Archive for Aprile 19th, 2023

Dal Patto di Dublino alle regole sull’asilo. Ecco le “norme preistoriche” citate da Mattarella

mercoledì, Aprile 19th, 2023

Fausto Biloslavo

«Le norme preistoriche» dell`Unione europea stigmatizzate dal capo dello Stato, Sergio Mattarella riguardano il sorpassato e vetusto Trattato di Dublino su asilo e prima accoglienza. Però ci sono altri legacci europei fuori tempo, che non fanno parte del pensiero del Presidente, ma sono un chiaro ostacolo, in alcuni casi pure ideologico, al funzionamento della Ue e ad un`efficace politica sull`emergenza migranti.

Mattarella, a Varsavia, ha detto una grande verità dichiarando che «serve una nuova politica di asilo superando vecchie regole che sono ormai preistoria». Il riferimento è all`obsoleto Trattato di Dublino, testo di riferimento per il controllo delle frontiere esterne dell’Ue, che affonda le sue radici addirittura negli anni `80. Solo che allora c`era ancora il muro di Berlino e non certo i problemi di oggi come la destabilizzazione del Nord Africa, la guerra ibrida a colpi di migranti e l`invasione dell`Ucraina. Il Trattato è stato emanato dopo l`omonima convenzione del 1990 con la partecipazione di tutti gli Stati membri tranne la Danimarca, Liechtenstein, Irlanda e Norvegia. In vigore dal 1997, ventisei anni fa, è stato modificato nel 2003 e 2013 senza riuscire a restare al passo con i tempi. E dimostrandosi una fregatura per l`Italia soprattutto sull`asilo e il dogma del paese «di prima accoglienza» che si accolla peso e responsabilità dell`arrivo dei migranti. La solidarietà europea ha sempre fatto fiasco e continuerà così fino a quando non si riuscirà a superare Dublino. Il Patto su migrazione e asilo approvato dalla Commissione europea nel 2020, come linee programmatiche quinquennali, è ancora acqua fresca, ma potrebbe servire a qualcosa se venissero applicate le riforme proposte nel testo. Solitamente vengono ribadite ad ogni vertice Ue e poi rimandate alla prossima volta. Il nuovo patto sull`immigrazione rimane una chimera.

Per questo andrebbero cambiate pure altre «norme preistoriche» come il voto all`unanimità, che pur garantendo l`unità paralizza la Ue o costringe Bruxelles ad arrampicarsi sugli specchi per trovare una via di uscita. L`ultima eccezione riguarda l`Ungheria poco incline a sanzionare a raffica la Russia.
Adesso sta scoppiando il caso dell`emendamento per il 2024 del Partito popolare sulla costruzione dei «muri», che chiamano in maniera gentile recinzioni. Forse non serviranno a molto, ma basta avere paura della propria ombra: i muri con la Bielorussia, quello ungherese con la Serbia e se vogliamo pure il super muro turco pagato indirettamente dalla Ue, a qualcosa sono serviti nell`arginare le ondate di migranti. La paura di finanziarli in ricordo di quello di Berlino è altrettanto «preistorico» come il tabù sui respingimenti possibili dei migranti con la Tunisia. L`Unione europea l`ha già fatto con la missione Hera in Senegal per arginare i flussi via mare verso le isole spagnole.

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Governo, caos Pnrr

mercoledì, Aprile 19th, 2023

ALESSANDRO BARBERA MARCO BRESOLIN

ROMA-BRUXELLES. Grande è la confusione sotto il cielo del Pnrr. L’ultima decisione del governo italiano, che ha comunicato ufficialmente a Bruxelles il suo interesse a ottenere ulteriori prestiti, ha un po’ sorpreso la Commissione europea. Non soltanto perché nelle ultime settimane l’esecutivo aveva segnalato il rischio di non riuscire a spendere in tempo tutte le risorse già assegnate all’Italia, tanto che esponenti della maggioranza avevano persino ventilato l’ipotesi di rinunciare a una parte dei fondi a debito. Ma anche perché la richiesta giunta negli uffici di Palazzo Berlaymont è assolutamente generica e non accompagnata da una cifra precisa. Secondo quanto riferiscono fonti di governo, la scelta di “prenotare” ulteriori risorse sarebbe stata sollecitata dai tecnici per lasciarsi aperta la possibilità di chiedere parte di quei fondi qualora ce ne fosse la necessità. Il problema è che l’esecutivo sembra brancolare nel buio dei “qualora”.

«Il governo ha detto di voler modificare il piano – si sfoga una fonte Ue –, ma siamo nella seconda metà di aprile e oltre a non aver ancora definito i progetti da finanziare sembra non avere ancora chiaro l’ammontare delle risorse che intende utilizzare». Dei dieci Paesi che hanno manifestato il loro interesse a richiedere altri fondi a debito, l’Italia è l’unico che non ha indicato la somma di cui ha bisogno. Per sottolineare la non linearità di questa scelta, a Bruxelles fanno l’esempio della Grecia. Anche il governo di Atene aveva voluto subito l’intero ammontare dei prestiti a sua disposizione, ma ora ha presentato una domanda ben definita: la richiesta è di 5 ulteriori miliardi.

L’atteggiamento del governo viene definito «preoccupante» perché ogni giorno che passa è un giorno di ritardo, visto che le scadenze del Pnrr non possono essere modificate: le risorse per gli investimenti vanno materialmente spese entro il 31 agosto del 2026, ma tutte le sovvenzioni a fondo perduto vanno «impegnate giuridicamente» entro il 31 dicembre di quest’anno, altrimenti c’è il rischio di perderle.

L’impressione è che il governo, dopo aver cercato di scaricare la responsabilità dei ritardi su Draghi, sia entrato in confusione. Raffale Fitto appare solo a gestire il delicatissimo dossier del Pnrr, forse il più importante di tutti per Giorgia Meloni. Da un lato il ministro degli Affari comunitari – ieri in aula alla Camera – ha rassicurato sul rispetto dei tempi per la revisione del piano. Tempi, per inciso, sui quali Commissione europea e governo sono divisi: la prima aveva chiesto una proposta entro il 30 aprile, Fitto ha preso tempo fino ad agosto. Non solo: l’esponente di Fratelli d’Italia ha anche promesso chiarezza rispetto ai programmi «non realizzabili» del piano. Dall’altra c’è la richiesta (non quantificata) di accedere ai fondi rimasti inutilizzati del RePowerEu. Come detto, la scelta sarebbe stata sollecitata dai tecnici, peccato che nella maggioranza c’è chi – come il leghista Claudio Borghi – contesta perfino il pieno utilizzo dei prestiti che l’Italia ha già ottenuto. Anche se il tasso d’interesse resta più conveniente rispetto a quello dei Btp: attualmente la Commissione sta emettendo bond su scadenze medie con un rendimento del 3%, decisamente inferiore a quello dei titoli decennali italiani (che sono attorno al 4,3%).

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Quei soliti metodi per le poltrone di stato

mercoledì, Aprile 19th, 2023

Montesquieu

Da un paio di lustri, più o meno dopo il governo di Mario Monti, la nostra politica (con l’eccezione della fiammata autocombustiva del governo Renzi), sforna legislature capaci al più di una sterile e penosa sopravvivenza. Un rischio serio, soprattutto se replicato, per un sistema democratico. Se noi continuiamo a essere una quasi tranquilla democrazia, lo dobbiamo al pronto soccorso istituzionale del nostro Capo dello Stato, intuizione geniale dei mai abbastanza ringraziati costituenti, in tempi in cui si sbriciolano le barriere tra democrazie e autocrazie, col compiacente stadio solo all’apparenza intermedio delle cosiddette democrature. A lui, al Capo dello Stato, la Costituzione affida la formazione del governo o, se impossibile, la decisione di sciogliere le Camere. Il compito degli elettori, nel nostro ordinamento, si esaurisce con l’elezione dei propri rappresentanti nelle due Camere. Così, il sistema è in sicurezza, comunque tenuto in vita con una sorta di coma farmacologico che attenua la debolezza dell’offerta politica, e tutela la funzionalità, a basso regime, dei fondamentali organi costituzionali. In attesa che la politica si riconcili con la propria fondamentale funzione.

Così fino allo scorso 25 settembre, una data che rappresenta, per molti, una sorta di natale di una nuova politica: una donna al comando del Paese. Non una “quota rosa”, scelta dagli uomini della politica nell’apposito, raffinato catalogo, destinato a perpetrare il potere maschile; bensì la forza di una donna che conquista prima un partito, il suo, il meno sensibile alle istanze della parità di genere. E poi attraverso il voto, la guida del governo del Paese. Gli uomini non mancano, in quello schieramento, e nemmeno le loro ambizioni, subito rimesse nel fodero dietro un sorriso tirato. Una rivoluzione , attesa da più di settant’anni, per chi è certo che tutto ora cambierà per il meglio; una novità, seguita con curiosità e buona disposizione da chi non ha prevenzioni o preferenze di genere, ma giudica intollerabile lo squilibrio di rappresentanza. Ma reputa il giudizio più attendibile del pregiudizio. Inseguita la novità, immediatamente, per la forza dell’emulazione, da un segnale di tendenza verso la stessa direzione nel versante opposto della nostra politica: la conquista da parte di una candidata (tutt’altro una “quota rosa”, anche questa ) della segreteria del principale partito avversario, il Partito democratico. Una spinta verso una sfida per il governo completamente al femminile.

Ce ne sarà, da osservare e commentare, a cominciare da ora. I primi passi del governo Meloni consegnano elementi insufficienti, al di là delle ideologie, per formulare previsioni d’insieme. Se non si considera tale la conferma di una raffinata, e oramai rara in entrambi i generi, capacità politica del presidente del Consiglio, e di un promettente avviamento di temibili relazioni sovranazionali e internazionali. Difficile da giudicare il primo atto del presidente del Consiglio in quello che è da sempre il punto debole dei nostri governi, la formazione della immensa (assai più del dovuto) dirigenza del Paese attraverso la politica delle nomine di spettanza governativa e politica in generale.

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Cospito, la Corte Costituzionale gli dà ragione: sconto di pena per evitare l’ergastolo

mercoledì, Aprile 19th, 2023

GIUSEPPE SALVAGGIULO

La Corte Costituzionale segna un punto a favore di Alfredo Cospito, l’anarchico detenuto al 41 bis e in sciopero della fame da sei mesi: potrà evitare l’ergastolo e ottenere uno sconto di pena. La Corte ha esaminato la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d’assise d’appello di Torino che deve giudicarlo per l’attentato alla Scuola allievi carabinieri di Fossano del 2006, compiuto con la compagna Anna Beniamino. Avevano piazzato due ordigni ad alto potenziale con 500 grammi di polvere pirica ciascuno dentro i cassonetti dei rifiuti nei pressi di uno degli ingressi. Esplosione di notte, a mezz’ora di distanza, «per massimizzare gli effetti letali dell’esplosione». L’attentato era stato rivendicato.

La Cassazione ha qualificato il reato come strage politica «al fine di attentare alla sicurezza dello Stato mediante l’uccisione di un numero indeterminato di carabinieri». Chiamati a definire la pena, i giudici torinesi si sono trovati davanti alla strettoia dell’articolo 69 quarto comma del codice penale. La norma non consente di concedere le attenuanti per la lieve entità del fatto (non ci furono morti né feriti) a chi, come Cospito, è recidivo: è già stato condannato definitivamente per l’attentato a Roberto Adinolfi, manager di Ansaldo Nucleare gambizzato nel 2012.

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Tito Boeri: “Governo schizofrenico sui migranti, se crescono aumenta il lavoro femminile”

mercoledì, Aprile 19th, 2023

Luca Monticelli

«Il contributo dell’immigrazione è fondamentale per tenere in equilibrio il bilancio dello Stato. Il governo lo sa, ma quando deve fare delle scelte agisce in senso opposto». Tito Boeri, economista, ex presidente dell’Inps e docente dell’Università Bocconi, definisce «schizofrenico» l’atteggiamento dell’esecutivo di Giorgia Meloni.

Perché nel Def si riconosce che con più stranieri residenti in Italia il debito calerebbe e poi si cancella la protezione speciale?
«Per anni i partiti che oggi sono al governo hanno predicato l’odio nei confronti degli immigrati, lanciando ogni possibile accusa. Adesso che per questioni di bilancio dovrebbero favorire un atteggiamento più attento, come dimostra la prudenza del ministro Giorgetti, i politici di destra si trovano in difficoltà rispetto al loro elettorato e sono costretti a scelte suicide come quella sulla protezione speciale».

Invece cosa dovrebbero fare?
«Dovrebbero tener conto delle esigenze delle imprese, e quindi fare decreti flussi più importanti, superando il livello degli 80 mila ingressi perché c’è bisogno di manodopera in moltissimi comparti, dal turismo al commercio fino alla ristorazione e all’agricoltura. E poi le famiglie hanno un drammatico bisogno di lavoratori che si occupino delle persone non autosufficienti».

La premier Meloni sostiene che il governo punta a risolvere i problemi di sostenibilità delle pensioni non con i migranti ma incentivando il lavoro femminile e la natalità.
«È un errore clamoroso, le cose vanno di pari passo. Perché le donne oggi possano lavorare è necessario potenziare il numero degli assistenti domiciliari. Più immigrati vuol dire più badanti e più donne che lavorano perché sgravate dai compiti di cura. E lo stesso vale per la natalità».

Perché non si fanno figli?
«Per le donne fare i figli e fare carriera è impossibile, non hanno gli aiuti di cui hanno bisogno, perciò rimandano e alla fine fanno solo un figlio».

Ha visto la bozza del nuovo reddito di cittadinanza?
«Sta venendo fuori una misura di una complessità estrema, che toglie l’unico strumento universale che avevamo di contrasto alla povertà. Si introduce una serie di condizioni di appartenenza a categorie prive di significato: l’idea che siano occupabili solo le persone che non hanno figli minori e non hanno disabili in famiglia non ha ragione d’essere».

Perché?
«Sono proprio le persone con minori e disabili in famiglia che hanno bisogno di lavorare per guadagnare. È davvero una visione contorta, ispirata dal desiderio di fare cassa. D’altra parte si è deciso nella legge di bilancio che si doveva risparmiare almeno un miliardo e allora sta studiando tutti i modi per raggiungere quell’obiettivo. Invece, il governo si dovrebbe preoccupare di rendere il reddito di cittadinanza più efficace per contrastare la povertà che è aumentata».

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Meloni e gli imbarazzi del 25 Aprile. Forza Italia si smarca: noi in piazza

mercoledì, Aprile 19th, 2023

Francesco Olivo

Nessuno nella maggioranza si sente chiamato in causa dalle parole del presidente della Repubblica di condanna dei regimi fascisti. «Ha detto una verità storica e quindi non ci crea alcun imbarazzo – dice uno dei massimi dirigenti di Fratelli d’Italia -. In nessun modo può essere visto come un richiamo a noi». Nessuno vuole commentare apertamente, la consegna in FdI è secca e soprattutto non nuova: nessun controcanto al Quirinale. Vale per questo tema ma anche per le questioni dell’azione di governo, a partire dal Pnrr. Non sfugge a nessuno che fra meno di una settimana sarà il 25 aprile e quindi ogni parola, ogni reazione rischia di essere amplificata. Un antipasto si avrà già domani, quando al Senato si discuterà la mozione dell’opposizione che chiede di rispettare «la verità storica e il 25 aprile». Come voterà il centrodestra? FdI e Lega dicono di non aver deciso, ma pensano a una mozione alternativa nella quale vengano condannati «tutti i totalitarismi». Mentre Forza Italia sarebbe propensa a votare il testo del centrosinistra. L’obiettivo, però, dicono fonti azzurre, è di non rompere l’unità della coalizione.

L’equilibrio sottile su cui vive il rapporto tra Giorgia Meloni e l’inquilino del Colle resiste. I due, dicono fonti di governo, hanno persino una certa sintonia, malgrado le enormi differenze politiche e generazionali. Così, si tende ad escludere che il presidente della Repubblica possa in qualche modo aver voluto metterla in difficoltà, pronunciando con nettezza parole che difficilmente si sentono da esponenti del partito della premier. Eppure, è impossibile non notare che, magari senza un’intenzione specifica, il presidente abbia giocato un ruolo di supplenza, laddove Meloni non è pervenuta. L’esempio dell’omaggio alle bare della strage di Cutro, che Mattarella ha pensato di dover fare a differenza della presidente del Consiglio, sta lì a dimostrarlo. Per il momento però il Quirinale ci tiene a non essere rappresentato come un contro potere e Palazzo Chigi conosce l’importanza di andare d’accordo. La prova sta anche nell’attenzione con la quale sono stati presi i richiami, più o meno formali, arrivati dal Colle: quello sul decreto maxiproroghe e, in parte, sul decreto Cutro. Così si spiega, infatti, la prudenza con la quale Meloni procede rispetto alla disinvoltura di Matteo Salvini.

Anche se è difficile trovare qualcuno che lo confermi pubblicamente, l’avvicinarsi della festa della Liberazione viene vissuta con una certa preoccupazione in Fratelli d’Italia. «È chiaro che si userà per cercare di indebolirci – spiega un fedelissimo di Meloni – ma chi pensa di togliere credibilità al nostro governo si illude». «Il nostro augurio è che il 25 aprile sia un giorno condiviso, senza polemiche strumentali, senza pensare che ciò che appartiene alla Storia sia un fatto di attualità», dice Alfredo Antoniozzi vicecapogruppo di FdI alla Camera.

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“Sostituzione etnica”, bufera su Lollobrigida. Schlein: “Parole da suprematista”

mercoledì, Aprile 19th, 2023

Antonio Bravetti

ROMA. Per contrastare la denatalità che rischia di far scomparire il popolo italiano bisogna aiutare chi vuole mettere su famiglia», perché «non possiamo arrenderci all’idea della sostituzione etnica» secondo cui «gli italiani fanno meno figli quindi li sostituiamo con qualcun altro: non è quella la strada».

Bufera sulle parole del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida. «È un linguaggio da suprematista bianco», attacca la segretaria del Pd Elly Schlein. «Siamo a dei livelli brutali», dice Romano Prodi. Tutte le opposizioni criticano le frasi del dirigente di Fratelli d’Italia, che dopo ore di fuoco incrociato si difende e accusa «la sinistra, priva di argomenti ed in evidente difficoltà, di alzare un polverone mediatico».

Ospite del congresso della Confederazione dei sindacati autonomi (Cisal), Lollobrigida ribadisce l’esigenza di favorire l’immigrazione regolare di lavoratori stranieri: «Io ritengo l’immigrazione un fatto naturale fisiologico, non un problema. Se ci sono richieste di forza lavoro, quando hai esaurito la domanda interna, ti devi dotare di forza lavoro che venga anche da altre nazioni».

Poi, spiega che la crisi demografica va contrastata con un welfare che permetta alle lavoratrici di essere madri. Un ragionamento che si conclude col passaggio incriminato: «Le nascite non si incentivano convincendo le persone a passare più tempo a casa perché si intensificano i rapporti, il modo è costruire un welfare che permetta di lavorare e avere una famiglia, sostenere le giovani coppie a trovare l’occupazione. Non possiamo arrenderci all’idea della sostituzione etnica, gli italiani fanno meno figli quindi li sostituiamo con qualcun altro».

Teoria da «suprematista bianco – sostiene Schlein – parole disgustose, indegne di un ministro della Repubblica. Mi auguro che Giorgia Meloni e il suo governo vogliano prendere le distanze con forza. Perché quando tutti i giorni, ministri o alte cariche dello Stato, fanno dichiarazioni di questo tipo smettono di essere incidenti e diventano uno schema». Parole «tipiche della destra complottista – le fa eco il segretario di +Europa Riccardo Magi – pronunciate il giorno in cui il nostro presidente della Repubblica Sergio Mattarella è in visita ad Auschwitz». «Il governo ha sposato la teoria della sostituzione etnica altrimenti detta piano Kalergi?», domanda su Facebook Elisabetta Piccolotti, deputata di Alleanza Verdi Sinistra.

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Dichiarazione dei redditi, il nuovo 730: addio scontrini e nuove aliquote, cosa cambia

mercoledì, Aprile 19th, 2023

di Diana Cavalcoli

Modello 730, addio scontrini, nuove aliquote: le novità

Dalla riforma dell’Irpef con le nuove aliquote all’Assegno unico universale passando per la rimodulazione delle detrazioni e le modifiche al quadro dei familiari a carico. Oltre alle semplificazioni per Caf e commercialisti con la possibilità di non conservare ricevute e scontrini relativi alle spese sanitarie non modificate. Sono diverse le novità per il modello 730 del 2023 che cambia in alcune sue parti. Ecco cosa sapere.

Irpef, detrazioni e bonus

Da gennaio 2022 sono state introdotte le nuove aliquote Irpef, che hanno rimodulato la distribuzione dei redditi nei vari scaglioni. Cambiano quindi le detrazioni per il lavoro dipendente, per la pensione e per il lavoro autonomo. Da Altroconsumo ricordano che: «Nell’ambito del reddito da lavoro trova spazio nel 730 anche il trattamento integrativo del 2022 cioè la misura che prevede un’integrazione alla retribuzione di 1.200 euro ai lavoratori il cui reddito massimo sia di 15 mila euro e la cui imposta, determinata tenendo conto solo dei redditi da lavoro dipendente e di alcuni assimilati, sia superiore alle detrazioni per lavoro dipendente. Lo stesso contributo, calcolato come differenza tra queste detrazioni e l’imposta lorda, viene riconosciuto anche ai lavoratori che hanno un reddito fino a 28 mila euro». Tra le nuove voci: il bonus barriere architettoniche e la detrazione per i canoni di locazione dei giovani fino a 31 anni. Misura che prevede il recupero del 20% del canone di locazione fino a un massimo di 20 mila euro.

Addio agli scontrini per le spese mediche

Importanti novità anche per chi invia il 730 tramite Caf o commercialista. Sono infatti esclusi dai controlli i dati relativi alle spese sanitarie che non sono stati modificati nel precompilato. Per queste spese non ci sarà più bisogno di conservare scontrini o altra documentazione. Una semplificazione importante dato che in precedenza bisognava conservare centinaia di carte e documenti per il contribuente.

L’Assegno unico

Tra le novità più importanti c’è l’Assegno unico universale (Auu). Introdotto a marzo 2022 (qui le novità 2023) ha preso il posto delle detrazioni per i figli a carico. Ecco quindi che il quadro dei familiari a carico nel frontespizio ha cambiato veste, introducendo delle colonnine che spariranno dal prossimo modello e che servono per indicare la situazione familiare fino al 28 febbraio 2022.

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Il valore dell’acqua: pericolose (e costose) trappole

mercoledì, Aprile 19th, 2023

di Ferruccio de Bortoli

Il Figliuolo dell’acqua non c’è ancora ma come commissario all’emergenza siccità dovrà lavorare più duramente — e molto più a lungo — del generale degli alpini protagonista della campagna vaccinale.
Il decreto legge, varato il 6 aprile dal Consiglio dei ministri, ha un solo, non secondario, problema: quello delle coperture finanziarie. Le risorse indispensabili per adeguare le infrastrutture e potenziare il servizio idrico nazionale vanno trovate rimodulando i piani di spesa di altri investimenti già messi a bilancio. Non semplice. Il provvedimento è comunque entrato in vigore il 15 aprile. Istituisce una cabina di regia, presieduta dalla presidente del Consiglio, che potrà avvalersi di cinque esperti (pagati fino a un massimo di 50 mila euro lordi l’anno). Il nuovo commissario, che verrà nominato probabilmente alla fine della settimana, dovrà completare entro un mese un’attenta ricognizione delle opere più urgenti. Eserciterà poteri sostitutivi nei confronti di amministrazioni locali e non solo. Semplificherà le procedure. Un compito titanico. In Italia vi sono 30 mila enti, 10 mila uffici. Un intreccio diabolico di competenze locali e nazionali. E, come segnala il rapporto Water Economy in Italy, non esiste una mappatura di tutti gli usi. Il servizio idrico integrato, ovvero acquedotti, fognature e depurazione, su cui esercita la propria sorveglianza l’Arera l’autorità di settore, riguarda solo il 20 per cento del totale dei prelievi.

L’urgenza è assoluta perché la mancanza di acqua è drammatica; i segni della desertificazione di intere aree dolorosamente visibili; le condizioni di alcune filiere agricole potenzialmente disastrose. Eppure nel dibattito pubblico – e ciò interroga la nostra coscienza civica – prevale un colpevole e inspiegabile fatalismo che rasenta l’irresponsabilità collettiva e individuale. Basta che piova un po’ e subito l’emergenza scompare. Il dissesto idrogeologico purtroppo no, peggiora. Secondo l’Ipcc (Intergovernmental panel on climate change) viviamo in una delle aree, nelle quali le anomalie climatiche saranno, nei prossimi anni, superiori alla media mondiale.

Siamo il Paese con il consumo pro capite (215 litri a testa al giorno) più alto della media europea (125). La perdita dei nostri acquedotti, seppur lievemente migliorata, è del 42 per cento. L’acqua piovana — ne abbiamo il 20 per cento in meno rispetto al secolo scorso — la raccogliamo e la sfruttiamo solo al 10 per cento. Gli invasi sono pochissimi. La loro realizzazione non piace alle comunità. Disturbano come le pale eoliche e gli impianti fotovoltaici. L’articolo 6 del decreto prevede che le vasche di raccolta dell’acqua piovana a uso agricolo, fino a un volume massimo di 50 metri cubi, possano essere eseguite liberamente. L’irrigazione in agricoltura è quasi tutta a scorrimento e per canali in terra. Inefficiente a dir poco. Non si potrà andare avanti a lungo così, pena la sopravvivenza di tante colture e il destino commerciale di molti prodotti tipici. Solo il 5 per cento delle acque reflue depurate è impiegato a fini agricoli o industriali. L’articolo 7 ne favorisce l’uso. È sufficiente un’unica autorizzazione che certifichi la sostenibilità sanitaria e ambientale. L’acqua desalinizzata è riutilizzata solo per lo 0,1 per cento contro il 7 per cento della Spagna. L’articolo 10 prevede minori ostacoli agli impianti di desalinizzazione, assai difficili da realizzare in base alla cosiddetta legge «Salvamare».

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Emissioni zero 2035: le falsità degli Efuel e dei biocarburanti

mercoledì, Aprile 19th, 2023

di Domenico Affinito e Milena Gabanelli

Chi nei prossimi anni deve acquistare un’auto cosa sceglierà? Le previsioni del settore non lasciano dubbi, mentre a seminarli ci pensano i portatori di interessi e le loro rappresentanze politiche. Partiamo da due dati certi: 1) il settore auto da solo è tra le principali fonti di emissioni climalteranti in Europa, 2) dal 2035 non si potranno più immatricolare auto con il motore a scoppio. Il 28 marzo, infatti, i ministri europei dell’Energia hanno ratificato il regolamento a maggioranza: astenute Italia, Bulgaria e Romania, contraria la Polonia. Chieste due deroghe: la Germania per gli Efuel e l’Italia per i biocarburanti. La prima è stata accettata perché i carburanti sintetici sono considerati neutri in termini di CO2. La seconda respinta. Il nostro Paese però tornerà alla carica, soprattutto dopo aver incassato un’apertura al ruolo dei biocarburanti nel processo di decarbonizzazione del settore dei trasporti da parte del G7 che si è svolto a Sapporo in Giappone domenica 16 aprile. Il tema in discussione è: Efuel e biocarburanti si possono considerare green? Ci aiutano i professori del Politecnico di Milano Marcello Colledani, Simone Franzò, Carlo Giorgio Visconti e il dirigente del Centro Ricerca del Cnr Nicola Armaroli.

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Gli Efuel oggi non esistono

Efuel sta per electrofuel: sono combustibili sintetici ricavati da monossido di carbonio e idrogeno, che non esistono in natura. Il monossido si ricava catturando la CO2 (per esempio dalle ciminiere delle centrali a carbone) e l’idrogeno dall’acqua con l’elettrolisi: servono 9 kg di acqua per ogni kg di idrogeno e 55 kWh di energia elettrica, pari al consumo elettrico settimanale di una famiglia italiana. Si tratta quindi di un processo molto energivoro. Il prodotto finale è un carburante liquido che, bruciando, ha più o meno le stesse emissioni inquinanti della benzina. Si possono dunque considerare neutri a livello di emissioni di CO2? No, secondo uno studio di Transport & Environment, think tank europeo creato da 61 organizzazioni senza scopo di lucro che osserva gli impatti dei trasporti su ambiente e salute. Considerando l’intero ciclo di vita un’auto alimentata a carburanti sintetici prodotti utilizzando il 100% di energia rinnovabile produrrebbe l’82% di emissioni di CO2 in meno di una a benzina tradizionale, rimanendo comunque più impattante di un’auto elettrica a batteria, alimentata al 100% con energia rinnovabile, che ne produrrebbe l’87% in meno. Ma è una tecnologia ancora di là da venire, e sulla quale le tedesche Bosch e Porsche stanno investendo da anni, motivo per cui la Germania spinge e protegge questo ipotetico segmento di mercato. Qualora si arrivasse a una produzione su vasta scala, sono combustibili che andranno bene soprattutto per i mezzi pesanti, come navi ed aerei.

Biocarburanti, l’interesse dell’Eni

Allo stesso modo l’Italia punta sui biocarburanti perché c’è l’interesse dell’Eni. Si ricavano dal processo di fermentazione del mais, colza, olio di palma, canna da zucchero. Oggi il 90% arriva da colture dedicate, che significa consumo di suolo e acqua. Vanno bene anche gli olii esausti della ristorazione, che però andrebbero importati: in Italia ogni anno se ne recuperano 40.000 tonnellate e, anche trasformandole tutte in carburante, stiamo parlando dello 0,25% del consumo annuo nazionale. Bruciando emettono meno CO2, ma non sono neutri perché quella emessa dai processi produttivi e dal motore non si bilancia con quella assorbita dalle piante in fase di crescita.

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