Archive for Aprile, 2023

Lollobrigida non chiede scusa sulla sostituzione etnica: “Sono ignorante, non razzista”

giovedì, Aprile 20th, 2023

Antonio Bravetti

ROMA. Più che il suprematismo bianco, poté l’ignoranza. La versione di Francesco Lollobrigida, il giorno dopo la bufera sulla «sostituzione etnica», è la giustificazione di chi non ha studiato: «Il razzismo non c’entra, io non conosco i testi dei complottisti». Niente scuse, nessuna marcia indietro: «Io le parole che usano i complottisti non le conosco proprio – ribadisce a La Stampa a margine del forum internazionale di Confcommercio – posso dire in maniera diversa quello che ho detto ieri, ma il concetto è lo stesso: la natalità va incentivata». Giorgia Meloni, chiamata dalle opposizioni a sconfessare il ministro-cognato, tace. Nella maggioranza, però, emergono i distinguo e l’imbarazzo. «Parole davvero brutte», dice l’ex ministro leghista Gian Marco Centinaio. «È un modo di dire che non uso e non utilizzerei – osserva Alessandro Cattaneo (Fi) – ma quella stessa espressione l’hanno ripetuta nei comizi più volte e non ci siamo scandalizzati». Ha ragione da vendere: in rete tornano a galla decine di dichiarazioni di esponenti del centrodestra che parlano di «sostituzione etnica». Da Meloni a Salvini, fino al ministro Roberto Calderoli, che nel 2017 denunciava «oltre all’invasione anche la sostituzione etnica».

Ospite di Confcommercio, Lollobrigida torna sulle sue parole di martedì: «Si è fatta una grande confusione in queste ore su questo tema. Io non conosco i testi dei complottisti e penso, a questo punto, che siano molto più appassionati a leggerli a sinistra». Il ministro insiste sulla necessità di combattere «il calo demografico che ci vedrà in pochi anni perdere milioni di abitanti», ma «un’immigrazione che compensi questa perdita, per noi costituisce una soluzione secondaria. Il resto – sottolinea – sono chiacchiere e insulti proferiti da esponenti politici, che non c’entrano nulla con il razzismo, ma solo con la constatazione oggettiva della necessità di invertire il calo demografico».

Ospite di La7, il senatore della Lega Centinaio non condivide: «Il ministro Lollobrigida ha pronunciato parole veramente brutte, ha sbagliato la forma e spesso la forma è sostanza. Ma non considero sbagliato il suo ragionamento sulla necessità di aiutare le coppie italiane a fare più figli». Appena meno netto il capogruppo alla Camera Riccardo Molinari: «Utilizzerei quell’espressione? No, io non l’ho mai utilizzata». Insomma, La Lega critica il ministro? «A me non risulta che ci sia alcuna divisione all’interno della maggioranza – ribatte Lollobrigida – non ho avuto notizia di alcuna presa di distanza da parte del segretario Salvini o di altri esponenti di rilievo delle forze politiche di questa maggioranza. Se così dovesse essere, ne prenderemo atto».

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Debito e crescita, ecco perché è un errore dire no ai prestiti Ue

giovedì, Aprile 20th, 2023

di Federico Fubini

Ci sono realtà che bisogna riconoscere, quando si parla del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Non per gettare la spugna e dirsi che non c’è più niente da fare, ma al contrario per definire i punti di partenza e la strategia. Ecco dunque alcune di queste realtà. Solo nel 2022, tra settore pubblico e settore privato, la Francia ha investito 256 miliardi di euro più dell’Italia e la Germania ne ha investiti 474 in più. In un solo anno i nostri due principali partner e concorrenti hanno dispiegato in ricerca, macchinari, infrastrutture e tecnologie somme pari — rispettivamente — a oltre un Recovery e a oltre due Recovery in più rispetto all’Italia. Si potrebbe pensare che questi scarti riflettano le diverse dimensioni fra le economie nazionali, ma non è così. Non era già più così una quindicina di anni fa, quando il ritardo italiano negli investimenti era di cento o 150 miliardi l’anno (ai valori correnti) sui due grandi Paesi dell’area euro. Ma ora che lo scarto si è allargato a molte centinaia di miliardi l’anno, la sproporzione è ancora più evidente.

La Francia sviluppa un prodotto interno lordo di un terzo maggiore del nostro, ma investe due terzi di più; la Germania ha un Pil pari quasi al doppio del nostro, ma investe parecchio più del doppio rispetto a noi.

Lo Stato francese nel 2022 ha investito il doppio dello Stato italiano, le imprese francesi oltre duecento miliardi in più rispetto alle imprese italiane. Queste sono le grandezze relative a dove stiamo andando, basate sulla banca dati della Commissione europea. Immaginiamo di proiettare un simile ritardo sui prossimi dieci anni e l’arretratezza dell’Italia rispetto alla frontiera europea — non parliamo neanche di Stati Uniti, Cina o Giappone — sarebbe abissale. Avremmo infrastrutture, nuovi immobili, tecnologie, conoscenza, capacità digitale, capacità di produzione energetica, capacità di produzione agricola, automazione industriale per un valore di migliaia di miliardi in meno. È il futuro che vogliamo?

Difficile credere che questa visione animi le voci che in queste settimane si fanno sentire perché il governo rinunci almeno a una parte dei prestiti del Pnrr. Eppure in Italia si è formata una strana coalizione, molto eterogenea, che spinge in quella direzione: l’ala più anti-europea della maggioranza non vede l’ora di veder fallire il progetto di Bruxelles che più contraddice i suoi pregiudizi; ci sono poi osservatori divenuti più scettici su quanto sia possibile fare oggi del Pnrr, preoccupati soprattutto che i prestiti europei non finiscano per far salire il debito senza benefici visibili per l’economia. Questi timori sono legittimi, ma di nuovo vanno confrontati alle grandezze in gioco e ai possibili scenari alternativi. Il punto di partenza è che dei 191,5 miliardi di investimenti del Pnrr, 67 li faremmo comunque perché erano e restano già programmati. Invece si può ipotizzare che, senza Pnrr, rinunceremmo ai restanti progetti per 124,5 miliardi.

La differenza nel costo fra i due scenari salta agli occhi: poiché il Piano europeo è un misto di sussidi e prestiti a scadenza trentennale sui tassi agevolati di Bruxelles, con il Pnrr l’Italia è in grado di sviluppare investimenti per quasi duecento miliardi di euro pagando solo 2,5 miliardi di interessi all’anno. Senza il Pnrr, finanziandoci ai costi del debito trentennale italiano, l’Italia potrebbe sviluppare solo 67 miliardi di investimenti pagando in interessi 2,7 miliardi l’anno. In sostanza, rinunciando ai prestiti, avremmo meno della metà degli investimenti. Eppure pagheremmo di più.

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Pnrr, Fitto: il piano va rimodulato in 3 mesi, ma troppi ministeri fanno resistenza

giovedì, Aprile 20th, 2023

di Marco Galluzzo

Il responsabile degli Affari europei: alcuni programmi saranno spostati al 2029

Pnrr, Fitto: il piano va rimodulato in 3 mesi, ma troppi ministeri fanno resistenza

Alla fine del convegno organizzato da Civita, l’assoziaione di cui Gianni Letta è presidente da ormai dieci anni, l’ex alter ego di Silvio Berlusconi e Raffaele Fitto si appartano sulle terrazze del palazzo delle Generali. La vista è magnifica, e lo sono anche gli apprezzamenti che Letta ha rivolto durante il dibattito al ministro che ha le deleghe per il Pnrr e i Fondi di coesione: «Sono sicuro che ce la farà, ha competenze, coraggio e il passo giusto per portare a termine un compito così impegnativo». Letta e Fitto si conoscono da anni, da quando il giovane ministro pugliese era uno dei pupilli di Berlusconi. Ricordano insieme un caso di fruttuosa cooperazione, al termine dell’ultimo governo del Cavaliere, quando riuscirono a far arrivare 100 milioni di euro da Bruxelles (proprio con i Fondi di coesione) per risollevare le sorti delle rovine di Pompei, che da troppi anni vivevano un degrado che appariva irreversibile.

Oggi è cambiato tutto. O meglio, deve ancora cambiare tutto, e il ministro lo spiega prima dal palco del convegno poi confrontandosi proprio con Gianni Letta. C’è un problema di rimodulazione complessiva del Piano: «Perché non abbiamo da spendere un miliardo di euro, come la Lituania, e perché degli ultimi fondi di coesione siamo riusciti a investirne solo il 34%».

Quanto durerà il lavoro di modifica dei vari progetti del Piano che Fitto sta coordinando insieme alle nuove strutture di governance del Pnrr? È pur vero che Bruxelles vorrebbe tutto entro la fine di aprile, ma è altrettanto vero, come ha detto Giorgia Meloni, che «non abbiamo l’ansia dei primi della classe e che non esiste una regola temporale se non quella di fine agosto», e allora Fitto fa capire che più o meno 90 giorni, «prima della fine dell’estate», sarà il tempo necessario perché l’Italia si presenti di fronte alla Commissione con un Piano rivisto per l’ultima volta, definitivo, senza il rischio di non mettere a terra e collaudare i progetti entro la metà del 2016.

Ma esiste di questo lavoro un risvolto che Fitto condivide solo sottovoce con il suo vecchio sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e sono «le resistenza dei ministeri: non tutti si rendono conto che cambiare alcuni progetti, o dovervi rinunciare, è necessario nell’interesse di tutti, viceversa continuiamo ad essere seduti su un barile che rischia di scoppiare , alla scadenza prevista….».

Insomma il quadro è quello delineato dal palco del convegno e anche dalla presidente del Consiglio negli ultimi giorni. Riassume Fitto: «Stiamo aggregando e concentrando risorse, cosa che non si è mai fatto prima. Siamo penultimi in Europa per capacità di spesa dei fondi di Coesione, ora siamo primi, quelli che ne dovranno spendere più degli altri senza sprecarne nemmeno l’1%. È una sfida e una correzione molto forte».

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L’isola dei famosi, l’isola del nostro sconcerto

giovedì, Aprile 20th, 2023

È un brutto programma, non all’altezza di una rete ammiraglia

di Aldo Grasso / CorriereTv

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Treno merci deragliato a Firenze, oggi: circolazione interrotta, ritardi e treni cancellati in tutta Italia

giovedì, Aprile 20th, 2023

di Paolo Foschi e Alessandro Fulloni

L’incidente nella stazione di Firenze Castello, non ci sono feriti: la situazione dei treni Italo e Frecce in tempo reale

Treno merci deragliato a Firenze, oggi: circolazione interrotta, ritardi e treni cancellati in tutta Italia

La circolazione ferroviaria è interrotta oggi tra Firenze e Bologna a causa del deragliamento di alcuni carri di un treno merci nella stazione di Firenze Castello: lo rende noto in un comunicato Rete ferroviaria italiana (Rfi) precisando che l’incidente ha provocato danni ma nessun ferito.

Interrotte le linee per Bologna
«La circolazione ferroviaria è interrotta tra Firenze e Bologna sia sulla linea ad Alta Velocità, sia su quella storica a causa dello svio di alcuni carri di un treno merci nella stazione di Firenze Castello. Svio che ha provocato danni all’infrastruttura — si legge in una nota — ma nessuna conseguenza a persone». Ancora non sono chiare invece le cause che hanno determinato il deragliamento dei carri del convoglio.

Traffico rallentato su tutta la rete
A causa dello stop sulla tratta Firenze-Bologna, il traffico ferroviario sta intanto accumulando ritardi su tutta la Rete, peraltro alla vigilia di un lungo ponte per il quale sono previsti intensi flussi di viaggiatori.

Bloccati tutti i regionali. Tutte le informazioni
Per adesso, sui siti di prenotazione ferroviaria, la possibilità di fare acquisti è fortemente ridotta. Da Sud, si arriva sino a Firenze. E dalle informazioni che giungono da Trenitalia, qui ci si ferma.Questo perché il deragliamento ha interrotto la circolazione anche sui treni regionali, sempre da Firenze a Bologna. Per il momento, è impossibile fare previsioni sul ripristino della linea. Al minimo, «è questione di ore».

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Dal Patto di Dublino alle regole sull’asilo. Ecco le “norme preistoriche” citate da Mattarella

mercoledì, Aprile 19th, 2023

Fausto Biloslavo

«Le norme preistoriche» dell`Unione europea stigmatizzate dal capo dello Stato, Sergio Mattarella riguardano il sorpassato e vetusto Trattato di Dublino su asilo e prima accoglienza. Però ci sono altri legacci europei fuori tempo, che non fanno parte del pensiero del Presidente, ma sono un chiaro ostacolo, in alcuni casi pure ideologico, al funzionamento della Ue e ad un`efficace politica sull`emergenza migranti.

Mattarella, a Varsavia, ha detto una grande verità dichiarando che «serve una nuova politica di asilo superando vecchie regole che sono ormai preistoria». Il riferimento è all`obsoleto Trattato di Dublino, testo di riferimento per il controllo delle frontiere esterne dell’Ue, che affonda le sue radici addirittura negli anni `80. Solo che allora c`era ancora il muro di Berlino e non certo i problemi di oggi come la destabilizzazione del Nord Africa, la guerra ibrida a colpi di migranti e l`invasione dell`Ucraina. Il Trattato è stato emanato dopo l`omonima convenzione del 1990 con la partecipazione di tutti gli Stati membri tranne la Danimarca, Liechtenstein, Irlanda e Norvegia. In vigore dal 1997, ventisei anni fa, è stato modificato nel 2003 e 2013 senza riuscire a restare al passo con i tempi. E dimostrandosi una fregatura per l`Italia soprattutto sull`asilo e il dogma del paese «di prima accoglienza» che si accolla peso e responsabilità dell`arrivo dei migranti. La solidarietà europea ha sempre fatto fiasco e continuerà così fino a quando non si riuscirà a superare Dublino. Il Patto su migrazione e asilo approvato dalla Commissione europea nel 2020, come linee programmatiche quinquennali, è ancora acqua fresca, ma potrebbe servire a qualcosa se venissero applicate le riforme proposte nel testo. Solitamente vengono ribadite ad ogni vertice Ue e poi rimandate alla prossima volta. Il nuovo patto sull`immigrazione rimane una chimera.

Per questo andrebbero cambiate pure altre «norme preistoriche» come il voto all`unanimità, che pur garantendo l`unità paralizza la Ue o costringe Bruxelles ad arrampicarsi sugli specchi per trovare una via di uscita. L`ultima eccezione riguarda l`Ungheria poco incline a sanzionare a raffica la Russia.
Adesso sta scoppiando il caso dell`emendamento per il 2024 del Partito popolare sulla costruzione dei «muri», che chiamano in maniera gentile recinzioni. Forse non serviranno a molto, ma basta avere paura della propria ombra: i muri con la Bielorussia, quello ungherese con la Serbia e se vogliamo pure il super muro turco pagato indirettamente dalla Ue, a qualcosa sono serviti nell`arginare le ondate di migranti. La paura di finanziarli in ricordo di quello di Berlino è altrettanto «preistorico» come il tabù sui respingimenti possibili dei migranti con la Tunisia. L`Unione europea l`ha già fatto con la missione Hera in Senegal per arginare i flussi via mare verso le isole spagnole.

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Governo, caos Pnrr

mercoledì, Aprile 19th, 2023

ALESSANDRO BARBERA MARCO BRESOLIN

ROMA-BRUXELLES. Grande è la confusione sotto il cielo del Pnrr. L’ultima decisione del governo italiano, che ha comunicato ufficialmente a Bruxelles il suo interesse a ottenere ulteriori prestiti, ha un po’ sorpreso la Commissione europea. Non soltanto perché nelle ultime settimane l’esecutivo aveva segnalato il rischio di non riuscire a spendere in tempo tutte le risorse già assegnate all’Italia, tanto che esponenti della maggioranza avevano persino ventilato l’ipotesi di rinunciare a una parte dei fondi a debito. Ma anche perché la richiesta giunta negli uffici di Palazzo Berlaymont è assolutamente generica e non accompagnata da una cifra precisa. Secondo quanto riferiscono fonti di governo, la scelta di “prenotare” ulteriori risorse sarebbe stata sollecitata dai tecnici per lasciarsi aperta la possibilità di chiedere parte di quei fondi qualora ce ne fosse la necessità. Il problema è che l’esecutivo sembra brancolare nel buio dei “qualora”.

«Il governo ha detto di voler modificare il piano – si sfoga una fonte Ue –, ma siamo nella seconda metà di aprile e oltre a non aver ancora definito i progetti da finanziare sembra non avere ancora chiaro l’ammontare delle risorse che intende utilizzare». Dei dieci Paesi che hanno manifestato il loro interesse a richiedere altri fondi a debito, l’Italia è l’unico che non ha indicato la somma di cui ha bisogno. Per sottolineare la non linearità di questa scelta, a Bruxelles fanno l’esempio della Grecia. Anche il governo di Atene aveva voluto subito l’intero ammontare dei prestiti a sua disposizione, ma ora ha presentato una domanda ben definita: la richiesta è di 5 ulteriori miliardi.

L’atteggiamento del governo viene definito «preoccupante» perché ogni giorno che passa è un giorno di ritardo, visto che le scadenze del Pnrr non possono essere modificate: le risorse per gli investimenti vanno materialmente spese entro il 31 agosto del 2026, ma tutte le sovvenzioni a fondo perduto vanno «impegnate giuridicamente» entro il 31 dicembre di quest’anno, altrimenti c’è il rischio di perderle.

L’impressione è che il governo, dopo aver cercato di scaricare la responsabilità dei ritardi su Draghi, sia entrato in confusione. Raffale Fitto appare solo a gestire il delicatissimo dossier del Pnrr, forse il più importante di tutti per Giorgia Meloni. Da un lato il ministro degli Affari comunitari – ieri in aula alla Camera – ha rassicurato sul rispetto dei tempi per la revisione del piano. Tempi, per inciso, sui quali Commissione europea e governo sono divisi: la prima aveva chiesto una proposta entro il 30 aprile, Fitto ha preso tempo fino ad agosto. Non solo: l’esponente di Fratelli d’Italia ha anche promesso chiarezza rispetto ai programmi «non realizzabili» del piano. Dall’altra c’è la richiesta (non quantificata) di accedere ai fondi rimasti inutilizzati del RePowerEu. Come detto, la scelta sarebbe stata sollecitata dai tecnici, peccato che nella maggioranza c’è chi – come il leghista Claudio Borghi – contesta perfino il pieno utilizzo dei prestiti che l’Italia ha già ottenuto. Anche se il tasso d’interesse resta più conveniente rispetto a quello dei Btp: attualmente la Commissione sta emettendo bond su scadenze medie con un rendimento del 3%, decisamente inferiore a quello dei titoli decennali italiani (che sono attorno al 4,3%).

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Quei soliti metodi per le poltrone di stato

mercoledì, Aprile 19th, 2023

Montesquieu

Da un paio di lustri, più o meno dopo il governo di Mario Monti, la nostra politica (con l’eccezione della fiammata autocombustiva del governo Renzi), sforna legislature capaci al più di una sterile e penosa sopravvivenza. Un rischio serio, soprattutto se replicato, per un sistema democratico. Se noi continuiamo a essere una quasi tranquilla democrazia, lo dobbiamo al pronto soccorso istituzionale del nostro Capo dello Stato, intuizione geniale dei mai abbastanza ringraziati costituenti, in tempi in cui si sbriciolano le barriere tra democrazie e autocrazie, col compiacente stadio solo all’apparenza intermedio delle cosiddette democrature. A lui, al Capo dello Stato, la Costituzione affida la formazione del governo o, se impossibile, la decisione di sciogliere le Camere. Il compito degli elettori, nel nostro ordinamento, si esaurisce con l’elezione dei propri rappresentanti nelle due Camere. Così, il sistema è in sicurezza, comunque tenuto in vita con una sorta di coma farmacologico che attenua la debolezza dell’offerta politica, e tutela la funzionalità, a basso regime, dei fondamentali organi costituzionali. In attesa che la politica si riconcili con la propria fondamentale funzione.

Così fino allo scorso 25 settembre, una data che rappresenta, per molti, una sorta di natale di una nuova politica: una donna al comando del Paese. Non una “quota rosa”, scelta dagli uomini della politica nell’apposito, raffinato catalogo, destinato a perpetrare il potere maschile; bensì la forza di una donna che conquista prima un partito, il suo, il meno sensibile alle istanze della parità di genere. E poi attraverso il voto, la guida del governo del Paese. Gli uomini non mancano, in quello schieramento, e nemmeno le loro ambizioni, subito rimesse nel fodero dietro un sorriso tirato. Una rivoluzione , attesa da più di settant’anni, per chi è certo che tutto ora cambierà per il meglio; una novità, seguita con curiosità e buona disposizione da chi non ha prevenzioni o preferenze di genere, ma giudica intollerabile lo squilibrio di rappresentanza. Ma reputa il giudizio più attendibile del pregiudizio. Inseguita la novità, immediatamente, per la forza dell’emulazione, da un segnale di tendenza verso la stessa direzione nel versante opposto della nostra politica: la conquista da parte di una candidata (tutt’altro una “quota rosa”, anche questa ) della segreteria del principale partito avversario, il Partito democratico. Una spinta verso una sfida per il governo completamente al femminile.

Ce ne sarà, da osservare e commentare, a cominciare da ora. I primi passi del governo Meloni consegnano elementi insufficienti, al di là delle ideologie, per formulare previsioni d’insieme. Se non si considera tale la conferma di una raffinata, e oramai rara in entrambi i generi, capacità politica del presidente del Consiglio, e di un promettente avviamento di temibili relazioni sovranazionali e internazionali. Difficile da giudicare il primo atto del presidente del Consiglio in quello che è da sempre il punto debole dei nostri governi, la formazione della immensa (assai più del dovuto) dirigenza del Paese attraverso la politica delle nomine di spettanza governativa e politica in generale.

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Cospito, la Corte Costituzionale gli dà ragione: sconto di pena per evitare l’ergastolo

mercoledì, Aprile 19th, 2023

GIUSEPPE SALVAGGIULO

La Corte Costituzionale segna un punto a favore di Alfredo Cospito, l’anarchico detenuto al 41 bis e in sciopero della fame da sei mesi: potrà evitare l’ergastolo e ottenere uno sconto di pena. La Corte ha esaminato la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d’assise d’appello di Torino che deve giudicarlo per l’attentato alla Scuola allievi carabinieri di Fossano del 2006, compiuto con la compagna Anna Beniamino. Avevano piazzato due ordigni ad alto potenziale con 500 grammi di polvere pirica ciascuno dentro i cassonetti dei rifiuti nei pressi di uno degli ingressi. Esplosione di notte, a mezz’ora di distanza, «per massimizzare gli effetti letali dell’esplosione». L’attentato era stato rivendicato.

La Cassazione ha qualificato il reato come strage politica «al fine di attentare alla sicurezza dello Stato mediante l’uccisione di un numero indeterminato di carabinieri». Chiamati a definire la pena, i giudici torinesi si sono trovati davanti alla strettoia dell’articolo 69 quarto comma del codice penale. La norma non consente di concedere le attenuanti per la lieve entità del fatto (non ci furono morti né feriti) a chi, come Cospito, è recidivo: è già stato condannato definitivamente per l’attentato a Roberto Adinolfi, manager di Ansaldo Nucleare gambizzato nel 2012.

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Tito Boeri: “Governo schizofrenico sui migranti, se crescono aumenta il lavoro femminile”

mercoledì, Aprile 19th, 2023

Luca Monticelli

«Il contributo dell’immigrazione è fondamentale per tenere in equilibrio il bilancio dello Stato. Il governo lo sa, ma quando deve fare delle scelte agisce in senso opposto». Tito Boeri, economista, ex presidente dell’Inps e docente dell’Università Bocconi, definisce «schizofrenico» l’atteggiamento dell’esecutivo di Giorgia Meloni.

Perché nel Def si riconosce che con più stranieri residenti in Italia il debito calerebbe e poi si cancella la protezione speciale?
«Per anni i partiti che oggi sono al governo hanno predicato l’odio nei confronti degli immigrati, lanciando ogni possibile accusa. Adesso che per questioni di bilancio dovrebbero favorire un atteggiamento più attento, come dimostra la prudenza del ministro Giorgetti, i politici di destra si trovano in difficoltà rispetto al loro elettorato e sono costretti a scelte suicide come quella sulla protezione speciale».

Invece cosa dovrebbero fare?
«Dovrebbero tener conto delle esigenze delle imprese, e quindi fare decreti flussi più importanti, superando il livello degli 80 mila ingressi perché c’è bisogno di manodopera in moltissimi comparti, dal turismo al commercio fino alla ristorazione e all’agricoltura. E poi le famiglie hanno un drammatico bisogno di lavoratori che si occupino delle persone non autosufficienti».

La premier Meloni sostiene che il governo punta a risolvere i problemi di sostenibilità delle pensioni non con i migranti ma incentivando il lavoro femminile e la natalità.
«È un errore clamoroso, le cose vanno di pari passo. Perché le donne oggi possano lavorare è necessario potenziare il numero degli assistenti domiciliari. Più immigrati vuol dire più badanti e più donne che lavorano perché sgravate dai compiti di cura. E lo stesso vale per la natalità».

Perché non si fanno figli?
«Per le donne fare i figli e fare carriera è impossibile, non hanno gli aiuti di cui hanno bisogno, perciò rimandano e alla fine fanno solo un figlio».

Ha visto la bozza del nuovo reddito di cittadinanza?
«Sta venendo fuori una misura di una complessità estrema, che toglie l’unico strumento universale che avevamo di contrasto alla povertà. Si introduce una serie di condizioni di appartenenza a categorie prive di significato: l’idea che siano occupabili solo le persone che non hanno figli minori e non hanno disabili in famiglia non ha ragione d’essere».

Perché?
«Sono proprio le persone con minori e disabili in famiglia che hanno bisogno di lavorare per guadagnare. È davvero una visione contorta, ispirata dal desiderio di fare cassa. D’altra parte si è deciso nella legge di bilancio che si doveva risparmiare almeno un miliardo e allora sta studiando tutti i modi per raggiungere quell’obiettivo. Invece, il governo si dovrebbe preoccupare di rendere il reddito di cittadinanza più efficace per contrastare la povertà che è aumentata».

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