Archive for Aprile, 2023

Guerra Russia Ucraina, individuato il presunto responsabile dei leaks del Pentagono, un razzista patito di armi che lavorava in una base militare

giovedì, Aprile 13th, 2023

a cura della redazione

L’esercito russo ha portato via più di 100.000 bambini ucraini dalle regioni occupate di Donetsk e Luhansk per «cure mediche». Lo riferisce il Centro di resistenza nazionale ucraino, come riporta il Kyiv Indipendent. Secondo il centro, la Russia ha stanziato 17 milioni di dollari per il cosiddetto «programma di visita medica». Alla maggior parte dei bambini ucraini viene raccomandato il trattamento medico in Russia e i genitori non possono rifiutarlo senza essere minacciati di perdere i propri diritti genitoriali.

Le immagini dalla bodycam del soldato ucraino: ecco cosa significa combattere a Bakhmut

Un video che mostra la decapitazione di un soldato ucraino ha generato sgomento e condanna da parte delle autorità di Kiev e della comunità internazionale. L’Ucraina si appella alla Corte penale internazionale affinché presti immediatamente attenzione. Il Cremlino lo ha definito «orribile» e ha avvertito che doveva essere verificato, mentre il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha invitato i leader a reagire contro le azioni di terrore della Russia.

Zelensky sulla decapitazione del prigioniero ucraino: “Non è un caso isolato, i russi sono bestie che uccidono con facilità”

Intanto continuano a emergere nuovi dettagli sui documenti dell’intelligence Usa diffusi online. Tra questi ve n’è uno in particolare che delinea quattro scenari ‘jolly’ che potrebbero influenzare l’andamento del conflitto in Ucraina, come la morte del presidente russo Vladimir Putin o quella di Zelensky. Durante una visita ufficiale a Madrid il ministro della Difesa ucraino Oleksii Reznikov ha riferito che i documenti trafugati contengono un mix di notizie vere e di falsità. E che le notizie vere non sono più attuali. Il ministro ha quindi categoricamente smentito la presenza di forze speciali della Nato sul suolo ucraino, come sembrano indicare i documenti, e si è detto convinto che la pubblicazione di questi è un’operazione che è stata condotta per minare la fiducia degli alleati negli Stati Uniti.

La Russia ha testato il lancio di un missile balistico intercontinentale

07:35

Individuato il presunto responsabile della fuga di documenti dal Pentagono

Rating 3.00 out of 5

Video decapitazione, la rivelazione dell’ex mercenario di Wagner Andrei Medvedev: riconosco senza equivoco le voci, sono stati loro

giovedì, Aprile 13th, 2023

Jacopo Iacoboni

«Lavoriamo, fratelli! Tagliategli la testa! Spezzategli la spina dorsale! Che c’è, non hai mai tagliato una c… di spina dorsale prima? Fino alla fine, c…!».

Il video diffuso ieri è oltre l’orrore, ma la storia merita di essere raccontata e ricostruita perché è un altro squarcio sulla mostruosità del male nella guerra della Russia all’Ucraina. Le immagini sono state filmate da quello che sembra essere un soldato russo, mentre un suo commilitone taglia la testa – in un lago di sangue – a un uomo ancora vivo, che secondo i canali Telegram che hanno postato la storia, si ritiene sia un prigioniero di guerra ucraino. La vittima, all’inizio della scena, urla, grida «fa maleeee!», supplica «non farlo». Poi ovviamente non parla più.
Sono diversi i canali Telegram russi che ieri hanno rilanciato questo orrore. Che non va confuso con un secondo video, anche questo diffuso ieri, dove si vedono due soldati ucraini già decapitati. Il secondo potrebbe esser stato filmato dai mercenari del Gruppo Wagner vicino a Bakhmut. Mostra un veicolo corazzato distrutto (probabilmente un corazzato da trasporto truppe M113) e due cadaveri decapitati di soldati ucraini. Evgheny Prigozhin, il fondatore del Gruppo Wagner, i cui combattenti sono già stati visti tagliare teste in Siria, ieri ha commentato: «È brutto quando le teste delle persone vengono tagliate, ma non ho trovato da nessuna parte che ciò stia accadendo vicino a Bakhmut e che i combattenti del Wagner Pmc siano coinvolti», ha detto. Ma il capo di Wagner non ha parlato del primo video: quello con l’esecuzione in diretta di un uomo mentre è vivo. Andrey Medvedev, l’ex combattente di Wagner che era fuggito in Norvegia (ma ora è agli arresti in Svezia per essersi allontanato illegalmente da Oslo), ha dichiarato in serata al dissidente Vladimir Osechkin, fondatore del sito Gulagu, di aver riconosciuto le voci di mercenari di Wagner nell’esecuzione. Ma non si hanno altre prove a confermarlo.

Rating 3.00 out of 5

Così Giorgetti tiene il punto sulle nomine e sui conti

giovedì, Aprile 13th, 2023

di Federico Fubini

Così Giorgetti tiene il punto sulle nomine e sui conti

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti

Giancarlo Giorgetti il suo segno a questo giro — nomine più Documento di economia e finanza — lo ha lasciato senza dire una parola. Né in pubblico, né in riunioni nelle quali fossero presenti più di una manciata di persone di totale fiducia. Anche perché sapeva, il ministro dell’Economia, di trovarsi fra due campi gravitazionali riguardo alle società partecipate rispetto ai quali non poteva navigare né troppo vicino, né troppo lontano.

Nella Lega, il suo partito, aveva già preso forma un comitato neanche troppo informale per la selezione e valutazione dei nomi considerati per i ruoli di vertice e nei consigli di amministrazione delle società a controllo pubblico. Fra i componenti: il sottosegretario all’Economia Federico Freni, il deputato della commissione Finanze Giulio Centemero e l’altro deputato Alberto Bagnai (quest’ultimo aveva persino sviluppato un sistema di rating dei possibili candidati, tipo cacciatori di teste). Dall’altra parte Giorgetti aveva un altro campo gravitazionale, più forte: il gruppo a quattro composto dalla premier Giorgia Meloni, dal segretario del suo partito Matteo Salvini e poi, per Forza Italia, Antonio Tajani e soprattutto Gianni Letta. Era fra quei quattro, e solo fra loro, che si sono giocati i nomi dei presidenti e degli amministratori delegati delle prime quattro società quotate a controllo pubblico.

A quel punto il ministro dell’Economia, chiuso nel solito riserbo, ha preso atto di un ulteriore elemento: l’attenzione crescente degli investitori esteri. Da settimane vari fondi stavano contattando il suo dicastero per capire che intenzioni avesse il governo soprattutto per quanto riguarda Enel, prima società quotata italiana con un valore di Borsa di 66 miliardi, con i maggiori investitori globali nel capitale e circa metà del fatturato all’estero. Era chiaro che un amministratore delegato senza esperienza internazionale, che non parla inglese, non poteva andare.

Rating 3.00 out of 5

Nomine, un giorno di veti e ricomposizioni. Poi Lega e Forza Italia la spuntano su Scaroni e Cattaneo

giovedì, Aprile 13th, 2023

di Monica Guerzoni 

La premier e le scelte di Cingolani, Pontecorvo e Di Foggia, la prima donna ad. Salvini soddisfatto per Cattaneo e De Biasio, Forza Italia per Scaroni, Descalzi e Del Fante

Il Ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi, il capo della Polizia, Lamberto Giannini, e la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, durante la cerimonia per il 171mo anniversario della Polizia di Stato alla Terrazza del Pincio, Roma, 12 aprile 2023.   ANSA/MASSIMO PERCOSSI

C’è voluta un’altra giornata di colloqui, incontri, scontri, veti e limature per chiudere le tanto attese liste dei cda delle grandi aziende quotate dello Stato. Un doppio test, sulla stabilità della maggioranza e sul potere (o strapotere) di Giorgia Meloni alla guida dell’esecutivo. L’altoltà della Lega, che si è mossa di sponda con Forza Italia, ha avuto l’effetto di rendere meno piena la vittoria della premier e ricompattare una coalizione che rischiava di uscire stropicciata dal gioco della seggiola. 

Alla fine anche la premier è soddisfatta, contenta di aver conquistato Leonardo con l’ex ministro draghiano Roberto Cingolani e con Stefano Pontecorvo e felice di aver difeso per Giuseppina Di Foggia il posto di prima donna ad. Lei lo declina al maschile, «amministratore delegato», ma può dire di aver mantenuto la promessa: «Mi ero impegnata, io non mollo facilmente». Martedì, quando Giancarlo Giorgetti è salito sul volo per gli Usa, la presidente e i suoi vice hanno fatto le ore piccole. Prima Giorgia Meloni, Antonio Tajani e Matteo Salvini, poi anche Giovambattista Fazzolari e Gianni Letta hanno lavorato di penna e bianchetto a Palazzo Chigi, cercando un difficile equilibrio in grado di scongiurare scossoni sul governo. «Bella giornata» è il bilancio finale dei meloniani, magari un po’ edulcorato. 

La novità più vistosa, oltre al «siluramento» di Stefano Donnarumma, è il ticket formato da Flavio Cattaneo e Paolo Scaroni all’Enel. Una scelta condivisa da Tajani e Salvini, che sono riusciti così a contenere Meloni. Il leader della Lega, che da settimane contrastava la determinazione della premier nel voler promuovere Donnarumma da Terna a Enel, ha segnato un punto e può brindare anche alla nomina di Cattaneo. L’ex direttore generale Rai, poi ad di Terna e Telecom Italia e vicepresidente di Italo-Ntv, era alla festa a sorpresa per i 50 anni di Salvini. 

Rating 3.00 out of 5

Terzo polo, è guerra fredda. Calenda: «Così il partito unico non nasce». I renziani: «Ci ha detto basta Leopolda»

giovedì, Aprile 13th, 2023

di Claudio Bozza

Intesa vicina, poi lo strappo. La stilettata dell’ex ministro al “suo” ex premier per le conferenze a gettone: «Basta conflitti d’interesse». Ora si tenta l’ultima mediazione

Terzo polo, è guerra fredda. Calenda: «Così il partito unico non nasce». I renziani: «Ci ha detto basta Leopolda»

Alla fine era sembrato come un incontro di wrestling. Politicamente è volato più di un cazzotto, qualche mossa spettacolare, ma alla fine nessuno sembrava essersi fatto male davvero, almeno per ora, perché a rimetterci seriamente sarebbero entrambi. Le 48 ore di duro scontro tra Calenda e Renzi sembravano essersi concluse con una pax armata. Poi, a tarda sera, quando le delegazioni di Azione e Italia viva stavano dandosi appuntamento per il giorno dopo per chiudere l’accordo, Calenda è uscito dal vertice sbottando: «Un nulla di fatto, così il partito unico non nasce».

Eppure secondo quando era emerso fino ad allora, i rappresentanti dei due partiti sembravano aver trovato l’intesa su un documento che metteva nero su bianco il percorso verso il partito unico del Terzo polo, impegnandosi addirittura ad eleggere un segretario entro il prossimo ottobre. «La riunione è iniziata con le parole di Maria Elena Boschi, non precisamente di reciproco rispetto. Noi con Matteo Richetti siamo stati oggetto di attacchi molto violenti. Abbiamo chiarito che questo non è il modo con cui si lavora».

Dal fronte avversario, però, ascoltate le dichiarazioni del leader di Azione, i toni sono altrettanto forti: «Ci ha chiesto di non fare più la Leopolda. Questo è inaccettabile». Ma da Calenda sarebbe arrivata anche un’altra stilettata: «Abbiamo chiarito che negli organi direttivi del partito non potrà esserci chi ha conflitti di interesse». E anche in questo caso il convitato di pietra era Renzi, già più volte criticato in passato per la sua attività di senatore-conferenziere a pagamento, in particolar modo nei Paesi arabi.

Rating 3.00 out of 5

Governo, il principio di realtà

mercoledì, Aprile 12th, 2023

MASSIMO FRANCO

Attribuire le responsabilità di quanto accade solo al governo in carica sa di alibi delle minoranze almeno quanto sa di scaricabarile della destra la tentazione di addebitarle all’esecutivo di Draghi. Sarebbe meglio prendere atto della situazione e discuterne in modo meno elettoralistico

Governo, il principio di realtà
Matteo Salvini e Giorgia Meloni (Ansa)

È difficile sottrarsi all’impressione di un governo sovrastato dalle emergenze. E circondato da una mole così imponente di variabili, da essere costretto a fotografarle e arginarle: senza potere ancora abbozzare una strategia in grado di prevenirle e sconfiggerle. Vale per l’immigrazione, che si presenta come un problema strutturale, fronteggiato ieri con la proclamazione di uno «stato di emergenza» di sei mesi. Anche lessicalmente, infatti, la risposta riflette un fenomeno difficilmente governabile; e aggravato dalla persistente indifferenza di gran parte dei Paesi europei.

Può darsi che alla fine il provvedimento serva davvero a rendere più efficaci e rapide le risposte. Ma sia l’esiguità dei fondi destinati allo scopo, sia i timori di un aggravamento del problema, già emerso nelle ultime settimane, consigliano cautela. Sottolineare troppo l’efficacia di misure che alla fine debbono fare i conti con una realtà difficile rischia sempre di rivelarsi a doppio taglio; e di dare fiato a opposizioni che oscillano tra istinti autodistruttivi e estremismo antigovernativo. Si tratta di dinamiche sempre più evidenti anche quando si parla di Piano per la ripresa.

Il fatto che la logica emergenziale si proietti quasi per inerzia perfino su un progetto strategico per l’Italia, finisce per oscurare limiti oggettivi e margini di manovra risicati.

Per quante critiche si possano rivolgere al governo di destra guidato da Giorgia Meloni, sottovoce il giudizio condiviso è che qualunque esecutivo si sarebbe trovato a affrontare problemi simili: di ritardi, di infrastrutture inadeguate, di difficoltà a spendere i finanziamenti europei.

L’opacità che si riscontra in alcuni dei progetti in incubazione è in primo luogo il frutto di una zavorra burocratica e culturale; e di un cambiamento dello sfondo in cui l’esecutivo è costretto a operare. Pandemia ma soprattutto aggressione russa all’Ucraina sono oggettivamente elementi di trasformazione dai quali nessuna nazione europea può prescindere. Probabilmente, quando a Palazzo Chigi c’era Mario Draghi, la durezza della realtà veniva percepita in modo meno drammatico. Ma si intravedeva già allora.

È comprensibile che da sinistra si accusi Palazzo Chigi di mettere in discussione un’occasione storica per riformare il Paese. L’ammissione delle strozzature, fatta nelle scorse settimane da esponenti del governo, conferma un percorso tutt’altro che facile. Rivela la volontà di non nascondere una serie di passaggi che metteranno a dura prova la credibilità dell’Italia; e di evitare che una battuta d’arresto sui finanziamenti possa essere sfruttata da chi in Europa li ha sempre considerati troppo generosi, e magari aspira a ricalibrarli a proprio vantaggio.

Rating 3.00 out of 5

Il Pd cala, il centrodestra sale ancora: il sondaggio che preoccupa la Schlein

mercoledì, Aprile 12th, 2023

Luca Sablone

Il quadro della politica italiana inizia a mostrare i primi cambiamenti di assoluto rilievo dopo mesi di calma piatta. Il centrodestra resta abbondantemente la coalizione verso cui gli italiani nutrono maggiore fiducia, rafforzando ancora di più il vantaggio rispetto alla sinistra. I partiti che compongono la maggioranza di governo attraversano un momento positivo, mentre quasi tutti quelli che si trovano all’opposizione perdono terreno. È quanto emerge dall’ultimo sondaggio di Tecnè per l’Agenzia Dire.

I numeri del sondaggio

Non si registra alcuna novità al vertice: Fratelli d’Italia resta stabile al 29,7% e si mantiene molto avanti a discapito degli altri avversari che occupano il podio. Arriva la battuta d’arresto per il Partito democratico di Elly Schlein: i dem nel giro di una settimana perdono lo 0,2% e vanno al 19,8%, scendendo così sotto la soglia del 20%. Lascia voti per strada anche il Movimento 5 Stelle che – con una lieve flessione negativa dello 0,1% – cala al 15,4%.

Cresce invece la Lega di Matteo Salvini, che porta a casa un incremento dello 0,1% che fa salire il Carroccio all’8,7%. La sostanziale novità riguarda il boom di Forza Italia: gli azzurri in soli sette giorni mettono a segno un ottimo +0,7% e volano all’8,1%. I forzisti sorpassano così il Terzo Polo che – pur salendo dello 0,1% – si ferma al 7,4%.

Infine si trovano i restanti partiti che possono contare su minori preferenze rispetto ai principali partiti del nostro Paese: Verdi-Sinistra italiana al 3,1% (-0,1%), +Europa al 2,1% (-0,2%) e Italexit con Gianluigi Paragone all’1,6% (-0,1%). La quota di preferenza per altri partiti si attesta al 4,1%, in calo dello 0,2%.

Rating 3.00 out of 5

Beni culturali, super multe a chi rovina i monumenti

mercoledì, Aprile 12th, 2023

Multe fino a 60mila euro per chi imbratta o vandalizza monumenti. Le prevede il disegno di legge recante «Disposizioni sanzionatorie in materia di distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici» presentato nel Consiglio dei ministri odierno, su proposta del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, che l’AGI ha potuto visionare. Lo schema all’esame del Cdm, composto da un articolo, stabilisce che, «ferme le sanzioni penali applicabili, chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende in tutto o in parte inservibili o non fruibili beni culturali o paesaggistici propri o altrui è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 20.000 a euro 60.000».

Ecco com'è ridotta la Barcaccia di piazza di Spagna dopo il blitz degli eco-teppisti

Video su questo argomento

Chi «deturpa o imbratta beni culturali o paesaggistici propri o altrui, ovvero destina i beni culturali a un uso pregiudizievole per la loro conservazione o integrità ovvero a un uso incompatibile con il loro carattere storico o artistico, è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 10.000 a euro 40.000». Il verbale contenente l’accertamento e la contestazione delle violazioni deve essere notificato al responsabile entro 120 giorni dal giorno in cui il fatto è stato commesso. I proventi delle sanzioni sono devoluti al Ministero della cultura che lo destinerà «prioritariamente» per il ripristino dei beni imbrattati o danneggiati. Se si paga la sanzione entro 30 giorni dalla notifica, si può godere di uno ’scontò, ma non se questo sconto si è ottenuto nei 5 anni precedenti il fatto. «Per tutto quanto non espressamente indicato è applicabile la legge 689/1981. Quando per lo stesso fatto è stata applicata la sanzione amministrativa pecuniaria indicata ai commi 1 e 2 o una sanzione penale, l’autorità giudiziaria e l’autorità amministrativa tengono conto delle misure punitive già irrogate e la sanzione pecuniaria amministrativa »è limitata alla parte eccedente quella riscossa« dall’autorità amministrativa o da quella giudiziaria. La proposta ha carattere ordinamentale e non determina nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, precisa la relazione tecnica. L’ipotesi di sanzione amministrativa ’doppià quella già prevista dll’articolo 518 duodecies del codice penale e »fa salve le ulteriori e diverse sanzioni da questo previste«.

Rating 3.00 out of 5

Il nodo delle nomine: Descalzi regista ispira la premier, i fedelissimi per energia e difesa

mercoledì, Aprile 12th, 2023

ILARIO LOMBARDO

ROMA. Per dire del caos: poco prima della mezzanotte l’incertezza è tale che due fonti diverse davano due nomi diversi per la stessa poltrona di amministratore delegato di Enel. Una, Stefano Donnarumma, come da volontà di Giorgia Meloni. L’altra, Flavio Cattaneo, pluri-sponsorizzato, sostenuto dalla Lega, ma mai digerito fino in fondo dalla premier.

Le trattative sprofondano nella notte, ma se va come da ultimo foglietto fatto filtrare da Palazzo Chigi, ha prevalso una visione precisa, condivisa da Meloni e dall’ad di Eni Claudio Descalzi, che punta a dare un’assicurazione geopolitica all’Italia, legando con il fil di ferro della politica industriale l’energia, Eni, e la difesa, Leonardo. In tempi di guerra, le grandi aziende di Stato hanno un valore strategico ancora più alto, sono la piattaforma fondamentale per custodire l’interesse nazionale di fronte ai venti freddi di un nuovo scontro globale. L’impoverimento improvviso di gas russo, dopo l’invasione dell’Ucraina ordinata da Vladimir Putin, e la riformulazione dei principi di deterrenza, che ha accompagnato la fornitura di armi dell’Occidente a Kiev, ha reso necessario blindare i settori dell’energia e della sicurezza, militare e civile. Così ci spiegano da Palazzo Chigi il pensiero di Giorgia Meloni, dopo la ormai quasi certa conferma degli amministratori delegati delle cinque big partecipate. Che poi è il pensiero di chi ha sussurrato all’orecchio della presidente del Consiglio sin dal giorno in cui ha ricevuto la campanella dalle mani di Mario Draghi. Descalzi è il vero regista di queste nomine di Stato. Della prima linea dei manager scelti, imposti o confermati.

La cronaca delle ore finali della serata di trattative spiega bene i complicati rapporti tra gli alleati di centrodestra. Intorno alle 20 viene annunciata informalmente una nota per le 23. Alle 22 il comunicato è sospeso. La scusa ufficiale è il viaggio di Giancarlo Giorgetti verso Washington. Il ministro dell’Economia è in volo e si vuole attenderlo, perché è lui a dover firmare le liste. In realtà ci sono nodi ancora non sciolti. Sulle presidenze, sulle compensazioni da offrire a leghisti e berlusconiani. E per capire il senso più politico dello schema di collocazioni voluto da Meloni bisogna tornare sempre allo stesso nome, quello che ha fatto ballare la coalizione di governo per settimane. Da lì si capisce tutto il resto. «Roberto Cingolani ci serve a Leonardo». E su questa posizione Meloni è rimasta fino a ieri sera, nonostante le minacce di sabotaggio di Lega e Forza Italia. È una manovra a due, eseguita con la partecipazione di Descalzi, che con l’ex ministro della Transizione ecologica del governo Draghi ha saldato un’alleanza cruciale. Cingolani è l’uomo che dovrebbe traghettare verso l’ignoto mare della cybersecurity i business di Leonardo, con un occhio alla guerra ibrida di Putin, agli eserciti di hacker che dall’Oriente più prossimo a quello più estremo potrebbero lanciare attacchi alle reti che trasportano elettricità e gas. Per questo Meloni ha sempre interpretato come un pacchetto unico la scelta di tutti gli amministratori delegati: Descalzi, Cingolani, ma anche i manager delle altre due grandi società che si occupano di energia e reti, Stefano Donnarumma, osteggiatissimo dai leghisti ma che la leader di FdI ha chiesto di far traslocare da Terna a Enel, e Giuseppina Di Foggia, unica donna Ceo come la presidente del Consiglio aveva promesso lo scorso 8 marzo.

Questi i punti fermi di Meloni, attorno ai quali ha aperto un tavolo con i recalcitranti alleati e compagni di partito. Tra tanti no, qualche sì, qualche ripensamento, la premier ha condotto una trattativa in un clima levantino. Con furbizie e attese. Al suo fianco, sempre Giovambattista Fazzolari. Negoziatore di fiducia, come lo sono Andrea Paganella per Matteo Salvini e Gianni Letta per Antonio Tajani in rappresentanza di Silvio Berlusconi. Ieri erano tutti presenti, all’ultimo decisivo confronto. Teso, dicono. Con momenti anche di imbarazzo, come quando è stato fatto presente che non sarebbe stato carino nei confronti di Berlusconi, mentre è in terapia intensiva, deluderlo sull’unico nome che aveva sponsorizzato tramite Letta: Paolo Scaroni. Meloni ha fatto di tutto per evitare di averlo alla presidenza dell’Enel, come chiesto, controproponendo prima Terna e poi – senza troppa convinzione – Poste. Alla fine, pare, abbia ceduto proprio per rispetto al momento non facile di Berlusconi.

Rating 3.00 out of 5

Lo scacco matto della Premier

mercoledì, Aprile 12th, 2023

Stefano Lepri

Un leader che vuole durare deve tentare di guardare più in là dei partiti che lo sostengono; deve almeno far mostra di sottrarsi a patteggiamenti di potere quando si tratta di aziende che hanno un peso importante nell’economia del Paese. Giorgia Meloni ha intrapreso questa sfida con ambizione ma deve accettare compromessi.

Riuscirà a imporre alla guida di Leonardo, ex Finmeccanica, azienda di importanza anche militare, un tecnico senza etichette di partito come Roberto Cingolani (che però ha scarsa esperienza come manager). Rischia invece di subire il recupero come presidente Enel di Paolo Scaroni, che all’Eni fino al 2014 promosse la dipendenza dalle forniture di gas russo.

Comunque vada, dopo un accordo frutto di vari do ut des, le nuove dirigenze societarie che usciranno da questa prova saranno meno forti. Non va bene, proprio in una fase in cui nuovi importanti investimenti, quelli legati al Pnrr, richiederanno anzi maggiore incisività ed efficienza, specie da parte di chi si occupa di energia.

Si è discusso di poltrone da occupare senza mai discutere nel merito se i capi azienda da sostituire o da confermare abbiano operato bene o male durante i loro mandati; se alcune scelte fossero buone o cattive, o se semplicemente, dopo anni che la stessa persona è alla guida, si ritiene preferibile un ricambio.

Le questioni di sostanza restano eluse. L’Eni ha saputo realizzare in poco più di un anno prima sotto il governo Draghi poi sotto l’attuale, una conversione rapida delle forniture per svincolarsi da Mosca. Però non si è mai chiarito se le alternative ora sfruttate, come l’Algeria, fossero state disponibili già da prima e perché fossero state scartate.

Se scelte anche valide, su queste aziende che molto contribuiscono all’immagine dell’Italia all’estero, vengono controbilanciate da patteggiamenti su altre, si rischia di allarmare gli investitori privati dai quali proviene una fetta consistente del capitale azionario. Sarà lecito domandarsi se d’ora in poi le mosse aziendali saranno sottoposte a maggiore influenza politica.

Negli anni ’80, furono queste pratiche perverse – compresa la «lottizzazione» degli incarichi di dirigente fino ai livelli intermedi – a completare il dissesto di aziende già deformate dal loro asservimento a scopi di consenso politico. Alcune furono chiuse, altre vendute; negli anni ’90 nuovi manager capaci dovettero faticare molto per ritrovare l’efficienza, ma per fortuna ci riuscirono.

Quei tempi non possono ritornare. Mercati aperti e concorrenziali e azionisti di minoranza attenti non lo permettono. Ai manager poco disposti a sottomettersi è più facile sbattere la porta. Però in un Paese dall’amministrazione inefficiente e dalla politica sempre assai permeata dalla corruzione le grandi partecipate di Stato svolgono un ruolo cruciale.

Rating 3.00 out of 5
Marquee Powered By Know How Media.