Archive for Aprile 23rd, 2023

“Ha un suo sistema di potere”. Conte frena sull’alleanza col Pd

domenica, Aprile 23rd, 2023

Luca Sablone

Tra i partiti dell’opposizione il caos è una componente che dall’inizio della legislatura ha sempre ricoperto un ruolo primario. Le formazioni politiche al di fuori della maggioranza non riescono a trovare vere convergenze e la scarsa compattezza è una conseguenza logica. Il Movimento 5 Stelle si era affrettato a esultare dopo la vittoria di Elly Schlein alle primarie provando ad apparecchiare l’alleanza con il Partito democratico, ma dai vertici arriva una brusca frenata: bisogna andarci piano.

Conte gela il Pd

A invitare alla calma è stato Giuseppe Conte, che per il momento ha respinto l’idea di un conclave rendendo praticamente nulla la possibilità di intavolare un’intesa con il Pd a stretto giro o di chiudersi in una stanza con il nuovo segretario dem per trovare una quadra comune. Il leader del M5S, nel colloquio pubblicato da La Repubblica, ha ricordato le vicende che la scorsa estate avevano sancito la rottura con il Partito democratico in vista delle elezioni politiche del 25 settembre 2022.

“Andiamoci piano. Solo pochi mesi fa volevano sbatterci fuori dal Parlamento e dal sistema politico”, è il monito arrivato. In effetti la crisi del governo Draghi aveva innescato il divorzio tra Conte ed Enrico Letta, facendo saltare ogni ipotesi di accordo per presentarsi uniti di fronte agli elettori. Ma sullo sfondo c’è anche un altro tema e riguarda la natura politica del Pd: “Abbiamo toccato con mano, tante volte, quali siano i metodi e la logica di un partito, il Pd, che ha un suo sistema di potere”.

I grillini si sono sempre mostrati favorevoli a un lavoro unitario in Parlamento, ma i giallorossi si sono già bruciati per il termovalorizzatore: l’asse tra 5 Stelle e ambientalisti verdi è finito isolato in Aula, provocando irritazione e delusione nella galassia gialla. La mossa di Elly Schlein è servita forse per contenere l’ala moderata in forte sofferenza, ma dall’altro lato il M5S ha preso atto della posizione dei dem su un tema ritenuto di grande importanza.

Rating 3.00 out of 5

Più sbarchi, più criminali. Ad aprile oltre 8mila arrivi

domenica, Aprile 23rd, 2023

Fausto Biloslavo

L’orribile stupro di una bambina di 9 anni in un Centro per i richiedenti asilo, la violenza sessuale di un egiziano regolare su un treno, l’ennesimo terrorista camuffato da migrante e sbarcato a Messina per non parlare degli afghani ospitati da noi che parteggiano per i talebani. Non bisogna mai generalizzare e fare di tutta l’erba un fascio, ma l’impennata degli arrivi illegali porta a casa nostra gente di tutti i generi compresi criminali, violentatori e terroristi.

Ovviamente ce ne sono anche fra gli italiani, ma con l’aumento degli sbarchi sarà sempre più difficile controllare l’arrivo di delinquenti, jihadisti e per un semplice calcolo delle probabilità evitare episodi di violenza sessuale. La squadra mobile ha arrestato ieri un migrante del Camerun di 38 anni ospite nel Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Sant’Anna di Isola Capo Rizzuto. Lo stesso Cara ospita una famiglia con una bambina di 9 anni, che sarebbe stata violentata dall’uomo quando i genitori l’hanno lasciata sola. Nel Cara ci sono circa 800 persone.

Il 5 aprile a bordo del treno regionale Varese-Treviglio un pizzaiolo egiziano, regolare in Italia e incensurato, avrebbe abusato di una 21enne toscana. La violenza sessuale aggravata, secondo l’accusa, sarebbe avvenuta con «una certa premeditazione ed efferatezza». L’egiziano è finito in carcere, ma nega di aver approfittato della giovane italiana.

Se il presunto stupratore vive in Italia da tempo un terrorista siriano è sbarcato l’11 marzo a Messina grazie all’intervento della Guardia di Finanza in soccorso di un natante con 93 migranti. Tutti pachistani, egiziani e siriani, compreso il comandante intermedio del gruppo jihadista Jabat al Nusra, ex Al Qaida, che si era camuffato da migrante. E aveva pagato fra i 6mila e 9mila euro per salpare con il barcone dalla Cirenaica. La Digos l’ha scoperto, ma quanti sono riusciti a passare o arriveranno con gli aumenti degli sbarchi?

«Diversi afghani soprattutto di etnia pasthun sono filo talebani e inveiscono contro gli Stati Uniti attaccando pure l’Italia che li ospita. Lo fanno apertamente sui social» rivela uno degli ex interpreti del nostro contingente, che abbiamo evacuato da Herat.

Se continueremo con i numeri di marzo quando sono arrivati 13.263 persone, dieci volte tanto rispetto allo stesso periodo del 2022 o aprile che segnala già 8.720 sbarchi, a fine anno verranno superati i 138mila previsti all’inizio della primavera. Da gennaio sono già arrivati 35.085 irregolari, quattro volte in più rispetto allo scorso anno. E le nazionalità sono sempre più africane (Costa D’avorio e Guinea primi in classifica) oltre a egiziani, tunisini, pachistani e cittadini del Bangladesh.

Rating 3.00 out of 5

Donne e occupazione: il lavoro che crea lavoro

domenica, Aprile 23rd, 2023

di Maurizio Ferrera

Ammettere più immigrati o incentivare il lavoro femminile? Per assicurare il finanziamento del welfare dovremo in realtà fare entrambe le cose. Intanto, Giorgia Meloni si è espressa a favore della seconda opzione. Si tratta di un obiettivo che i nostri governi perseguono ormai da vent’anni, senza molti risultati. Se vuole provarci anche il primo esecutivo guidato da una donna, prendiamola in parola e valutiamolo su ciò che concretamente saprà fare.

In Italia lavorano 55 donne su cento nella fascia d’età 20-54. Altre 15 vorrebbero trovare occupazione, ma non riescono. In parte mancano posti di lavoro congrui rispetto alle competenze, nell’area di residenza (c’è la famiglia). L’ostacolo principale è però la conciliazione. Se ci sono dei figli o degli anziani da assistere, le donne restano intrappolate a casa. E siccome le famiglie monoreddito fanno fatica a quadrare i conti, anche di figli se ne fanno pochi, uno o al massimo due. Come ha osservato il New York Times, di questo passo l’Italia rischia di sparire.

Superare l’ostacolo non è facile, ma altri Paesi ci sono riusciti. La Svezia è il caso di maggior successo. Per incentivare il lavoro femminile e insieme la natalità, ha messo in piedi un sistema pubblico di conciliazione che — visto dall’Italia — è davvero strabiliante. Vale la pena di ricordarne i principali strumenti. Tenendo presente che la loro generosità ha prodotto, sì, un’elevata occupazione femminile, ma non certo un aumento della popolazione. Più semplicemente, ha consentito di mantenere il tasso di natalità intorno al 2,1 figli per donna, il minimo indispensabile per non decrescere.

Iniziamo dai congedi parentali. Fin dal 1974, i padri svedesi hanno gli stessi diritti delle madri; oggi quasi la metà di loro sceglie di stare a casa per accudire i neonati. Il congedo retribuito è previsto per tutti i cittadini (è a somma fissa per chi non ha un lavoro dipendente). Inizialmente pari a sei mesi, la durata è stata elevata prima a 9, poi a 12, 15 e oggi è di 16 mesi indennizzati. Esaurito il congedo, i neo-genitori hanno il diritto di chiedere il part-time, se lo desiderano. Fino a che un figlio compie 12 anni, ci si può assentare dal lavoro per 60 giorni all’anno, anche se si ammala la baby sitter.

Praticamente tutti i bambini (il 100% nel caso dei lavoratori dipendenti) trova posto al nido. Solo i più benestanti devono pagare un ticket. I giovani fino a 29 anni con almeno un figlio hanno poi diritto a una indennità che copre circa la metà dell’affitto.

Rating 3.00 out of 5

Ma ora la pillola diamola ai maschi

domenica, Aprile 23rd, 2023

Simonetta Sciandivasci

Che le donne – tutte le donne – non debbano più pagare la pillola contraccettiva è una buona e giusta cosa. Però non è equa: lascia che la contraccezione sia onere (carico, se vogliamo usare una parola più incisiva e certamente più in voga) femminile.

La scelta dell’Aifa, quindi, diversamente da quanto è stato quasi unanimemente ed entusiasticamente scritto e detto, non è una svolta: è lo sgombero di una strada già intrapresa e conferma l’assetto patriarcale (spiace doverlo sempre dire) della nostra medicina, e in particolare della medicina riproduttiva.

È piuttosto impressionante che, sebbene una donna sia fertile pochi giorni al mese, mentre un uomo lo è sempre, si intervenga sulle donne e non sugli uomini. È impressionante per il portato culturale che questo illumina, e per la facilità con cui ne accettiamo la conseguenza, ovvero il controllo sul corpo delle donne, al punto che la pillola, ancora adesso, è in senso quasi univoco intesa come una liberazione, cosa che è certamente stata, ma che forse ora ha un segno e un senso diverso.

È difficile non riconoscere, in questo, l’acclarato automatismo che rende maternità sinonimo di genitorialità: figli e non figli sono questione femminile e privata (ma ecco una dimensione che l’Aifa ha smontato: quella privata).

Non accade solo in Italia, però altrove un po’ di più se ne discute, e la ricerca, anche se poco e in maniera non propriamente sistematica, sperimenta pillole contraccettive dedicate agli uomini.

La scelta dell’Aifa potrebbe essere un momento per fare lo stesso anche qui, partendo da alcuni dati e fatti, il più importante dei quali ci dice che vasectomia (legale dal 1978) e ricorso al preservativo, attualmente le uniche due pratiche contraccettive di onere maschile (il coito interrotto è più problematico), generano timore e imbarazzo. In pochi preferiscono la contraccezione maschile a quella femminile, in pochi considerano anche solo l’ipotesi di farlo.

Se e quando ci decideremo a fare educazione sessuale e affettiva nelle scuole, ricordiamoci di insegnare ai bambini che la vasectomia non è castrante, non devirilizza, non è cosa da femminucce. E mi scuso se uso questo termine in senso diminuente, Federica Fabrizio ha ragione quando scrive nel suo libro per Fabbri Editore, “Femminucce”, appunto, che è invece una parola di grande bellezza e di cui dovremmo riappropriarci. Mi scuso, ma mi serve esemplificare.

Rating 3.00 out of 5

Recovery, caos nel governo. Meloni alza la voce: la premier detta la linea e a Londra ribadirà l’intenzione di utilizzare tutte le risorse Ue

domenica, Aprile 23rd, 2023

ALESSANDRO BARBERA FRANCESCO OLIVO

L’invito agli imprenditori e alla comunità finanziaria londinese è stato spedito a metà settimana. L’appuntamento è per venerdì all’ora di pranzo, nella residenza dell’ambasciatore italiano. Con Giorgia Meloni ci sarà Francesco Lollobrigida, che vuole far crescere la quota di made in Italy sugli scaffali dei supermercati svuotati dalla Brexit. «L’agenda degli incontri non è ancora definita», spiegano da Palazzo Chigi. La ragione principale della visita è il bilaterale con Rishi Sunak, e non è chiaro se vedrà singolarmente gli investitori. Ma una cosa è decisa: nonostante i problemi, i ritardi e i dubbi che serpeggiano nella sua maggioranza, nell’intervento pubblico in ambasciata la premier ribadirà l’impegno a non perdere un solo euro dei duecento miliardi del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Agli occhi dei mercati non è un’affermazione banale. Il pasticcio comunicativo degli ultimi giorni ha iniziato a preoccupare gli esperti di debito italiano. Gli analisti hanno apprezzato l’impostazione prudente del Documento di economia e finanza, e l’andamento dello spread sui Bund tedeschi lo conferma. Ma in molti si interrogano per le prospettive di medio termine dell’emittente Italia. Il titolo decennale italiano paga un differenziale sulla Francia dell’1,4 per cento. La crescita quest’anno sarà nella migliore delle ipotesi dell’1 per cento, quasi un quarto del 2022. L’aumento dei tassi da parte della Banca centrale europea – lo ha detto esplicitamente Giancarlo Giorgetti in Parlamento questa settimana – farà aumentare la spesa per interessi del 2023 da 75 a 100 miliardi di euro: numeri che non si vedevano da anni. Se la curva del debito italiano di qui al 2026 è sotto controllo, lo si deve ai quaranta miliardi l’anno garantiti sulla carta dal Recovery Plan. «Senza quell’ammontare degno di una grossa legge di bilancio – spiegano due investitori sotto la garanzia dell’anonimato – il debito italiano riprenderebbe il volo».

È per questa ragione che Meloni ha deciso di tenere il punto, spegnendo sul nascere la tentazione di un pezzo della maggioranza a rinunciare ad una parte dei 122 miliardi di prestiti del Piano. Avevano iniziato il capogruppo leghista alla Camera Riccardo Molinari e Claudio Borghi. Poi il compagno di partito di Meloni, Fabio Rampelli, e ieri Guido Crosetto. «Voci dal sen fuggite», dice un esponente di governo che condivide in pieno la linea della premier. Chi le ha parlato ieri la descrive sorpresa e piuttosto irritata per affermazioni che mettono in discussione uno dei tasselli fondamentali della sua politica economica. I fedelissimi di Meloni invitano a confrontare le parole del ministro della Difesa a questo giornale con l’intervista rilasciata nelle stesse ore dalla premier a Milano Finanza. «Sul Pnrr sento e leggo cose che non esistono. Come il ministro Fitto ha già spiegato in diverse sedi istituzionali, stiamo lavorando con la Commissione europea per risolvere alcuni problemi strutturali del piano. Ma il Pnrr, sia chiaro, non è un problema, ma una grande opportunità che il governo non si lascerà sfuggire, nonostante errori e ritardi che ha ereditato».

Il messaggio ai naviganti è semplice: la linea dell’esecutivo è quella di Meloni ed è bene che si adeguino tutti. Nelle stanze di Palazzo Chigi fanno notare come non sia infrequente che molti ministri intervengano con disinvoltura su temi delicati: era successo qualche giorno fa con il responsabile della Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo, ora con Crosetto. Il messaggio che viene fatto filtrare dalle stanze del governo è di evitare soprattutto le esternazioni che chiamano in causa i rapporti fra Roma e Bruxelles. Quando non è lei stessa a interloquire con la presidente Ursula von der Leyen, il Pnrr è materia del ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto. A lui e solo a lui la premier ha delegato le trattative con il commissario all’Economia Paolo Gentiloni e il responsabile del Mercato interno Thierry Breton. «Ci siamo trovati fra le mani un Piano con cose irrealizzabili», spiega ancora una volta una voce autorizzata dalla premier. «Ma ciò non toglie che faremo di tutto per risolvere i problemi».

Il pranzo di venerdì di Meloni con Matteo Salvini è servito anzitutto a questo. Non è un caso se il vicepremier, che dal Pnrr ha solo da guadagnare in consenso, non ha mai messo il cappello ai dubbi espressi dalla prima linea leghista. Dopo quel pranzo, dal ministero delle Infrastrutture sono stati fatti filtrare più dettagli sull’attuazione del Piano per sottolineare il procedere di alcuni degli appalti, soprattutto ferroviari.

Rating 3.00 out of 5

Perché l’Italia ha bisogno di una destra “normale”

domenica, Aprile 23rd, 2023

MASSIMO GIANNINI

D’accordo, c’era da aspettarselo. Come ha scritto Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera della scorsa settimana, era inevitabile che nell’Italia governata dal partito della Fiamma post-missina cominciasse a spirare un’aria da “passato che non passa”. E tanto più era da mettere in conto che proprio in questo tempo nuovo della politica italiana la Festa del 25 aprile si caricasse più che mai di sentimenti e risentimenti, fino a diventare in ogni senso una “pietra d’inciampo” per molti epigoni di quel passato. È così da decenni, figuriamoci adesso. Ma quello che non doveva succedere è che, a non stemperare o addirittura ad alimentare questo clima di tensioni e distorsioni, fossero le alte cariche dello Stato e del governo.

Giorgia Meloni non parla del giorno della Liberazione dal fascismo. Non ne ha mai parlato fino ad oggi, da presidente del Consiglio. Dopodomani sarà all’Altare della Patria con Sergio Mattarella. Aspettiamo il suo comunicato ufficiale, per capire se anche stavolta se la caverà evitando di pronunciare la parola “fascismo” (come è riuscita a fare a proposito della Shoah o delle leggi razziali del ’38), oppure dicendo che nel Ventennio lei non era nata e che dunque anche il 25 aprile del ‘45 va consegnato ai libri di Storia. Ma non ci vogliamo credere. Tacere, omettere o rimuovere le sarà assai difficile, stavolta. Ma finora l’ha fatto, con i suoi impudenti e “ignoranti” Fratelli d’Italia. La premier ha taciuto sull’intemerata del cognato Francesco Lollobrigida, occupandosi della “sostituzione etnica” solo per emettere la sua fatwa contro la vignetta satanica di un giornale, ma senza dire una parola sulla natura xenofoba e razzista della formula usata dal suo ministro.

E in fondo perché avrebbe dovuto correggerlo, se quella folle “teoria” è al centro delle “tesi di Trieste” lanciate in campagna elettorale da FdI e della propaganda contro i migranti che lei stessa e l’intera destra sovranista propugnano da anni, insieme ai complottisti antisemiti dell’Est-Europa e agli sciamani trumpisti di Qanon?

Soprattutto, la Sorella d’Italia ha taciuto sulle manipolazioni e sulle provocazioni di Ignazio Benito La Russa. Alle prime appartengono le sparate sull’eccidio di Via Rasella, compiuto dai partigiani criminali a spese di una “banda di pensionati altoatesini”. Alle seconde si iscrive l’ultima, di tre giorni fa, con la quale il presidente del Senato ci ha tenuto a far sapere agli italiani che nella Costituzione italiana non c’è la parola “antifascismo”. Si è anche indignato, perché i giornali avrebbero strumentalmente alterato il suo pensiero, omettendo “la parola” e facendogli dire quindi che “nella Costituzione non c’è l’antifascismo” (sparare una fesseria, o rivelare una verità, per poi accusare gli appositi cronisti di aver travisato sembra essere ormai un “metodo di governo”, come dimostra per analogia la reazione del ministro Crosetto all’intervista a La Stampa di ieri, in cui riconosce con onestà quel che evidentemente non andava detto, e cioè che sul Pnrr il Sistema-Paese ha cumulato ritardi non più colmabili).

Prendiamo pure per buona la ricostruzione di La Russa. Ma sappiamo tutti che Ignazio Benito è già inciampato più volte, nelle marce su Roma del 1922 e nei cortei violenti del 1973. E allora la domanda è semplice: perché uno come lui sente il bisogno di sottolineare che nella Costituzione non c’è la parola antifascismo? Il falso storico e giuridico si smonta facilmente: a prescindere dalla forma, per l’Italia libera di allora e di oggi la sostanza della Carta del ‘48 è nutrita di antifascismo come per Shakespeare la vita degli umani è fatta della stessa materia dei sogni. Ma allora, e di nuovo: perché la seconda carica dello Stato deve uscirsene con una frase così assurda e gratuita, alla vigilia del 25 aprile? A chi giova? A chi parla?

Rating 3.00 out of 5

I riciclati: dall’uno vale uno all’uno vale qualsiasi altro, tanti gli ex grillini che si ricollocano

domenica, Aprile 23rd, 2023

MASSIMILIANO PANARARI

La gratitudine, si sa, non è di questo mondo. Così, dopo avere ballato alla grande per un paio di stagioni (quelle del doppio mandato lecito e consentito), capita che qualcuno molli gli ormeggi. E, magari, pur senza sputare proprio nel piatto dove ha allegramente mangiato, si accorga che tutto quello che aveva predicato – con accenti spesso savonaroliani – in precedenza non vale più. Improvvisamente. Inopinatamente. Et oplà – come prescrive il manuale della perfetta capriola – eccolo (o eccola) cambiare casacca e tuffarsi a capofitto in una nuova avventura. O almeno provarci, accreditando così la sensazione che stia aderendo a quello che, a parti invertite e nella sua precedente vita politica, avrebbe bollato come voltagabbanismo (parola certificata dal Vocabolario Treccani).

Dal Movimento 5 Stelle dell’uno vale uno siamo così passati, nei casi di alcuni ex e fuoriusciti, all’uno vale tutti, o all’uno vale qualsiasi altro. Purché garantisca un posto a tavola (o una promessa di poltrona). Insomma, per chi proviene dal partito-movimento dove Beppe Grillo perorava la causa dell’economia circolare e del riciclo il riciclaggio vale anche nell’ambito della carriera. Non male per chi stigmatizzava il professionismo politico come la sentina di ogni corruzione e, vistosi messo in panchina dal divieto di terzo mandato ha pensato bene di cambiare casacca. Quella regola che, non a caso, Giuseppe Conte ha rivendicato come scelta giusta proprio nelle scorse ore, e che – al di là di quanto se ne possa pensare nello specifico – costituisce innegabilmente una delle (non molte) manifestazioni di coerenza del M5S.

D’altronde, come scriveva Schopenhauer, «declamare è più facile che dimostrare, e moraleggiare è più facile che esseri sinceri». E, sempre per rimanere nei dintorni, Nietzsche diceva che «i giudizi morali sono epidemie che hanno il loro tempo». Scaduto il quale, si potrebbe soggiungere, scatta l’operazione si salvi chi può. E dunque, Giancarlo Cancelleri, già frontman del Movimento in Sicilia, pochi giorni or sono ha fragorosamente sbattuto la porta di fronte alla scoperta (un po’tardiva…) che «l’esperienza e la professionalità non sono valori aggiunti», esclamando con indignazione – sempre immancabilmente presente, ma a corrente alternata – «altro che uno vale uno, qui uno vale l’altro! ». Così, adesso, lo ritroviamo alla convention berlusconiana a Palermo, mirabilmente seduto in seconda fila, salutato dagli applausi della platea e benedetto dall’apprezzamento di Schifani perché, va da sé, «Forza Italia è un partito aperto». E dire che Cancelleri, novello «smemorato di Caltanissetta», nel corso della sua militanza a 5 Stelle aveva cannoneggiato il centrodestra a ogni piè sospinto, accusandolo di incapacità, corruzione e candidature di collusi con la criminalità organizzata; e la frase più gentile che aveva rivolto a Berlusconi era quella di «inventore dello scilipotismo». E ora, come spesso avviene, siamo alla nemesi, perché chi di Scilipoti colpisce…

Rating 3.00 out of 5

Bonaccini: «Conte firma il quesito sull’Ucraina? La politica estera non si fa così. Nel Pd voglio garantire tutti»

domenica, Aprile 23rd, 2023

di Maria Teresa Meli

ll presidente dem Bonaccini: questo è un governo senza bussola. L’alternativa al termovalorizzatore di Roma sono nuove discariche

Bonaccini: «Conte firma il quesito sull’Ucraina? La politica estera non si fa così. Nel Pd voglio garantire tutti»
Stefano Bonaccini con a consigliera comunale Manuela Rontini e l’ex campione di ciclismo Davide Cassani

Stefano Bonaccini, siamo allo schema: fascisti-antifascisti? Finora non ha portato bene al Pd…
«Siamo alla vigilia del 25 Aprile, Festa nazionale della liberazione dal nazifascismo. Chi governa il Paese non può essere distante dai valori di libertà e antifascismo su cui si fonda la nostra Costituzione, o rimetterli in discussione. Né si può riscrivere la storia, tanto più se si ricoprono ruoli istituzionali. Non ho pregiudizi, misuro le parole e i comportamenti e torno a ripetere: Giorgia Meloni ha un problema nel suo partito. Spetta a lei risolverlo. Noi saremo nelle piazze a celebrare una ricorrenza che dovrebbe unire tutti gli italiani».

Il Pd scende in piazza sulla sanità pubblica, ma le battaglie si vincono in Parlamento. Come intendete muovervi?
«La mancanza di risorse per la sanità pubblica sta mettendo in ginocchio tutte le Regioni e con esse il Sistema sanitario nazionale. Sono certo che una mobilitazione straordinaria nel Paese parlerebbe anche a tanti che hanno votato a destra, ma che chiedono che venga garantito il diritto universale alla salute. E sono convinto che anche in Parlamento il governo avrebbe difficoltà a non rispondere a questa priorità, se incalzato con proposte serie. Come Regioni ci stiamo muovendo unite: sulla sanità pubblica bisogna investire, non tagliare».

I cattolici lamentano di non essere più rappresentati nel Partito democratico.
«Il cattolicesimo democratico è una componente costitutiva e quindi essenziale del nostro partito, senza la quale il Pd non sarebbe più il Pd. Non si tratta di una minoranza da tutelare, ma di una componente vitale del Pd, che deve essere pienamente dentro alla discussione e al percorso che ci porti a un partito più grande e più forte. Come presidente del Pd mi sento impegnato a garantire a tutti il massimo di agibilità e sono certo che la prima ad avvertire questa responsabilità sia proprio la segretaria Schlein».

Il governo vuole tagliare il cuneo fiscale, voi del Pd siete favorevoli?
«Mi sembra un governo senza bussola. Un giorno è la flat tax, il giorno dopo è il cuneo fiscale, e peraltro il nuovo taglio varrà fino a dicembre, poi non si sa se sarà confermato, un altro ancora è la diminuzione delle imposte per chi fa figli. Vivono alla giornata. Serve un taglio significativo e strutturale al costo del lavoro per avere buste paga più alte e un vantaggio per le imprese che assumono in modo stabile. È questa la scelta netta da compiere, non disperdere le risorse in mille rivoli come hanno fatto col bilancio di quest’anno, dove nessuno si è accorto di alcun beneficio. Basta chiedere alle persone se sono aumentati gli stipendi o se sono calati i prezzi».

Il Pd dice sì al termovalorizzatore di Roma e no ad altri impianti simili in futuro?
«L’alternativa al termovalorizzatore di Roma sono nuove discariche, rifiuti portati con migliaia di camion in altre parti del Paese e in Europa e spazzatura che resta accumulata per le strade. Certo, l’obiettivo su cui spingere al massimo è il contenimento dei rifiuti, la buona raccolta differenziata, l’economia circolare. Il Pnrr è anche questo, perciò è essenziale non perdere quelle risorse. Ben prima dei termovalorizzatori l’Italia deve superare le discariche, dove entro il 2035 dovrà essere conferito meno del 10% dei rifiuti. L’Emilia-Romagna è già oggi sotto il 2%, ha superato il 73% della raccolta differenziata e ha l’obiettivo di breve termine di arrivare all’80%. E intanto abbiamo già spento il primo termovalorizzatore. Serve un governo efficace del ciclo dei rifiuti, appunto. Che è quello che sta provando a fare Gualtieri a Roma, finalmente, dopo anni di ideologia e immobilismo».

Rating 3.00 out of 5

Lorenzo Fontana: «Sono pienamente antifascista. Il 25 Aprile? La Resistenza è patrimonio nazionale»

domenica, Aprile 23rd, 2023

di Marco Cremonesi

Il presidente della Camera: «Voglio ricordare il contributo di tanti cattolici. Le polemiche non fanno bene a nessuno, credo che in fondo nemmeno spostino gli elettori»

Lorenzo Fontana: «Sono pienamente antifascista. Il 25 Aprile? La Resistenza è patrimonio nazionale»

«Il 25 Aprile? È patrimonio nazionale. Patrimonio di tutti». Lorenzo Fontana scandisce bene le parole. Nella ricorrenza della Liberazione, il presidente della Camera sarà all’Altare della Patria, a fianco del capo dello Stato Sergio Mattarella, per la deposizione della corona di alloro.

Presidente, che sia di tutti ad ogni 25 Aprile — da 78 anni a questa parte — viene messo in dubbio da qualcuno.
«Di certo non da me. Io credo molto nel fatto che il 25 Aprile debba essere la festa di tutti. E dunque, proprio per questo, ritengo che sia un errore non riconoscersi in questa ricorrenza: l’antifascismo è un valore. Allo stesso modo, tante volte mi è capitato di pensare che sia un errore festeggiare la Liberazione come se fosse la festa solo di una parte, perché il suo valore è proprio questo: alla Resistenza hanno partecipato non soltanto comunisti e socialisti, ma anche liberali, monarchici e — da cattolico voglio ricordarlo — tanti cattolici. A Verona restano impresse nella memoria alcune figure».

Di chi parla?
«Di Flavio e Gedeone Corrà. Due ragazzi, militanti dell’Azione cattolica, che cominciarono a essere presi di mira perché esibivano la spilletta della loro associazione invece che quella del partito fascista. Morirono entrambi tra il marzo e l’aprile del 1945 nel campo di concentramento di Flossenbürg e la Chiesa li ha proclamati Servi di Dio».

Insomma, lei sente pienamente la Resistenza come un valore?
«Certo. Nella consapevolezza che fu una battaglia di tante persone di estrazione anche diversissima nel nome della libertà e contro il totalitarismo. Che difatti fu sconfitto dalla storia proprio perché ci fu l’iniziativa di tanti. Io credo sia un errore gravissimo il non sentirsi rappresentati da una battaglia di questo tipo. Perché fu la lotta di tutto un popolo e di tutte le sue rappresentazioni e ispirazioni politiche. Mi pare quasi banale dire che si può essere antifascisti senza essere comunisti o comunque di sinistra».

Perché parla di 25 Aprile come “patrimonio”?
«Perché lo è. È il nostro patrimonio. La Liberazione è stata il fondamento di questo Paese come lo abbiamo oggi. E il fatto che ci siano queste divisioni indebolisce il Paese in sé. Nel suo complesso. Se una festa fondante come questa non riporta a una visione comune, ci rende più deboli all’estero e al nostro interno. Quando manca una memoria condivisa, è lo Stato ad essere più debole. Io spero che questo sia un fatto che finalmente possa essere superato».

E oltre a sperarlo pensa che sarà effettivamente così?
«Questo non lo so ma il non riconoscere il valore che ci fu nella Liberazione è un errore politico, oltre che storico. Si trasmette il messaggio che questa Repubblica sia ancora oggi soltanto una questione di parte. Ma questo non è vero e sono polemiche che non fanno bene a nessuno, credo che in fondo nemmeno spostino gli elettori. Oltre a non essere utili nei confronti dei più giovani».

I più giovani rischiano di essere confusi?
«Certo. Quando parlo con i ragazzi più giovani a Montecitorio ricordo sempre loro che il Parlamento un giorno lo eleggeranno anche loro. Che potranno far entrare chi decideranno e potranno mandare a casa chi non lo merita. Ma che possono farlo perché si è combattuta una guerra di Liberazione dopo un periodo in cui tutto quello che si può fare oggi, semplicemente, non si poteva fare. Del resto, non ci si può preoccupare del calo dei votanti se ancora oggi si continuano a mettere in discussione le fondamenta. Ma il patrimonio da trasmettere ai giovani è anche questo: la consapevolezza che la libertà e la possibilità di esprimersi sono privilegi che non sono stati regalati, ma sono costati la vita a tante persone».

Rating 3.00 out of 5

Meloni e la linea ai ministri sul 25 Aprile: basta polemiche

domenica, Aprile 23rd, 2023

di Monica Guerzoni

La raccomandazione della premier dopo l’ultimo Consiglio e l’invito a partecipare alle celebrazioni ufficiali
La linea di Meloni ai ministri: niente polemiche sul 25 Aprile

L’appello della premier alla sua squadra di governo è arrivato sottovoce, nel corso dell’ultimo Consiglio dei ministri. Giorgia Meloni ha chiesto a tutti di «tenere i toni bassi» e non è la prima volta. Ma il 25 Aprile è vicinissimo e le parole della presidente del Consiglio nel chiuso di Palazzo Chigi, suonate come una moral suasion dagli accenti quasi quirinalizi, dicono molto di come sarà la prima Festa della Liberazione dell’esecutivo più a destra della storia della Repubblica. Meloni sa di avere tutti gli occhi addosso ed è piuttosto insofferente all’idea di dover affrontare un test tra storia e politica. «Non dobbiamo superare nessun esame» è lo stato d’animo della premier, stanca a dir poco di quanti, da sinistra, «pensano di farci la morale». Per dirla con un ministro «la sua storia politica è la prosecuzione di quella di Fini, quindi il suo pensiero è chiaro».

Il tema fa discutere politici e opinionisti, ma la premier sembra quasi evitarlo. Nelle ultime due interviste non ha parlato del 25 Aprile e chissà se è vero, come assicurano nelle stanze con vista su Piazza Colonna, che «non le è stata fatta la domanda». I suoi la descrivono «tranquillissima» rispetto alle celebrazioni imminenti. Eppure, nell’ultima riunione, Meloni ha invitato tutti i ministri a «evitare nuove polemiche, allentare le tensioni e mostrare il massimo della responsabilità». L’appello della premier alla «pacificazione» ha prodotto un primo effetto. Anche i più recalcitranti si sono convinti dell’opportunità di partecipare alle celebrazioni. Persino il presidente del Senato Ignazio La Russa, fresco di bufera sull’antifascismo «assente dalla Costituzione», farà tappa all’Altare della Patria. E Francesco Lollobrigida cercherà di «tornare in tempo dal G7 in Giappone», per mostrare che «non era un alibi». Quanto alla premier, nell’agenda di Palazzo Chigi c’è un solo appuntamento: «Ore 9, Altare della Patria. Il presidente del Consiglio partecipa alla cerimonia di deposizione di una corona d’alloro da parte del capo dello Stato in occasione del 78° anniversario della Liberazione». I collaboratori non confermano l’intenzione di Meloni di scrivere un post da lanciare sui social, né la voglia di far sentire pubblicamente la sua voce. Ma le due ipotesi sono tutt’altro che escluse. La Festa che ricorda la fine dell’occupazione nazista e la definitiva caduta del regime fascista è da giorni pretesto di divisioni e polemiche. E vista la reazione tempestosa delle opposizioni alle ultime esternazioni di La Russa, la premier non vuole altri incidenti a ridosso del 25 Aprile. A Palazzo Chigi nessuno conferma (e nessuno smentisce) che Meloni abbia chiesto alla seconda carica dello Stato di contenere simili uscite, che non poco imbarazzo hanno creato nel governo. «La Russa si è accorto di aver preso una cantonata», lo ha redarguito in tv l’ex presidente della Camera Gianfranco Fini. E ha ricordato la sua storica visita in Israele, quando scrisse che «il fascismo è parte del male assoluto».

Rating 3.00 out of 5
Marquee Powered By Know How Media.