Archive for Aprile, 2023

Perché l’Italia ha bisogno di una destra “normale”

domenica, Aprile 23rd, 2023

MASSIMO GIANNINI

D’accordo, c’era da aspettarselo. Come ha scritto Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera della scorsa settimana, era inevitabile che nell’Italia governata dal partito della Fiamma post-missina cominciasse a spirare un’aria da “passato che non passa”. E tanto più era da mettere in conto che proprio in questo tempo nuovo della politica italiana la Festa del 25 aprile si caricasse più che mai di sentimenti e risentimenti, fino a diventare in ogni senso una “pietra d’inciampo” per molti epigoni di quel passato. È così da decenni, figuriamoci adesso. Ma quello che non doveva succedere è che, a non stemperare o addirittura ad alimentare questo clima di tensioni e distorsioni, fossero le alte cariche dello Stato e del governo.

Giorgia Meloni non parla del giorno della Liberazione dal fascismo. Non ne ha mai parlato fino ad oggi, da presidente del Consiglio. Dopodomani sarà all’Altare della Patria con Sergio Mattarella. Aspettiamo il suo comunicato ufficiale, per capire se anche stavolta se la caverà evitando di pronunciare la parola “fascismo” (come è riuscita a fare a proposito della Shoah o delle leggi razziali del ’38), oppure dicendo che nel Ventennio lei non era nata e che dunque anche il 25 aprile del ‘45 va consegnato ai libri di Storia. Ma non ci vogliamo credere. Tacere, omettere o rimuovere le sarà assai difficile, stavolta. Ma finora l’ha fatto, con i suoi impudenti e “ignoranti” Fratelli d’Italia. La premier ha taciuto sull’intemerata del cognato Francesco Lollobrigida, occupandosi della “sostituzione etnica” solo per emettere la sua fatwa contro la vignetta satanica di un giornale, ma senza dire una parola sulla natura xenofoba e razzista della formula usata dal suo ministro.

E in fondo perché avrebbe dovuto correggerlo, se quella folle “teoria” è al centro delle “tesi di Trieste” lanciate in campagna elettorale da FdI e della propaganda contro i migranti che lei stessa e l’intera destra sovranista propugnano da anni, insieme ai complottisti antisemiti dell’Est-Europa e agli sciamani trumpisti di Qanon?

Soprattutto, la Sorella d’Italia ha taciuto sulle manipolazioni e sulle provocazioni di Ignazio Benito La Russa. Alle prime appartengono le sparate sull’eccidio di Via Rasella, compiuto dai partigiani criminali a spese di una “banda di pensionati altoatesini”. Alle seconde si iscrive l’ultima, di tre giorni fa, con la quale il presidente del Senato ci ha tenuto a far sapere agli italiani che nella Costituzione italiana non c’è la parola “antifascismo”. Si è anche indignato, perché i giornali avrebbero strumentalmente alterato il suo pensiero, omettendo “la parola” e facendogli dire quindi che “nella Costituzione non c’è l’antifascismo” (sparare una fesseria, o rivelare una verità, per poi accusare gli appositi cronisti di aver travisato sembra essere ormai un “metodo di governo”, come dimostra per analogia la reazione del ministro Crosetto all’intervista a La Stampa di ieri, in cui riconosce con onestà quel che evidentemente non andava detto, e cioè che sul Pnrr il Sistema-Paese ha cumulato ritardi non più colmabili).

Prendiamo pure per buona la ricostruzione di La Russa. Ma sappiamo tutti che Ignazio Benito è già inciampato più volte, nelle marce su Roma del 1922 e nei cortei violenti del 1973. E allora la domanda è semplice: perché uno come lui sente il bisogno di sottolineare che nella Costituzione non c’è la parola antifascismo? Il falso storico e giuridico si smonta facilmente: a prescindere dalla forma, per l’Italia libera di allora e di oggi la sostanza della Carta del ‘48 è nutrita di antifascismo come per Shakespeare la vita degli umani è fatta della stessa materia dei sogni. Ma allora, e di nuovo: perché la seconda carica dello Stato deve uscirsene con una frase così assurda e gratuita, alla vigilia del 25 aprile? A chi giova? A chi parla?

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I riciclati: dall’uno vale uno all’uno vale qualsiasi altro, tanti gli ex grillini che si ricollocano

domenica, Aprile 23rd, 2023

MASSIMILIANO PANARARI

La gratitudine, si sa, non è di questo mondo. Così, dopo avere ballato alla grande per un paio di stagioni (quelle del doppio mandato lecito e consentito), capita che qualcuno molli gli ormeggi. E, magari, pur senza sputare proprio nel piatto dove ha allegramente mangiato, si accorga che tutto quello che aveva predicato – con accenti spesso savonaroliani – in precedenza non vale più. Improvvisamente. Inopinatamente. Et oplà – come prescrive il manuale della perfetta capriola – eccolo (o eccola) cambiare casacca e tuffarsi a capofitto in una nuova avventura. O almeno provarci, accreditando così la sensazione che stia aderendo a quello che, a parti invertite e nella sua precedente vita politica, avrebbe bollato come voltagabbanismo (parola certificata dal Vocabolario Treccani).

Dal Movimento 5 Stelle dell’uno vale uno siamo così passati, nei casi di alcuni ex e fuoriusciti, all’uno vale tutti, o all’uno vale qualsiasi altro. Purché garantisca un posto a tavola (o una promessa di poltrona). Insomma, per chi proviene dal partito-movimento dove Beppe Grillo perorava la causa dell’economia circolare e del riciclo il riciclaggio vale anche nell’ambito della carriera. Non male per chi stigmatizzava il professionismo politico come la sentina di ogni corruzione e, vistosi messo in panchina dal divieto di terzo mandato ha pensato bene di cambiare casacca. Quella regola che, non a caso, Giuseppe Conte ha rivendicato come scelta giusta proprio nelle scorse ore, e che – al di là di quanto se ne possa pensare nello specifico – costituisce innegabilmente una delle (non molte) manifestazioni di coerenza del M5S.

D’altronde, come scriveva Schopenhauer, «declamare è più facile che dimostrare, e moraleggiare è più facile che esseri sinceri». E, sempre per rimanere nei dintorni, Nietzsche diceva che «i giudizi morali sono epidemie che hanno il loro tempo». Scaduto il quale, si potrebbe soggiungere, scatta l’operazione si salvi chi può. E dunque, Giancarlo Cancelleri, già frontman del Movimento in Sicilia, pochi giorni or sono ha fragorosamente sbattuto la porta di fronte alla scoperta (un po’tardiva…) che «l’esperienza e la professionalità non sono valori aggiunti», esclamando con indignazione – sempre immancabilmente presente, ma a corrente alternata – «altro che uno vale uno, qui uno vale l’altro! ». Così, adesso, lo ritroviamo alla convention berlusconiana a Palermo, mirabilmente seduto in seconda fila, salutato dagli applausi della platea e benedetto dall’apprezzamento di Schifani perché, va da sé, «Forza Italia è un partito aperto». E dire che Cancelleri, novello «smemorato di Caltanissetta», nel corso della sua militanza a 5 Stelle aveva cannoneggiato il centrodestra a ogni piè sospinto, accusandolo di incapacità, corruzione e candidature di collusi con la criminalità organizzata; e la frase più gentile che aveva rivolto a Berlusconi era quella di «inventore dello scilipotismo». E ora, come spesso avviene, siamo alla nemesi, perché chi di Scilipoti colpisce…

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Bonaccini: «Conte firma il quesito sull’Ucraina? La politica estera non si fa così. Nel Pd voglio garantire tutti»

domenica, Aprile 23rd, 2023

di Maria Teresa Meli

ll presidente dem Bonaccini: questo è un governo senza bussola. L’alternativa al termovalorizzatore di Roma sono nuove discariche

Bonaccini: «Conte firma il quesito sull’Ucraina? La politica estera non si fa così. Nel Pd voglio garantire tutti»
Stefano Bonaccini con a consigliera comunale Manuela Rontini e l’ex campione di ciclismo Davide Cassani

Stefano Bonaccini, siamo allo schema: fascisti-antifascisti? Finora non ha portato bene al Pd…
«Siamo alla vigilia del 25 Aprile, Festa nazionale della liberazione dal nazifascismo. Chi governa il Paese non può essere distante dai valori di libertà e antifascismo su cui si fonda la nostra Costituzione, o rimetterli in discussione. Né si può riscrivere la storia, tanto più se si ricoprono ruoli istituzionali. Non ho pregiudizi, misuro le parole e i comportamenti e torno a ripetere: Giorgia Meloni ha un problema nel suo partito. Spetta a lei risolverlo. Noi saremo nelle piazze a celebrare una ricorrenza che dovrebbe unire tutti gli italiani».

Il Pd scende in piazza sulla sanità pubblica, ma le battaglie si vincono in Parlamento. Come intendete muovervi?
«La mancanza di risorse per la sanità pubblica sta mettendo in ginocchio tutte le Regioni e con esse il Sistema sanitario nazionale. Sono certo che una mobilitazione straordinaria nel Paese parlerebbe anche a tanti che hanno votato a destra, ma che chiedono che venga garantito il diritto universale alla salute. E sono convinto che anche in Parlamento il governo avrebbe difficoltà a non rispondere a questa priorità, se incalzato con proposte serie. Come Regioni ci stiamo muovendo unite: sulla sanità pubblica bisogna investire, non tagliare».

I cattolici lamentano di non essere più rappresentati nel Partito democratico.
«Il cattolicesimo democratico è una componente costitutiva e quindi essenziale del nostro partito, senza la quale il Pd non sarebbe più il Pd. Non si tratta di una minoranza da tutelare, ma di una componente vitale del Pd, che deve essere pienamente dentro alla discussione e al percorso che ci porti a un partito più grande e più forte. Come presidente del Pd mi sento impegnato a garantire a tutti il massimo di agibilità e sono certo che la prima ad avvertire questa responsabilità sia proprio la segretaria Schlein».

Il governo vuole tagliare il cuneo fiscale, voi del Pd siete favorevoli?
«Mi sembra un governo senza bussola. Un giorno è la flat tax, il giorno dopo è il cuneo fiscale, e peraltro il nuovo taglio varrà fino a dicembre, poi non si sa se sarà confermato, un altro ancora è la diminuzione delle imposte per chi fa figli. Vivono alla giornata. Serve un taglio significativo e strutturale al costo del lavoro per avere buste paga più alte e un vantaggio per le imprese che assumono in modo stabile. È questa la scelta netta da compiere, non disperdere le risorse in mille rivoli come hanno fatto col bilancio di quest’anno, dove nessuno si è accorto di alcun beneficio. Basta chiedere alle persone se sono aumentati gli stipendi o se sono calati i prezzi».

Il Pd dice sì al termovalorizzatore di Roma e no ad altri impianti simili in futuro?
«L’alternativa al termovalorizzatore di Roma sono nuove discariche, rifiuti portati con migliaia di camion in altre parti del Paese e in Europa e spazzatura che resta accumulata per le strade. Certo, l’obiettivo su cui spingere al massimo è il contenimento dei rifiuti, la buona raccolta differenziata, l’economia circolare. Il Pnrr è anche questo, perciò è essenziale non perdere quelle risorse. Ben prima dei termovalorizzatori l’Italia deve superare le discariche, dove entro il 2035 dovrà essere conferito meno del 10% dei rifiuti. L’Emilia-Romagna è già oggi sotto il 2%, ha superato il 73% della raccolta differenziata e ha l’obiettivo di breve termine di arrivare all’80%. E intanto abbiamo già spento il primo termovalorizzatore. Serve un governo efficace del ciclo dei rifiuti, appunto. Che è quello che sta provando a fare Gualtieri a Roma, finalmente, dopo anni di ideologia e immobilismo».

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Lorenzo Fontana: «Sono pienamente antifascista. Il 25 Aprile? La Resistenza è patrimonio nazionale»

domenica, Aprile 23rd, 2023

di Marco Cremonesi

Il presidente della Camera: «Voglio ricordare il contributo di tanti cattolici. Le polemiche non fanno bene a nessuno, credo che in fondo nemmeno spostino gli elettori»

Lorenzo Fontana: «Sono pienamente antifascista. Il 25 Aprile? La Resistenza è patrimonio nazionale»

«Il 25 Aprile? È patrimonio nazionale. Patrimonio di tutti». Lorenzo Fontana scandisce bene le parole. Nella ricorrenza della Liberazione, il presidente della Camera sarà all’Altare della Patria, a fianco del capo dello Stato Sergio Mattarella, per la deposizione della corona di alloro.

Presidente, che sia di tutti ad ogni 25 Aprile — da 78 anni a questa parte — viene messo in dubbio da qualcuno.
«Di certo non da me. Io credo molto nel fatto che il 25 Aprile debba essere la festa di tutti. E dunque, proprio per questo, ritengo che sia un errore non riconoscersi in questa ricorrenza: l’antifascismo è un valore. Allo stesso modo, tante volte mi è capitato di pensare che sia un errore festeggiare la Liberazione come se fosse la festa solo di una parte, perché il suo valore è proprio questo: alla Resistenza hanno partecipato non soltanto comunisti e socialisti, ma anche liberali, monarchici e — da cattolico voglio ricordarlo — tanti cattolici. A Verona restano impresse nella memoria alcune figure».

Di chi parla?
«Di Flavio e Gedeone Corrà. Due ragazzi, militanti dell’Azione cattolica, che cominciarono a essere presi di mira perché esibivano la spilletta della loro associazione invece che quella del partito fascista. Morirono entrambi tra il marzo e l’aprile del 1945 nel campo di concentramento di Flossenbürg e la Chiesa li ha proclamati Servi di Dio».

Insomma, lei sente pienamente la Resistenza come un valore?
«Certo. Nella consapevolezza che fu una battaglia di tante persone di estrazione anche diversissima nel nome della libertà e contro il totalitarismo. Che difatti fu sconfitto dalla storia proprio perché ci fu l’iniziativa di tanti. Io credo sia un errore gravissimo il non sentirsi rappresentati da una battaglia di questo tipo. Perché fu la lotta di tutto un popolo e di tutte le sue rappresentazioni e ispirazioni politiche. Mi pare quasi banale dire che si può essere antifascisti senza essere comunisti o comunque di sinistra».

Perché parla di 25 Aprile come “patrimonio”?
«Perché lo è. È il nostro patrimonio. La Liberazione è stata il fondamento di questo Paese come lo abbiamo oggi. E il fatto che ci siano queste divisioni indebolisce il Paese in sé. Nel suo complesso. Se una festa fondante come questa non riporta a una visione comune, ci rende più deboli all’estero e al nostro interno. Quando manca una memoria condivisa, è lo Stato ad essere più debole. Io spero che questo sia un fatto che finalmente possa essere superato».

E oltre a sperarlo pensa che sarà effettivamente così?
«Questo non lo so ma il non riconoscere il valore che ci fu nella Liberazione è un errore politico, oltre che storico. Si trasmette il messaggio che questa Repubblica sia ancora oggi soltanto una questione di parte. Ma questo non è vero e sono polemiche che non fanno bene a nessuno, credo che in fondo nemmeno spostino gli elettori. Oltre a non essere utili nei confronti dei più giovani».

I più giovani rischiano di essere confusi?
«Certo. Quando parlo con i ragazzi più giovani a Montecitorio ricordo sempre loro che il Parlamento un giorno lo eleggeranno anche loro. Che potranno far entrare chi decideranno e potranno mandare a casa chi non lo merita. Ma che possono farlo perché si è combattuta una guerra di Liberazione dopo un periodo in cui tutto quello che si può fare oggi, semplicemente, non si poteva fare. Del resto, non ci si può preoccupare del calo dei votanti se ancora oggi si continuano a mettere in discussione le fondamenta. Ma il patrimonio da trasmettere ai giovani è anche questo: la consapevolezza che la libertà e la possibilità di esprimersi sono privilegi che non sono stati regalati, ma sono costati la vita a tante persone».

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Meloni e la linea ai ministri sul 25 Aprile: basta polemiche

domenica, Aprile 23rd, 2023

di Monica Guerzoni

La raccomandazione della premier dopo l’ultimo Consiglio e l’invito a partecipare alle celebrazioni ufficiali
La linea di Meloni ai ministri: niente polemiche sul 25 Aprile

L’appello della premier alla sua squadra di governo è arrivato sottovoce, nel corso dell’ultimo Consiglio dei ministri. Giorgia Meloni ha chiesto a tutti di «tenere i toni bassi» e non è la prima volta. Ma il 25 Aprile è vicinissimo e le parole della presidente del Consiglio nel chiuso di Palazzo Chigi, suonate come una moral suasion dagli accenti quasi quirinalizi, dicono molto di come sarà la prima Festa della Liberazione dell’esecutivo più a destra della storia della Repubblica. Meloni sa di avere tutti gli occhi addosso ed è piuttosto insofferente all’idea di dover affrontare un test tra storia e politica. «Non dobbiamo superare nessun esame» è lo stato d’animo della premier, stanca a dir poco di quanti, da sinistra, «pensano di farci la morale». Per dirla con un ministro «la sua storia politica è la prosecuzione di quella di Fini, quindi il suo pensiero è chiaro».

Il tema fa discutere politici e opinionisti, ma la premier sembra quasi evitarlo. Nelle ultime due interviste non ha parlato del 25 Aprile e chissà se è vero, come assicurano nelle stanze con vista su Piazza Colonna, che «non le è stata fatta la domanda». I suoi la descrivono «tranquillissima» rispetto alle celebrazioni imminenti. Eppure, nell’ultima riunione, Meloni ha invitato tutti i ministri a «evitare nuove polemiche, allentare le tensioni e mostrare il massimo della responsabilità». L’appello della premier alla «pacificazione» ha prodotto un primo effetto. Anche i più recalcitranti si sono convinti dell’opportunità di partecipare alle celebrazioni. Persino il presidente del Senato Ignazio La Russa, fresco di bufera sull’antifascismo «assente dalla Costituzione», farà tappa all’Altare della Patria. E Francesco Lollobrigida cercherà di «tornare in tempo dal G7 in Giappone», per mostrare che «non era un alibi». Quanto alla premier, nell’agenda di Palazzo Chigi c’è un solo appuntamento: «Ore 9, Altare della Patria. Il presidente del Consiglio partecipa alla cerimonia di deposizione di una corona d’alloro da parte del capo dello Stato in occasione del 78° anniversario della Liberazione». I collaboratori non confermano l’intenzione di Meloni di scrivere un post da lanciare sui social, né la voglia di far sentire pubblicamente la sua voce. Ma le due ipotesi sono tutt’altro che escluse. La Festa che ricorda la fine dell’occupazione nazista e la definitiva caduta del regime fascista è da giorni pretesto di divisioni e polemiche. E vista la reazione tempestosa delle opposizioni alle ultime esternazioni di La Russa, la premier non vuole altri incidenti a ridosso del 25 Aprile. A Palazzo Chigi nessuno conferma (e nessuno smentisce) che Meloni abbia chiesto alla seconda carica dello Stato di contenere simili uscite, che non poco imbarazzo hanno creato nel governo. «La Russa si è accorto di aver preso una cantonata», lo ha redarguito in tv l’ex presidente della Camera Gianfranco Fini. E ha ricordato la sua storica visita in Israele, quando scrisse che «il fascismo è parte del male assoluto».

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Sondaggi, Pagnoncelli gela la sinistra: tra Meloni e gli italiani è ancora luna di miele

sabato, Aprile 22nd, 2023

Fratelli d’Italia che arretra mentre cresce la fiducia nella premier Giorgia Meloni, il Pd che supera il 20 per cento, Lega e Forza Italia appaiati in virtù del balzo del partito di Silvio Berlusconi. Sono questi alcuni degli aspetti più rilevante del sondaggio Ipso pubblicato sabato 22 aprile dal Corriere della sera. A snocciolare numeri e considerazioni è Nando Pagnoncelli che si chiede se la luna di miele del governo di centrodestra con gli italiani sia finita o meno. “A giudicare dal sondaggio odierno non si direbbe, dato che rispetto a marzo il gradimento per l’operato del governo fa segnare l’aumento di un punto (oggi il 44% si esprime positivamente sull’esecutivo) e quello della premier di due punti (46% di valutazioni positive) portando l’indice di gradimento (calcolato escludendo coloro che non si esprimono) rispettivamente a 51 e 53”, spiega il sondaggista.

Secondo Pagnoncelli il governo “tiene” per diversi motivi, come ad esempio le scelte che hanno avuto un “effetto di rassicurazione anche presso una parte dell’elettorato non di centrodestra: rapporti con l’Ue, atlantismo, posizione sul conflitto in Ucraina, tenuta dei conti pubblici”. E poi perché i dati economici migliorano. Tra le varie ragioni, ce anche “la mancanza di un’opposizione coesa che induce molte persone a fidarsi e «ad affidarsi» a chi guida il Paese”, spiega il sondaggista.

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Schlein batte tutte le piazze: porta il Pd pure al corteo per la casa

sabato, Aprile 22nd, 2023

Luigi Frasca

Elly Schlein ha una strategia sola: andare in piazza contro il governo. Anche ieri, nella riunione della segreteria del Pd che si è svolta nel circolo di Riano, alle porte di Roma, per ricordare il posto dove venne ritrovato il cadavere di Giacomo Matteotti, ha lanciato il suo invito alla mobilitazione generale di tutto il centrosinistra per la battaglia sulla casa. «Vogliamo fare una grande campagna nazionale del Pd sul diritto alla casa, messo a rischio anche dal fatto che il Governo ha tolto 330 milioni di supporto per l’affitto – annuncia la segretaria – È una scelta che non si spiega, viene da pensare che non capiscano le difficolta delle famiglie». «C’è un’assenza del governo sconcertante le fa eco Pierfrancesco Majorino, che ha la delega sul tema – C’è bisogno di un piano nazionale e il governo non può far finta di niente, non fa nulla pur avendo in mano i fondi del Pnrr».

Prima di iniziare la riunione Elly Schlein ha deposto un mazzo di rose rosse e si è chinato in raccoglimento, accanto al sindaco Luca Abbruzzetti. Insieme a lei ci sono alcuni componenti della segreteria, giunti sul posto a bordo di un pulmino. A Riano il sindaco, «di sinistra», ha in giunta alcuni assessori di FdI, ma «non è un accordo di partito, o un laboratorio politico: è roba di paese. E poi sono post democristiani più che fascisti», assicura.

La riunione della segreteria, che si svolge nella sala danze e burraco del circolo Arci sportivo ricreativo «La Rostra», inizia dopo una «photofamily», tante strette di mano e qualche selfie. Una signora si rivolge a Schlein: «Erano anni che non ero così contenta di mettere una croce. Tieni duro». Poi i presenti si mettono seduti al grande tavolo a ferro di cavallo e iniziano a intervenire, ognuno sui temi di propria competenza. Ci sono anche i rappresentanti dei giovani democratici Caterina Cerroni, che sfoggia una felpa della ong Mediterranea e, in videocollegamento, Raffaele Marras. Collegata da remoto è anche la responsabile Transizione ecologica Annalisa Corrado, da subito protagonista delle cronache politiche data la sua contrarietà all’inceneritore di Roma.
Quello sullo smaltimento dei rifiuti della Capitale non è l’unico tema su cui si registrano distinguo tra i dem. C’è il tema armi sempre scottante. Peppe Provenzano, responsabile esteri, ribadisce la linea.

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La premier ascolti la lezione Amato-Fini

sabato, Aprile 22nd, 2023

Montesquieu

Basterebbe, per uscire dal vicolo cieco di una politica vuota di idee, seguire il suggerimento che da New York Giuliano Amato offre a Giorgia Meloni: per uscire una volta per tutte dal vicolo cieco della disputa sul fascismo e l’antifascismo come unica, o quasi, essenza del dibattito politico, a quasi ottant’anni dalla data di nascita della democrazia, della Repubblica, della Costituzione. Con la precisazione che la citazione una volta tanto non insegue la consueta originalità dell’autore, che in questo caso esprime un concetto assai diffuso negli esseri pensanti, ma la sua autorevolezza.

Basterebbe, quindi, che Giorgia Meloni ripartisse ufficialmente dal punto di arrivo in materia di Gianfranco Fini (il famoso “male assoluto” proclamato in terra di Israele), per attenuare l’accusa di attaccamento a quelle radici. Fino a farla rapidamente e definitivamente dissolvere, almeno lì dove alberga un po’ di buona fede. Nessuno oggi, almeno lì dove alberga quel po’ di buona fede, accuserebbe Fini di nostalgia di una dittatura, e nemmeno di attaccamento a quelle radici; e non tanto e non solo per la radicalità e la fermezza di quell’abiura, quanto per la inequivocità e la nettezza di quel percorso di uscita da una destra ancora ricca di ambiguità e doppisensi. Come dimostra il legame subito instauratosi tra il pensiero finiano e inequivocabili campioni della democrazia. Tali erano e sono Rutelli, Tabacci, Casini, e altri. Ma nessuno, a destra, presidente del Consiglio in testa, evoca il nome di Fini, così come nessuno si propone di adottare il suo percorso. Nessuno rievoca lo strappo insindacabile di Alleanza nazionale e di Fini, più semplice ritrovare la memoria del Movimento sociale di Almirante. Era lì, a portata di mano, un polo conservatore tale da riabilitare l’appellativo storicamente nobile di destra. Si preferisce continuare ad animare lo sgorbio che si è imposto in giro per le democrazie, sempre più scivolanti. A certi voti, a certe compagnie, forse a certe idee non si rinuncia volentieri. Troppo faticoso sostituirli.

Così a destra, ahimè. In quella di Gorgia Meloni, non la più rozza ed estrema, forse la più intelligente e aperta. Ma al tempo proviamo a immaginare, sui palchi del vicinissimo 25 aprile, presentarsi, con lo spirito giusto dell’antifascismo, il presidente del Senato, lo stesso capo del governo, e altri campioni della stessa maggioranza, anche di altro partito. A immaginare che lì, su quei palchi, quegli stessi pronuncino quelle parole che tutti dicono di auspicare. Giubilo a sinistra? Sarebbe, probabilmente, il peggiore 25 aprile possibile per una parte, difficile da quantificare ma probabilmente non infima, della nostra politica antifascista e sedicente di sinistra.

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Le cinque tappe per aiutare il pianeta e superare la “policrisi”

sabato, Aprile 22nd, 2023

Sandrine Dixon-Declève

Dobbiamo affrontare una molteplicità di emergenze ambientali. Oltre al cambiamento del clima, anche le attività umane stanno avendo un impatto negativo sul terreno e sui corsi d’acqua terrestri con l’inquinamento chimico, l’urbanizzazione e la portata sempre crescente dell’agricoltura industriale. Al tempo stesso, i ghiacciai si stanno fondendo ed eventi meteorologici estremi, come siccità e alluvioni, sono sempre più familiari. Povertà e disuguaglianza continuano ad aumentare. Alle radici di questi problemi socioambientali c’è un modello economico globale basato sulla crescita infinita a qualunque costo.

Questa policrisi non è una minaccia lontana: già adesso sta avendo un impatto diretto sulle vite dei cittadini italiani e questo dovrebbe farci riflettere. La pandemia da Covid, il cambiamento del clima e l’invasione dell’Ucraina ci hanno aiutato a comprendere quello che conta davvero nella vita: la salute, la comunità, la natura, un reddito stabile, la cultura e la pace. In sintesi, il benessere per tutti. Eppure, le nostre economie non si stanno riprogrammando in linea con queste esigenze.

Nel 1970 si riunì per la prima volta il Club di Roma, guidato dall’industriale italiano Aurelio Peccei. Studiosi e scienziati si trovarono per discutere quella che Peccei definì la moderna «situazione difficile dell’umanità». Due anni dopo, fu pubblicato il primo importante rapporto del Club, il Rapporto sui limiti dello sviluppo. Il libro metteva in discussione l’idea che la crescita materiale continua e la ricerca di una espansione economica senza fine fossero compatibili con le risorse della Terra e il benessere umano. Questi avvertimenti passarono perlopiù inascoltati per il resto del ventesimo secolo ma, quando finalmente si percepirono le realtà del cambiamento del clima e della disuguaglianza sociale, alcuni leader e alcuni Paesi iniziarono a incentivare un nuovo tipo di economia, incentrata sul benessere più che sulla crescita. All’avanguardia di questa trasformazione ci furono nazioni guidate da donne come Jacinta Ardern in Nuova Zelanda e Nicola Sturgeon in Scozia.

Nonostante questo, il cambiamento incrementale in una manciata di piccoli Paesi non eviterà la catastrofe climatica né ridurrà le disuguaglianze sociali in Europa e tra nazioni più ricche e nazioni più povere. Quel che serve, invece, è un cambiamento della società su vasta scala, tale da poter proteggere meglio la natura, risanarla e portare benessere a molti. “Earth4All: A Survival Guide for Humanity”, l’ultimo rapporto pubblicato dal Club di Roma nel settembre 2022, illustra nei dettagli come raggiungere questo obiettivo.

Gli autori – scienziati, economisti e pensatori politici di tutto il mondo – individuano cinque straordinarie «inversioni di tendenza» per rendere realtà questa visione: porre fine alla povertà, risolvere la disuguaglianza, raggiungere l’equità di genere, effettuare la transizione verso l’energia pulita, rendere i sistemi alimentari salutari per gli esseri umani e per il pianeta. Queste inversioni di tendenza sono i requisiti minimi perché le nostre società possano creare economie in grado di sostenere il benessere per tutti e proteggere l’ambiente. Secondo la nostra analisi, gli investimenti dovrebbero essere pari ad appena il 2-4 per cento del reddito globale complessivo. Earth4All chiarisce anche come queste “inversioni di tendenza” siano collegate tra loro e spiega che il successo dipende dal fatto di affrontarle insieme e contemporaneamente. La redistribuzione della ricchezza è necessaria, per esempio, per rifondare la fiducia nei sistemi democratici essenziali affinché i governi diano vita a un ampio sostegno politico, necessario a prendere decisioni coraggiose. Nello stesso modo, diminuire l’uso da parte nostra di risorse naturali apporterà benefici all’ambiente e aumenterà la stabilità globale e la sicurezza riducendo il potenziale per conflitti e guerre.

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Il governo si arrende: via gli stadi dal Recovery, la terza rata è più vicina

sabato, Aprile 22nd, 2023

ALESSANDRO BARBERA, FRANCESCO OLIVO

ROMA. Seppur con fatica, la terza rata da venti miliardi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) sta per arrivare. Il governo ormai ne è convinto tanto da parlare di «positiva conclusione delle verifiche di tutti gli obiettivi». Non sarà indolore: l’Italia è pronta a stralciare definitivamente dalla lista dei progetti da finanziare gli stadi di Firenze e Venezia, che non convincono Bruxelles. Sul resto il ministro degli Affari europei Raffaele Fitto (che mercoledì farà un’informativa alle Camere), è fiducioso di aver convinto la Commissione europea. Due le questioni che sembrano risolte: garantire maggiore concorrenza nelle concessioni portuali e gli interventi sulle reti di teleriscaldamento.

Nel venerdì che precede il ponte del 25 aprile a Palazzo Chigi c’è stato un viavai di ministri. Giorgia Meloni si è vista a pranzo con il vicepremier Matteo Salvini con cui ha fatto il punto della situazione dopo le incomprensioni delle ultime settimane, sul Pnrr e non solo. L’impressione restituita dai fedelissimi della premier è che il leader della Lega si stia dimostrando collaborativo sulla vicenda dei fondi europei e questo aiuterà a stemperare le tensioni scoppiate sui migranti. Prova di ciò sarebbe stata la decisione di Meloni di affidare a Salvini la cabina di regia sulla siccità.

Prima del pranzo fra i due, Fitto ha incontrato separatamente quattro ministri, fra cui lo stesso Salvini. Colloqui di un’ora ciascuno durante i quali sono stati esaminati tutti gli obiettivi del piano in ritardo e quelli in scadenza il 30 giugno, la data entro la quale l’Italia deve rispettare 27 obiettivi in cambio di altri venti miliardi. Con Salvini (Trasporti) si è parlato di porti e di reti ferroviarie, con Giuseppe Valditara (Scuola) del complicato dossier degli asili nido, uno degli obiettivi del semestre in corso, con Giancarlo Giorgetti (Economia) ha discusso della governance (che ora verrà accentrata a Palazzo Chigi), mentre al centro del bilaterale con Matteo Piantedosi (Interno) è rimasta la questione degli stadi. Il governo sarebbe sul punto di cedere, ma prima vuole una risposta formale dalla Commissione, attesa per lunedì. L’orientamento comunitario è ormai chiaro all’esecutivo, e anche le parole del sindaco di Firenze Dario Nardella non trasmettono ottimismo: «Noi abbiamo fatto tutto quanto c’era da fare, vedremo cosa risponderanno», dice a Un giorno da Pecora su Radio 1, aggiungendo che «sarebbe incredibile se bocciassero il progetto dal punto di vista tecnico».

Il governo sta pensando a un piano alternativo per trovare risorse nazionali a favore dei due impianti: è la soluzione più ovvia, ma il fondo complementare al quale bisognerebbe attingere è già impegnato, come Giorgetti ha spiegato a Fitto durante il colloquio. Per trovare i 150 milioni necessari occorrerà tagliare dell’altro.

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