Archive for Aprile, 2023

I sindacati affilano le armi per il Primo maggio. L’ombra dell’agguato sul concertone della Rai

sabato, Aprile 29th, 2023

Paolo Bracalini

Lo slogan che Cgil, Cisl e Uil hanno scelto è «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro». Il riferimento della giornata e del tradizionale concertone in piazza San Giovanni a Roma, a Roma è duplice: ai 75 anni della Costituzione e alla questione del lavoro che, contemporaneamente alla kermesse musicale, andrà in scena anche a Palazzo Chigi, con un Cdm sul pacchetto lavoro molto contestato proprio dai sindacati. Una concomitanza che offre tutte le premesse per un «trappolone» in diretta tv, con la kermesse utilizzata per «comizi» antigovernativi. Il precedente più vicino è quello di Sanremo, a pochi giorni dalle elezioni regionali, quando il richiamo alla Costituzione (nello spettacolo di Benigni) è servito per un attacco al governo. Ma l’altro precedente è proprio il concerto del primo maggio, edizione del 2021, quando il palco fu utilizzato dal solito Fedez per un comizio anti-leghista in difesa della legge Zan. A maggior ragione stavolta, con il centrodestra al governo e per giunta riunito nelle stesse ore a Palazzo Chigi sul tema lavoro (inclusa la radicale modifica dell’attuale reddito di cittadinanza versione m5s), si teme una sbandata propagandistica di qualche artista sul palco. In Rai non escludono sorprese: «Incognite ce ne sono sempre quando fai un evento così sussurrano i muri di Viale Mazzini -, ce n’erano anche con Saremo che è un evento prodotto dalla Rai su cui quindi abbiamo più controllo, figuriamoci con il concertone del primo maggio…». La kermesse infatti è organizzata dai sindacati e prodotta da una società esterna, la «iCompany» di Massimo Bonelli (oggi in conferenza stampa renderà noti tutti gli ospiti dell’evento). La Rai ha solo acquisito diritti di trasmissione, non entra nella scelta degli artisti né su quello che diranno sul palco. «Saranno i conduttori che dovranno prendere le distanze se qualcuno andrà fuori dalle righe» commentano da Viale Mazzini. Il direttore dell’Intrattenimento Prime Time Rai Stefano Coletta, ha messo già le mani avanti: «Non c’è nessuna strumentalizzazione, né volontà di politicizzare in chiave antigovernativa. Poi, certo, altro sono gli imprevisti che, per chi ha fede, può conoscerli solo il Padre Eterno. Faremo di tutto perché sia una festa ma se l’artista x o y abbia intenzione di trasgredire non è prevedibile». Un palco del genere può incoraggiare qualche cantante in cerca di polemica per guadagnare visibilità, in stile Ferragnez. Al momento la lista di una cinquantina di artisti va dai sanremesi Lazza e Tananai, a Piero Pelù, Francesco Gabbani e i Righeira, ma in queste ore si sta trattando anche per altri nomi.

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Calo demografico? “Bloccare l’età pensionabile”: riparte il tormentone dei sindacati

sabato, Aprile 29th, 2023

di Antonio Mastrapasqua

Ci risiamo. È ripartito il tormentone delle pensioni. La Cisl chiede di riaprire un tavolo di confronto, la Cgil minaccia già scioperi a maggio. Sarà il contagio francese? È bene ricordare che il conflitto scatenatosi Oltralpe si riferisce a norme che non sembrano prevedere correzioni. Le “salvaguardie” per gli “esodati” sembrano vocaboli senza traduzione in francese. È altrettanto opportuno sottolineare che i programmi delle agitazioni annunciate in Italia dal segretario della Cgil, Maurizio Landini, riguardano tre sabati: il 6, il 13 e il 20 maggio. Nulla a che vedere con la durezza e la ferialità (anche ferinità, forse) dei cugini che protestano e han protestato tutti i giorni della settimana, non solo festivi o prefestivi.


Nei fatti il Documento di economia e finanza (Def) del Governo non indica alcuna risorsa che il Governo dovrebbe stanziare per il superare la legge Fornero. E questo irrita le organizzazioni sindacali. Ma c’è da preoccuparsi? Gli ultimi numeri che si leggono dicono che quasi 3 milioni di nuovi pensionati accederanno alla quiescenza per anzianità, quindi ben prima della soglia tanto vituperata dei 67 anni e rotti. Già oggi, su un totale di 17,7 milioni di pensioni erogate dall’Inps (al primo gennaio 2023) oltre 5 milioni sono di anzianità, o “anticipate”. Con buona pace dei giovani che vedono ingrossare le fila dei titolari di trattamento pensionistico.


ASSISTENZA
Nel solo 2022 l’Inps ha pagato 1.350.222 nuove pensioni, il 46,5% delle quali di natura assistenziale. Di quei 17,7 milioni di pensioni, i tre quarti sono di natura previdenziale (cioè liquidate in base ai contributi versati) e circa 4 milioni (il 22,8%) con una fisionomia assistenziale. Il costo complessivo degli assegni liquidati è di 231 miliardi: 206,6 miliardi sostenuti dalle gestioni previdenziali e 24,4 miliardi riconducibili all’assistenza. In questo quadro, che non dovrebbe rassicurare i giovani lavoratori – non dico i trentenni, ma nemmeno i quarantenni – bisogna ricordare l’“inverno demografico” che ci vede con una natalità stabilmente sotto i 400mila neonati l’anno, e un invecchiamento della popolazione che ci pone in cima a ogni classifica (insieme a Giappone e a Principato di Monaco).

USCITA IN DISCUSSIONE
E c’è ancora chi discute della riforma delle pensioni, immaginando di ridurre l’età di uscita. E c’è chi si rifugia in dibattiti politici che poco o nulla hanno a che fare con i dati attuariali. Non solo, molti si avventurano ancora – nel tempo della sacrosanta inclusione – a verificare il colore dei contributi previdenziali, ragionando su chi possa garantire le prossime pensioni. Immigrati sì, immigrati no? Che senso ha? Se ha un senso riguarda solo la polemica politica. Stupisce che in questo vortice di opinioni – di opinioni si tratta – si getti anche chi ha il ruolo del responsabile dell’Amministrazione pubblica che deve assicurare il migliore servizio in base alle leggi dello Stato vigenti.

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Giorgetti e Meloni, retroscena sul caos Def: “Sostituire i parlamentari?”

sabato, Aprile 29th, 2023

Alla fine il disastro sul Def è rientrato, almeno parzialmente. Dopo lo scivolone di giovedì, venerdì Camera e Senato hanno approvato la nuova relazione sullo scostamento di bilancio pur con sedute particolarmente movimentate (specialmente a Montecitorio, con il Pd uscito platealmente dall’aula). Ma nel centrodestra restano perplessità, recriminazioni e accuse striscianti. 

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, a botta calda dopo la prima bocciatura, era stato forse il più duro (“Questi non hanno capito…”). Poi il numero 2 della Lega è anche uno dei primi a cercare di gettare acqua sul fuoco: “Dagli errori si impara, spero in futuro non si ripetano situazioni simili”. Un monito per tutti, alleati e leghisti, anche se il dito è puntato soprattutto sulle assenze tra le fila di Forza Italia. In questo senso, anche la premier Giorgia Meloni da Londra, colta di sorpresa più di tutti dalla prima, imprevista bocciatura, invoca calma: non c’è nessun “complotto” dietro, si è trattato solo di “una svista, ma non deve accadere più”. Anche perché l’imbarazzo è stato pesante, avendola colta in viaggio politico dal premier britannico Sunak. A rincuorarla, gli ottimi dati sulla ripresa italiana.

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Lavoro, addio Reddito. Norme più stringenti per avere il sussidio

sabato, Aprile 29th, 2023

Luca Monticelli

ROMA. Il governo non trova pace sul reddito di cittadinanza. A due giorni dal Consiglio dei ministri del primo maggio convocato per approvare il decreto lavoro, ecco che arriva la terza bozza che cambia di nuovo il nome al sussidio caro ai 5 stelle. Si chiamerà «assegno di inclusione» – che ricorda tanto il reddito di inclusione varato dal governo Gentiloni nel 2017 – e partirà dal 1° gennaio del 2024. Per gli «occupabili», invece, è confermato il contributo di 350 euro per 12 mesi dal 1° settembre di quest’anno. Anche in questo caso l’esecutivo sceglie un nome diverso: «Strumento di attivazione». Alla fine la stretta per gli occupabili c’è perché il sussidio viene praticamente dimezzato e diventa temporaneo. Ma non ci sarà il risparmio preventivato dal centrodestra e sbandierato in campagna elettorale, perché per l’anno prossimo le coperture necessarie si attestano intorno agli 8 miliardi, visto che solo le 426 mila famiglie con all’interno gli “occupabili” costeranno allo Stato oltre 2 miliardi. I risparmi verranno probabilmente dal 2025 in poi, ma bisognerà vedere a che prezzo, perché se chi oggi prende il sussidio e fra un anno non ha trovato un lavoro resterà senza alcun reddito.

I requisiti

L’assegno di inclusione è destinato ai nuclei familiari in cui ci sono disabili, minori o over 60, e potrà arrivare a 500 euro al mese moltiplicati per la scala di equivalenza fino a un massimo di 2,3. A questa cifra si possono sommare 280 euro mensili per pagare l’affitto. La famiglia che lo richiede deve avere un Isee non superiore a 9.360 euro e un reddito familiare inferiore a 6.000 annui. L’Isee è stato riportato alla soglia in vigore con il reddito di cittadinanza, dopo che la bozza precedente l’aveva abbassato a 7.200 euro. Confermato anche il requisito di residenza in Italia di 5 anni per gli stranieri (gli ultimi due in modo continuativo), mentre finora era di 10. Il valore del patrimonio immobiliare diverso dalla casa di abitazione non può superare i 30 mila euro e non si devono possedere auto sopra i 1.600 di cilindrata o moto oltre i 250 cavalli. L’assegno è erogato per un periodo non superiore a diciotto mesi e può essere rinnovato, con 30 giorni di pausa, ogni 12 mesi. Si può cumulare al sussidio un lavoretto che frutta 3 mila euro lordi all’anno. La famiglia perde il beneficio economico se uno dei componenti rifiuta un’offerta di lavoro che preveda un rapporto di almeno un mese. L’offerta è considerata congrua in tutta Italia senza limiti di distanza dalla residenza se il contratto proposto supera i 12 mesi. Ogni tre mesi gli interessati saranno tenuti a recarsi negli uffici dei servizi sociali o presso i patronati per aggiornare la propria posizione.

Per le persone tra i 18 e i 59 anni che non hanno i requisiti per ottenere l’assegno di inclusione scatta lo Strumento di attivazione, che però sarà erogato solo nel caso di partecipazione ad attività formative o a progetti utili alla collettività.

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La Repubblica dei narcisi: da almeno vent’anni non c’è leader che non abbia ceduto alla vanità

sabato, Aprile 29th, 2023

Flavia Perina

La vanità è sentimento chiave della politica italiana almeno da un ventennio e non c’è leader che non abbia ceduto alle lusinghe di Narciso, dalle bandane giovanilistiche di Silvio Berlusconi ai fazzoletti quadri-puntuti di Giuseppe Conte che furono persino oggetto di cliccatissimi tutorial: «Il tessuto deve essere prezioso, il bordo cucito a mano», spiegava il sarto Maurizio Marinella, anche se era un altro, Maurizio Talarico, ad attribuirsi il merito di aver insegnato il trucco all’ex premier. In mezzo c’è il giubbotto da Fonzie di Matteo Renzi (rivendicato sempre come un elemento di valore) e le indimenticabili scarpe di Massimo D’Alema e i cachemire di Fausto Bertinotti e di recente persino il regalo di Natale acquistato da Louis Vuitton (una sciarpa) dal più improbabile dei clienti del lusso, Pierluigi Bersani, o la cravatta verde a torso nudo di Matteo Salvini sulla copertina di Oggi.

La vanità estetica, si dice, nella Prima Repubblica non esisteva, era considerata un peccato. Mica è tanto vero. Pure allora c’era chi la coltivava in silenzio. Francesco Cossiga, secondo indiscrezioni mai smentite, disegnò personalmente la divisa del suo consigliere militare per migliorarne l’eleganza e quindi accompagnarsi a un personaggio più autorevole. L’eterno maglione nero di Pannella, i guanti di Luigi Pintor e i jeans di Emma Bonino (con su scritto: “Ne hanno viste di tutti i colori”) finirono addirittura all’asta per finanziare i Radicali: cos’erano se non espressioni del power dressing dell’epoca, icone tangibili di leadership ma pure segnali di temperamenti votati all’esibizione di sé, un po’ per motivi politici e un po’ per propensione personale?

Ora che c’è cascata pure Elly Schlein, con la sua armocromista che consiglia il color glauco, sembra che la vanità sia solo roba sua. Il Diavolo veste Prada, dicono, ma non dovrebbe vestire la sinistra perché quel Diavolo è roba di destra e a loro va lasciata: agli outfit di Daniela Santanché, agli Armani di Giorgia Meloni, alle messe in piega estreme di Maria Elisabetta Casellati. E tuttavia si osserverà che senza vanità, senza estetica, senza personaggismo, la politica non possiamo neanche immaginarla più, e che persino l’ostentazione della non-vanità (i contestatissimi stivali di Aboubakar Soumahoro, i sandali senza calzini del grillino Carlo Martelli) è in realtà un atto immodesto, un modo di mettersi in mostra. È l’accappatoio al supermercato del Grande Lebowsky: vengo qui come mi trovo, non sono vanitoso. Sì, vabbè…

La vanità è il motore interiore di ogni comizio, e volendo pesare – lo si dovrà fare, adesso che ci sono due donne in vetta alla politica italiana – la consistenza vanitosa di maschi e femmine sulla scena del nostro potere non c’è dubbio che vincano i maschi, a mani basse. Il Dandy (Conte), il Ruspante (Salvini), il Giovane (Renzi), il Professore (Enrico Letta), il Barricadero (Alessandro Di Battista), il Bravo Ragazzo (Luigi Di Maio), l’Irriducibile (Ignazio La Russa), il Moderato (Giancarlo Giorgetti), il Disinibito (Carlo Calenda): ognuno coltiva il suo messaggio estetico con accorgimenti costanti, che non riguardano solo l’abbigliamento ma anche per così dire gli accessori, le fidanzate e le mogli, gli assistenti, le auto, le biciclette o le moto (anche d’acqua), le vacanze, tantoché il peccato al color salvia della consulente di Elly Schlein sembra davvero poca cosa.

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Meloni prova a rassicurare gli investitori della City: “Il Pil corre, il Pnrr si farà”

sabato, Aprile 29th, 2023

dal nostro inviato Ilario Lombardo

Nei volti e nelle parole degli analisti e degli uomini della finanza c’è tutto il realismo di una città come Londra. Aspettare, vedere, giudicare. L’Italia è un osservato speciale, ma non c’è un rischio 2011, quando lo spread fece collassare il governo Berlusconi e trascinò il Paese a un passo dal fallimento. Però il futuro come economia credibile a livello globale si gioca tutto con il Pnrr. La crescita dello 0,5% di Pil che autorizza le dichiarazioni trionfanti nel governo, è una buona notizia, ma non è abbastanza. È il Recovery la chiave, sostengono gli investitori: la realizzazione dei progetti negoziati con l’Europa. Almeno così sembra raccogliendo sensazioni e previsioni durante il ricevimento all’Ambasciata italiana di Grosvenor Square dedicato alla visita di Giorgia Meloni.

Ci sono circa 400 invitati tra imprenditori, Camera di commercio locale, aziende dell’agroalimentare. Ci sono anche banche d’affari, fondi e rappresentanti del mondo della finanza – Black Rock, Lazard, Hsbc -, e si intravedono facce più o meno conosciute: Lorenzo Codogno, ex capo economista al Tesoro, oggi analista; Domenico Siniscalco, vice chairman di Morgan Stanley Europa, rimasto per settimane in cima al totonomi per il ministero dell’Economia del governo Meloni; Filippo Taddei, ex consigliere economico di Palazzo Chigi ai tempi di Matteo Renzi, oggi capo economista per il Sud Europa di Goldman Sachs, la banca d’affari che ha appena bocciato i titoli di Stato italiani; Matteo Cominetta di Barings, società di investimento, con un portafogli di oltre 387 miliardi di euro. Non è un incontro con la City, di quelli che si organizzano con premier o ministri quando c’è da rassicurare i mercati, ristretti a poche persone. «Non ce n’è bisogno», precisano da Palazzo Chigi. Non ci sono colloqui bilaterali, o confronti a margine con Meloni.

Il bilancio personale dei due giorni londinesi della premier è un debutto di successo nel cuore dei conservatori. Il bilaterale con il primo ministro inglese Rishi Sunak è andato bene, e ieri la presidente del Consiglio ha anche ricevuto il Premio Grotius del Policy Exchange, think thank di ispirazione Tory. Con lei ci sono il compagno Andrea Giambruno e la figlia Ginevra: resteranno nella capitale inglese ancora un giorno, per una brevissima vacanza. Tra gli italiani presenti in Ambasciata c’è curiosità per una leader che ancora una parte del Regno Unito considera un’estremista post-fascista.

Alla finanza interessano poco queste letture politiche. Il ragionamento è più pragmatico: il vero appuntamento per l’Italia sarà il rapporto sul Pnrr a fine giugno, lo stato di avanzamento dei lavori e i progetti rivisti. La revisione è in ritardo e gli avvertimenti di Goldman Sachs e dell’agenzia di rating Moody’s sono solo i primi segnali di allarme. La sostenibilità di un debito enorme e l’appeal dei titoli di Stato dipendono anche dalla riforma del Patto di Stabilità e della ratifica sul Mes, che Meloni continua a rinviare. Questa è in sintesi l’analisi delgi investitori di casa a Londra. Tutto si tiene, sotto la più importante sfida per l’Italia: il Pnrr. Giriamo i dubbi degli investitori alla presidente del Consiglio, che però la vede diversamente. «Questa preoccupazione dei mercati finanziari non la leggo. Io vedo uno spread sotto la media dello scorso anno, la borsa che sale, una previsione di crescita del Pil più alta di Francia e Germania e di quel che era stato previsto. I fatti dicono che l’economia italiana sta andando bene. È questo che guardano i mercati». I fatti, secondo Meloni, sono la stima Istat sul Pil del primo trimestre (+0,5% sul trimestre precedente e +1,8% tendenziale), il confronto con il Pil tedesco che è fermo, e con la crescita francese che non va oltre lo 0,2%. «Non si può sempre fare il Tafazzi anche quando le cose vanno bene».

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Salari, l’Italia ultima in Europa: respirano solo i dipendenti dei ministeri

sabato, Aprile 29th, 2023

Francesco Bertolino

Le banche centrali sono preoccupate che la rincorsa fra prezzi e salari alimenti l’inflazione in Europa. In Italia possono stare tranquille: la gara non è mai cominciata.

Fra gennaio e marzo la retribuzione oraria media è aumentata del 2,2% rispetto al 2022. Nello stesso periodo i prezzi al consumo sono cresciuti dell’8,2%. Una forbice del 6% che taglia il potere d’acquisto. Quando il tasso d’inflazione è superiore agli incrementi delle buste paga, infatti, significa che il costo della vita sta salendo più in fretta della capacità di spesa. E in Italia il distacco sta aumentando. L’anno scorso il compenso orario medio è cresciuto del 2,3% in Italia, il dato più basso dell’Unione europea, e nell’arco del triennio 2019 e 2022 l’incremento è stato inferiore al 3%.

Stando alle analisi dell’Ocse, così, i salari reali in Italia sono calati di oltre il 2% in un anno. Il dato non è lontano da quello registrato in altri Paesi europei che, anzi, in alcuni casi hanno fatto peggio. Altrove, però, la rincorsa è iniziata. In Germania, per esempio, governo e sindacati hanno appena raggiunto un accordo per alzare gli stipendi dei dipendenti statali in media del 5,5%, accordando loro anche un bonus una tantum anti-inflazione di 3000 euro. In Francia, invece, l’adeguamento automatico del salario minimo sta trascinando al rialzo le retribuzioni.

In Italia, assenti meccanismi di indicizzazione all’inflazione, gran parte degli stipendi sono fermi al palo. «C’è un problema salariale grande come una casa», ha tuonato il segretario della Cgil, Maurizio Landini.«Abbiamo avanzato delle richieste precise» al governo. «C’è bisogno di ridurre di cinque punti il cuneo contributivo, di ripristinare il fiscal drag per far sì che gli aumenti lordi corrispondano agli aumenti netti e non siano mangiati dalle aliquote fiscale», ha aggiunto. «Poi c’è un problema di tassare la rendita e i profitti e di ridistribuirli e di fare una seria riforma fiscale».

Landini ha infine sottolineato la necessità di rinnovare al più presto gli accordi collettivi che, in mancanza del salario minimo, sono il principale strumento di aggiornamento retributivo. «Il Governo, che è il datore di lavoro, non ha messo un euro per rinnovare i contratti del settore pubblico, ha concluso. «E così non si va da nessuna parte».

I dipendenti pubblici non sono gli unici a sperare in un nuovo accordo collettivo che consenta il recupero di almeno parte del potere di acquisto perso negli ultimi tempi. La Cgil calcola che a marzo dei 188 contratti firmati dalle sigle Confederali 112 risultano attualmente scaduti, il 61%. Nel complesso, 7 milioni di lavoratori italiani sono in attesa di un rinnovo, un’attesa che si protrae in media per quasi due anni ma che per un quarto dei contratti supera i quattro anni. Spesso si tratta di categorie di lavoratori poco sindacalizzate o attive in settore in crisi, dove il potere negoziale delle maestranze è inferiore. Secondo l’Istat, i lavoratori di edilizia,commercio, farmacie private, pubblici esercizi e alberghiI non hanno ottenuto incrementi salariali nellnell’ultimo anno. Hanno invece beneficiato di incrementi significativi i vigili del fuoco (+11,7%), dipendenti dei ministeri (+9,3%) e del servizio sanitario nazionale (+6,4%).

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Dove permane l’obbligo delle mascherine: dagli ospedali alle Rsa, la nuova ordinanza

sabato, Aprile 29th, 2023

Nel giorno in cui il report settimanale certifica un ulteriore calo dell’incidenza dei nuovi contagi, scesi da 48 a 39 casi ogni 100mila abitanti, il ministero della Salute licenzia la nuova ordinanza con le linee guida sull’utilizzo degli strumenti di prevenzione del virus. Il documento, che resterà in vigore fino al 31 dicembre, conferma l’obbligo di indossare la mascherina per “lavoratori, utenti e visitatori delle strutture sanitarie all’interno dei reparti che ospitano pazienti fragili, anziani o immunodepressi, specialmente se ad alta intensità di cura”.

Negli ambulatori è confermata “la discrezionalità dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta”. L’obbligo viene meno per i bambini di età inferiore ai 6 anni, per le persone con patologie o disabilità incompatibili con l’uso della mascherina stessa, nonché per le persone che devono comunicare con una persona con disabilità in modo da non poter fare uso del dispositivo. Altrettanto discrezionale è l’esecuzione del tampone per l’accesso ai Pronto soccorso, la cui decisione viene rimandata alle Direzioni Sanitarie e delle Autorità Regionali. “Ho firmato oggi l’ordinanza che limita l’obbligatorietà delle mascherine negli ospedali ai reparti a maggior intensità di cura e con i pazienti più fragili oltre alle Rsa – ha dichiarato il ministro della Salute, Orazio Schillaci -. Questo testimonia che finalmente stiamo uscendo da questa terribile pandemia che ha limitato le nostre vite negli ultimi tre anni e confido molto che il prossimo 20 maggio anche l’Oms dichiari la fine della pandemia – aggiunge -. Guardiamo con ottimismo al futuro, ma siamo pronti in caso di nuove emergenze a intervenire tempestivamente per continuare a salvaguardare la salute pubblica e i nostri cittadini. Ci avviamo verso l’estate e guardiamo al prossimo autunno con ottimismo, fiduciosi che l’Oms a breve dichiari la fine della pandemia”.

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Schlein? “Sinistra da serie Netflix”, Bertinotti salva solo il personal shopper

sabato, Aprile 29th, 2023

Armocromia unica via? Da giorni nella sinistra si parla solo delle scelte di moda confidate dalla segretaria del Pd Elly Schlein a Vogue. Un esperto del tema è Fausto Bertinotti, che commenta le ultime uscite della dem con Repubblica a patto di non parlare del famoso maglioncino di cachemire. Schlein ha detto di avvalersi di una personal shopper ed esperta di abbinamenti di colore, tra l’altro con tariffe tutt’altro democratiche (si parla di 300 euro l’ora). “La capisco, oggi c’è grande attenzione alle forme di comunicazione estetica. Fa parte di questo nuovo mondo, non è il mio, ma lo guardo con curiosità” dice l’ex segretario dei Rifondazione comunista.

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Il diritto di tornare a casa

sabato, Aprile 29th, 2023

di Massimo Gramellini

Nei quartieri che sorgono intorno alle stazioni di Roma e Milano i diritti delle donne sono sospesi dal tramonto all’alba. Alludo al diritto elementare di prendere un treno o di rientrare a casa senza tremare al pensiero che un’ombra possa spuntare all’improvviso da un portone o dentro un ascensore, come è appena successo alla Centrale di Milano. Lì una giovane passeggera franco-marocchina in partenza per Parigi è stata violentata più volte da uno sconosciuto di origini nordafricane e senza fissa dimora, incastrato dalle videocamere e dal senso civico di un passante che ha visto la scena e, anziché tirare dritto (come altri), è corso ad avvertire la vigilanza. Intanto sulle pagine romane del Corriere leggo che gli albergatori dell’Esquilino denunciano di non poter più assumere donne per i turni di notte e del primo mattino: troppi i rischi di agguati e soprusi di ogni tipo. Non va certamente meglio alle residenti: quale ragazza che abita dalle parti di stazione Termini e di piazza Vittorio osa rincasare da sola dopo una certa ora?

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