Archive for Aprile 16th, 2023

Inflazione, denuncia di Landini: “Profitti esagerati sul carrello della spesa”

domenica, Aprile 16th, 2023

“Sul carrello della spesa si stanno facendo profitti esagerati, perché negli ultimi mesi i costi di produzione sono molto scesi, pensiamo al prezzo del gas, mentre gli aumenti per le famiglie hanno continuato a correre”. A denunciarlo è il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, in un’intervista al Corriere della Sera. Intanto, “i salari – evidenzia Landini – devono aumentare. Dall’inizio di quest’ondata d’inflazione si sente parlare solo del rischio che i rinnovi dei contratti inneschino una spirale prezzi-salari. Quel che si è visto è diverso, salari fermi e profitti delle imprese in crescita, che ora non ritirano gli aumenti anche se producono a costi molto minori di sei mesi fa. E investimenti delle imprese comunque deboli. A fronte di imprese che non moderano i rincari diventa indispensabile – rimarca – un contributo straordinario di solidarietà sui profitti”. 

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Se a sinistra l’insulto si chiama arte

domenica, Aprile 16th, 2023

Francesco Maria Del Vigo

Non fa ridere, non fa riflettere, non provoca e non ha niente a che fare con l’arte. Fa schifo. Punto e basta. Parliamo del quadro – ammesso che si possa chiamare così una roba del genere – esposta nella Zona rossa del Torino comics. Rossa perché vietata ai minori ma, evidentemente, anche per passione politica.

Scusate il linguaggio, più consono alla descrizione di un video di Youporn, ma è necessario per descrivere il contenuto e la levatura dell’opera: un fallo che eiacula sul viso di Matteo Salvini mentre fa un saluto romano. Capite bene che più che nel campo artistico siamo in quello psichiatrico. L’illustrazione è di tale Luis Quiles, disegnatore spagnolo semi sconosciuto e del quale non sentivamo la mancanza. L’immagine è stata rilanciata sui social network, con più che legittima indignazione, dallo stesso ministro dei Trasporti che la ha commentata così: «Opera “d’arte” esposta a Torino. A me, con tutto il rispetto, pare solo una schifezza disgustosa. Direi penosa». Poco dopo arriva la controrisposta del pittore che si compiace beotamente della reazione del vice primo ministro.

Il problema è ovviamente tutto politico. Non se ne può più di questi presunti artisti di sinistra che pretendono che tutte le loro frustrazioni diventino provocazioni, che le loro ossessioni psichiatriche si trasformino in capolavori. Erano, sono e resteranno delle mediocri schifezze. Ed è ancora più irritante che proprio quella parte politica che sventola in continuazione la propria superiorità morale, squaderna i sacri testi del politicamente corretto e finge di difendere tutte le possibili minoranze poi faccia esplodere la sua violenza bestiale e volgare contro i politici di destra. Sono gli alfieri di un falso e viscido buonismo che poi diventano cattivissimi con chi non la pensa come loro. E, in particolare, con Matteo Salvini che è diventato il parafulmine di tutte le isterie progressiste.

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Lavoro, le aziende cercano 10mila tecnici. Come candidarsi

domenica, Aprile 16th, 2023

Da uno studio condotto da Distretto Italia è emerso che il maggior fabbisogno di unità lavorative in ambito tecnico è al Nord. A seguire ci sono le Isole, il Centro e il Sud Ignazio Riccio 1

Lavoro, le aziende cercano 10mila tecnici. Come candidarsi

L’analisi a campione condotta dal Centro Studi di Distretto Italia sul fabbisogno lavorativo delle imprese italiane ha fornito un dato interessante: le aziende sono alla ricerca di oltre 10mila tecnici nell’ambito dei settori energia, telecomunicazioni, costruzioni e digitale. Si tratta di un’opportunità da cogliere al volo per quei tanti giovani in cerca di un’occupazione, i quali potrebbero trovare la strada giusta per inserirsi nel mondo del lavoro. Ma come si può fare per candidarsi ai ruoli ricercati dalle imprese?

I corsi

L’opportunità è data dai corsi organizzati a livello nazionale. Le persone interessate possono già iscriversi alle prime quattro Scuole dei Mestieri che avvieranno la formazione per posatori di fibra ottica, responsabili di cantiere e impiantisti e per programmatori software. Per i primi due corsi le lezioni dureranno cinque settimane, dopodiché si potrà accedere al mercato del lavoro, mentre per i programmatori la durata della formazione è di venti settimane. È possibile candidarsi accedendo alla piattaforma web www.distrettoitalia.elis.org.

Gli enti coinvolti nel progetto

Sono trentaquattro i soggetti coinvolti nel progetto di formazione di nuovi tecnici. A capo della cordata, per i primi sei mesi, c’è Autostrade per l’Italia. Gli altri enti partecipanti sono: A2A, Acciaierie d’Italia, Adecco, Bain & Company, Bnl Bnp Paribas, Boston Consulting Group, Cisco, Confimprese, Enel, Engineering, Eni Corporate University, Ferrovie dello Stato, Fincantieri, FMTS Group, Fondazione Cassa Depositi e Prestiti, Generali Italia, Gi Group, Gruppo FNM, Made in Genesi, ManpowerGroup, Milano Serravalle – Milano Tangenziali, OpenEconomics, Open Fiber, Orienta, Poste Italiane, Randstad, SITE Spa, Skuola.net, Soft Strategy, Synergie, TIM, Trenord e Umana.

I numeri del fabbisogno lavorativo

Dallo studio condotto da Distretto Italia è emerso che il maggior fabbisogno di unità lavorative in ambito tecnico è al Nord, con il 31% delle richieste. A seguire ci sono le Isole, con il 12%, il Centro, con il 6%, e il Sud, con il 4%. La restante domanda, pari al 47%, è spalmata su tutto il territorio nazionale. I profili di tecnici più richiesti sono: addetti alla posa di cavi di fibra ottica (35%), responsabili di cantiere (8%), tecnici operativi (6%), tecnici programmatori (7%).

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Sergio De Caprio, la cattura di Riina e le polemiche con i politici: “Ora prepariamo la pizza per i senzatetto”

domenica, Aprile 16th, 2023


di Marco Menduni

Difficile strappare qualche minuto nell’agenda fittissima di impegni di Sergio De Caprio, il Capitano Ultimo che trent’anni fa ha ammanettato il capomafia Totò Riina: «Gestiamo una casa famiglia per dieci persone che non possono vivere nelle loro abitazioni per i problemi dei familiari. Poi ci sono la mensa per i poveri e le docce. Ancora, ospitiamo otto senza fissa dimora, gratis». Ti guardi intorno e non è finita: «C’è l’orto sociale, altre persone preparano il pane nel forno a legna, facciamo da mangiare».

Preghiera e impegno sociale, nella periferia sud-est della Capitale. «Qui c’è una capanna aperta, un altare, padre Max che ogni domenica celebra la funzione. E la fontana con cui regaliamo quel che chiamiamo canto dell’acqua». Non sono religiosi. Sono carabinieri, affiancati da comuni cittadini, a far andare avanti da 12 anni questo esperimento di solidarietà.

Sulla figura del Capitano Ultimo, quello che alla testa di un manipolo di «soldati straccioni» il 15 gennaio 1993 riesce ad arrestare nel centro di Palermo la “belva” Riina e in caserma lo fa fotografare sotto la foto del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, poi interpretato da Raoul Bova in una fiscion di successo, è uscito il libro di Pino Corrias Hanno fermato il Capitano Ultimo (Chiarelettere). Un volume utile per riconnettere logicamente le fasi della lotta alla mafia. Dopo l’arresto di Riina, per De Caprio c’è la gratitudine del Paese intero. Poi arriva una serie di accuse, di processi. Una carriera distrutta. Nulla potrà mai risarcirlo, nemmeno l’assoluzione nel processo per la mancata perquisizione del covo di Riina, con l’accusa di favoreggiamento a Cosa Nostra, finito con l’assoluzione.

Per molti, Ultimo è una leggenda. Per altri un soldato fuori controllo. Così gli viene pure revocata la scorta, nel 2019. Gli verrà restituita dal Consiglio di Stato. Ma intanto 120 carabinieri si erano già messi a disposizione: «Gliela garantiamo noi, nel nostro tempo libero».

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Giletti, il ricatto di Baiardo e il mistero della foto di Berlusconi con il boss

domenica, Aprile 16th, 2023

Giuseppe Legato, Grazia Longo

Esiste davvero la foto di Silvio Berlusconi accanto al boss di Cosa nostra Giuseppe Graviano? Di quell’immagine – fin qui mai trovata dagli inquirenti della Dda di Firenze nemmeno nel corso dell’ultima perquisizione datata 27 marzo 2023 – che ritrarrebbe il fondatore di Forza Italia, l’allora generale dei carabinieri Francesco Delfino e Giuseppe Graviano prima che si alzasse il sipario sulla stagione delle stragi continentali, Salvatore Baiardo – considerato dagli investigatori alla stregua di un ventriloquo dei boss stragisti – non ne ha parlato solo con Massimo Giletti, ma anche con Report.

Ha detto di averla, l’ha fatta vedere da lontano, ma non l’ha consegnata a nessuno. «C’è un’indagine in corso e non posso scendere nei dettagli – afferma il conduttore di Report, Sigfrido Ranucci – posso solo dire che noi non abbiamo mai pagato una fonte in 25 anni di storia».

Ma perché Baiardo voleva piazzare a tutti i costi quella foto, di cui ancora oggi non sappiamo se fosse reale o se si trattasse di un fotomontaggio? L’idea che comincia a farsi largo, per ora solo come ipotesi ma pur sempre al vaglio degli investigatori, è che dietro questo atteggiamento di Baiardo ci sia un intento ricattatorio. Verso chi, non è noto nella forma ufficiale, ma non sarebbe complicato intuirlo per un uomo, già condannato per favoreggiamento dei mafiosi, che da mesi sproloquia profetizzando clamorosi arresti (vedi Matteo Messina Denaro, le cui chat nella clinica privata di Palermo sarebbero state vendute a «Non è l’Arena» da Fabrizio Corona), augurandosi – o chiedendo palesemente – la concessione di benefici per membri di spicco di Cosa Nostra detenuti al 41 bis diventati, nel suo pericoloso lessico «bravi ragazzi che hanno fatto degli errori». Il bersaglio è la magistratura? Il conduttore Massimo Giletti, convocato (non auto-presentatosi) come persone informata sui fatti e quindi come testimone e sentito già due volte dal procuratore Luca Tescaroli è stato tra i primi a introdurre il tema del ricatto: «Me l’ha fatta vedere (la foto ,ndr), senza consegnarmela, tenendola lontana da me, eravamo in un luogo scuro in un bar a Castano, vicino a Milano».

Ma il conduttore tv, non sa se l’uomo ritratto insieme a Berlusconi e Delfino fosse Graviano perché, come ha spiegato ai magistrati, «non avevo una sua immagine in mente. Poteva essere chiunque, fu Baiardo a dirmi che si trattava del boss mafioso, ma io non potei riconoscerlo». «Baiardo – aggiunge Giletti – accennò, inoltre, che avrebbe potuto mandare la foto ai magistrati. Mi disse “questa potrebbe un domani arrivare ai pm, se le cose non vanno in un certo modo” . Da quanto mi ha riferito, ho compreso che la foto è stata scattata di nascosto e che dunque non era stata fatta con il consenso di Berlusconi. Era dunque stata effettuata per fini di ricatto».

E ancora: «Durante l’incontro che ho avuto con Baiardo mi ha detto che la foto c’è e che, se le cose non dovessero andare in un certo modo, me la potrebbe dare». L’anchorman ha poi chiarito agli inquirenti come quella fotografia «mi è parsa una foto del tipo di quelle autoscatto macchinetta usa e getta. Ho visto tre persone sedute a un tavolino. Berlusconi l’ho riconosciuto, era giovane, credo fosse una foto degli Anni 90, sono certo fosse lui anche perché in quel periodo lo seguivo giornalisticamente. Ho riconosciuto anche Delfino, ma non so se fosse autentica, se Berlusconi fosse consapevole che il terzo uomo ritratto fosse Graviano e se quest’ultimo fosse realmente il boss».

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La fuga di Artem Uss, cosa non ha funzionato. La catena di errori e sottovalutazioni. Dagli Usa dati ambigui

domenica, Aprile 16th, 2023

di Luigi Ferrarella

Dal Dipartimento di giustizia americano l’indicazione «senza fissa dimora in Italia» e la scarsa chiarezza sui reati contestati. L’imprenditore russo evaso con il braccialetto elettronico dalla sua casa di Basiglio lo scorso marzo

Tra sbavature, sottovalutazioni e autogol che hanno punteggiato le scelte dei vari soggetti istituzionali intorno alla richiesta di estradizione negli Stati Uniti dell’uomo d’affari russo Artem Uss fermato a Malpensa il 17 ottobre 2022 (magistrati milanesi, ministero della Giustizia, servizi segreti, forze dell’ordine, gestori di braccialetti elettronici), gli atti mostrano che a dare il proprio contributo sono stati paradossalmente anche gli americani: proprio all’inizio di tutto, e proprio su quelle circostanze che, una volta risultate o non vere o non documentate, per converso hanno costituito il presupposto sul quale poi il 25 novembre 2022 il primo collegio della Corte d’Appello (Fagnoni-Curami-Caramellino) ha fondato la decisione di accogliere dal 2 dicembre l’istanza difensiva di arresti domiciliari con braccialetto elettronico nella villa di Basiglio. Quella da cui Uss il 22 marzo scorso, all’indomani del primo parziale via libera all’estradizione comunque non operativa perché sottoposta a ricorso pendente in Cassazione, è fuggito con grande facilità, per beffa portandosi via il braccialetto elettronico.

Quando infatti il 18 ottobre la Corte d’Appello (in attesa che dagli Stati Uniti tramite Ministero arrivino solo l’11 novembre la richiesta di estradizione e gli atti allegati) convalida l’arresto provvisorio di Uss emesso «il 26 settembre dal Dipartimento di giustizia americano per associazione per delinquere, truffa e riciclaggio», lo fa per il (prospettato dagli americani) «concreto pericolo di fuga evidente nel fatto che Uss era in partenza per Istanbul insieme alla propria compagna», «per l’assenza di una fissa dimora in Italia», «per gli appoggi internazionali che gli hanno consentito di allontanarsi dal luogo di commissione del reato» indicato in New York. Tre circostanze però non esatte o quantomeno non documentate dagli americani.

Dopo quasi 40 giorni di carcere a Busto Arsizio, infatti, i difensori Vinicio Nardo (allora presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano) e Fabio De Matteis in una istanza di arresti domiciliari hanno buon gioco a rappresentare ai giudici che, «contrariamente a quanto indicato nella convalida dell’arresto, Uss è stato arrestato a Malpensa non perché di passaggio nel nostro Paese, ma in quanto, dopo aver soggiornato qualche giorno a Milano, stava rientrando via Turchia in Russia»; e che «dalla documentazione americana non si arguisce risponda al vero la circostanza, anch’essa riportata a sostegno del pericolo di fuga, che Uss si sia allontanato dal luogo di commissione del reato, non risultando infatti si sia mai recato a New York». 

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Caso Orlandi, sulle accuse a Wojtyla l’avvocata Laura Sgrò convocata in Vaticano si rifiuta di fare nomi

domenica, Aprile 16th, 2023

di Ester Palma

La legale era stata convocata dal promotore di Giustizia vaticano  Alessandro Diddi, come aveva chiesto più volte: ma sabato mattina ha opposto il segreto professionale

Caso Orlandi, sulle accuse a Wojtyla l’avvocata Sgrò si rifiuta di fare nomi

Sulle accuse a papa Wojtyla, nell’ambito dell’inchiesta aperta in Vaticano sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, il fratello Pietro e l’avvocato Laura Sgrò si rifiutano di indicare le loro fonti al Promotore di Giustizia. E’ accaduto nel corso del brevissimo incontro di sabato mattina in Vaticano fra la legale della famiglia Orlandi, convocata in qualità di testimone per riferire sulla provenienza delle informazioni su Giovanni Paolo II e più in generale sul caso della ragazza scomparsa, e il Promotore di Giustizia Alessandro Diddi, nel corso del quale l’avvocato Sgrò ha scelto di opporre il segreto professionale alla richiesta di spiegare da chi aveva ricevuto le informazioni sulle presunte attività illecite di Giovanni Paolo II. 

«La legale chiedeva da mesi quest’incontro»

Lo riporta Vatican News, citando una dichiarazione del direttore della Sala Stampa della Santa Sede Matteo Bruni: «Il Promotore di giustizia Diddi, insieme al professor Gianluca Perone, Promotore applicato, ha ricevuto l’avvocato Laura Sgrò, come da lei ripetutamente e pubblicamente richiesto, anche per fornire quegli elementi, relativi alla provenienza di alcune informazioni in suo possesso, attesi dopo le dichiarazioni fornite da Pietro Orlandi. L’avvocato Sgro si è avvalsa del segreto professionale». 

Laura Sgrò: «False affermazioni, che sia fatta piena luce»

Dichiarazioni contestate dall’avvocato Sgrò che, in una lettera ai vertici della Comunicazione in Vaticano, sottolinea come tale «affermazione non corrisponda al vero», chiedendo che sia «fatta piena luce» sulla questione: «Il mio assistito , signor Pietro Orlandi, è stato ascoltato per ben otto ore l’11 aprile u.s. dal promotore di Giustizia, prof. Alessandro Diddi, al quale ha presentato una corposa memoria corredata da un elenco di ventotto persone, chiedendo motivatamente che siano presto ascoltate. Il signor Pietro inoltre si è reso pienamente disponibile a fornire ogni altro chiarimento a richiesta dello stesso promotore di Giustizia». L’avvocato Sgrò specifica poi in merito ad una «mia personale audizione come persona informata dei fatti» che «essa è evidentemente incompatibile con la mia posizione di avvocato difensore della famiglia Orlandi». Ribadendo, infine, nel rigettare le notizie circolate, che «il segreto professionale è baluardo della verità stessa e attaccarlo significa impedire ad un avvocato di poter apportare il proprio contributo alla verità».

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Strage di Erba, il pg di Milano: “Liberate Rosa e Olindo”

domenica, Aprile 16th, 2023

Gianluigi Nuzzi

La strage di Erba, dopo aver già conquistato il primato di peggiore carneficina del nuovo millennio nel nostro Paese, colleziona un’altra inquietante peculiarità: un sostituto procuratore generale dopo aver letto gli atti chiede che il processo venga riaperto, affatto convinto che Rosa e Olindo siano davvero gli assassini di quei quattro innocenti ammazzati la sera dell’11 dicembre 2006 a Erba. Un documento analitico, frutto di mesi di lavoro quello che il sostituto Cuno Tarfusser, già procuratore capo a Bolzano e ora a Milano, ha elaborato, dopo aver incontrato gli avvocati di Rosa e Olindo, i due che stanno scontando l’ergastolo dopo la pronuncia definitiva della Cassazione nel 2011. Una richiesta sollevata «in tutta coscienza per amore di verità e di giustizia e per l’insopportabilità del pensiero che due persone, probabilmente vittime di errore giudiziario, stiano scontando l’ergastolo». La conclusione è netta: «Fin dal primo grado c’erano prove della loro innocenza».

Il documento è ora sulla scrivania del procuratore generale Francesca Nanni perché sta a quest’ultima decidere se vistarlo e trasmetterlo a Brescia per il vaglio della Corte d’Appello sull’eventuale revisione, oppure archiviarlo non ritenendolo condivisibile. Nel documento Tarfusser valorizza elementi controversi su tutte le tre prove principali che portarono all’ergastolo. Si parte dalle macchie di sangue della vittima sull’auto usata dagli imputati, che sarebbe in realtà un effetto ottico, al riconoscimento e l’identificazione di Olindo da parte di Mario Frigerio, unico testimone della strage, che sarebbe compromesso dai “buchi” nelle intercettazioni e, da ultima, la confessione stessa della coppia che poi ha ritrattato.

L’auto accusa dei coniugi, per il magistrato, sarebbe «da considerarsi false confessione acquiescente», la testimonianza di Frigerio una «falsa memoria» legata al «peggioramento della condizione psichica» dell’uomo e alle «errate tecniche di intervista investigativa». Osservazioni, sottolinea il magistrato, che «se approfondite e valutate, avrebbero già sin dal giudizio di primo grado potuto portare ad un diverso esito processuale».

Hanno colpito il sostituto procuratore generale, sia le intercettazioni ambientali di quando Frigerio era in ospedale, mai entrate nel procedimento, sia gli audio e i video effettuati prima della confessione, Tarfusser ha cioè maturato dubbi sull’istruttoria ancora prima di valutare le “nuove prove” che gli avvocati di Rosa e Olindo hanno raccolto negli ultimi anni, contando su numerosi consulenti ed esperti. Sembra infatti che Tarfusser si sia sorpreso di numerosi dettagli a iniziare dal fatto che Rosa e Olindo vennero sentiti addirittura da quattro pubblici ministeri.

Per capire la portata di questa mossa di Tarfusser è forse davvero la prima volta dal 1930, con l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale nella storia della nostra giustizia, che un sostituto procuratore generale – e quindi chi rappresenta l’accusa – ponga dei dubbi sulla colpevolezza dei condannati, sollecitando la revisione e la riapertura del dibattimento. In genere, infatti, è l’imputato a chiedere un nuovo processo. Proprio a Brescia, che con ogni probabilità sarà investita della questione dai colleghi di Milano, quest’autunno la Corte aveva respinto – ad esempio – analoga istanza presentata da Maurizio Tremonte, già informatore dei servizi, dopo la condanna all’ergastolo ricevuta per la strage di piazza Della Loggia, accogliendo così il diniego suggerito dal procuratore generale Guido Rispoli.

A questo punto è difficile ipotizzare che Nanni sconfessi il proprio consigliere più anziano mentre è più probabile che la pratica finisca a Brescia, come prevede il codice per passare al vaglio della Corte che dovrà innanzitutto decidere sull’ammissibilità della stessa.

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Il capitano della Lazio si schianta in auto contro un tram: Ciro Immobile miracolosamente illeso con le figlie. Il calciatore: “È passato col rosso”

domenica, Aprile 16th, 2023

ROMA. Grande paura ma nessuna conseguenza fisica per Ciro Immobile e le sue figlie: il centravanti e capitano della Lazio ha distrutto stamattina la sua Land Rover Defender in un incidente stradale a Roma.

Incidente stradale per Ciro Immobile: scontro con un tram a Roma – la diretta

L’auto del bomber biancoceleste, su cui viaggiavano anche le sue due figlie, si è schiantata con il tram numero 19 mentre attraversava ponte Matteotti, tra Prati e Flaminio. Il tram è uscito dalle rotaie, la macchina è distrutta.

L’incidente ha coinvolto sette persone oltre a Immobile, compresi alcuni passeggeri del tram, che sono stati portati al Gemelli per accertamenti. Il calciatore, «un po’ indolenzito al braccio», parlando alle forze dell’ordine, ha dichiarato che il tram sarebbe passato col semaforo rosso. Anche Ciro Immobile e le figlie sono stati comunque trasportati al Policlinico Gemelli in ambulanza, dove sono sottoposti a controlli.

* Notizia in aggiornamento

LA STAMPA

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Quei cristi invisibili che vogliamo respingere

domenica, Aprile 16th, 2023

Massimo Giannini

La profezia era stata fin troppo facile, affidata alle parole del grande Fernando Aramburu in “Patria”: un giorno non molto lontano in pochi ricorderanno quello che è successo. «Ed è inutile farsi il sangue amaro: è la legge della vita, alla fine vince sempre l’oblio». Infatti l’oblio ha vinto anche stavolta. Sono passati quasi due mesi dal naufragio di Cutro del 26 febbraio. Novantuno vittime accertate, di cui trentacinque bambini. Ottanta sopravvissuti. Almeno dodici dispersi. Da allora quella spiaggia – punteggiata prima di corpi, poi di croci e di fiori – è già svanita dalla nostra memoria. Il mare ha smesso di restituire i morti, noi abbiamo smesso di preoccuparci dei vivi. La compassione è finita. Adesso è di nuovo «invasione». E dobbiamo ricominciare a difenderci.

Tonificato dall’audace colpo messo a segno con le nomine nelle “Big Five” partecipate dallo Stato, Matteo Salvini rilancia la crociata cattivista contro i migranti, tornando sul luogo del delitto compiuto ai tempi dei due decreti sicurezza varati dal governo grillo-leghista. Dopo aver picconato allora l’istituto della protezione «umanitaria», ora si tratta di abolire o indebolire anche quella «speciale» che è rimasta. Il Capitano non si accontenta di aver cancellato quattro anni fa la tutela per i profughi che non avevano diritto al riconoscimento dello status di rifugiato ma non potevano essere allontanati dal territorio nazionale a causa di oggettive e gravi situazioni personali. Adesso vuole abolire anche la protezione per il cittadino straniero che, se rimpatriato, possa essere oggetto di persecuzione o rischi di essere sottoposto a tortura, trattamenti degradanti, violazioni sistematiche e gravi di diritti umani.

Lo prevedevano già due disegni di legge incardinati presso la Commissione Affari Costituzionali della Camera. E ora lo ribadisce un emendamento della maggioranza al decreto-Cutro, in discussione al Senato, che vieta la possibilità di convertire la protezione speciale in permessi di soggiorno per lavoro e i permessi legati a calamità naturali o a patologie mediche curabili nel Paese d’origine.

Poteva sembrare solo l’ennesima fuga in avanti del Carroccio, per mettere alla prova i Fratelli d’Italia e testare nuovamente i rapporti di forza interni alla coalizione. Purtroppo non è così. Lungo la frontiera del «peggiorismo» ideologico e del revanchismo identitario la rincorsa a destra non ammette né soste né deroghe. Libera da ogni retaggio ideologico del Fascismo e sciolta da ogni vincolo storico col Colonialismo, Giorgia Meloni ad Addis Abeba rilancia la controffensiva sovranista/revisionista. Respinge tutte le critiche, all’insegna della rimozione del passato e dell’assoluzione del presente. Abbraccia tutti i bambini, in nome dell’indiscutibile «fratellanza euro-africana» e dell’immancabile “Piano Mattei”. Siamo tutti etiopi, a casa loro. Ma vogliamo solo italiani, a casa nostra. Dunque sì, la presidente del Consiglio conferma che l’obiettivo della «eliminazione della protezione speciale» non è solo di Salvini, ma è anche il suo. E allora prepariamoci, perché il governo andrà avanti su questa strada. Anche se stavolta l’Europa non ce lo chiede, il buon senso ce lo sconsiglia, l’ordinamento giuridico ce lo vieta.

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