Archive for Aprile 11th, 2023

Dopo aver svilito la politica, Grillo mette in burla anche la fede

martedì, Aprile 11th, 2023

Andrea Indini

Chissà se, nel vedere i primi teatri pieni, qualcuno si era immaginato l’ascesa di Beppe Grillo. I vaffa sbraitati in piazza, la cavalcata verso Roma, lo slogan «Onestà, onestà» e le scatolette di tonno. I governi giallo-verde-rosso, le pochette di Conte e il clan dei miracolati innalzati a ministri. Chissà se qualcuno, agli albori dei meet up, della decrescita felice e della democrazia partecipata, aveva intravisto i disastri del populismo più becero fatto movimento: la politica ridotta a barzelletta, le leggi scritte coi piedi, la buffonata della povertà cancellata per decreto, l’aberrazione del reddito di cittadinanza.

Eppure era davanti agli occhi di tutti. Grillo che a teatro vomitava insulti e spargeva illusioni. E, alle sue spalle, Gianroberto Casaleggio e la piattaforma Rousseau, il blog e i social usati come clava. Una macchina macina click, consensi e soldi. Lo vedevamo, eccome. Forse, però, nessuno credeva davvero possibile l’ondata pentastellata. Poi è arrivata e ha travolto la politica, calpestandola. Poco importa se poi, dopo aver berciato per anni contro la Casta, si sono fatti Casta anche loro.

Ora che il movimento è diventato partito e i danni sono irreversibili, il fondatore si è chiamato fuori e ha cambiato casacca. Da comico a guru, da padre-padrone a santone o, peggio, ayatollah. E così, dopo aver svilito la politica, punta a svilire pure la fede. Lo scorso 21 dicembre ha fondato una nuova religione, l’Altrovismo. Una pagliacciata, per carità. Molti, forse, avevano pensato lo stesso dei VaffaDay. Poi, appunto, le piazze hanno iniziato a riempirsi. E, dopo le piazze, le urne e gli scranni in parlamento. Quindi chissà.

Oggi la Chiesa di Grillo ha già la sua bibbia, il «Libro dell’Altrove». È uscito nei giorni scorsi ed è acquistabile online per 10 euro e 99 centesimi. Inizia così: «Innanzitutto è importante comprendere che la specialità degli esseri umani non deriva dai loro pollici opponibili o dalla loro intelligenza, ma dalla memoria del tempo e dal senso dell’Io». E questo senso è l’Elevato a spiegarlo ai suoi fedeli in 80 pagine di follie su superfluo, sostenibilità del pianeta e alienazione dell’uomo.

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Nomine, le scelte di Meloni per Eni, Enel, Poste, Leonardo e Terna (che scontentano anche i suoi ministri)

martedì, Aprile 11th, 2023

di Monica Guerzoni 

La premier sceglie i 5 top manager. Le tensioni con la Lega, Salvini sente Gianni Letta

Nomine, Meloni ha l’ultima parola. E «scontenta» anche i suoi ministri
Da sinistra Claudio Descalzi, Roberto Cingolani, Stefano Donnarumma, Matteo Del Fante, Giuseppina Di Foggia 

La clessidra di Palazzo Chigi è agli ultimi granelli di sabbia. La grande partita delle nomine al vertice di Eni, Enel, Poste, Leonardo e Terna si sta per chiudere e non senza tensioni. Giorgia Meloni è al suo primo test al grande tavolo del potere e la prova di forza della leader sta mettendo sotto pressione i partiti. Pasquetta nervosa, senza tavoli né vertici, ma con colloqui telefonici in vista degli incontri di oggi a Palazzo Chigi. Giorgetti e Salvini, che temono di restare con le briciole nel piatto, si sono parlati dal vivo e puntano a ottenere almeno la presidenza dell’Eni. 

Il ministro dell’Economia deve partire in tarda serata per una missione al Fmi e vuole salire sul volo di Stato per gli Usa con l’accordo in tasca, magari dopo aver firmato la lista. In cima c’è Claudio Descalzi, inamovibile come ad di Eni. Il secondo nome è ancora un punto interrogativo e l’unica certezza è che il presidente del cane a sei zampe «proverà a indicarlo Salvini». Purché, avvertono ai piani alti del governo, «sia un profilo di assoluto standing». Tra i nomi evidenziati in giallo spicca quello della prima donna destinata ad approdare al vertice di una società pubblica quotata in Borsa. Un traguardo che Meloni si è imposta come «grande sfida della parità». L’onore e l’onere di diventare il primo «amministratore delegato donna» — per dirla con la premier, che vuole affidarle la guida di Terna — potrebbe toccare a Giuseppina Di Foggia, ceo di Nokia Italia. 

Gli alleati sono in sofferenza, prova ne siano i colloqui tra Salvini e Gianni Letta. Meloni invoca «competenza», ha preteso l’ultima parola su tutti i profili dei manager e punta a fare il pieno, cinque ad su cinque, a dispetto dei desiderata della Lega. «Descalzi all’Eni non si tocca e alle Poste resta Matteo Del Fante», aveva avvertito la presidente. E così è stato. Fonti di governo confermano che «Giorgia è irremovibile, non ascolta nemmeno i ministri di Fratelli d’Italia».

 Ne sa qualcosa Francesco Lollobrigida, che non è riuscito a imporre Maurizio Ferrante alle Poste. E ne sa più di qualcosa Guido Crosetto. Il co-fondatore di FdI pensava di aver convinto la leader ad affidare la poltrona più importante di Leonardo a Lorenzo Mariani, ceo di Mbda Italia. Invece sembra proprio che il ministro della Difesa abbia dovuto arrendersi e che non sia affatto contento. Dopo aver promesso a Crosetto che sarà ricompensato con «cose altrettanto importanti», ammesso che lo siano anche per lui, Meloni ha scelto per sostituire l’ad Alessandro Profumo l’ex ministro del governo Draghi, Roberto Cingolani, consulente di Palazzo Chigi per l’emergenza energetica. 

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Attacco a Tel Aviv, la salma di Parini in arrivo oggi a Ciampino. Netanyahu: “Faremo giustizia”

martedì, Aprile 11th, 2023

Nello Del Gatto

GERUSALEMME. Partirà oggi dall’aeroporto Ben Gurion per arrivare nel primo pomeriggio a Ciampino, la salma di Alessandro Parini, il giovane avvocato ucciso venerdì sera sul lungomare di Tel Aviv. È arrivato il via libera dalle autorità israeliane, che hanno concluso una parte delle indagini sulla sua morte, avvenuta ad opera di Yousef Abu Jaber, un arabo israeliano. Il corpo di Parini è stato sottoposto ad alcuni esami strumentali all’istituto di medicina legale di Abu Kabir. In particolare una tac ha evidenziato che nessun proiettile era presente nel corpo del giovane avvocato. Parini è stato anche ricordato sabato dalla manifestazione giunta alla quattordicesima settimana, nata per protestare contro la riforma della giustizia e divenuta un referendum anti Netanyahu.

Il premier ha deciso di metterci la faccia e presentarsi ieri sera in conferenza stampa, sullo stato della sicurezza nazionale. Negli ultimi giorni gli scontri sulla spianata delle moschee in occasione della Pasqua ebraica, razzi da Gaza, dal Sud del Libano, dalla Siria, l’attentato a Parini e quello, sempre venerdì nella Valle del Giordano nella quale sono state uccise due sorelle inglesi e la loro madre (morta ieri per le ferite) che vivevano in un insediamento nella zona, hanno posto un serio problema di sicurezza.

Netanyahu, che ha detto che il paese «è sotto attacco terroristico» e che questi sono cominciati con il governo precedente, ha assicurato che «tutti i terroristi saranno presi» e che il ministro della difesa Gallant, in un primo momento licenziato perché si opponeva alla riforma della giustizia, resta al suo posto. «La maggior parte delle persone oggi capisce che è necessario apportare modifiche al sistema giudiziario», ha affermato Netanyahu quando gli è stato chiesto delle riforme giudiziarie, esprimendo preoccupazione per l’immagine che Israele proietta ai suoi nemici durante questo periodo di disordini politici. Il premier ha poi sottolineato che il governo israeliano dovrebbe essere un fronte unito contro il terrorismo.

Un sondaggio pubblicato domenica da Channel 13 ha evidenziato che il Likud del premier, se si tenessero ora le elezioni, perderebbe 12 seggi, un risultato che non si vedeva dal 2006. La sua coalizione di governo arriverebbe a 46 seggi, contro i 61 necessari per formare il governo, visto che anche i suoi alleati, Itmar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, perderebbero seggi.

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Il Pnrr vale il doppio del Piano Marshall: perché i soldi dell’Europa non devono andare persi

martedì, Aprile 11th, 2023

di Ferruccio de Bortoli

Anche il pluricelebrato piano Marshall fu accompagnato da dubbi e polemiche sui tempi di attuazione, sulla nostra capacità di spendere e investire. Lucius Dayton, capo della missione speciale Eca (Economic cooperation administration) arrivò a minacciare il governo di Alcide De Gasperi di non versare la terza rata degli aiuti. «Si può fare di più» recitava un allarmato titolo del Corriere d’Informazione, del 5-6 ottobre del 1950, che dava conto delle parole contenute nella lettera di messa in mora del governo scritta dall’inviato dell’amministrazione americana. Era in gioco un assegno di 218 milioni di dollari, nel terzo anno del programma Erp (European recovery program). Giorgio La Malfa, in un articolo sul Sole 24 Ore, ricorda un episodio significativo. Donato Menichella, governatore della Banca d’Italia, incarica il presidente dell’Iri, l’Istituto per la ricostruzione industriale, Francesco Giordani, di accedere ai finanziamenti della Banca mondiale — di cui era membro del board — per lo sviluppo del Mezzogiorno. Giordani si sente rispondere: «Ma se non siete riusciti a spendere tutti i soldi del piano Marshall!».

La Cassa del Mezzogiorno

Nasce così, nel 1950, grazie all’intuizione di Pasquale Saraceno — e proprio per superare le rigidità americane — la Cassa del Mezzogiorno. Uno strumento più adatto per assicurare, come in realtà avverrà, una stagione di investimenti produttivi. E ridurre le disuguaglianze fra Nord e Sud. Il nostro potente alleato, vincitore della Seconda Guerra Mondiale, spingeva affinché gli aiuti si traducessero — al di là degli interessi di mercato delle aziende americane e degli investimenti nella Difesa — in lavoro e reddito, dunque minori tensioni sociali. Un argine all’ascesa comunista. Era quella un’Italia che usciva dalla guerra prostrata da morti e distruzioni, visibili ogni giorno agli occhi di chi andava a lavorare, ferite aperte in tutte le memorie familiari. Le previsioni

Riscatto nazionale

Una Repubblica appena nata, una Costituzione appena scritta, un Paese assetato di libertà con la voglia di conquistare il futuro. Se soltanto una parte, anche piccola, di quel sentimento di riscatto nazionale fosse presente oggi, i dubbi sulla nostra capacità di portare a termine, nei tempi previsti, il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), sarebbero fortemente limitati. Il piano Marshall fu la premessa del miracolo economico italiano, grazie al quale il nostro Paese si affermerà tra le sette più grandi economie del mondo (addirittura quinta alla fine degli anni Ottanta). Il Pnrr vale il doppio del piano Marshall portato ai valori attuali. Il doppio! Possibile che non riesca — inutile illudersi in un secondo miracolo economico — a riportarci su un cammino di crescita duratura e stabile? Ma quella era un’Italia più giovane, che faceva più figli, che si accontentava di ciò che aveva, disposta al sacrificio. C’era una grande forza lavoro. Anche sottoutilizzata. Un’esuberanza imprenditoriale. Anche selvaggia. Si continuava a emigrare (solo nel 1975 il saldo fra immigrazione ed emigrazione cambierà di segno). La produzione industriale nel 1948 era tornata già ai livelli pre guerra. E così il reddito pro capite nel 1950. Noi, nel 2023, non siamo ancora riusciti a tornare al 2008, al tempo della crisi finanziaria, nonostante la nostra crescita sia stata dell’11 per cento in due anni. Ci accontentiamo — considerandolo quasi miracoloso — di aver recuperato il livello di Prodotto interno lordo (Pil) del 2019.

Le difficoltà

Si fa un gran parlare in questi giorni delle difficoltà del governo Meloni nel rispetto dei tempi del Pnrr con il rischio di perdere la prossima rata. La terza, come ai tempi del piano Marshall. Ma di 19 miliardi per il 2022. La prossima rata (16 miliardi) dovrebbe essere pagata a fine giugno. A patto che si raggiungano 27 obiettivi (96 nell’intero anno). La realtà (amara) è che nessuno sa esattamente a che punto siamo.E anche oggi, come nel 1950, i principali problemi riguardano progetti nelle aree del Sud per le quali è destinato il 40% dei sussidi e dei prestiti avuti dall’Unione europea. All’epoca del piano Marshall si risolse con una struttura ad hoc, la Cassa del Mezzogiorno. Ci si chiede, di conseguenza, se nel previsto (dal Pnrr) esercizio dei poteri sostitutivi degli enti locali e dei comuni, non sia necessaria una figura o una struttura commissariale.

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Cosa lascerà alla politica un Cavaliere senza eredi

martedì, Aprile 11th, 2023

MASSIMO GIANNINI

Non vi sforzate di immaginare il dopo Berlusconi: come D’Annunzio, ma più triviale e teatrale del Vate, il Cavaliere ha vissuto e vive una “vita inimitabile”. E dunque non replicabile. Si rassegnino figli e famigli, senatori e coordinatori, deputate e fidanzate, badanti e cantanti: al di là dei patrimoni miliardari e dei conti fiduciari, delle ville ottocentesche e delle residenze picaresche, non c’è un’altra eredità da spartire. Solo la “roba”. Che è tanta, tantissima. Ma non c’entra (più) niente con la politica. Come tutti, e senza falsa retorica, auguriamo anche noi al “Presidente” di rialzarsi anche stavolta, dopo l’ennesima caduta cui lo condannano il Fato, la malattia, l’anagrafe. Ma come tutti, con altrettanta onestà, dobbiamo sapere che il suo finale di partita – speriamo comunque più lungo e sereno possibile – coincide inevitabilmente con la fine del suo partito.

Berlusconi è esistito ed esisterà anche senza Forza Italia: prima della politica c’erano già sia il costruttore seriale che ha sfornato Milano Due sia il tycoon televisivo che ha stravolto i nostri usi culturali e i nostri consumi commerciali. Ma Forza Italia non sarebbe esistita e non può esistere senza Berlusconi. Questo destino inscindibile è l’essenza stessa del “partito personale” che lui ha fondato e plasmato a sua immagine e somiglianza (e nel quale si sono beatamente rispecchiati corrivi cantori e cattivi imitatori, in Italia e nel mondo). Ed è l’effetto naturale e non collaterale del primo dei tre lasciti che (insieme al populismo e al bipolarismo) il Cavaliere consegna alla Storia italiana: il leaderismo. Cioè la sacralità del comando e la natura octroyée del suo esercizio, dove ogni atto non è negoziato ma concesso dal sovrano al suddito.

L’unto del Signore, auto-investito di un mandato messianico e sempre titanico, “scende in campo” con una missione epocale: salvare l’Italia dai comunisti (benché rimanga in eterno il sospetto che l’abbia fatto per salvare se stesso dai processi). Per questo inventa dal nulla il “partito di plastica”, trasformando la rete della raccolta Publitalia nella tela del consenso azzurro, e in pochi anni lo trasforma nel “partito di Silvio”. Col suo carisma e col suo strapotere, tutto decide e tutto amministra. Con la sua spregiudicata destrezza e la sua smisurata ricchezza, applica alla politica la regola che Enrico Cuccia adattava alla finanza: “Ogni uomo ha un prezzo” (lui di suo ci aggiunge anche “ogni donna”, ma questo è un altro discorso). Nel Palazzo, come al Mercato, tutto si può comprare e vendere: leggi e sentenze, elettori ed eletti, concessioni e condoni.

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“Io, la Madonna e il falso miracolo delle lacrime. Ho dato 123 mila euro a una santona diabolica”

martedì, Aprile 11th, 2023

Grazia Longo

ROMA. Altro che miracolo: le lacrime della statua della Madonna di Trevignano Romano, sul lago di Bracciano, potrebbero essere sangue di maiale. Lo denuncia ai carabinieri un investigatore privato che sta cercando di contattare tutti coloro sarebbero stati truffati da Gisella Cardia, la santona custode della Madonna che lacrima. La sedicente veggente in realtà si chiama Maria Giuseppa Scarpulla, ha 53 anni e un passato da imprenditrice con problemi per un’istanza fallimentare. Negli ultimi cinque anni la donna avrebbe carpito la buonafede di molti fedeli che ogni terzo giorno del mese accorrono per assistere al miracolo.

Sul caso, la diocesi di Civitacastellana ha istituito una commissione per fare «un’indagine finalizzata ad approfondire l’eventuale fenomenologia dei fatti, che si verificano da qualche tempo a Trevignano Romano».

Intanto c’è chi ha deciso di uscire allo scoperto per raccontare il raggiro subìto, oltre al danno economico, pur non volendo presentare, per ora, una denuncia penale. Luigi Avella, 70 anni, ex funzionario del Ministero dell’Economia, laureato in giurisprudenza e teologia, ha deciso di raccontare la sua «terribile esperienza con una donna diabolica».

Perché la definisce così?
«C’è qualcosa di diabolico nel suo ostinarsi a raccontare di essere in grado di far lacrimare sangue alla statua della Madonna e nel sostenere di essere in grado di moltiplicare pizze e gnocchi».

La santona le ha mai chiesto denaro?
«Mai. Ma ho sborsato la bellezza di 123 mila euro, di cui 30 mila al marito di Gisella e gli altri alla Onlus Madonnina di Trevignano. Devo dire la verità: né Gisella né il marito mi hanno mai espressamente chiesto soldi. Ma sapevo che ne avevano bisogno».

Per quale motivo?
«Dovevano comprare materiale per le attività che fanno da contorno alla gestione del miracolo delle lacrime, come 30 panche, la recinzione del terreno, un’auto, un garage. Ho pagato tutte queste cose: lo posso provare perché ho fatto bonifici bancari».

A che periodo risalgono le sue donazioni?
«Tra febbraio e giugno 2020».

Perché lo ha fatto?
«Uscivo da un momento molto difficile dalla mia vita: mia moglie a causa di un brutto incidente stradale ha avuto problemi alla schiena e ha rischiato di rimanere paralizzata. Così, quando dopo un anno ho visto che ha ripreso a camminare bene ho voluto ringraziare la Madonna attraverso il sostegno alla Onlus».

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Nomine, la mossa del cavallo della premier: manager blindati per lanciare il Pnrr

martedì, Aprile 11th, 2023

Lucia Annunziata

Giorgia Meloni ha avviato il primo vero consolidamento del suo governo. O, a voler essere un po’ spregiudicati, ha avviato un rafforzamento (al momento senza precedenti) dei suoi poteri. Entro giovedì 13, dopodomani, dovrebbero essere messi nero su bianco in un’unica tornata i nomi dei nuovi vertici di Enel, Eni, Leonardo, Poste e Terna. E il progetto della premier è di nominare uomini da lei indicati nelle posizioni apicali proprio di queste aziende.

Domani un Consiglio dei ministri dedicato alle decisioni dovrebbe farci capire meglio questa mossa. Curiosa pretesa, quasi una prevaricazione, per un governo che fa vanto della sua unità interna. Ma è proprio questa “pretesa” a costituire la novità: è la presa di distanza del solito accordone. Proprio per questo, dicono gli osservatori, non è facile che la mossa della premier riesca. A maggior ragione val la pena dare uno sguardo più da vicino a quella che appare come una atipica mossa del cavallo. Emanuele Macaluso, scomparso da non molto, lucido fino alla fine, per spiegare la affrettata conclusione nel 2014 del governo Letta disse in una intervista a “Italia oggi”: «Letta è saltato per cinquanta manager, Renzi non poteva lasciarli all’ex premier». Con una vaga eco dei trenta dinari, il giornalista, molto amico di Giorgio Napolitano, inchiodava al muro la farfalla dell’ennesima illusione della politica: che le nomine di grandi aziende di Stato siano un atto di competenza e generosità pubblica. Un servizio ai cittadini, insom

In particolare negli ultimi dieci anni, periodo di governi brevi e scarsa riconoscibilità pubblica, le nomine sono diventate sempre più uno straordinario strumento di “consolidamento” delle deboli fondamenta di questi esecutivi. Non è accaduto con tutti, ovviamente. Ognuno dei premier ha dato a questa tendenza un’ interpretazione più o meno istituzionale, più o meno moderata. Ma in almeno tre casi le nomine sono state il cuore del passaggio politico. Di Renzi abbiamo detto – e come spesso succede il politico fiorentino ha intercettato bene il significato dei tempi. Il secondo caso di scuola è quello del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, la cui abilità di passare senza nessun danno, da un governo con Salvini, a uno con il Pd, è spiegata proprio con il desiderio dei due partiti del Conte 2 di arrivare alle nomine. E, a proposito, guardando il calendario colpisce ancora oggi che lo stesso governo Draghi, che seguì al Conte 2, sia stato azzoppato da una crisi di governo prima del marzo in cui sarebbe partita la tornata delle nomine che avrebbe dovuto fare lo stesso Conte.

Potente tentazione, dunque, le nomine. E lo sono, evidentemente, anche per il premier Giorgia Meloni che vi è arrivata alla partita con il piglio e la lista della battaglia decisiva del suo mandato. Curioso, no? Ma non era una leader forte fortissima? Torniamo così alle domande iniziali: perché la premier ha deciso di giocare duro questa partita invece di usarla per premiare e aumentare il consenso dentro la sua maggioranza? Insomma, che cosa rimugina Giorgia Meloni in questo momento?

La risposta è in parte semplice, come si diceva: nelle nomine c’è l’idea di poter accumulare un potere dirimente. Desiderio in sé nei fatti in linea con l’altra tentazione dei tempi attuali – l’idea che in politica è dirimente un leader forte. Rimane tuttavia singolare che l’attuale governo, nonostante possa dire, come fa spesso, che a differenza dei precedenti ha legittimità piena perché ha raccolto un chiaro e forte mandato politico, abbia bisogno di “dimostrare” di avere questo forte mandato.

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“Verrà il giorno in cui il buio finirà”. Il testamento di Vladimir Kara Murza contro Putin

martedì, Aprile 11th, 2023

Jacopo Iacoboni

«So che verrà il giorno in cui l’oscurità sul nostro paese si dissiperà. Quando il nero sarà chiamato nero, e il bianco bianco. Quando sarà ufficialmente riconosciuto che due volte due fa ancora quattro. Quando la guerra si chiamerà guerra, e l’usurpatore – usurpatore. E quando coloro che hanno acceso e scatenato questa guerra, e non quelli che hanno cercato di fermarla, saranno riconosciuti come criminali. Questo giorno arriverà inevitabilmente come arriva la primavera per sostituire anche l’inverno più gelido».

Chi parla così, citando George Orwell da una gabbia di un tribunale – dove si reca per l’ultima volta, l’ultimo discorso davanti ai giudici del Cremlino, mentre la pubblica accusa chiede per lui 25 anni di galera – è Vladimir Kara Murza, uno dei principali e più temuti oppositori di Putin (in Russia si misurano quelli realmente temuti dagli anni di carcere di massima sicurezza che gli danno). Kara Murza è forse, assieme a Ilya Yashin (anche lui in carcere) il principale allievo di Boris Nemtsov, ucciso a colpi d’arma da fuoco otto anni fa, il 27 febbraio 2015, mentre attraversava il ponte Bolsoj Moskvoreckij, vicino al Cremlino, era a Mosca –particolare davvero sinistro a ricordarlo ora – per organizzare una marcia di protesta contro il governo di Putin e il suo intervento militare in Ucraina, a un anno dall’occupazione della Crimea 2014. Per l’assassinio di Nemtsov furono condannati cinque ceceni, assai a fatica, e dopo tantissimo tempo – a differenza di altri killer che vengono trovati il giorno dopo, sicari legati ai Kadyrov – i lacché ceceni di Putin.

Ora parla dal tribunale. Viene accusato ridicolmente di «tradimento». Un’ultima volta, presumibilmente, prima di un oblio che può terminare solo con la caduta di Putin. Kara Murza è stato già avvelenato due volte, l’ultima dei quali sopravvivendo miracolosamente, ma con danni evidentemente durevoli. In carcere ha perso 25 chili, e ha un uso ormai difettoso delle gambe. Bellingcat tracciò che, poco prima dell’avvelenamento, Kara-Murza era stato seguito dallo stesso squadrone del Fsb che poi nell’agosto 2021 seguì e avvelenò in Siberia Alexey Navalny. Proprio le stesse persone. Bersagli di alto profilo, evidentemente, per il Cremlino.

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Jet cinesi su Taiwan con munizioni vere: le parole di Macron diventano un caso

martedì, Aprile 11th, 2023

di Paolo Salom

Pechino accusa gli Usa per una nave a 1500 chilometri di distanza. Il portavoce Shi Yi avverte: «Truppe pronte a combattere in qualsiasi momento»

Jet cinesi su Taiwan con munizioni vere: le parole di Macron diventano un caso

Le prove di guerra sono finite. Ma i soldati non hanno riposto i loro fucili. La Cina ha completato «con successo» le esercitazioni militari attorno a Taiwan e le forze armate sono «pronte a combattere in qualsiasi momento», dichiara una nota del Comando orientale dell’Esercito Popolare di Liberazione a conclusione, ieri, di tre giorni di esercitazioni militari intorno all’«isola ribelle». Per Pechino solo una «provincia» che vuole vedere tornare «al più presto» nel suo seno: con le buone (improbabile, dopo la «normalizzazione» di Hong Kong) o con le cattive.

ORIENTE | OCCIDENTE – Taiwan è cinese, ma Xi ha altre opzioni oltre all’invasione

Dunque, dopo 72 ore di incessanti «prove» di conquista, aerei e navi sono rientrati alle loro basi continentali. Ma, avverte il portavoce Shi Yi, le truppe «sono pronte a combattere in qualsiasi momento, e a distruggere risolutamente ogni forma di separatismo, di indipendenza di Taiwan e tentativi di interferenza straniera». Quest’ultimo riferimento è all’incontro di Los Angeles tra la presidente taiwanese Tsai Ing-wen e lo speaker della Camera dei Rappresentanti Usa, Kevin McCarthy, settimana scorsa, contro cui, appunto, aveva minacciato «risolute contromisure».

Eccole le contromisure: quasi cento aerei da caccia, armati con «munizioni vere» e una dozzina di bastimenti, compresa la portaerei Shandong, fiore all’occhiello della Marina cinese, che hanno simulato il blocco dell’isola e la distruzione di obiettivi e basi «ribelli».

Immediata la condanna del ministero degli Esteri di Taiwan che ha accusato la Cina di aver minato «la pace e la stabilità» nella regione, aggiungendo come Taipei manterrà stretti legami con gli Stati Uniti «per impedire in modo congiunto l’espansionismo autoritario». In effetti, Washington, di fronte all’ennesima prova di forza, ha ordinato al cacciatorpediniere lanciamissili Milius di effettuare un passaggio nel Mar cinese meridionale — un passaggio «prudente» data la distanza, poco meno di mille miglia nautiche (1.500 chilometri), dall’area delle operazioni. Ma capace di suscitare l’immediata reazione di Pechino, dal momento che per la Repubblica Popolare quella vasta e delicatissima area del mondo è tutta compresa, a dispetto delle norme internazionali, all’interno delle proprie acque territoriali. Dunque gli Stati Uniti «si sono intromessi illegalmente» con il proprio cacciatorpediniere, che è stato «monitorato momento per momento» dal locale comando militare. In realtà, le manovre anti-Taiwan non hanno suscitato soltanto la risposta americana. In Allarme anche il Giappone dove sono stati mobilitati due gruppi di aerei per sorvegliare le navi cinesi. Tokyo ha confermato per la prima volta che le navi si stavano muovendo in aree vicino a Okinawa, estremo sud del Giappone, dove corre una linea immaginaria che segna il confine tra Occidente e spazio cinese.

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Superbonus, conviene iniziare i lavori adesso? Ecco come non perdere gli sconti

martedì, Aprile 11th, 2023

di Gino PagliucaSuperbonus, conviene anche al 90%?

Condomini e proprietari di villette che non hanno presentato la comunicazione di inizio lavori entro il 16 febbraio scorso, la cosiddetta Cilas, non potranno più ricorrere al Superbonus. O, meglio potranno farlo, usufruendo dell’aliquota ridotta al 90%, ma dovranno anticipare le spese di tasca loro o ricorrere al finanziamento ai tassi attuali di mercato e sperare di essere capienti nei quattro anni successivi per ottenere le detrazioni fiscali: uno scenario del tutto irrealistico. Questa è una delle conseguenze della conversione in legge del decreto 16 febbraio 2023 con cui sono cambiate, per l’ennesima volta e forse in maniera definitiva, le regole dei bonus edilizi.Il decreto, nella versione licenziata dal Parlamento, lascia invariate scadenze e aliquote stabilite dalla Legge di bilancio, ma presenta novità fondamentali in tema di cessione del credito e cerca di salvaguardare, con esiti tutti da verificare, i contribuenti e le imprese che hanno compiuto i lavori lo scorso anno e non sono ancora riusciti a cedere il credito.

Cessione del credito o sconto in fattura: chi può farlo?

Orientarsi tra le continue modifiche legislative, capire se e come si ha diritto a uno dei tanti bonus edilizi non è per niente facile. Per questo abbiamo riassunto nelle tabelle tutto quello che si deve sapere in modo da non fare regali al Fisco ed evitare futuri accertamenti. Per quanto riguarda il Superbonus la situazione ora è questa: la cessione del credito o lo sconto in fattura è possibile per i condomini, le case plurifamiliari fino a quattro unità residenziali a proprietà unitaria e le abitazioni indipendenti che hanno diritto al Superbonus solo se la Cilas è stata presentata entro il 16 febbraio. Potranno invece usufruire ancora della cessione le operazioni avviate dagli Iacp, dalle onlus e dalle cooperative. Lo stesso vale per le operazioni riguardanti abitazioni situate in aree colpite da eventi sismici o da inondazioni e che hanno ancora diritto al superbonus 110% fino a fine 2025.
GUARDA L’INFOGRAFICA : quanto si può ottenere con le agevolazioni per ogni 100 euro di spesa .

Le novità introdotte e i limiti

In sede di conversione parlamentare è stata introdotta, sempre per la cessione del credito, un’importante modifica per chi sta per comprare casa. La data che conta è sempre quella del 16 febbraio ma ora si considera la presentazione della Cilas e non, come era in origine, la registrazione del preliminare di compravendita; non è un particolare da poco perché tra la stipula del compromesso e la sua registrazione possono passare anche 30 giorni. Altra modifica molto importante riguarda la possibilità di presentare varianti alla Cilas senza che questo infici il diritto alla cessione: è presumibile infatti che molti condomini alle prese con la ristrettezza dei tempi a disposizione decideranno di ridimensionare le opere. Più articolata la situazione per gli altri bonus; nei casi in cui è prevista la richiesta di un’autorizzazione edilizia o di una comunicazione asseverata non ci sono problemi: basta che siano antecedenti al 17 febbraio 2023. Quando invece si tratta di lavori di edilizia libera (ad esempio, sostituzione di infissi) la faccenda si complica. Infatti è necessario dimostrare che i lavori sono iniziati prima del 17 febbraio 2023, mediante pagamenti (ad esempio con il «bonifico parlante»), o che sempre, prima di quella data, sia stato stipulato un contratto vincolante tra committente e impresa, da dimostrarsi mediante un atto notorio da sottoscrivere con conseguenze penali in caso di mendacio. Sono esclusi da questo vincolo i lavori riguardanti il bonus barriere architettoniche.

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