Archive for Aprile, 2023

Il ministro Salvini in lotta col politico Matteo. Per sfuggire al patto tra Berlusconi e Meloni

martedì, Aprile 4th, 2023

di Carlo Tecce

Il ministro Matteo Salvini è seriamente intenzionato a stanare il suo principale avversario, un tipo frenetico, a volte superficiale, spesso istintivo: il politico Matteo Salvini. Non vi fate scoraggiare. Non passate avanti. Non date per scontata la resa. Può capitare una ricaduta. Una buca che faccia vacillare il ministro e lo renda di nuovo goffo, a tratti antipatico, un porto chiuso. Però i deputati e i senatori leghisti ne apprezzano l’impegno, la dedizione, il sacrificio a rivedere sé stesso. Essere Salvini è complicato, essere un altro Salvini lo è ancora di più. Varie fonti di partito concordano: «Se non fa mattate, in questa fase la sua carriera si allunga. Altrimenti…». Già: altrimenti, è finita.

Se è in gioco la sopravvivenza, allora subentra lo spirito di sopravvivenza. Le campagne elettorali in piazza o in tv gli sono congeniali, lì sbraita, arringa, addita. In Friuli Venezia Giulia, accanto al governatore Massimiliano Fedriga, era a suo agio nonostante la febbre. Questa attitudine, nel giro di un anno e mezzo, l’ha portato a procreare, poi a sostenere, infine a distruggere il governo di Mario Draghi, suscitando una severa reazione degli elettori alle urne. Elettori che, nel perpetuo confronto con Giorgia Meloni, hanno saputo riconoscere chi stava sinceramente all’opposizione e chi stava all’opposizione seduto (sdraiato) in maggioranza.

La prima accortezza, a rileggere l’ultimo semestre, è stata la scelta del ministero. Non il ritorno all’Interno per bloccare sbarchi di migranti che non si possono bloccare, insistere su un tema che non nutre più il consenso e che gli ha lasciato conseguenze giudiziarie (e comunque quel territorio lo presidia con Matteo Piantedosi), ma al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per mostrare agli elettori qualcosa di concreto. Che è capace di fare. Siccome l’esorbitanza è un suo difetto di fabbrica, spesso esagera. E il Ponte sullo Stretto e la cabina di regia per le Olimpiadi e il codice degli appalti e le automobili a combustione e il commissario alla siccità.

L’ingresso al ministero dei Trasporti, che fra i ministeri è il più sfuggente e forse il più impenetrabile, ha garantito a Salvini una protezione istituzionale anche attraverso il capo di gabinetto Alfredo Storto e il capo del legislativo Elena Griglio. Consulenti a dir poco pittoreschi come Antonio Capuano, di questi tempi, non hanno più facile accesso a Salvini. E il merito va condiviso fra la sua parte pubblica, cioè la citata protezione istituzionale, e parimenti la sua parte privata, cioè la fidanzata Francesca Verdini.

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I morti sul lavoro sono un’emergenza, ma Piantedosi schiera gli ispettori nelle stazioni

martedì, Aprile 4th, 2023

di Gloria Riva

Nel 2022 le morti bianche sono state 790. I dipendenti dell’Inl, sono 5mila, che dovrebbero vigilare sul fenomeno. Ma per il ministro la priorità è ridurre la criminalità

Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, è pronto a tutto pur di sconfiggere la criminalità che si annida nei pressi delle maggiori stazioni ferroviarie, Roma, Milano e Napoli, anche ad arruolare gli Ispettori Nazionali del Lavoro. Proprio coloro che dovrebbero occuparsi del crescente fenomeno delle stragi sul lavoro e dello sfruttamento della forza lavoro, del contrasto al lavoro precario, che invece rischiano di essere distratti dai controlli intorno alle stazioni ferroviarie.

Per carità, il fine è legittimo, soprattutto se si considera che a gennaio, proprio di fronte alla Stazione Termini, nel cuore della Capitale, un 36enne è stato accoltellato al torace, mentre a Milano, non meno di due settimane fa, sei persone sono finite in ospedale dopo essere state accoltellate in viale Brianza, proprio accanto alla stazione Centrale di Milano, da presunti borseggiatori che li hanno feriti con dei taglierini. Mentre alla stazione di Napoli è stato un rider a finire accoltellato. Tuttavia, va anche ricordato che nel 2022 i morti sul lavoro sono stati 790, più altri 300 in itinere, in aumento del 21 per cento rispetto all’anno precedente. Una vera e propria strage che, a quanto pare, non è così allarmante come la sicurezza che si percepisce attorno alle stazioni ferroviarie.

Il ministro Piantedosi lo scorso 20 marzo ha inviato una comunicazione ai Prefetti per illustrare i “Piani di controllo per la sicurezza delle aree urbane adiacenti alle stazioni ferroviarie”, prospettando di estendere i servizi di vigilanza alle zone a più alto rischio di fenomeni di illegalità. Scrive il ministro: «Nell’ottica di assicurare una immediata visibilità al progetto, funzionale ad accrescere la percezione di sicurezza della cittadinanza, il relativo piano d’azione ha innanzitutto previsto la realizzazione di servizi straordinari di controllo del territorio, cosiddetti “ad alto impatto”, con impegno di personale della Polizia locale, della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza».

Sempre il ministro Piantedosi continua nell’ordinanza alle Prefetture dicendo che «Tale modulo di intervento ha dapprima riguardato le tre principali stazioni ferroviarie di Roma, Milano e Napoli, per essere successivamente esteso ad altri ambiti, interessati dal fenomeno della “malamovida” e dallo spaccio di sostanze stupefacenti».

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Enav, la prima nomina: così parte la giostra delle poltrone

martedì, Aprile 4th, 2023

Francesco Spini

MILANO.  Le nomine decollano come aerei: scatta dall’Enav, l’ex Ente nazionale per l’assistenza al volo, un nuovo giro di seggiole governative nelle partecipate pubbliche. Il prescelto dal Tesoro è Pasqualino Monti. Il nuovo ad, che sostituisce Paolo Simioni, è l’attuale presidente dell’Autorità di sistema portuale del Mare di Sicilia occidentale: classe 1974, una laurea in scienze statistiche ed economiche alla Sapienza in passato ha guidato, come presidente e commissario, anche l’Autorità portuale di Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta. Il suo nome è stato portato sui tavoli di governo da Fratelli d’Italia. Di più: a quanto si racconta sarebbe stato caldeggiato in particolare dal ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, “cognato di”, nonché da Andrea Giambruno, giornalista Mediaset e “compagno di”.

Insomma, il timbro sarebbe quello della family di Giorgia Meloni che ha vinto il braccio di ferro con la Lega che avrebbe preferito Roberta Neri, la manager che nel 2016 aveva accompagnato Enav in Borsa. Alla presidenza è stata invece indicata Alessandra Bruni, avvocata dello Stato e docente alla Sapienza. Gli altri consiglieri designati sono Franca Brusco, Stefano Arcifa, Carla Alessi e Giorgio Toschi.

Questo dunque l’esito della prima vera poltrona governativa, dopo la riconferma al Monte dei Paschi di Siena dell’ad Luigi Lovaglio, affiancato da un nuovo presidente, Nicola Maione. La partita entra ora nel vivo per la “prima categoria” delle partecipate quotate che annovera nomi (e capitalizzazioni) del calibro di Enel, Eni, Leonardo e Poste Italiane. A Roma e non solo tutti si chiedono se e come inciderà, nel Cencelli di centrodestra, il successo di Massimiliano Fedriga in Friuli che, almeno localmente, rispetto alle politiche ha ridato fiato alla Lega a scapito di Fratelli d’Italia. Il tempo delle decisioni si avvicina, si punta a chiudere entro giovedì 13 aprile. «Presumo che ci saranno anche delle conferme», ha detto da Verona la premier Meloni. «Si lavora guardando al merito e guardando chiaramente alla strategicità delle aziende, particolarmente in questo tempo, tenendo in considerazione il tema della spesa del Pnrr per quello che riguarda le energetiche, e anche il lavoro che l’Italia fa per cercare di diventare una sorta di hub di approvvigionamento». Scontata la riconferma di Claudio Descalzi alla guida di Eni. Possibile (ma con ragionamenti in corso) anche quella di Matteo Del Fante alle Poste.

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Alan Friedman: Trump sogna di sfruttare il processo a New York, così lancerà la corsa alle presidenziali 2024

martedì, Aprile 4th, 2023

Alan Friedman

Donald Trump ha detto una volta di “poter stare in mezzo alla Fifth Avenue e sparare a qualcuno” senza perdere nemmeno un voto. E se invece Trump fosse incriminato per varie accuse penali e fosse costretto ad affrontare due o tre importanti cause legali? A causa di ciò, perderebbe voti o li guadagnerebbe?

Questa è la domanda alla quale presto negli Stati Uniti si troverà una risposta. Vedremo se Trump riuscirà a trasformare le sue traversie giudiziarie in combustibile per la sua incendiaria campagna politica, e se riuscirà a passare per la vittima di una presunta caccia alle streghe agli occhi di un numero sufficiente di elettori per garantirsi la nomination repubblicana per la Casa Bianca nel 2024. È possibile.

Per Trump, la strategia vincente è questa: recitare la parte della vittima. Martedì pomeriggio, l’ex presidente quasi 77enne sarà accompagnato sotto scorta in un complesso scarsamente illuminato e piuttosto sudicio in Downtown Manhattan. Trump metterà piede nell’edificio della Corte Penale di Manhattan al numero 100 di Center Street e lì sarà ufficialmente arrestato. Gli verrà detto che ha il diritto di non parlare, che avrà diritto a essere assistito da un avvocato e così via. Poi gli scatteranno le foto segnaletiche, frontalmente e di profilo, e infine gli prenderanno le impronte digitali, proprio come nei film. Alle 14.15 Trump sarà accompagnato in un’aula di tribunale al quindicesimo piano di quello stesso edificio: lì un giudice gli leggerà gli oltre trenta capi d’accusa relativi ai suoi presunti reati. Gli chiederanno se si dichiara colpevole o non colpevole. Poi il giudice potrebbe fissare la data della prossima udienza. Infine, sarà lasciato andare.

Quando uscirà dall’edificio, Trump si presenterà ai suoi seguaci di tutta l’America come un martire, e raccoglierà milioni di dollari online sfruttando la presunta “caccia alle streghe” contro di lui come un nuovo motto di mobilitazione. Quando uscirà dall’aula, l’America dovrà assistere a un ex presidente messo due volte sotto accusa per impeachment e poi incriminato che trasforma l’atto d’accusa in un suo vantaggio politico, quanto meno sul breve periodo, e probabilmente ciò lo porterà alla guida della corsa per la nomination repubblicana nelle presidenziali del 2024. Perfino Ron DeSantis e Mike Pence, i suoi potenti avversari nelle primarie dei repubblicani, sono corsi in sua difesa. Il partito repubblicano, va ricordato, ormai è un guscio vuoto, l’ombra di sé stesso. È stato epurato da Trump dei più moderati a eccezione di Mitch Romney e di qualche altro senatore. Un tempo era il partito di Abraham Lincoln, sosteneva valori conservatori e di centrodestra, era il partito di Reagan e Bush, mentre oggi il partito repubblicano è la setta dei sostenitori di Trump, e i suoi rappresentanti al Congresso perlopiù sono spesso teorici della cospirazione di Q Anon, antisemiti e razzisti, ciarlatani anti-LGBT, ed estremisti senza cultura o un senso degli istituzioni. La base di Trump è ancora viva e vegeta e crede ancora alle sue menzogne, alle piccole come alle grandi. Decine di milioni di repubblicani ancora oggi credono alla balla di Trump secondo cui le elezioni del 2020 sono state ‘rubate’ da Biden. Un terzo dei repubblicani registrati al voto ancora oggi crede che la violenza sia ammissibile per “salvare gli Stati Uniti” e perseguire i loro scopi politici.

È in questo clima che arriva la prima incriminazione di Trump. La causa di New York, tuttavia, da un punto di vista strettamente legale quasi sicuramente sarà l’ultima delle preoccupazioni per l’ex presidente. Seguiranno infatti altre incriminazioni penali ad Atlanta e a Washington DC che presumibilmente saranno relative a reati ben più gravi che commettere una frode per pagare 130mila dollari a una pornostar. Ad Atlanta, Trump potrebbe dover rispondere dell’accusa di cospirazione e di associazione a delinquere, come pure di accuse per aver cercato di interferire con il risultato elettorale. A Washington, invece, Trump potrebbe una buona volta essere incriminato per il ruolo avuto nell’istigazione dell’insurrezione violenta del 6 gennaio 2021. Ogni volta che l’ex presidente è accusato di qualcosa, evocherà sempre la falsa narrazione di una “caccia alle streghe” che si presume sferrata contro i lui. Le fabbriche di troll del Cremlino probabilmente dovranno fare gli straordinari per aiutare Trump e polarizzare così sempre di più l’America tramite i social media.

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La lunga mano del Fsb e la troppo facile colpevole Daria Trepova. Da Navalny al video della donna, tutti i buchi neri della bomba nel “caffè Prigozhin”

martedì, Aprile 4th, 2023

Jacopo Iacoboni

Nel video che inchioderebbe Daria Trepova come responsabile della bomba al «cafè Prigozhin» di Pietroburgo non tutto torna. La prima cosa palese è che la ragazza appare sotto costrizione. Sembra quasi leggere. La seconda è che un video del genere non potrebbe essere registrato senza un avvocato (e Trepova non ha visto avvocato). La terza è che nel video la giovane ha i capelli corti, mentre nelle immagini diffuse del caffè li ha notevolmente più lunghi. Naturalmente possono averglieli tagliati nella mattinata in cui è stata detenuta. Buon taglio.

C’è però un’altra ragione che suona del tutto implausibile. La conversazione del video avviene così: «Capisci perché sei stata arrestata?». «Capisco». «Per quello?». «Per… direi per esser stata sulla scena dell’omicidio di Vladen Tatarsky». «Cos’hai fatto?». «Ho portato lì una statuetta, che è esplosa». Ma qui interviene un twist molto strano: «Chi te l’ha data?». Daria risponde: «Posso dirvelo più tardi?». Proprio come se fosse una sceneggiatura. La sceneggiatura del Fsb, che si riserva di indicare altri colpevoli e complici.

Tutto questo stride con l’enorme rapidità con cui questa presunta attivista no war è stata offerta in pasto a tutti i media russi, con le sue foto, i suoi profili social, il suo marito. Secondo il canale «Shot», la prima cosa che la ragazza ha detto mentre l’arrestavano è stata appunto gridare: «Sono stata incastrata! Mi stavano solo usando!».

Come ha scritto Rbc, è assai seriamente presa in considerazione dagli ambienti giornalistici indipendenti russi la pista che qualcuno potrebbe aver usato la ragazza, e lei potrebbe non sapere dell’ordigno esplosivo. Cosa che sostiene il marito di Daria, Dmitry Rylov, che è in esilio.

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Un devastante scontro fra due treni in Olanda, un morto e decine di feriti

martedì, Aprile 4th, 2023

Una persona deceduta e decine di feriti (una trentina, di cui molti in gravi condizioni) in un incidente ferroviario avvenuto nel cuore della notte in Olanda. Un treno passeggeri ad alta velocità si è schiantato contro delle attrezzature edili pesanti ed è deragliato vicino a L’Aja. L’incidente e’ avvenuto intorno alle 3, 30 (1,30 in Italia) vicino al villaggio di Voorschoten, a circa 8 chilometri a nord dell’Aja. Il treno a due piani proveniva da Amsterdam e trasportava circa 60 persone. Secondo le prime informazioni, ci sarebbe stato uno scontro tra un convoglio passeggeri e un treno merci. 

Immagini diffuse sul web hanno mostrato una carrozza anteriore su un campo, un’altra ribaltata su un fianco, una terza sospesa su un piccolo fossato pieno d’acqua. Una carrozza ha anche preso fuoco.

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La destra di governo e il dilemma delle nomine

martedì, Aprile 4th, 2023

di Ernesto Galli della Loggia

La maggioranza deve decidere se vuole rappresentare solo il potere oppure essere un autentico motore di cambiamento. E i cambiamenti cominciano dalle idee

È quando la destra di governo si accinge al cruciale compito delle nomine che emerge una delle sue più gravi debolezze: non aver visto un numero sufficiente di puntate di Downton Abbey, privandosi così della possibilità di approfondire la differenza che passa tra un maggiordomo e un cameriere.

Una differenza decisiva. Come infatti sa ogni spettatore della fiction inglese, il signor Carson, il maggiordomo al servizio della nobile famiglia Crawley, è chiamato, sì,a sovrintendere al buon andamento quotidiano di tutte le faccende domestiche, ma in realtà egli ha di mira sempre e solo una cosa innanzi tutto: tenere alto il prestigio della casata e dei suoi padroni. Questa è la sua vera funzione: badare in ogni circostanza che il loro nome non venga offuscato dalla minima ombra, prevenire l’eventualità che un qualunque disguido, un qualunque incidente o malaccortezza leda l’immagine e la fama della casata. E in tal modo accrescerne il prestigio.

Il signor Carson non è un dipendente incaricato di un servizio, insomma. È il custode di un rango (cioè di una tradizione, di uno stile, di un’idea). Compiere i vari servizi, obbedire e servire è invece cosa dei camerieri. Degnissime persone, intendiamoci. C’è una nobiltà nel servire, ha scritto Thomas Mann, che solo i poveri di spirito non riescono a comprendere: ma per l’appunto il compito di chi serve è quello di eseguire quanto altri ha deciso, non di prendere iniziative e di rappresentare un’idea.

Ora, quando chi governa deve procedere a nominare qualcuno per un incarico pubblico si trova per l’appunto di fronte a questa scelta: designare un maggiordomo o un cameriere? Cioè da un lato una persona che in maniera indipendente e creativa si cali nel suo ruolo, che si faccia carico dei valori e della prospettiva politica generale di chi lo nomina mettendo le proprie competenze al servizio di quei valori e di quella politica perché crede in essi, pur se comunque è deciso a mantenere una propria autonoma sfera di giudizio e soprattutto di decisione. Dall’altro lato, invece, una persona forse anche capace ma soprattutto disposta a seguire le indicazioni di chi lo ha nominato: quindi un puro esecutore, una persona dalle convinzioni presumibilmente non fermissime e in ogni caso pronta a rinunciarvi.

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Fedriga: «Fratelli d’Italia? I risultati delle elezioni ci consentono di aver un maggiore equilibro»

martedì, Aprile 4th, 2023

di Cesare Zapperi

Il presidente rieletto: «Non pensavo di andare così bene». «Fratelli d’Italia? I risultati delle elezioni ci consentono di aver un maggiore equilibro»

Fedriga: «Fratelli d’Italia? I risultati delle elezioni ci consentono di aver un maggiore equilibro»

Trieste Presidente Massimiliano Fedriga, con il suo 64,2% (risultato mai raggiunto da un candidato governatore in Friuli-Venezia Giulia) lei si candida ad emulare il suo collega veneto. Dopo lo Zaiastan, avremo il Fedrighistan?
«No, non scherziamo. Qui c’è solo una Regione che è stata ben governata. Sono contento per questo risultato che, per le sue dimensioni, mi carica di ancora maggiori responsabilità».

Lei ha detto che non si aspettava questo risultato. Ma la sua vittoria era scontata.
«Vero, ma non con questi numeri. Avevo percepito il clima positivo, ma non pensavo di andare oltre il 56-57%».

A cosa si deve un risultato così alto?
«È stato riconosciuto l’impegno di 5 anni di lavoro».

Ma in particolare?
«Probabilmente, la serietà di governo. Lo stile di chi bada alla sostanza dei problemi, che non fa dichiarazioni roboanti».

Le ha giovato essere stato in prima linea a gestire l’emergenza Covid?
«Penso che i cittadini abbiano percepito le difficoltà che abbiamo dovuto affrontare ma anche la serietà con cui le abbiamo gestite. Io ho sempre detto che quando dovevo prendere una decisione non guardavo se mi avrebbe fatto guadagnare o perdere voti. I cittadini lo hanno capito».

Eppure, proprio a Trieste ci sono state le manifestazioni più rumorose dei No vax.
«Mah, un conto è la protesta, magari fatta da molta gente arrivata da fuori, altro è affrontare e risolvere i problemi. Qui serve responsabilità, noi l’abbiamo dimostrata».

Lei ha cercato di «giustificare» il poco brillante risultato di FdI. Però i numeri parlano chiaro: rispetto alle Politiche il calo è netto.
«Credo che non sia corretto mettere a confronto consultazioni di tipo diverso. Qui il raffronto va fatto rispetto alle Regionali del 2018. Il salto in avanti di FdI è netto».

La Lega, invece, rispetto al 2018 ha perso molti consensi ma ne guadagna nel confronto con le Politiche del settembre scorso.
«E io ne sono molto contento. Il risultato è andato ben al di sopra delle aspettative, come del resto è successo alla lista che portava il mio nome».

A cosa si deve il successo della sua lista?
«Abbiamo centrato l’obiettivo di conquistare quegli elettori che apprezzano il nostro lavoro ma non si riconoscono nei partiti. In questo modo siamo riusciti ad allargare la base del nostro consenso, peraltro senza penalizzare nessuno dei nostri partner».

La Lega va meglio perché si è «fedrighizzata», cioè è diventata pragmatica e meno piazzaiola?
«Anzitutto, la proposta di governo dei territori, come si è visto anche in Lombardia e Lazio, è stata apprezzata dagli elettori. E poi l’apporto di Salvini come ministro delle Infrastrutture è stato premiante. A Roma Matteo sta lavorando molto bene».

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Lo scontro tra Meloni e la Lega sul Pnrr, punto per punto

martedì, Aprile 4th, 2023

di Gianluca Mercuri

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza continua a essere al centro del dibattito politico. Beninteso: non è l’accartocciamento della classe dirigente in una questione autoreferenziale, ma un confronto necessario e vitale su una questione da cui dipende il futuro del Paese, la sua stabilità, la vita di migliaia di giovani nei prossimi anni: se decideranno di restare o andarsene, molto dipenderà da come sarà attuato il Pnrr.

Per questo, dare conto ogni giorno della discussione in corso sarà inevitabile, in particolare nel prossimo mese. Perché è in questo aprile che il governo deve capire cosa fare, e comunicarlo una volta per tutte alla Commissione europea, sperando nel suo ok.

L’obiettivo, fino a ieri, era scontato: fare di tutto per non perdere nemmeno un euro dei fondi che il Next Generation EU — si chiama così, il piano europeo, proprio perché è pensato per i giovani — ha destinato all’Italia, massima beneficiaria della più importante risposta solidale data dall’Europa comunitaria nella sua storia.

Senonché, ieri il secondo partito più importante della maggioranza di Giorgia Meloni ha cambiato il quadro. Il capogruppo alla Camera della Lega, Riccardo Molinari, ha detto che «forse sarebbe il caso di valutare se rinunciare a una parte dei fondi a debito». Il fatto che la premier abbia subito detto che non se ne parla è rassicurante per la rotta del governo e del Paese, ma non cancella gli interrogativi sulla coesione della maggioranza.

Lo stop di Meloni alla Lega, punto per punto:

• Cosa ha detto esattamente Molinari? Questo (al sito Affariitaliani): «Forse sarebbe il caso di valutare se rinunciare a una parte dei fondi a debito. Ha senso indebitarsi con l’Ue per fare cose che non servono? Giusto quindi ridiscutere il piano in Europa. O si cambia la destinazione dei fondi o spenderli per spenderli, a caso, non ha senso». Molinari ha poi fatto riferimento al ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto e al suo «corretto invito a fare un ragionamento serio sui progetti». Poi ha concluso: «Il problema sono i vincoli di spesa. Occorre chiedersi se serva impiegare tanti fondi su certe partite».

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È già cominciato lo scaricabarile

lunedì, Aprile 3rd, 2023

Alessandro De Angelis

Partiamo dal Pnrr, e l’elenco delle scuse è già piuttosto consistente. L’ultima, di Giovanbattista Fazzolari, detto “l’ideologo”, è che la colpa dei ritardi è del Conte 2, perché il piano «è stato fatto frettolosamente». La penultima, di Giancarlo Giorgetti è che invece vanno addebitati alla pubblica amministrazione, grande classico per tutte le stagioni. Per Matteo Salvini, prima ancora, la causa è l’inflazione, sebbene fosse già alta quando, con Draghi, il cronoprogramma era rispettato. E nessuno, appena insediatosi, lanciò l’allarme. Nemmeno Raffaele Fitto, che adesso chiama in causa l’eredità di Draghi, pur essendo stata smantellata la governance di quella stagione, a vantaggio di una “struttura di missione” che fa capo al suo ministero dove confluiranno, oltre agli attuali, anche un’altra cinquantina di tecnici. Peccato: il decreto per vararla non è ancora stato convertito dal Parlamento. E speriamo che i nuovi responsabili non abbiano bisogno di un periodo di apprendistato per capire dove mettere le mani. Poi però Giorgia Meloni ha chiamato il suo predecessore, lasciando intendere che il problema non è l’eredità, ma la solita Europa, nonostante Gentiloni sulla rinegoziazione degli obiettivi stia dando una mano, oltre il possibile, al governo italiano. Intanto, di rinvio in rinvio, non si risolve ancora nemmeno la questione dei balneari e della concorrenza. E qui è complicato pure accampare pretesti.

E se cambiamo argomento, passando all’immigrazione, seconda grande emergenza sul tavolo, il metodo è lo stesso. L’ultima, di Matteo Piantedosi, è che la colpa è dell’«opinione pubblica» italiana, troppo favorevole ai migranti. E, almeno in termini di decenza, è un po’ meglio della prima, quando lo stesso ministro aveva dato la colpa ai morti per essere morti, in quando «la disperazione non giustifica le partenze». In mezzo c’è stato l’allarme sui 900 mila arrivi dalla Tunisia, cifra che non si capisce da dove esca. Poi la Wagner data in pasto all’opinione pubblica al posto di Soros. Prima ancora gli scafisti, contro cui fu annunciata una caccia per tutto l’orbe terraqueo con il codice penale inasprito in mano. Incredibile: non si sono spaventati. In totale assenza di una politica sul tema, in Italia e in Europa, la previsione è facile, annunciata dal carteggio dei prefetti che scrivono ai sindaci che a loro volta scrivono al governo: uno scenario tipo 2016, quando, con numeri ingestibili, i primi cittadini rifiutavano l’accoglienza, anche quelli del medesimo colore del governo, e la situazione andò tecnicamente fuori controllo.

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