meloni potrà dunque regalare il suo decreto-spot ai lavoratori italiani, offrendogli in dono per l’occasione un taglio delle tasse sulle buste paga da 16 euro al mese. E va bene così, una pizza e una birra in più, nel Paese che in materia di piccoli cadeau tributari ha già visto e vissuto di tutto, dall’abolizione dell’Imu di Berlusconi agli 80 euro di Renzi.

La verità è che la nave in qualche modo va, ma la premier naviga a vista, con le mani legate sul timone. I sindacati, Maurizio Landini in testa, accusano la presidente del Consiglio e invocano tagli assai più massicci del cuneo fiscale. Giusto, ma farebbero bene a chiedersi perché altrove, in Occidente, a parità di incidenza della tassazione i livelli retributivi dei lavoratori siano stati difesi molto più che da noi. A marzo i salari medi sono cresciuti del 2,2%, mentre l’inflazione galoppa al 7,6: il caro-vita ha eroso il potere d’acquisto di 5,4 punti. Nell’intero 2022 l’aumento salariale medio è stato del 2,3%, livello più basso d’Europa. Al netto dei prezzi, il salario reale è calato di oltre 2 punti. Oggi 7 milioni di dipendenti aspettano il rinnovo dei contratti. Quasi 3 milioni di giovani tra i 15 e i 34 anni non studiano e non lavorano. Al Sud è occupata meno di una donna su tre. È qui la Festa?

Se guardiamo alla congiuntura un po’ di festa ce la meriteremmo pure. Nel primo trimestre di quest’anno l’economia italiana è cresciuta dello 0,5%. Nello stesso periodo la Germania cresce zero, la Francia 0,2%, la media Ue un modesto 0,1. “Italia locomotiva d’Europa”, verrebbe quasi da dire. Ma evitiamo trionfalismi ridicoli. Nella morsa delle due emergenze, la pandemia e la guerra, ci difendiamo meglio perché prima stavamo molto peggio degli altri. Dice Giancarlo Giorgetti: chi vuole capire sul serio il significato della parola “resilienza”, così tanto evocata negli ultimi tempi, “deve guardare all’economia italiana”. Ed è vero: complice un’iniezione di bonus a pioggia e di risorse pubbliche mai viste dal dopoguerra (quasi 250 miliardi, con 9 scostamenti di bilancio) negli ultimi tre anni il Paese ha retto l’urto. I grandi dell’energia hanno riconvertito produzioni e macinato extraprofitti, le aziende del Quarto Capitalismo hanno raddoppiato l’export, le piccole e medie imprese hanno mantenuto competitività. Catene del valore e filiere produttive si sono rivelate più forti del previsto. Ma ancora una volta, sussidi a parte, assistiamo al trasferimento di ricchezza dal lavoro al capitale, e dunque all’allargamento delle disuguaglianze sociali. I costi della crisi li paga il ceto medio, che non sfugge ai rincari nel carrello della spesa e alla stangata nelle bollette di luce e gas.

Che fare? Dalla lettura del Def e dalle esternazioni del ministro del Tesoro, una mezza conclusione si può trarre: poco e niente. Con il debito a oltre 2.700 miliardi, gli spazi fiscali per misure espansive sono ridotti al lumicino. Quindi addio Flat Tax al 15% uguale per tutti (costa 70 miliardi) e arrivederci “detrazione choc” da 10 mila euro per ogni figlio (costa 88 miliardi). In rapporto al Pil, si copre l’intera spesa previdenziale (16,1% nel 2026) e neanche tutta la spesa sanitaria (in calo al 6,2% a fine triennio). Per il resto, come dice Giorgetti, c’è solo da sperare che nei prossimi due trimestri la crescita si mantenga a questi ritmi, per far sì che si allentino almeno un po’ “le pressioni sui saldi di finanza pubblica” e si creino “margini per nuovi interventi in autunno a sostegno di imprese e famiglie”. Qui sta la vera e per adesso unica e inattesa virtù del governo dei Patrioti (insieme alla fedeltà euroatlantica sul fronte ucraino): l’approccio “prudente e equilibrato” del bilancio dello Stato. Giorgetti lo rivendica. Anche a costo di far imbestialire gli orfanelli salviniani del Papeete, che pretenderebbero l’abolizione immediata della legge Fornero o almeno il raddoppio delle pensioni minime.

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Primo Maggio, la festa triste: “Il lavoro non è più un diritto”

domenica, Aprile 30th, 2023

Alessandra Ghisleri

Quest’anno il Primo maggio arriva in un momento delicato, soprattutto per gli italiani. Perché il nostro Paese ha un serio problema di impoverimento, specie per quel che riguarda il lavoro, registrato settimana dopo settimana da ogni rilevazione che dà conto delle opinioni degli italiani. L’indifferenza è il triste risultato che scaturisce dalla domanda sulla celebrazione del Primo maggio. Tra rabbia, tristezza, speranza, delusione e festa, è proprio l’indifferenza a essere generata con la maggiore frequenza.

Secondo gli intervistati negli anni il Primo maggio ha assunto il ruolo di una festività priva di significato, solo vetrina e propaganda (30,2%), governata dalla politica (19,8%) e obsoleta (16,5%). Solo per un italiano su tre (28,4%) mantiene la sua importanza e il suo valore. È principalmente l’elettorato del Partito democratico a dichiararlo (58,3%). Se ci fermiamo a riflettere fa una certa impressione osservare che, anche tra l’elettorato di centrosinistra, con il tempo questa festività abbia smarrito il suo significato originario. Per i più il Primo maggio è una scusa per un ponte, come del resto il 25 aprile e, purtroppo, la mancanza del quorum dello scorso giovedì in Parlamento con l’assenza dei parlamentari nel giorno del voto sul Def offre un’ennesima conferma ai cittadini, qualsiasi siano state le giustificazioni.

In ogni classifica il lavoro è sempre una voce dominante, eppure rispetto all’articolo 4 comma 1 della Costituzione – «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto» – la stragrande maggioranza degli italiani dichiara di non vedere riconosciuto tale diritto nella società odierna (75,8%). E neppure rispetto al comma 2 del medesimo articolo – «Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società» – si ritrova una visione italiana, perché il 76,1% degli intervistati afferma di non ritrovare nulla di tutto questo nella nostra società. Sembra assurdo, ma la Costituzione italiana, celebrata e pluricitata, appare non rispettata proprio nei suoi principi fondanti. La criticità più evidente secondo i cittadini è che il lavoro oggi sia sottopagato (37,3%) soprattutto nella visione delle donne (40,2%), così al posto di portare dignità alla persona (16,8%) si trasforma in un’emergenza (13,1%) e in uno strumento gestito in maniera antiquata (10,9%). Sono proprio i più giovani tra i 18 e i 24 anni, prossimi al mercato del lavoro, che ne lamentano i maggiori disagi e non ne riconoscono lo strumento per la costruzione di un futuro.

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