Archive for Aprile 13th, 2023

Terzo polo, pace forzata tra Matteo Renzi e Carlo Calenda

giovedì, Aprile 13th, 2023

Edoardo Romagnoli

Dopo tanti litigi arriva la tregua nel Terzo polo. Ieri durante il vertice del partito Renzi e Calenda hanno sottoscritto un documento che mette nero su bianco il percorso verso il partito unico. Durante i mesi di aprile-maggio, due comitati con partecipazione paritetica di Azione e Italia viva elaboreranno le regole e il manifesto dei valori del partito unico; ai comitati parteciperanno anche rappresentanti dei Liberal Democratici europei ed esponenti di altri movimenti popolari, riformisti e della società civile concordati tra Azione e Iv per assicurare il massimo coinvolgimento di tutte le forze ed energie che non si riconoscono nei poli di destra e di sinistra. A quel punto i due leader «delibereranno lo scioglimento dei rispetti partiti entro la fine del 2024 e il conferimento al partito unico di un importo pari al 70% delle risorse ricevute dal 2/1000 a partire dalla seconda rata 2023; all’avvio del percorso congressuale, Azione e Italia Viva conferiranno al partito Unico un ammontare di Euro 200.000 ciascuna, per il finanziamento delle operazioni congressuali e della promozione e organizzazione del partito unico nel corso del 2023». È chiaro che la pace non sia arrivata grazie al documento visto che, come sottolineato da alcune fonti di Italia Viva: «È il documento che avevamo già condiviso. Calenda ha fatto tutto da solo. Ieri ha litigato da solo e oggi ha fatto pace da solo. Sono esattamente le stesse cose già condivise». Stessa posizione espressa anche da Maria Elena Boschi: «Da parte nostra, da parte di Italia viva, non c’è nessunissimo problema. I problemi li hanno Calenda e Richetti, vediamo cosa hanno da dirci. Noi andiamo avanti. La bozza che ci hanno mandato è più o meno uguale a quella discussa altre volte. L’assemblea di Iv è già fissata per il 10 di giugno, noi ci stiamo portando avanti».

Rating 3.00 out of 5

Schlein e Bonaccini sotto il fuoco degli ex amici. E il fronte moderato del Pd ora guarda altrove

giovedì, Aprile 13th, 2023

Domenico Di Sanzo

Casini avverte: “La stimo ma deve convincere anche chi non va in piazza”. Prodi consiglia: “Elly deve recuperare il centro”. Gli ex renziani inquieti

«È il momento in cui tutto si muove ma ancora nulla accade». Questa è la sintesi della fase che sta attraversando il Pd, consegnata al Giornale da un autorevole esponente del Nazareno, avversario della segretaria Elly Schlein. Intanto, nell’attesa che succeda qualcosa, bisogna osservare i tanti movimenti intorno al nuovo corso dei dem. Il primo dato da annotare è l’insofferenza dell’ala moderata del partito.

Tantissimi i malumori espressi a taccuini chiusi e adesso anche qualche stilettata pubblica. Martedì si sono fatti sentire il senatore Pier Ferdinando Casini (tondo a sinistra) e l’ex capogruppo al Senato Andrea Marcucci. Ma se perfino un simpatizzante di Schlein come l’ex premier Romano Prodi (foto) comincia a esprimere perplessità, significa che porsi qualche domanda sui primi passi della nuova leader è più che giustificato.

Prodi, non a caso, affida le sue riflessioni ad Avvenire, il giornale della Conferenza episcopale italiana. «Il Pd è uscito da una cura ricostituente e ha preso peso. Ha fatto la ginnastica che serviva e ha nuovi atleti e una nuova squadra. La partita vera però comincia ora», esordisce l’ex presidente del Consiglio. «Elly Schlein ha le carte in mano per poter cambiare le cose. Bisogna però aspettare e capire se le gioca bene», abbozza il professore. Che poi arriva al punto. «Per vincere la coalizione è vitale, i moderati vanno recuperati. Passare dal 20 al 50 per cento è dura da soli. Serve allora un dialogo vero al centro e a sinistra», spiega il cattolico Prodi. L’ex leader dei progressisti invita a non trascurare l’area centrale del partito e dello schieramento. Parole da non sottovalutare, perché – stando ai rumors – la voce di Prodi è una di quelle più ascoltate da Schlein, che a un certo punto avrebbe voluto nominarlo presidente del Pd. I riformisti e alcuni pro-Schlein sono indisposti anche dalle fughe in avanti dei vertici sul termovalorizzatore a Roma. Dalla promozione in segreteria dell’ecologista Annalisa Corrado alle frasi del dirigente dem Sandro Ruotolo, che ha lanciato l’idea di un referendum sull’impianto. I consigli di Prodi si sommano alle strigliate di chi ha sostenuto Stefano Bonaccini. C’è Casini, che ha avvertito: «Schlein si dovrà porre il problema di convincere una parte di elettori, che magari sono quelli che non incontra in piazza alle manifestazioni, ma che poi sono determinanti per far vincere una coalizione». A ruota Marcucci, che già guarda a Italia Viva e Azione: «Ora un liberal democratico non può che guardare altrove. E non vedo alternative rispetto al Terzo Polo».

Rating 3.00 out of 5

Ora il commissario può aumentare i Cpr e affittare traghetti. Budget di 20 milioni

giovedì, Aprile 13th, 2023

Gian Micalessin

Sfatiamo la prima esagerazione. Lo stato di emergenza sull’immigrazione non è una risorsa da ultima spiaggia adottata da un esecutivo incapace di dar risposte allo «tsunami» migranti. Una misura analoga venne decisa dal governo di Mario Draghi quando, il 28 febbraio 2022, decretò lo stato d’emergenza per garantire l’accoglienza dei rifugiati in arrivo dall’Ucraina. Un’emergenza rimasta tale, di proroga in proroga, fino allo scorso 3 marzo. Quindi se la misura valeva per gli ucraini non si vede perché non vada impiegata per gestire gli oltre 31mila migranti entrati in Italia dall’inizio dell’anno. Tanto più se, come sottolinea una fonte de Il Giornale al Ministero degli Interni, «il 90 per cento e passa di quei migranti sono irregolari privi del diritto di restar in Italia». La seconda esagerazione – assai cara a chi difende l’accoglienza senza limiti – riguarda il Commissario, ovvero il ruolo di colui che per sei mesi – salvo proroghe – ricoprirà il ruolo di regista e gestore dello stato di emergenza. Le voci – messe in giro da organizzazioni umanitarie e ambienti vicini al Pd di Elly Schlein – fanno a gara nel tratteggiarlo come una sorta di «prefetto di ferro» capace di gestire autonomamente il rimpatrio o la detenzione dei migranti. Niente di più lontano dalla realtà. Il Commissario prescelto, con tutta probabilità l’ex prefetto di Firenze Valerio Valenti (nel tondo), attuale capo del «Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione» del Ministero degli Interni, avrà competenze straordinarie soltanto in campo amministrativo, ovvero nel settore della fornitura di servizi o della realizzazione di strutture. Potrà sveltire e snellire pratiche burocratiche, ma non potrà in nessun caso è agire in deroga alle norme vigenti. E tanto meno cambiare la legislazione sull’immigrazione. Le modifiche normative restano di competenza esclusiva di un Parlamento intento ad esaminare il decreto Cutro e le sue eventuali modifiche.

Ma torniamo al futuro Commissario. Stimato e apprezzato da Alfredo Mantovano, con cui lavorò nei primi anni del 2000 quando l’attuale Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio svolgeva lo stesso incarico al Viminale, Valenti deve attendere che la sua nomina e le sue competenze vengano definite e approvate dalla Protezione Civile. «In pratica – spiegano fonti del Ministero degli Interni – svolgerà le stesse funzioni di un Commissario nominato per affrontare l’emergenza creata da un terremoto o da un’inondazione». Nel caso specifico si occuperà soprattutto del trasferimenti dei nuovi arrivati o del reperimento delle strutture adatte ad accoglierli. «Se arrivano 3000 migranti a Lampedusa – spiega la fonte de Il Giornale al Viminale – il Commissario potrà affittare in tempi brevissimi traghetti, navi e strutture private in modo da garantirne lo spostamento dalle isole al resto dell’Italia e la loro sistemazione nelle regioni d’arrivo. Nel campo dell’allestimento delle strutture potrà invece attivare la Protezione Civile o la Croce Rossa per tirar su tendopoli o strutture straordinarie».

Rating 3.00 out of 5

La premier cede alla spartizione

giovedì, Aprile 13th, 2023

Marcello Sorgi

Chiusa con un compromesso che alla fine ha ridimensionato le ambizioni di cambiamento – almeno nel metodo – della premier Meloni, la partita delle nomine nelle più importanti imprese statali si conclude, politicamente, con un rafforzamento della maggioranza, ma al prezzo di una classica lottizzazione spartitoria, per cui appunto la presidente del consiglio ha dovuto cedere su Enel – in cui sono approdate due vecchie conoscenze come Cattaneo e Scaroni, manager pubblici già sperimentati in altre stagioni del centrodestra – per ottenere il via libera alla sua linea delle conferme di candidati già scelti da altri governi. In particolare De Scalzi, nominato nove anni fa da Renzi e confermato da Draghi come amministratore delegato di Eni, l’ente petrolifero e la maggiore impresa italiana. E Cingolani, il ministro della Transizione ecologica di Draghi, conservato da Meloni come consulente su questa delicata materia per poi spedirlo alla guida di Leonardo, l’ex-Finmeccanica proiettata su mercati internazionali sensibili come quelli degli armamenti.

Per una che si era presentata al tavolo delle trattative calando il suo poker d’assi e avvertendo che sugli ad non avrebbe ammesso alcun cedimento, si tratta evidentemente di un passo indietro.

Meloni vince sull’Eni e su Leonardo, abbozza sull’Enel e oggi sapremo come finirà la partita di Terna, per cui aveva avanzato la candidatura di una donna, Di Foggia, già al vertice di Nokia, come amministratrice delegata al posto dell’attuale ad, Donnarumma, che pensava di trasferire all’Enel. Dove invece il posto è stato rivendicato e ottenuto da Salvini per Cattaneo, manager di provata esperienza nel pubblico (Rai) e nel privato (Telecom, Italo treni), cresciuto all’ombra di Fini, amico del presidente del Senato La Russa e poi curiosamente riapparso alla festa dei cinquant’anni del Capitano leghista.

Quanto ai presidenti, tolta la figura – attribuita a Forza Italia oltre che alla rinomata testardaggine di Gianni Letta, negoziatore del Cavaliere al tavolo delle nomine – di Scaroni, già ad di Eni ai tempi del governo Berlusconi 2001-2006, quando siglò un impensabile, oggi, per gli effetti della guerra in Ucraina, largo accordo di fornitura di gas con Putin, di cui ha continuato a rivendicare l’opportunità, le altre sono scelte più scolorite. Il nuovo presidente dell’Eni, Zafarana, è l’ex-comandante generale della Guardia di Finanza. Il nuovo presidente di Leonardo, Pontecorvo, è l’ex-ambasciatore in Afghanistan noto per la brillante operazione di evacuazione di migliaia di civili al momento del ritiro degli americani, due estati fa.

Rating 3.00 out of 5

Valerio e Odifreddi tra divino e tecnologia

giovedì, Aprile 13th, 2023

Mirella Serri

Incollati davanti alla smart tv, dipendenti dall’iPhone, inseparabili dallo smartwatch al polso: la nostra nuova forma di religione, la nuova frontiera del divino è la tecnologia? Giriamo l’interrogativo a Chiara Valerio, autrice della bella ricerca La tecnologia è religione (Einaudi), e a Piergiorgio Odifreddi, matematico, logico e saggista la cui opera più famosa, Il matematico impertinente (Longanesi), sintetizza nel titolo il temperamento e la qualità del ricercatore, volto da sempre a superare barriere e luoghi comuni. I due matematici di vaglia appartengono a due diverse generazioni: Valerio, papà fisico a Frascati, classe 1978, è nata ed è cresciuta a Scauri. Ha conseguito la laurea e il dottorato in matematica all’Università partenopea Federico II, sull’argomento del calcolo delle probabilità. Il suo pamphlet La matematica è politica ha conquistato critica e pubblico. Odifreddi, nato a Cuneo nel 1950, ha come numi tutelari Bertrand Russell, matematico e intellettuale socialista democratico, e Noam Chomsky, linguista e filosofo socialista libertario, ed è uno dei massimi esperti di divulgazione scientifica e di storia della scienza.

Tecnologia e religione sono i duellanti del mondo moderno, si fronteggiano come ambiti di conoscenza e di interpretazione della realtà?

Valerio: «Per rispondere mi sembra opportuno risalire all’esperienza fatta di recente con mio nipote. Stavo sfogliando un libro con le figure e il piccolo Francesco a un certo punto ha appoggiato pollice e indice uniti sulla pagina e poi li ha separati proprio come si fa per ampliare sullo schermo le immagini di uno smartphone o di un i-Pad. Mi ha detto: “Ma questo libro non funziona”. Francesco è nato in un momento storico in cui la tecnologia ha raggiunto un grado di sviluppo così elevato che si possono confondere i fatti con le rappresentazioni e ritenerli sovrapponibili: il bambino si irrita se questo non avviene perché la tecnologia offre maggiori comodità, tra cui la ripetizione. Aggiungo un altro esempio solo in apparenza paradossale: che differenza c’è tra danzare per far piovere e schiacciare un tasto per illuminare uno schermo? In entrambi questi due casi, un nostro movimento induce un’azione che fornisce una risposta o soddisfa una richiesta. La danza della pioggia si rivolge al cielo e il dispositivo che ne attiva l’intervento è il nostro corpo. Nel secondo caso il dispositivo è un prolungamento del corpo – telefono, smartphone, telecomando – e l’invisibile a cui ci rivolgiamo è il campo elettromagnetico. In un universo in cui molte delle vicende umane sono state meccanizzate attraverso procedure algoritmiche, la tecnologia e la magia tendono a somigliarsi. Istintivamente l’uomo sostituisce l’effetto, che non sa spiegare, con la causa. Ho voluto così descrivere nel mio libro quello che oggi sta accadendo: quando si perdono i rapporti causali si tende a pensare che il mondo sia magico. La tecnologia è percepita come qualcosa di molto lontano dalla scienza e finisce che venga vissuta come una magia».

Odifreddi: «Per capire il rapporto tra tecnologia e religione possiamo ricordare il capolavoro di Arthur C. Clarke 2001: Odissea nello spazio in cui la tecnologia appare come una magia. Però, attenzione, sembrare non significa essere. La tecnologia, dice Chiara, è come fare la danza per la pioggia. I riti sono gli stessi ma i risultati sono diversi. Se uno fa la danza per la pioggia non è detto che necessariamente piova o comunque non piove perché c’è stata la danza. Dietro la tecnologia invece si nasconde la scienza. La magia poi si può intendere in due sensi: quella dei prestigiatori che non negano di stupire e affascinare attraverso dei trucchi.

Rating 3.00 out of 5

Guerra Russia Ucraina, individuato il presunto responsabile dei leaks del Pentagono, un razzista patito di armi che lavorava in una base militare

giovedì, Aprile 13th, 2023

a cura della redazione

L’esercito russo ha portato via più di 100.000 bambini ucraini dalle regioni occupate di Donetsk e Luhansk per «cure mediche». Lo riferisce il Centro di resistenza nazionale ucraino, come riporta il Kyiv Indipendent. Secondo il centro, la Russia ha stanziato 17 milioni di dollari per il cosiddetto «programma di visita medica». Alla maggior parte dei bambini ucraini viene raccomandato il trattamento medico in Russia e i genitori non possono rifiutarlo senza essere minacciati di perdere i propri diritti genitoriali.

Le immagini dalla bodycam del soldato ucraino: ecco cosa significa combattere a Bakhmut

Un video che mostra la decapitazione di un soldato ucraino ha generato sgomento e condanna da parte delle autorità di Kiev e della comunità internazionale. L’Ucraina si appella alla Corte penale internazionale affinché presti immediatamente attenzione. Il Cremlino lo ha definito «orribile» e ha avvertito che doveva essere verificato, mentre il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha invitato i leader a reagire contro le azioni di terrore della Russia.

Zelensky sulla decapitazione del prigioniero ucraino: “Non è un caso isolato, i russi sono bestie che uccidono con facilità”

Intanto continuano a emergere nuovi dettagli sui documenti dell’intelligence Usa diffusi online. Tra questi ve n’è uno in particolare che delinea quattro scenari ‘jolly’ che potrebbero influenzare l’andamento del conflitto in Ucraina, come la morte del presidente russo Vladimir Putin o quella di Zelensky. Durante una visita ufficiale a Madrid il ministro della Difesa ucraino Oleksii Reznikov ha riferito che i documenti trafugati contengono un mix di notizie vere e di falsità. E che le notizie vere non sono più attuali. Il ministro ha quindi categoricamente smentito la presenza di forze speciali della Nato sul suolo ucraino, come sembrano indicare i documenti, e si è detto convinto che la pubblicazione di questi è un’operazione che è stata condotta per minare la fiducia degli alleati negli Stati Uniti.

La Russia ha testato il lancio di un missile balistico intercontinentale

07:35

Individuato il presunto responsabile della fuga di documenti dal Pentagono

Rating 3.00 out of 5

Video decapitazione, la rivelazione dell’ex mercenario di Wagner Andrei Medvedev: riconosco senza equivoco le voci, sono stati loro

giovedì, Aprile 13th, 2023

Jacopo Iacoboni

«Lavoriamo, fratelli! Tagliategli la testa! Spezzategli la spina dorsale! Che c’è, non hai mai tagliato una c… di spina dorsale prima? Fino alla fine, c…!».

Il video diffuso ieri è oltre l’orrore, ma la storia merita di essere raccontata e ricostruita perché è un altro squarcio sulla mostruosità del male nella guerra della Russia all’Ucraina. Le immagini sono state filmate da quello che sembra essere un soldato russo, mentre un suo commilitone taglia la testa – in un lago di sangue – a un uomo ancora vivo, che secondo i canali Telegram che hanno postato la storia, si ritiene sia un prigioniero di guerra ucraino. La vittima, all’inizio della scena, urla, grida «fa maleeee!», supplica «non farlo». Poi ovviamente non parla più.
Sono diversi i canali Telegram russi che ieri hanno rilanciato questo orrore. Che non va confuso con un secondo video, anche questo diffuso ieri, dove si vedono due soldati ucraini già decapitati. Il secondo potrebbe esser stato filmato dai mercenari del Gruppo Wagner vicino a Bakhmut. Mostra un veicolo corazzato distrutto (probabilmente un corazzato da trasporto truppe M113) e due cadaveri decapitati di soldati ucraini. Evgheny Prigozhin, il fondatore del Gruppo Wagner, i cui combattenti sono già stati visti tagliare teste in Siria, ieri ha commentato: «È brutto quando le teste delle persone vengono tagliate, ma non ho trovato da nessuna parte che ciò stia accadendo vicino a Bakhmut e che i combattenti del Wagner Pmc siano coinvolti», ha detto. Ma il capo di Wagner non ha parlato del primo video: quello con l’esecuzione in diretta di un uomo mentre è vivo. Andrey Medvedev, l’ex combattente di Wagner che era fuggito in Norvegia (ma ora è agli arresti in Svezia per essersi allontanato illegalmente da Oslo), ha dichiarato in serata al dissidente Vladimir Osechkin, fondatore del sito Gulagu, di aver riconosciuto le voci di mercenari di Wagner nell’esecuzione. Ma non si hanno altre prove a confermarlo.

Rating 3.00 out of 5

Così Giorgetti tiene il punto sulle nomine e sui conti

giovedì, Aprile 13th, 2023

di Federico Fubini

Così Giorgetti tiene il punto sulle nomine e sui conti

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti

Giancarlo Giorgetti il suo segno a questo giro — nomine più Documento di economia e finanza — lo ha lasciato senza dire una parola. Né in pubblico, né in riunioni nelle quali fossero presenti più di una manciata di persone di totale fiducia. Anche perché sapeva, il ministro dell’Economia, di trovarsi fra due campi gravitazionali riguardo alle società partecipate rispetto ai quali non poteva navigare né troppo vicino, né troppo lontano.

Nella Lega, il suo partito, aveva già preso forma un comitato neanche troppo informale per la selezione e valutazione dei nomi considerati per i ruoli di vertice e nei consigli di amministrazione delle società a controllo pubblico. Fra i componenti: il sottosegretario all’Economia Federico Freni, il deputato della commissione Finanze Giulio Centemero e l’altro deputato Alberto Bagnai (quest’ultimo aveva persino sviluppato un sistema di rating dei possibili candidati, tipo cacciatori di teste). Dall’altra parte Giorgetti aveva un altro campo gravitazionale, più forte: il gruppo a quattro composto dalla premier Giorgia Meloni, dal segretario del suo partito Matteo Salvini e poi, per Forza Italia, Antonio Tajani e soprattutto Gianni Letta. Era fra quei quattro, e solo fra loro, che si sono giocati i nomi dei presidenti e degli amministratori delegati delle prime quattro società quotate a controllo pubblico.

A quel punto il ministro dell’Economia, chiuso nel solito riserbo, ha preso atto di un ulteriore elemento: l’attenzione crescente degli investitori esteri. Da settimane vari fondi stavano contattando il suo dicastero per capire che intenzioni avesse il governo soprattutto per quanto riguarda Enel, prima società quotata italiana con un valore di Borsa di 66 miliardi, con i maggiori investitori globali nel capitale e circa metà del fatturato all’estero. Era chiaro che un amministratore delegato senza esperienza internazionale, che non parla inglese, non poteva andare.

Rating 3.00 out of 5

Nomine, un giorno di veti e ricomposizioni. Poi Lega e Forza Italia la spuntano su Scaroni e Cattaneo

giovedì, Aprile 13th, 2023

di Monica Guerzoni 

La premier e le scelte di Cingolani, Pontecorvo e Di Foggia, la prima donna ad. Salvini soddisfatto per Cattaneo e De Biasio, Forza Italia per Scaroni, Descalzi e Del Fante

Il Ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi, il capo della Polizia, Lamberto Giannini, e la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, durante la cerimonia per il 171mo anniversario della Polizia di Stato alla Terrazza del Pincio, Roma, 12 aprile 2023.   ANSA/MASSIMO PERCOSSI

C’è voluta un’altra giornata di colloqui, incontri, scontri, veti e limature per chiudere le tanto attese liste dei cda delle grandi aziende quotate dello Stato. Un doppio test, sulla stabilità della maggioranza e sul potere (o strapotere) di Giorgia Meloni alla guida dell’esecutivo. L’altoltà della Lega, che si è mossa di sponda con Forza Italia, ha avuto l’effetto di rendere meno piena la vittoria della premier e ricompattare una coalizione che rischiava di uscire stropicciata dal gioco della seggiola. 

Alla fine anche la premier è soddisfatta, contenta di aver conquistato Leonardo con l’ex ministro draghiano Roberto Cingolani e con Stefano Pontecorvo e felice di aver difeso per Giuseppina Di Foggia il posto di prima donna ad. Lei lo declina al maschile, «amministratore delegato», ma può dire di aver mantenuto la promessa: «Mi ero impegnata, io non mollo facilmente». Martedì, quando Giancarlo Giorgetti è salito sul volo per gli Usa, la presidente e i suoi vice hanno fatto le ore piccole. Prima Giorgia Meloni, Antonio Tajani e Matteo Salvini, poi anche Giovambattista Fazzolari e Gianni Letta hanno lavorato di penna e bianchetto a Palazzo Chigi, cercando un difficile equilibrio in grado di scongiurare scossoni sul governo. «Bella giornata» è il bilancio finale dei meloniani, magari un po’ edulcorato. 

La novità più vistosa, oltre al «siluramento» di Stefano Donnarumma, è il ticket formato da Flavio Cattaneo e Paolo Scaroni all’Enel. Una scelta condivisa da Tajani e Salvini, che sono riusciti così a contenere Meloni. Il leader della Lega, che da settimane contrastava la determinazione della premier nel voler promuovere Donnarumma da Terna a Enel, ha segnato un punto e può brindare anche alla nomina di Cattaneo. L’ex direttore generale Rai, poi ad di Terna e Telecom Italia e vicepresidente di Italo-Ntv, era alla festa a sorpresa per i 50 anni di Salvini. 

Rating 3.00 out of 5

Terzo polo, è guerra fredda. Calenda: «Così il partito unico non nasce». I renziani: «Ci ha detto basta Leopolda»

giovedì, Aprile 13th, 2023

di Claudio Bozza

Intesa vicina, poi lo strappo. La stilettata dell’ex ministro al “suo” ex premier per le conferenze a gettone: «Basta conflitti d’interesse». Ora si tenta l’ultima mediazione

Terzo polo, è guerra fredda. Calenda: «Così il partito unico non nasce». I renziani: «Ci ha detto basta Leopolda»

Alla fine era sembrato come un incontro di wrestling. Politicamente è volato più di un cazzotto, qualche mossa spettacolare, ma alla fine nessuno sembrava essersi fatto male davvero, almeno per ora, perché a rimetterci seriamente sarebbero entrambi. Le 48 ore di duro scontro tra Calenda e Renzi sembravano essersi concluse con una pax armata. Poi, a tarda sera, quando le delegazioni di Azione e Italia viva stavano dandosi appuntamento per il giorno dopo per chiudere l’accordo, Calenda è uscito dal vertice sbottando: «Un nulla di fatto, così il partito unico non nasce».

Eppure secondo quando era emerso fino ad allora, i rappresentanti dei due partiti sembravano aver trovato l’intesa su un documento che metteva nero su bianco il percorso verso il partito unico del Terzo polo, impegnandosi addirittura ad eleggere un segretario entro il prossimo ottobre. «La riunione è iniziata con le parole di Maria Elena Boschi, non precisamente di reciproco rispetto. Noi con Matteo Richetti siamo stati oggetto di attacchi molto violenti. Abbiamo chiarito che questo non è il modo con cui si lavora».

Dal fronte avversario, però, ascoltate le dichiarazioni del leader di Azione, i toni sono altrettanto forti: «Ci ha chiesto di non fare più la Leopolda. Questo è inaccettabile». Ma da Calenda sarebbe arrivata anche un’altra stilettata: «Abbiamo chiarito che negli organi direttivi del partito non potrà esserci chi ha conflitti di interesse». E anche in questo caso il convitato di pietra era Renzi, già più volte criticato in passato per la sua attività di senatore-conferenziere a pagamento, in particolar modo nei Paesi arabi.

Rating 3.00 out of 5
Marquee Powered By Know How Media.