Archive for Aprile 14th, 2023

I bengalesi sul barcone sbeffeggiano l’Italia: il passaporto fatto a pezzi e lanciato in mare

venerdì, Aprile 14th, 2023

Francesca Galici

Il video sui social del Bangladesh per dimostrare come è semplice ingannarci

I bengalesi sul barcone sbeffeggiano l'Italia: il passaporto fatto a pezzi e lanciato in mare

Il passaporto con copertina verde mostrato in favore di telecamera e quella scritta in caratteri dorati ben riconoscibile: «People’s Republic of Bangladesh». Le risate e poi il gesto di sfregio che nasconde ben altro: il documento fatto a brandelli, ridotto a pezzetti, e poi lanciato in mare. Sempre ridendo, ripetendo in loop «Italie, Italie». Colpisce la leggerezza, la volontà di riprendersi mentre fanno scomparire le tracce della propria identità, con la malizia premeditata che non si sposa con la narrazione che spesso viene fatta di questi individui.

Protagonisti del video due uomini, che viaggiano a bordo di un barcone insieme ad altri migranti. Si sono anche dedicati al montaggio, aggiungendo al termine della clip che li riprende alcuni scorci dell’Italia, meta che nel momento in cui è stato girato il video è nel loro radar. Irridono il nostro Paese, sanno che senza documenti avranno la garanzia di una lunga permanenza a causa delle necessarie operazioni di riconoscimento e identificazione.

Vogliono ingannare il nostro Paese e sanno che, in questo modo, non sarà difficile farlo. Senza documenti è impossibile accertare nell’immediato la provenienza e le generalità, tutto tempo guadagnato per loro. Chissà quanti passaporti hanno fatto la stessa fine, stracciati prima di raggiungere l’Italia dai «poveri» migranti. Sono probabilmente partiti dalla Libia, hub di partenza di numerosi bangladesi che raggiungono il nostro Paese con le carrette del mare. Esistono, infatti, svariati gruppi sui social interamente dedicati all’organizzazione dei viaggi dal Bangladesh all’Italia, che prevedono il passaggio per la Libia da cui poi partono i convogli: esiste un vero mercato dell’immigrazione dedicato alla comunità bangladese in Libia.

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Il nodo “protezione”: frenata del governo sulla linea dura. La Lega non ritira i suoi emendamenti

venerdì, Aprile 14th, 2023

Gian Micalessin

Il partito di Salvini preme per la cancellazione dell”escamotage” più usato dai clandestini per non essere rimpatriati. Fdi e Fi cauti: tutto rinviato al confronto in Parlamento. E oggi la premier Meloni vola in Etiopia. Non funziona, non rientra nella normativa europea e rappresenta, in sostanza, l’escamotage legislativo più utilizzato per garantire la permanenza in Italia di decine di migliaia di migranti irregolari che altrimenti andrebbero immediatamente rimpatriati. Eppure l’istituto della «protezione speciale» resta il tema più controverso e delicato di quel «Decreto Cutro» con cui le forze di maggioranza intendono modificare e inasprire le norme sull’accoglienza. Così controverso da spingere Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia a non affidarne la modifica, come previsto, ai due emendamenti presentati ieri in commissione Affari Costituzionali del Senato. Tutto viene rimandato, invece, alla prossima settimana quando l’argomento verrà dibattuto nell’aula del Parlamento. Dalla decisione traspaiono le diverse sensibilità con cui le forze di governo affrontano una riforma trasformatasi nel nodo di Gordio del «Decreto Cutro». La Lega preme per la cancellazione della protezione speciale e non intende – spiega il capogruppo leghista a Palazzo Madama Massimiliano Romeo – ritirare i 21 emendamenti presentati al decreto. Fratelli d’Italia, ed in parte Forza Italia, consigliano, invece, maggior cautela. Il partito di Giorgia Meloni e quello di Silvio Berlusconi temono che una modifica troppo radicale, non accompagnata da un voto dell’aula, sollevi le perplessità del Quirinale rendendo possibile un rinvio alle Camere del decreto. I timori riguardano, comunque, soltanto le modalità con cui eliminare le norme della protezione speciale, non la necessità e l’urgenza di farlo. Le forze di maggioranza sono concordi nel considerarla un obbrobrio giuridico varato dal governo Conte Due al solo scopo di resuscitare la protezione umanitaria, cancellata nel 2018 da Salvini, riconquistando così i consensi dei fondamentalisti dell’accoglienza. Una convinzione confermata da numeri e risultati non certo positivi. Presentata da Pd, M5S e sinistra come norma fondamentale per far emergere dalla clandestinità i migranti e farli approdare al mercato del lavoro la protezione speciale si è rivelata un fallimento totale. Introdotta il 22 ottobre 2020 con un decreto firmato dall’allora ministro dell’Interno Luciana Lamorgese la protezione speciale ha garantito, in meno di tre anni, più di 45mila permessi di soggiorno biennali ad altrettanti migranti privi di tutti i requisiti previsti dalle norme europee sull’asilo. Nel contempo ha traghettato nel mondo del lavoro poco più di 2680 soggetti. Confermando così la tendenza – assai diffusa tra i migranti irregolari – a considerare l’Italia una semplice piattaforma dove attendere un passaggio verso Francia, Germania o destinazioni più favorevoli senza perseguire, nel frattempo, una possibile integrazione o regolarizzazione. E a renderla un istituto ancor più inadeguato s’aggiungono contenuti in palese contrasto con le rigide norme europee sul diritto alla protezione internazionale. Per giustificare il divieto di respingimento o espulsione dello straniero la protezione speciale arriva ad invocare il mancato «rispetto della vita privata e familiare del migrante» equiparandolo ad una «violazione del diritto». E impone di valutare la concessione del permesso di soggiorno sulla base della natura e dell’effettività dei vincoli familiari dell’interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine.

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“Vi svelo tutti gli errori di Calenda”

venerdì, Aprile 14th, 2023

Francesco Curridori

Francesco Capone, membro dell’assemblea nazionale di Azione, rivela le criticità del partito di Carlo Calenda e fa il punto sulla situazione del centro

“Vogliamo rappresentare lo spirito azionista e liberal-progressista di Piero Gobetti. Ci richiamiamo al social-liberalismo e siamo molto più aperti di un cattolico su determinati temi etici”. Francesco Capone, membro dell’assemblea nazionale di Azione, che sabato inaugurerà l’Associazione di cultura politica “Rinascimento Azionista”, fa il punto sulla situazione del centro.

Cosa sta succedendo nel Terzo Polo?

“Sinceramente non so cosa stia succedendo ai piani alti. Noi militanti siamo d’accordo sul partito unico e ci spiace vedere che sia la dirigenza di Azione sia quella di Italia Viva non stiano facendo una bella figura. Corriamo il rischio di perdere un’occasione storica anche perché le differenze tra i due partiti sono pochissime, quasi non esistono. Spero che la situazione si risolva”.

Ma perché la base di Azione è in subbuglio?

“La base di Azione, invece, non è in subbuglio, ma si sta organizzando così da rappresentare quell’area liberaldemocratica e progressista che ha un forte spirito civico, il seme originario del partito fondato da Calenda nel 2019. L’arrivo di innesti da Forza Italia e da altri partiti hanno portato in Azione delle diverse sensibilità e noi, anche in vista di un futuro partito unico, intendiamo rappresentare quella componente liberaldemocratica che si ispira al partito d’Azione del Dopoguerra”.

Quali scelte di Calenda non ha condiviso?

“Il senatore Calenda è un leader carismatico, ma molte decisioni del mio partito non le ho condivise. Tra queste la scelta iniziale di schierarsi col Pd alle Politiche, l’arrivo della Gelmini e della Carfagna a cui è stata data la presidenza del partito anche se fino a pochi mesi prima si trovava su fronti opposti al nostro. Ci stati forti malumori in Puglia e Basilicata per alcune candidature alle elezioni Politiche. personalmente non ho condiviso neppure la scelta della Moratti in Lombardia e di Armao in Sicilia perché ambedue erano vicepresidenti di una giunta regionale a cui facevamo opposizione. Ciò non significa chiudere la porta alla Moratti o alla Carfagna, ma, anche se si tratta di persone che hanno avuto responsabilità di governo, avrei voluto che avessero fatto un periodo da semplici militanti”.

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Solo 4 miliardi per l’Irpef e ora nel Def rispunta la revisione del Catasto

venerdì, Aprile 14th, 2023

Luca Monticelli

ROMA. Otto miliardi di euro in due anni per il lavoro e il fisco: troppo poco per chiamarlo tesoretto. La prossima legge di Bilancio parte in salita, la coperta è già cortissima. Ci sono 3,4 miliardi di euro che dal mese prossimo e fino a dicembre andranno a tagliare il cuneo fiscale, rendendo le buste paga dei lavoratori con redditi medio bassi un po’ più pesanti, e poi 4,5 miliardi che nel 2024 serviranno a finanziare la riforma del fisco, soprattutto per aiutare le famiglie. Il governo chiederà alle Camere di utilizzare questi soldi in deficit per sostenere il potere d’acquisto degli italiani eroso dall’inflazione.

Lo spazio fiscale dello 0,2% del Pil per l’anno prossimo è frutto della differenza tra un indebitamento tendenziale al 3,5% e uno programmatico al 3,7%, che, si legge nel Documento di economia e finanza pubblicato ieri nella sua versione definitiva, «verrà destinato al Fondo per la riduzione della pressione fiscale». Sono allo studio anche misure per aumentare l’importo dell’assegno unico per i figli.

La riforma delle tasse, perciò, non verrà coperta solo con il riordino delle agevolazioni e con le somme recuperate dalla lotta all’evasione, ma sarà finanziata con l’apporto del deficit.

Il sentiero è sempre più stretto: la spesa per interessi è destinata a salire fino a 100 miliardi nel 2026; l’inflazione è stimata al 5,7% quest’anno, al 2,7 nel 2024 per tornare al 2% solo nel biennio 2025-26. La spesa per la previdenza sale al 16,1% del Pil (la più alta a livello Ocse), superando il 17% nel 2036 per poi imboccare un trend leggermente in discesa dopo il 2040. Non a caso, non si fanno ipotesi su quanti soldi potrebbero essere messi sul piatto per la riforma delle pensioni. Un altro esempio emblematico è rappresentato dal ponte sullo stretto: costa 13 miliardi e mezzo e al momento «non esistono coperture finanziarie disponibili a legislazione vigente; pertanto, dovranno essere individuate in legge di Bilancio».

Il quadro finanziario per il 2024 sarà più chiaro con la Nadef di fine settembre, ma di fatto la prossima manovra parte da quattro miliardi e mezzo. Pochi, visto che i collegati individuati sono 21: dal fisco alle pensioni, e poi il lavoro, la scuola, la disabilità, il turismo, la giustizia e così via. Sarà necessario rafforzare la spending review: le riduzioni di spesa dei ministeri proseguono e consentono una riduzione complessiva di 1,5 miliardi nel 2024, 2 miliardi nel 2025 e 2,2 miliardi a partire dal 2026. I risparmi saranno destinati anche ai rinnovi contrattuali della pa. La situazione di incertezza a livello internazionale obbliga alla prudenza, tuttavia il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti sottolinea nella premessa del Def che è «del tutto realistico puntare per i prossimi anni a un aumento del tasso di crescita del Pil e dell’occupazione che vada ben oltre le previsioni».

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L’invisibile fragilità dei 18 anni

venerdì, Aprile 14th, 2023

Annalisa Cuzzocrea

È inutile guardare dentro quel telefonino. Inutile spiare un video, chiedere agli amici, aspettare l’autopsia, perché mai nessuno capirà fino in fondo cosa sia successo. Non possiamo sapere nulla di Julia Ituma e dei suoi pensieri di 18enne forte, audace, splendente, quindi è di noi che dobbiamo parlare. Di questo spaesamento che ci prende là dove immaginiamo possa esistere solo bellezza e troviamo dolore. Di questa incapacità di accettare che si possa morire cadendo da una finestra a 18 anni e spezzare così un filo che fino a un minuto prima ci appariva fortissimo. Un filo che doveva condurre a vittorie, sconfitte, balli, baci, carezze, film, canzoni, schiacciate, abbracci, vita, futuro, e che invece all’improvviso non conduce più a nulla.

Può succedere tutto a 18 anni. Può succedere tutto sempre, è vero, ma a 18 anni di più, perché è quando la vita batte più forte. Quando schiacci più forte, corri più forte, senti tutto – emozioni, paure, ansia, aspettative, speranza – più di quanto pensassi di poter sentire. La gioia e la rabbia, l’entusiasmo e il vuoto. È vita che preme fino a scoppiare e noi non siamo fatti per accettare che diventi il suo opposto. Se accade stiamo lì ipnotizzati a cercare tracce, chiederci perché, cosa avremmo dovuto vedere o capire prima, cosa non abbiamo fatto per. È così per ogni morte improvvisa, ma forse di più quando a morire è una ragazza che fino a pochissimo tempo fa era una bambina e quindi affidata a noi: alla nostra capacità di guardare e di capire, di sorvegliare e di proteggere.

È solo di noi che possiamo parlare e di noi sappiamo questo: che spesso, a un certo punto, i ragazzi che vorremmo proteggere tirano su un muro e noi non riusciamo più a guardarci dentro. Non pensiamo come loro, non reagiamo come loro, non sentiamo come loro e quel che ci resta sono solo la paura e la speranza che alla fine vada tutto bene perché questo promettono le loro braccia forti, le gambe sicure, il sorriso aperto. Si è parlato molto durante quest’anno della fragilità inaspettata delle giovani atlete. Si è parlato molto, dopo il Covid, di una generazione che ha sempre più bisogno di aiuto e adesso lo chiede, perfino. Come stanno facendo gli universitari scoperchiando il tabù dell’ansia e della paura dell’insuccesso che ha portato a troppi suicidi solo negli ultimi mesi. Come fanno i ragazzi che si presentano nelle neuropsichiatrie al collasso con tagli alle braccia, alle gambe, il corpo ferito dalla fame o dal desiderio di sentire dolore.

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Nomine, secondo round: Salvini ferma Donnarumma a Rfi. La Lega: Meloni, luna di miele finita

venerdì, Aprile 14th, 2023

Ilario Lombardo, Francesco Olivo

ROMA. Che fare ora di Stefano Donnarumma, il manager che sembrava destinato a Enel per volontà di Giorgia Meloni e che invece è rimasto alla porta per la tenace contrarietà di Matteo Salvini? Attorno al suo nome si potrebbe consumare il secondo tempo della grande battaglia delle nomine di Stato. Perché i meloniani si sentono feriti dall’esultanza dei leghisti, contenti di avere strappato un’intera partecipata di prima fascia alle mire della premier: a Enel andrà Flavio Cattaneo come amministratore delegato, sponsorizzato un po’ da tutti tranne che da Meloni, e Paolo Scaroni come presidente, sostenuto da Silvio Berlusconi e tramite Gianni Letta anche dal Carroccio.

È finita così, e da ieri Donnarumma non è neanche più ad di Terna, visto che è stato formalizzato che a succedergli sarà una donna, come aveva promesso la premier: Giuseppina Di Foggia, oggi presidente di Nokia Italia, la prima a guidare una delle top five partecipate di Stato. Presidente sarà Igor De Biasio, consigliere d’amministrazione Rai in quota Lega. Restano da definire gli assetti dalle Ferrovie alla Rai, fino alle società più piccole, di secondo o terzo livello, come Manifattura Tabacchi.

Le nomine segnano l’inizio della lunga campagna elettorale che porterà alle Europee e che metterà gli uni contro gli altri armati Fratelli d’Italia e Lega, competitor nella stessa ampia area di consenso a destra. Ogni punto può servire alla causa. Salvini lo sa bene, perché giocò così, di contrapposizione, contro l’allora leader del M5S Luigi Di Maio, suo socio al governo, quando tra il 2018 e il 2019 la Lega schizzò al 34% ai danni dei grillini, allora a trazione sovranista e anti-Ue. Oggi Salvini è di nuovo vicepremier come quattro anni fa. Questa volta però alla sfida proporzionale per Bruxelles se la vedrà con un’avversaria più dura. Che proverà a lasciargli pochi margini. A partire dalla seconda tranche di nomine.

E si torna a Donnarumma. In pochi credono che alla fine andrà davvero a Rfi, come fatto filtrare da uomini di fiducia della premier.

Un’ipotesi che Salvini non ha preso molto bene. Raccontano che furioso abbia fatto arrivare al sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, braccio destro di Meloni, un messaggio di disappunto. Di certo, agli amici leghisti ha detto: «Ho fatto tanto per non avere Donnarumma a Enel e secondo voi me lo ritrovo a Rfi? Non esiste». Il leghista considera la società delle rete ferroviaria, controllata del Gruppo Fs, un proprio dominio. Vale 24 miliardi del Pnrr ma soprattutto sarà attrice protagonista assieme ad Anas della realizzazione del Ponte di Messina, l’opera su cui Salvini ha scommesso la propria sopravvivenza politica in vista delle Europee.

C’è un altro dato da tenere in considerazione, sul fronte più puramente aziendale. Donnarumma fu colui che scalzò l’attuale ad di Fs Luigi Ferraris da Terna. Se il manager rimasto senza poltrona andasse a Rfi, si troverebbe sotto il suo predecessore alla società della rete. Non solo, secondo fonti ufficiali del Gruppo Fs la notizia sulla sua nomina a Rfi risulterebbe «priva di ogni fondamento». Più probabile, sostengono altre fonti aziendali informate, che vada a Cdp Venture Capital, in attesa di capire se potrà mettere a frutto le competenze acquisite in Terna nella futura rete unica.

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Adesso la premier si gioca la faccia dopo l’accordone tra FI e Lega

venerdì, Aprile 14th, 2023

Lucia Annunziata

La premier non ha vinto, ma ha di sicuro chiarito vari elementi finora rimasti vaghi nella identità del suo governo. La battaglia delle nomine finita con “l’accordone” che Giorgia Meloni non voleva, ci consegna infatti una mappa precisa dei rapporti dentro la coalizione. E da questi possiamo derivare una serie di altre piccole curiosità identitarie fin qui sconosciute. Sappiamo ora, intanto, che l’accordone è stato raggiunto in piena notte con una lite che si è trascinata quasi fino all’alba. Tutto legittimo. Eccetto che non era questa la versione ufficiale – per cui possiamo cancellare la stucchevole retorica della “famiglia perfetta” (è una metafora, eh! Non stiamo parlando della famiglia vera ma della coalizione), e dare il benvenuto al centro destra nel mondo della realtà. Le coalizioni sono fatte per litigare: è un passo avanti ammetterlo.

Sappiamo ora, anche, da che parte sta Forza Italia e quanta forza (con minuscola) ancora può mettere in campo il partito di Silvio Berlusconi. Lega/Fi si confermano infatti un asse che ha tutta la tenuta delle antiche relazioni, grazie anche a una scuderia di talenti altrettanto “stagionati” (non mi riferisco all’età, sia chiaro). Lega e Forza Italia se messe con le spalle al muro sfoderano una Guardia Repubblicana che nella vita ha fatto (e vinto) molti assalti. Il “giovane” Flavio Cattaneo, che è riuscito a smentire i destini di vari suoi predecessori al vertice della Rai, inanellando dopo Viale Mazzini una serie di incarichi di tutto rispetto; Paolo Scaroni che, oltre a resistere a tutti i marosi che ha navigato, ha dalla sua una proiezione internazionale che intercetta molto bene i mercati su questioni vitali per l’Italia in questo momento; il ritorno di Gianni Letta all’ultimo minuto è stato come quello dei goleador che cambiano il risultato di una partita che sembrava nata persa – e ora si capisce meglio perché sia stato recuperato dall’esilio dove nei primi mesi lo avevano destinato. Ma, attenzione, nella partita Enel vinta da Lega/Fi c’è anche il peso specifico di una azienda che al momento nel progetto Repower Eu è già pienamente mobilitata sul Pnrr.

Sappiamo inoltre, ora, quale era l’obiettivo irrinunciabile della Premier: l’ex ministro Cingolani. Ottenuto. La sua nomina era avversata dalla Lega, perché considerato non qualificato come manager, trattandosi di uno scienziato; e l’opinione era condivisa senza tanti infingimenti dal Ministro della Difesa Crosetto – che preferiva un esperto di armi, missili in particolare. Tenendo conto del forte legame fra Crosetto e Meloni, la vittoria su Cingolani non è stata poca cosa. Persa invece per Chigi l’opzione Donnarumma a Terna, recuperata ma non tanto con la nomina di una donna Ad, Di Foggia.

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L’opposizione indebolita aiuta (per ora) il governo

venerdì, Aprile 14th, 2023

MASSIMO FRANCO

L’implosione del sodalizio tra Calenda e Renzi contribuisce all’immagine di opposizioni in frantumi. Nella prospettiva immediata, la frammentazione rafforza Meloni

L’implosione del sodalizio tra Carlo Calenda e Matteo Renzi contribuisce all’immagine di opposizioni in frantumi. Sia quella larvatamente dialogante del loro Terzo Polo, sia quella estremista del nuovo Pd e del M5S stanno mostrando un’inadeguatezza che alla fine non fa bene a nessuno. Nella prospettiva immediata, la frammentazione favorisce e rafforza il governo di Giorgia Meloni. Ma l’assenza di una minoranza in grado di criticare e contrastare in modo credibile la coalizione di destra nel merito delle decisioni è destinata a pesare in maniera ambigua.

Promette di condizionare lo stesso governo: nel senso di dargli un’illusione di onnipotenza, sempre rischiosa. Lo espone alle proprie contraddizioni e soprattutto alla tentazione di sottovalutarle, forte dei numeri parlamentari e della debolezza avversaria. Così, di fronte alla realizzazione di un Piano per la ripresa che deve fare i conti con ostacoli e ritardi crescenti, la coalizione si trova a combattere con se stessa. E l’effetto, in particolare per i suoi riflessi internazionali, non è dei migliori.

La mediazione sulle nomine nelle aziende pubbliche ha placato lo scontro tra la premier e gli alleati Matteo salvini, leader della Lega, e i berlusconiani. I distinguo sono tuttavia destinati a riemergere. Sia su riforme istituzionali come l’autonomia regionale, sia sul presidenzialismo, esiste un patto di scambio più che un’intesa convinta. Giorgia Meloni accetta di appoggiare il progetto leghista di un’autonomia differenziata, voluta dalle regioni del Nord. Ma nutre forti dubbi, anche per il timore di perdere voti al Centro e al Sud: lo stesso di Forza Italia.

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Chi è la talpa dei documenti rubati agli Usa: nome in codice «OG». Il «guru» e gli adepti devoti a Dio e alle armi

venerdì, Aprile 14th, 2023

di Viviana Mazza

Un membro del gruppo: «Era cristiano, contro la guerra e voleva solo tenere informati i suoi amici»

Chi è la talpa dei documenti rubati agli Usa: nome in codice «OG». Il «guru» e gli adepti devoti a Dio e alle armi

DALLA NOSTRA CORRISPONDENTE
NEW YORK — Gli adolescenti appassionati di armi e di videogiochi della chat che «OG» amministrava lo ammiravano e dicevano che era una figura paterna. Uno di loro lo aveva descritto come una specie di Jason Bourne: «È in forma, è forte, è armato, è addestrato. È tutto ciò che ti aspetteresti in uno di quei film d’azione». Ma anche l’americano arrestato ieri a North Dighton, in Massachusetts, per i documenti del Pentagono e della Cia trafugati e diffusi online, è giovanissimo. L’Fbi e i militari con i fucili spianati giunti con un blindato da guerra lo hanno portato via in pantaloncini da basket rossi e maglietta grigia dalla casa dei genitori, sotto lo sguardo delle telecamere.

Jack Teixeira, 21 anni, noto online con la sigla «OG», che in slang significa Original Gangster, è un riservista dell’intelligence della Guardia nazionale del Massachusetts (sono militari part-time, presenti in ogni Stato). Era anche l’amministratore e il leader di un piccolo gruppo online di circa 25 persone, molti dei quali minorenni «uniti dall’amore per le armi, l’equipaggiamento militare e Dio», nato nel 2020 sulla piattaforma Discord.

Teixeira aveva seguito le orme di molti familiari attivi nelle forze armate. Aveva iniziato da poco a lavorare di notte alla base militare di Cape Cod, in Massachusetts, ha detto sua madre Dawn ai giornalisti del New York Times presentatisi davanti casa, prima di capire la gravità della situazione. OG aveva detto ai compagni di chat di passare parte del giorno all’interno di una struttura dove i cellulari e altri strumenti elettronici sono vietati e di avere annotato per ore le informazioni che per mesi ha condiviso con loro, prima di iniziare a diffonderne le foto.

Il gruppo, chiamato «Thug Shaker Central», era accessibile solo su invito. Era un rifugio per adolescenti che si erano ritrovati chiusi in casa durante la pandemia; si aiutavano a vicenda anche in momenti di depressione. Erano una ventina, di indole conservatrice; non particolarmente interessati alla geopolitica, condividevano insulti e meme razzisti; guardavano film e pregavano insieme. Ma OG li istruiva anche sull’attualità e su presunte operazioni governative segrete. Due membri del gruppo, uno dei quali minorenne, intervistati dal Washington Post e dal New York Times, oltre che dal sito investigativo Bellingcat, insistono che «OG» non lavora per lo spionaggio straniero. «Era cristiano, contro la guerra e voleva solo tenere informati i suoi amici», che restavano colpiti dalle sue capacità quasi profetiche di anticipare le notizie e i titoli di giornale. Ora la deputata di destra Marjorie Taylor Greene lo dipinge come «un naturale nemico di Biden», in quanto bianco, cristiano e anti-guerra. Ma secondo molti resta una figura diversa da Assange o Snowden: ha condiviso i file in un piccolo gruppo privato.

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Sciopero 14 aprile, Trenitalia si ferma dalle 9 alle 17: tutto quello che c’è da sapere

venerdì, Aprile 14th, 2023

di Valentina Iorio

Sciopero 14 aprile, Trenitalia si ferma dalle 9 alle 17: tutto quello che c'è da sapere

I dipendenti di Trenitalia si fermeranno dalle 9 alle 17 di oggi, venerdì 14 aprile, per uno sciopero generale proclamato dalle organizzazioni sindacali Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti, Ugl Ferrovieri, Sml Fast Confsal e Orsa Ferrovie. «Lo sciopero – ricorda Trenitalia in una nota – potrebbe avere un impatto significativo sulla circolazione ferroviaria e comportare cancellazioni totali e parziali di Frecce, Intercity e treni Regionali di Trenitalia. Gli effetti, in termini di cancellazioni e ritardi, potranno verificarsi anche prima e protrarsi oltre l’orario di termine dello sciopero». ferrovie

I treni garantiti

Durante la protesta sindacale saranno garantite le corse di alcuni treni nazionali elencate nell’apposita tabella, consultabile nella sezione «Treni garantiti in caso di sciopero» del sito di Trenitalia. Per quel che riguarda il trasporto regionale saranno garantiti i servizi essenziali nelle fasce orarie di maggiore frequentazione, vale a dire dalle 6 alle 9 e dalle ore 18 alle 21. Per vedere quali sono le corse garantite regione per regione clicca qui. Il consiglio dell’azienda, in ogni caso, è di informarsi prima di recarsi in stazione. «Ulteriori informazioni su collegamenti e servizi saranno diffusi attraverso l’app Trenitalia, la sezione Infomobilità del sito di Trenitalia, i canali social e web del gruppo Fs Italiane, il numero verde gratuito 800 89 20 21, oltre che nelle biglietterie e negli uffici assistenza delle stazioni ferroviarie, alle self service e presso le agenzie di viaggio convenzionate», fa sapere Trenitalia.


Le richieste dei lavoratori

«Dalla fine della fase pandemica di fatto sono andate a peggiorare le condizioni di lavoro sia di tutti i ferrovieri che degli addetti delle ditte appaltatrici di pulizie», dicono Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti, Ugl Ferrovieri, Orsa Ferrovie e Fast Confsal, spiegando le ragioni dello sciopero. «Serve un adeguato piano di assunzioni e un maggiore equilibrio nella programmazione dei turni che tenga conto della conciliazione dei tempi di lavoro con quelli della vita privata – aggiungono i sindacati – . Gli equipaggi dei treni convivono con un’eccessiva saturazione dei turni di servizio al punto di arrivare alla mancata concessione delle giornate di ferie». Tra le richieste delle sigle sindacali c’è anche quella di migliorare le condizioni di sicurezza alla luce delle frequenti aggressioni subite dal personale di bordo e delle stazioni, anche attraverso l’attivazione del Protocollo per la promozione della sicurezza nella mobilità-attività ferroviarie, che è stato sottoscritto con il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e il ministero dell’Interno.

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