Archive for Aprile, 2023

Giletti, lo sfogo dopo lo stop: “Stavamo lavorando su Dell’Utri e ci hanno fermati, chiediamoci perché”

sabato, Aprile 15th, 2023

GIUSEPPE LEGATO, GRAZIA LONGO

In un’ultima, a tratti drammatica, riunione di redazione coi suoi 35 giornalisti e collaboratori e in colloqui privati con persone vicine a lui, si è sfogato, coraggiosamente, senza filtri: «Chiediamoci perché ci hanno chiuso. Stavamo preparando tre puntate importanti, delicatissime, deflagranti. Siamo stati fermati». E giù coi temi che in redazione conoscono tutti «la strage di via D’Amelio, Marcello dell’Utri, l’ex sottosegretario D’Alì».

E che questa sia la chiave di lettura che circola tra gli autori del programma lo conferma la giornalista (sospesa) Sandra Amurri: «Mi chiedo: c’è davvero qualcuno disposto a credere che la ragione di una tale decisione della rete possa essere dipesa dal pagamento di Baiardo per le sue partecipazioni al programma? E non sia, invece, scaturita dalle inchieste in cantiere su altre verità nascoste sui cosiddetti “intoccabili?”».

Il sipario su Non è l’Arena è calato come un fulmine da due giorni, ma tra i motivi che hanno portato alla chiusura anticipata della trasmissione di La 7 non c’è sicuramente quello relativo al pagamento di Salvatore Baiardo, il gelataio pregiudicato che coprì la latitanza dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano (ora in carcere), reato per cui scontò 4 anni di carcere negli Anni Novanta.

La procura di Firenze, che indaga sulla strage di via Georgofili pianificata dal boss Messina Denaro (la cui malattia e l’imminente arresto furono «profetizzati» da Baiardo a novembre in trasmissione) ha accertato che i gettoni di presenza furono due entrambi tracciabili perché effettuati con bonifici. Uno di 10 mila euro, per la puntata del 5 novembre 2022, e uno di 5 mila per quella del 5 febbraio. Il procuratore distrettuale antimafia di Firenze Luca Tescaroli sta indagando per capire che cosa si nasconde dietro le affermazioni di Baiardo. Ha mandato messaggi in codice ad esponenti di Cosa Nostra? Custodisce davvero segreti sul presunto incontro (mai provato) tra i fratelli Graviano, Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri e il generale Delfino? Che cosa ha raccontato dietro le quinte a Massimo Giletti? Per questa ragione il noto conduttore è stato interrogato due volte, il 19 dicembre e il 23 febbraio, come persona informata sui fatti e potenziale parte offesa quindi completamente estraneo ai sospetti che gravano su Baiardo a sua volta sentito a Palermo nei giorni scorsi, ma non dai magistrati siciliani.

Rating 3.00 out of 5

Appalti impossibili, dalle carrozze per i treni alle case popolari quasi 600 gare a vuoto: persi lavori per due miliardi

sabato, Aprile 15th, 2023

PAOLO BARONI

ROMA. Il caro materie prime, ma non solo. Fatto sta che una bella fetta delle gare bandite negli ultimi otto mesi per far marciare i progetti finanziati coi fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza o attraverso il Piano nazionale complementare sono rimaste al palo. Da agosto 2022 a marzo 2023, stando alle informazioni della Banca dati nazionale dei contratti pubblici dell’Autorità nazionale anticorruzione, sono state ben 517 le gare andate deserte, a cui si aggiungono poi altre 61 procedure che si sono concluse senza esito in seguito a offerte irregolari, inammissibili, non congrue o non appropriate. Si tratta, è vero, di una frazione rispetto alle oltre 60 mila gare bandite in questo lasso di tempo, quanto basta però per impedire di mettere a terra nei tempi previsti all’incirca 1,8 miliardi di euro di investimenti.

La maggior parte delle gare andate a vuoto, ben 356, riguarda il settore dei lavori, 162 i servizi, 60 riguardano appalti per forniture. Sono soltanto 83 le gare a procedura aperta, dove tutte le imprese sono libere di partecipare e presentare offerte, andate deserte. Per il resto si tratta per lo più di procedure negoziate per affidamenti sotto soglia – ben 223 gare con questa tipologia – seguite da 199 affidamenti diretti, 52 con procedura negoziata senza previa indizione di gara e 21 procedure ristrette che prevedono una selezione qualitativa preliminare degli operatori ammessi all’appalto.

Tra le tante voci spicca una gara di Trenitalia a procedura negoziata, importo base 1.176.550.000 euro relativa alla fornitura di carrozze «Notte» per il servizio Intercity. Sempre nel Gruppo Fs quattro le gare con procedura ristretta indette da Rete ferroviaria italiana (Rfi) andate deserte: la più consistente riguarda i lavori di potenziamento sulla linea Bari-Foggia (69,85 milioni), seguita dall’appalto per la progettazione e i lavori di realizzazione del nuovo apparato centrale computerizzato Milano Certosa (31,75 milioni) e da quello dello scalo di Torino Orbassano (due gare da 39,2 milioni totali). Deserta anche la gara dell’Anas da 29 milioni di euro per realizzare il monitoraggio strutturale di ponti, viadotti e gallerie in Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia ed Emilia Romagna.

Nulla da fare a Genova per la gara europea per completare la stazione di piazza Corvetto (38,38 milioni di euro) e a Catania per i lavori per l’implementazione dei sistemi di controllo e gestione della tratta della Circumetnea tra Catania Borgo e Riposto (38,51 milioni). Lo stesso vale per l’acquisto di nuovi mezzi. L’Azienda Regionale Sarda Trasporti, ad esempio, non è riuscita ad ottenere i 46 autobus elettrici ed i 3 mezzi a idrogeno che aveva in programma posto che sono andate deserte le gare per 4 lotti (importo gara a procedura aperta 64,5 milioni). Al Comune di Napoli, invece, non è andata in porto la gara per acquistare 10 tram bidirezionali (26 milioni di euro), idem a Firenze (51 veicoli elettrici, 1,2 milioni di euro).

Pesante la situazione nel campo dell’edilizia. Tra le tante gare non hanno ricevuto offerte 3 dei 7 lotti in cui Invitalia ha suddiviso la procedura (30 milioni di euro totali) per i lavori di riqualificazione degli immobili dell’Aler Bergamo-Lecco-Sondrio. Lo stesso vale per le due gare, 32,6 milioni in tutto, bandite in Liguria dall’azienda regionale Arte per ristrutturare 2 immobili a Ventimiglia. Stessa sorte è toccata a Latina all’Azienda territoriale (gara da 14,68 milioni) e a Firenze al Comune (15,8 milioni per riqualificare un intero comprensorio urbano).

Rating 3.00 out of 5

L’orologio che ha rovinato Macron

sabato, Aprile 15th, 2023

di Aldo Cazzullo

Il presidente è fondamentalmente l’argine contro il populismo, di destra e di sinistra, ma non è riuscito a risolvere le questioni da cui il populismo trae vita e forza

S e è vero che ognuno di noi verrà ricordato per due o tre cose, allora Emmanuel Macron resterà nella memoria collettiva come il presidente con l’orologio; proprio come il suo lontano predecessore e dichiarato modello Valéry Giscard d’Estaing è ricordato come il presidente dei diamanti. Ma se quello fu uno scandalo mai chiarito che coinvolgeva un odioso dittatore, Bokassa, stavolta il presidente non ha fatto nulla di male. Si è soltanto tolto un orologio di lusso durante un’intervista televisiva in cui spiegava i motivi della propria riforma delle pensioni, contro le mobilitazioni di piazza. Nella foga dell’argomentazione ha sbattuto l’orologio; così se l’è slacciato di nascosto, tenendo per un breve e fatale attimo le mani sotto il tavolo. Ma per i suoi nemici l’ha fatto per vergogna, per occultare un simbolo di ricchezza e di privilegio proprio mentre sosteneva le ragioni per cui bisogna chiedere un sacrificio a lavoratori anziani e mal pagati.

Molto probabilmente ha ragione Macron. L’orologio non vale 80 mila euro, come hanno scritto i suoi odiatori, ma duemila: che non sono pochi, ma restano nella sfera dei fatti propri, non in quella delle brioches di Maria Antonietta, dell’ostentazione aristocratica e dello sfregio al popolo. E ovviamente ha ragione Macron pure quando ricorda che la vita si allunga e lavorare sino a 64 anni, con l’eccezione dei lavori usuranti, è necessario.

Eppure la popolarità del presidente è crollata, e secondo un sondaggio abbastanza terrificante se si votasse oggi Marine Le Pen entrerebbe trionfalmente all’Eliseo, battendo in un ballottaggio altrettanto terrificante il campione della sinistra radicale Jean-Luc Mélenchon. Ma allora, se l’orologio non era poi così costoso e la riforma prevede due soli anni di lavoro in più, perché la Francia ha reagito con tanta indignazione e tanta violenza?

Ieri sera sulla legge che Macron ha imposto in Parlamento senza avere la maggioranza dei voti si è espresso il Consiglio costituzionale: «i nove Saggi», come li ha definiti un’analisi del Figaro firmata dal soave nome di Célestine Gentilhomme, ma corredata di foto di celerini armati e scontri di inaudita durezza. Com’era prevedibile i saggi, presieduti da un vecchio e accorto arnese come Laurent Fabius che era primo ministro di Mitterrand a 37 anni e ora ne ha 76, hanno individuato una soluzione di mezzo, cassando parti secondarie della riforma ma salvandola nella sostanza. Come a dire: abbiamo ascoltato il popolo, senza boicottare il sovrano. Ora ci saranno altre fiammate, ma forse la questione si assopirà; in attesa della prossima rivolta.

Rating 3.00 out of 5

Stop alla protezione speciale, la linea dura sugli sbarchi

sabato, Aprile 15th, 2023

di Lorenzo Salvia

Il pressing leghista, poi l’intesa in maggioranza. E c’è la stretta sui permessi per cure mediche

Stop alla protezione speciale, la linea dura sugli sbarchi

Il segnale l’aveva dato in mattinata il sottosegretario all’Interno Nicola Molteni, della Lega: «Azzereremo la protezione speciale. È un unicum italiano ed è diventata nel corso degli anni una sanatoria, un fattore di attrazione di immigrazione». Una dichiarazione, quella del sottosegretario, che sosteneva il più importante dei 21 emendamenti presentati dalla Lega al decreto approvato nel Consiglio dei ministri di Cutro, dopo il naufragio che ha portato alla morte di 93 migranti.

L’accordo

Nelle stesse ore i partiti di governo si stavano confrontando proprio sugli emendamenti al decreto. E dopo Molteni è intervenuto Nicola Procaccini, eurodeputato di FdI e già portavoce di Giorgia Meloni al ministero per la Gioventù: «La protezione speciale consente di fare questo sbando che purtroppo c’è stato». Due indizi fanno quasi una prova, e infatti poco dopo arriva l’annuncio. La maggioranza ha presentato un subemendamento che cancella la protezione speciale. Il testo è stato firmato dai capigruppo in commissione Affari costituzionali Daisy Pirovano (Lega) e Marco Lisei (FdI) , primo firmatario Maurizio Gasparri per Forza Italia. I tre senatori dicono «basta alle sanatorie per tutti i clandestini».

Esulta la Lega

Ma è soprattutto la Lega a cantare vittoria, dicendo che così «si ritorna ai decreti Salvini». Mentre da FdI parlano di «maggioranza coesa nel raggiungere l’obiettivo di cancellare la cosiddetta protezione speciale». Tradotto: non si torna ai decreti sicurezza, si elimina solo una procedura specifica. Il tutto nel giorno in cui l’Onu lancia un appello proprio al nostro Paese: «Qualsiasi nuova politica nell’ambito dello stato di emergenza — dice l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i Diritti umani, Volker Türk — deve essere conforme agli obblighi dell’Italia in materia di diritti umani». Immediata la replica del capogruppo di FdI alla Camera, Tommaso Foti: «L’Alto commissario si può occupare di altre e più significative cose, anziché intromettersi nella legislazione (…) che il Parlamento approva». Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, invece, dice di «condividere quello che dice la Cei». E cioè che «non esiste un allarme, ma esiste uno stato di emergenza tecnicamente inteso che ha suggerito al governo di dotarsi di procedure semplificate per poter essere all’altezza della sfida».

Il subemendamento

Il subemendamento elimina la conversione della protezione speciale in permesso di soggiorno per lavoro. E dà una stretta ai permessi per calamità naturali e per cure mediche, quest’ultimo ammesso solo per patologie non curabili nel Paese d’origine. Visto che in commissione il dibattito va a rilento, il testo dovrebbe essere votato direttamente in Aula. Va detto che il decreto era stato oggetto di interlocuzione anche con il Quirinale, come avviene sempre in questi casi. Ma nella maggioranza si dicono tranquilli su queste nuove modifiche: «Non sono a conoscenza di interlocuzioni specifiche né di allora né di adesso — dice il capogruppo di FdI al Senato Lucio Malan — ma di sicuro si fa in modo che tutto quello che viene scritto dalla maggioranza resti nell’alveo della Costituzione».

Rating 3.00 out of 5

Il sondaggio sul Pnrr: per il 49% non rilancerà il Paese. Italiani scettici

sabato, Aprile 15th, 2023

di Nando Pagnoncelli

Solo il 3% ritiene che sarà realizzato almeno il 90% dei progetti. Prioritaria la sanità. Il 44% conosce il piano solo in parte, mentre il 28% ne ha solo sentito parlare e il 16% lo ignora del tutto

Il sondaggio sul Pnrr: per il 49% non rilancerà il Paese. Italiani scettici

Il Pnrr rappresenta una straordinaria opportunità per l’Italia di affrontare i problemi strutturali del Paese, avviare profonde riforme e favorire un processo di crescita. Si tratta di un piano che guarda al futuro, alla costruzione dell’Italia dei prossimi 10-15 anni, facendola uscire da quella sorta di «presentismo permanente» che ha caratterizzato gli ultimi due decenni, nei quali le principali scelte politiche sono state improntate al «qui e ora», spesso alla ricerca del consenso immediato, confermando il famoso aforisma secondo cui «un politico guarda alle prossime elezioni; uno statista alla prossima generazione». Nonostante la grande importanza che riveste, ad oggi il Pnrr è assai poco conosciuto, basti pensare che solamente il 12% dichiara di conoscerlo in modo approfondito e il 44% lo conosce solo in parte, mentre il 28% ne ha solo sentito parlare e il 16% ignora del tutto di cosa di tratti.

Dopo aver descritto dettagliatamente le sei «missioni» in cui si articola il piano, nel sondaggio odierno è stato chiesto alle persone intervistate di indicare le due missioni giudicate più importanti: prevale nettamente il tema della salute (citato dal 50%) sostenuto dall’aspettativa di un rafforzamento della rete territoriale di medicina e dell’ammodernamento delle dotazioni tecnologiche del Servizio sanitario nazionale; si tratta di un risultato prevedibile, dopo il trauma collettivo della pandemia che ha messo a dura prova il nostro sistema sanitario. Non a caso, sia pure con accentuazioni diverse, questa missione rappresenta la priorità per tutti, indipendentemente dalle caratteristiche socio-demografiche, dall’orientamento di voto e dal livello di conoscenza del Pnrr. A seguire troviamo la rivoluzione verde e la transizione ecologica (27%) e, a poca distanza, l’istruzione e la ricerca scientifica (24%), quindi l’inclusione e la coesione sociale e territoriale (20%), le infrastrutture per una mobilità sostenibile (19%) e, da ultimo, il capitolo, assai composito, riguardante la digitalizzazione, l’innovazione, la competitività e la cultura (14%).

Nel complesso, tuttavia, emerge un discreto scetticismo sulla possibilità che il Pnrr possa risolvere i problemi strutturali e favorire il rilancio economico del Paese: un italiano su due esprime poca (36%) o nessuna (13%) fiducia in proposito, contro solamente uno su tre che ne ha molta (4%) o abbastanza (31%). E una quota esigua (3%) prevede che verrà realizzato oltre il 90% dei progetti contenuti nel piano, mentre la maggioranza relativa (36%) è convinta che non arriveremo al 60%. I motivi dello scetticismo sono piuttosto articolati: uno su quattro (27%) ritiene che in Italia non siamo capaci di fare progetti che siano effettivamente realizzabili, uno su cinque (21%) mette in discussione le capacità del governo (la percentuale sale al 43% tra gli elettori del Pd e del M5s), mentre il 13% dubita delle capacità dei comuni e dei sindaci di «mettere a terra» i progetti e il 12% imputa il possibile flop alla mancanza di coraggio della politica preoccupata di perdere consenso per l’impopolarità di alcune riforme. Non sorprende, quindi, che la maggioranza preveda che verranno effettuati cambiamenti rispetto al piano originario presentato dal governo Draghi e approvato dell’Ue. Di questo parere sono soprattutto gli elettori del centrodestra.

Rating 3.00 out of 5

I bengalesi sul barcone sbeffeggiano l’Italia: il passaporto fatto a pezzi e lanciato in mare

venerdì, Aprile 14th, 2023

Francesca Galici

Il video sui social del Bangladesh per dimostrare come è semplice ingannarci

I bengalesi sul barcone sbeffeggiano l'Italia: il passaporto fatto a pezzi e lanciato in mare

Il passaporto con copertina verde mostrato in favore di telecamera e quella scritta in caratteri dorati ben riconoscibile: «People’s Republic of Bangladesh». Le risate e poi il gesto di sfregio che nasconde ben altro: il documento fatto a brandelli, ridotto a pezzetti, e poi lanciato in mare. Sempre ridendo, ripetendo in loop «Italie, Italie». Colpisce la leggerezza, la volontà di riprendersi mentre fanno scomparire le tracce della propria identità, con la malizia premeditata che non si sposa con la narrazione che spesso viene fatta di questi individui.

Protagonisti del video due uomini, che viaggiano a bordo di un barcone insieme ad altri migranti. Si sono anche dedicati al montaggio, aggiungendo al termine della clip che li riprende alcuni scorci dell’Italia, meta che nel momento in cui è stato girato il video è nel loro radar. Irridono il nostro Paese, sanno che senza documenti avranno la garanzia di una lunga permanenza a causa delle necessarie operazioni di riconoscimento e identificazione.

Vogliono ingannare il nostro Paese e sanno che, in questo modo, non sarà difficile farlo. Senza documenti è impossibile accertare nell’immediato la provenienza e le generalità, tutto tempo guadagnato per loro. Chissà quanti passaporti hanno fatto la stessa fine, stracciati prima di raggiungere l’Italia dai «poveri» migranti. Sono probabilmente partiti dalla Libia, hub di partenza di numerosi bangladesi che raggiungono il nostro Paese con le carrette del mare. Esistono, infatti, svariati gruppi sui social interamente dedicati all’organizzazione dei viaggi dal Bangladesh all’Italia, che prevedono il passaggio per la Libia da cui poi partono i convogli: esiste un vero mercato dell’immigrazione dedicato alla comunità bangladese in Libia.

Rating 3.00 out of 5

Il nodo “protezione”: frenata del governo sulla linea dura. La Lega non ritira i suoi emendamenti

venerdì, Aprile 14th, 2023

Gian Micalessin

Il partito di Salvini preme per la cancellazione dell”escamotage” più usato dai clandestini per non essere rimpatriati. Fdi e Fi cauti: tutto rinviato al confronto in Parlamento. E oggi la premier Meloni vola in Etiopia. Non funziona, non rientra nella normativa europea e rappresenta, in sostanza, l’escamotage legislativo più utilizzato per garantire la permanenza in Italia di decine di migliaia di migranti irregolari che altrimenti andrebbero immediatamente rimpatriati. Eppure l’istituto della «protezione speciale» resta il tema più controverso e delicato di quel «Decreto Cutro» con cui le forze di maggioranza intendono modificare e inasprire le norme sull’accoglienza. Così controverso da spingere Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia a non affidarne la modifica, come previsto, ai due emendamenti presentati ieri in commissione Affari Costituzionali del Senato. Tutto viene rimandato, invece, alla prossima settimana quando l’argomento verrà dibattuto nell’aula del Parlamento. Dalla decisione traspaiono le diverse sensibilità con cui le forze di governo affrontano una riforma trasformatasi nel nodo di Gordio del «Decreto Cutro». La Lega preme per la cancellazione della protezione speciale e non intende – spiega il capogruppo leghista a Palazzo Madama Massimiliano Romeo – ritirare i 21 emendamenti presentati al decreto. Fratelli d’Italia, ed in parte Forza Italia, consigliano, invece, maggior cautela. Il partito di Giorgia Meloni e quello di Silvio Berlusconi temono che una modifica troppo radicale, non accompagnata da un voto dell’aula, sollevi le perplessità del Quirinale rendendo possibile un rinvio alle Camere del decreto. I timori riguardano, comunque, soltanto le modalità con cui eliminare le norme della protezione speciale, non la necessità e l’urgenza di farlo. Le forze di maggioranza sono concordi nel considerarla un obbrobrio giuridico varato dal governo Conte Due al solo scopo di resuscitare la protezione umanitaria, cancellata nel 2018 da Salvini, riconquistando così i consensi dei fondamentalisti dell’accoglienza. Una convinzione confermata da numeri e risultati non certo positivi. Presentata da Pd, M5S e sinistra come norma fondamentale per far emergere dalla clandestinità i migranti e farli approdare al mercato del lavoro la protezione speciale si è rivelata un fallimento totale. Introdotta il 22 ottobre 2020 con un decreto firmato dall’allora ministro dell’Interno Luciana Lamorgese la protezione speciale ha garantito, in meno di tre anni, più di 45mila permessi di soggiorno biennali ad altrettanti migranti privi di tutti i requisiti previsti dalle norme europee sull’asilo. Nel contempo ha traghettato nel mondo del lavoro poco più di 2680 soggetti. Confermando così la tendenza – assai diffusa tra i migranti irregolari – a considerare l’Italia una semplice piattaforma dove attendere un passaggio verso Francia, Germania o destinazioni più favorevoli senza perseguire, nel frattempo, una possibile integrazione o regolarizzazione. E a renderla un istituto ancor più inadeguato s’aggiungono contenuti in palese contrasto con le rigide norme europee sul diritto alla protezione internazionale. Per giustificare il divieto di respingimento o espulsione dello straniero la protezione speciale arriva ad invocare il mancato «rispetto della vita privata e familiare del migrante» equiparandolo ad una «violazione del diritto». E impone di valutare la concessione del permesso di soggiorno sulla base della natura e dell’effettività dei vincoli familiari dell’interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine.

Rating 3.00 out of 5

“Vi svelo tutti gli errori di Calenda”

venerdì, Aprile 14th, 2023

Francesco Curridori

Francesco Capone, membro dell’assemblea nazionale di Azione, rivela le criticità del partito di Carlo Calenda e fa il punto sulla situazione del centro

“Vogliamo rappresentare lo spirito azionista e liberal-progressista di Piero Gobetti. Ci richiamiamo al social-liberalismo e siamo molto più aperti di un cattolico su determinati temi etici”. Francesco Capone, membro dell’assemblea nazionale di Azione, che sabato inaugurerà l’Associazione di cultura politica “Rinascimento Azionista”, fa il punto sulla situazione del centro.

Cosa sta succedendo nel Terzo Polo?

“Sinceramente non so cosa stia succedendo ai piani alti. Noi militanti siamo d’accordo sul partito unico e ci spiace vedere che sia la dirigenza di Azione sia quella di Italia Viva non stiano facendo una bella figura. Corriamo il rischio di perdere un’occasione storica anche perché le differenze tra i due partiti sono pochissime, quasi non esistono. Spero che la situazione si risolva”.

Ma perché la base di Azione è in subbuglio?

“La base di Azione, invece, non è in subbuglio, ma si sta organizzando così da rappresentare quell’area liberaldemocratica e progressista che ha un forte spirito civico, il seme originario del partito fondato da Calenda nel 2019. L’arrivo di innesti da Forza Italia e da altri partiti hanno portato in Azione delle diverse sensibilità e noi, anche in vista di un futuro partito unico, intendiamo rappresentare quella componente liberaldemocratica che si ispira al partito d’Azione del Dopoguerra”.

Quali scelte di Calenda non ha condiviso?

“Il senatore Calenda è un leader carismatico, ma molte decisioni del mio partito non le ho condivise. Tra queste la scelta iniziale di schierarsi col Pd alle Politiche, l’arrivo della Gelmini e della Carfagna a cui è stata data la presidenza del partito anche se fino a pochi mesi prima si trovava su fronti opposti al nostro. Ci stati forti malumori in Puglia e Basilicata per alcune candidature alle elezioni Politiche. personalmente non ho condiviso neppure la scelta della Moratti in Lombardia e di Armao in Sicilia perché ambedue erano vicepresidenti di una giunta regionale a cui facevamo opposizione. Ciò non significa chiudere la porta alla Moratti o alla Carfagna, ma, anche se si tratta di persone che hanno avuto responsabilità di governo, avrei voluto che avessero fatto un periodo da semplici militanti”.

Rating 3.00 out of 5

Solo 4 miliardi per l’Irpef e ora nel Def rispunta la revisione del Catasto

venerdì, Aprile 14th, 2023

Luca Monticelli

ROMA. Otto miliardi di euro in due anni per il lavoro e il fisco: troppo poco per chiamarlo tesoretto. La prossima legge di Bilancio parte in salita, la coperta è già cortissima. Ci sono 3,4 miliardi di euro che dal mese prossimo e fino a dicembre andranno a tagliare il cuneo fiscale, rendendo le buste paga dei lavoratori con redditi medio bassi un po’ più pesanti, e poi 4,5 miliardi che nel 2024 serviranno a finanziare la riforma del fisco, soprattutto per aiutare le famiglie. Il governo chiederà alle Camere di utilizzare questi soldi in deficit per sostenere il potere d’acquisto degli italiani eroso dall’inflazione.

Lo spazio fiscale dello 0,2% del Pil per l’anno prossimo è frutto della differenza tra un indebitamento tendenziale al 3,5% e uno programmatico al 3,7%, che, si legge nel Documento di economia e finanza pubblicato ieri nella sua versione definitiva, «verrà destinato al Fondo per la riduzione della pressione fiscale». Sono allo studio anche misure per aumentare l’importo dell’assegno unico per i figli.

La riforma delle tasse, perciò, non verrà coperta solo con il riordino delle agevolazioni e con le somme recuperate dalla lotta all’evasione, ma sarà finanziata con l’apporto del deficit.

Il sentiero è sempre più stretto: la spesa per interessi è destinata a salire fino a 100 miliardi nel 2026; l’inflazione è stimata al 5,7% quest’anno, al 2,7 nel 2024 per tornare al 2% solo nel biennio 2025-26. La spesa per la previdenza sale al 16,1% del Pil (la più alta a livello Ocse), superando il 17% nel 2036 per poi imboccare un trend leggermente in discesa dopo il 2040. Non a caso, non si fanno ipotesi su quanti soldi potrebbero essere messi sul piatto per la riforma delle pensioni. Un altro esempio emblematico è rappresentato dal ponte sullo stretto: costa 13 miliardi e mezzo e al momento «non esistono coperture finanziarie disponibili a legislazione vigente; pertanto, dovranno essere individuate in legge di Bilancio».

Il quadro finanziario per il 2024 sarà più chiaro con la Nadef di fine settembre, ma di fatto la prossima manovra parte da quattro miliardi e mezzo. Pochi, visto che i collegati individuati sono 21: dal fisco alle pensioni, e poi il lavoro, la scuola, la disabilità, il turismo, la giustizia e così via. Sarà necessario rafforzare la spending review: le riduzioni di spesa dei ministeri proseguono e consentono una riduzione complessiva di 1,5 miliardi nel 2024, 2 miliardi nel 2025 e 2,2 miliardi a partire dal 2026. I risparmi saranno destinati anche ai rinnovi contrattuali della pa. La situazione di incertezza a livello internazionale obbliga alla prudenza, tuttavia il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti sottolinea nella premessa del Def che è «del tutto realistico puntare per i prossimi anni a un aumento del tasso di crescita del Pil e dell’occupazione che vada ben oltre le previsioni».

Rating 3.00 out of 5

L’invisibile fragilità dei 18 anni

venerdì, Aprile 14th, 2023

Annalisa Cuzzocrea

È inutile guardare dentro quel telefonino. Inutile spiare un video, chiedere agli amici, aspettare l’autopsia, perché mai nessuno capirà fino in fondo cosa sia successo. Non possiamo sapere nulla di Julia Ituma e dei suoi pensieri di 18enne forte, audace, splendente, quindi è di noi che dobbiamo parlare. Di questo spaesamento che ci prende là dove immaginiamo possa esistere solo bellezza e troviamo dolore. Di questa incapacità di accettare che si possa morire cadendo da una finestra a 18 anni e spezzare così un filo che fino a un minuto prima ci appariva fortissimo. Un filo che doveva condurre a vittorie, sconfitte, balli, baci, carezze, film, canzoni, schiacciate, abbracci, vita, futuro, e che invece all’improvviso non conduce più a nulla.

Può succedere tutto a 18 anni. Può succedere tutto sempre, è vero, ma a 18 anni di più, perché è quando la vita batte più forte. Quando schiacci più forte, corri più forte, senti tutto – emozioni, paure, ansia, aspettative, speranza – più di quanto pensassi di poter sentire. La gioia e la rabbia, l’entusiasmo e il vuoto. È vita che preme fino a scoppiare e noi non siamo fatti per accettare che diventi il suo opposto. Se accade stiamo lì ipnotizzati a cercare tracce, chiederci perché, cosa avremmo dovuto vedere o capire prima, cosa non abbiamo fatto per. È così per ogni morte improvvisa, ma forse di più quando a morire è una ragazza che fino a pochissimo tempo fa era una bambina e quindi affidata a noi: alla nostra capacità di guardare e di capire, di sorvegliare e di proteggere.

È solo di noi che possiamo parlare e di noi sappiamo questo: che spesso, a un certo punto, i ragazzi che vorremmo proteggere tirano su un muro e noi non riusciamo più a guardarci dentro. Non pensiamo come loro, non reagiamo come loro, non sentiamo come loro e quel che ci resta sono solo la paura e la speranza che alla fine vada tutto bene perché questo promettono le loro braccia forti, le gambe sicure, il sorriso aperto. Si è parlato molto durante quest’anno della fragilità inaspettata delle giovani atlete. Si è parlato molto, dopo il Covid, di una generazione che ha sempre più bisogno di aiuto e adesso lo chiede, perfino. Come stanno facendo gli universitari scoperchiando il tabù dell’ansia e della paura dell’insuccesso che ha portato a troppi suicidi solo negli ultimi mesi. Come fanno i ragazzi che si presentano nelle neuropsichiatrie al collasso con tagli alle braccia, alle gambe, il corpo ferito dalla fame o dal desiderio di sentire dolore.

Rating 3.00 out of 5
Marquee Powered By Know How Media.