Archive for Aprile 20th, 2023

Emergenza clima in Europa, i dati allarmanti: “Nuovi record di caldo nel 2023 e 2024 con El Niño”

giovedì, Aprile 20th, 2023

L’anno più caldo e siccitoso di sempre. La situazione climatica del 2022 è stata caratterizzata da un caldo estremo senza precedenti e condizioni di siccità diffusa. Lo evidenzia il rapporto annuale sullo stato del clima europeo (ESOTC), pubblicato oggi sulla base dei dati raccolti dal servizio sui cambiamenti climatici di Copernicus. «I risultati – si legge nel rapporto – mostrano l’aumento delle temperature e l’intensificarsi degli eventi estremi e offrono una panoramica del clima dello scorso anno in un contesto a lungo termine». Stando a quanto emerge dall’indagine, in Europa è stato registrato il secondo anno più caldo mai registrato, mentre l’estate è stata caratterizzata dalle temperature più elevate dall’inizio dei record. Gran parte dell’Europa ha subito ondate di caldo intense e prolungate. Le scarse precipitazioni, inoltre, hanno portato a una diffusa siccità. “Le temperature in tutta Europa – riportano gli scienziati – stanno aumentando al doppio del tasso medio globale, più veloce rispetto a qualsiasi altro continente».
Caldo record quest’estate
E le emissioni sulle proiezioni per i prossimi mesi sono tutt’altro che entusiasmanti. I principali modelli matematici indicano che l’estate potrà essere torrida e siccitosa, con temperature che nel cuore dell’Europa e nel Mediterraneo potranno essere molto più elevate della media. Insomma, il trend di un incremento di caldo e siccità continuerà.
Emissioni record
Tornando ai dati 2022, il report evidenzia che le emissioni europee di carbonio associate agli incendi estivi sono state le più alte degli ultimi 15 anni, con alcuni paesi che hanno registrato i livelli di emissioni più elevati degli ultimi 20 anni. Questi, in estrema sintesi, sono i dati relativi al tasso di frequenza di incendi che emergono dal rapporto annuale sullo stato del clima europeo (ESOTC), divulgato oggi dagli scienziati del Copernicus Climate Change Service (C3S). I ricercatori hanno confrontato i dati raccolti dal 1850, quando e’ iniziato il monitoraggio, per ricostruire un quadro temporale accurato e puntuale dell’andamento dei fattori legati al cambiamento climatico in Europa. «I risultati – scrivono gli autori – hanno evidenziato aumenti significativi delle emissioni di carbonio associate agli incendi boschivi, specialmente nell’estate del 2022 e in particolare in determinate regioni europee. Il tasso di episodi e fenomeni naturali estremi è aumentato notevolmente anche a causa delle condizioni più calde e secche che si sono verificate nel continente».

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Fisco, grandi opere, Pnrr Made in Italy e “Mia”. Parte la sfida delle riforme

giovedì, Aprile 20th, 2023

Stefano Zurlo

Eppur si muove. Piano piano, troppo per chi credeva in una partenza da fenomeni, il governo comincia a delineare il grande affresco delle riforme. Siamo all’inizio, anzi per l’opposizione siamo soli ai titoli, ma al di là delle scintille di giornata alcuni temi portanti iniziano a prendere forma.

C’è finalmente la delega fiscale che ha iniziato la sua perigliosa navigazione con l’obiettivo di consegnarci un sistema tributario meno contorto e più trasparente e con l’ambizione di portare tutti nella terra promessa della flat tax.

Molti esperti sostengono che non ci sono i soldi per provare anche solo ad alleggerire la pressione su cittadini e imprese, ma la sfida è lanciata. Così come presto dovrebbe arrivare il decreto sul reddito di cittadinanza e le politiche attive, capitolo doloroso di tutti i governi che molto hanno promesso e poco realizzato.

Per ora, dai giornali, sappiamo che il reddito, ribattezzato Mia e poi spezzettato nel trittico Gil-Gal-Pal, si assottiglierà come la platea di coloro che continueranno a riceverlo sul famoso divano. Per il resto, si cerca in tutti i modi di far rientrare nel circuito produttivo chi oggi è fermo ma avrebbe le carte per andare in ufficio o in fabbrica. L’idea di una sorta di bonus braccia conserte tendenzialmente a vita è considerata un freno allo sviluppo, di più un insulto alla cultura del lavoro.

Tamponate in qualche modo le prime emergenze, dai rave al superbonus scassaconti, l’esecutivo prova a spingere sull’acceleratore delle grandi opere, a partire naturalmente dal simbolo dei simboli, il ponte sullo Stretto, finora solo una costosissima montagna di disegni ma si spera presto – nell’arco di sei anni promettono i tecnici – una realtà.

Non c’ è solo il ponte, perché ci sono poi i binari dell’alta velocità, fra Sud e Nord-Est, uno dei capitoli più corposi del Pnrr, a sua volta la madre di tutte le riforme, il nuovo Piano Marshall per far avanzare un Paese che si è in parte ripiegato su se stesso. Il Pnrr è un’eredità, pesante, del governo Draghi ma Meloni si gioca la sua credibilità, fra polemiche e critiche, proprio sul raggiungimento dei numerosi target previsti. Il Pnrr vuole smuovere il Paese, incartato in una sequenza di no, ma costringe anche la pubblica amministrazione a ripensare se stessa: ecco, in una ideale staffetta Draghi Meloni, il nuovo codice degli appalti, appena presentato dal ministro Matteo Salvini, all’insegna della velocizzazione dei tempi e del disboscamento delle procedure.

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Tensione al Senato sul decreto migranti. “La sinistra sulle navi e poi alle cene vip”. Oggi il sì dell’Aula con un testo corretto

giovedì, Aprile 20th, 2023

Francesco Boezi

Marcia serrata per il dl Cutro sui migranti che oggi sarà approvato in Senato, per poi approdare alla Camera nella prima settimana di maggio. Ieri è stata una giornata tesa e costellata dai veleni e dalle critiche provenienti dagli scranni dell’opposizione. È valso anche per la Camera, dove il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha dovuto replicare ad accuse di «incompetenza» arrivate dai grillini, spiegando come la «protezione speciale» debba essere prevista per chi davvero «fugge da pericoli».

La Schlein, da distanza, ha provato ad attaccare la Meloni sostenendo che la premier voglia importare il modello ungherese. A Palazzo Madama, tutta la minoranza si è scagliata contro la presentazione di un emendamento «canguro» da parte del governo, ossia di un intervento con parecchie modifiche rispetto al testo base. Una mossa quest’ultima – su cui il governo è poi tornato indietro, facendo ripartire i lavori d’Aula che erano stati sospesi. Più in generale, esiste un orientamento ideologico che va oltre le scaramucce procedurali. Il centrodestra vuole una stretta, compresa una riduzione sostanziale della «protezione speciale». Il centrosinistra considera questo provvedimento e i suoi effetti «pericolosi» e «disumani». Marco Lisei, senatore di Fdi e firmatario di un subemendamento chiave, ha incalzato dem e grillini. «La mattina vi fate magari un giro nelle Caritas o sulle navi Ong e la sera i vostri leader di partito partecipano alle cene di gala nell’attico di qualche vip», ha tuonato. «È curioso – ha aggiunto – : voi di sinistra state coi poveri la mattina e con le celebrità la sera. Siete dunque per il salario minimo e per il caviale libero». Quando si dice una definizione che calza a pennello. Il riferimento è stato anche alle ultime occasioni conviviali, tra quelle rese pubbliche, a cui ha partecipato la segretaria del Pd. «Gli italiani sanno che noi i confini li difendiamo sempre», ha chiosato il meloniano. Toni incisivi e forse dovuti anche a quanto dichiarato poco prima dai dem, con Filippo Sensi che aveva sottolineato come il governo fosse solito «evocare» la «paura». De Cristofaro, di Alleanza Verdi-Sinistra, ha scimmiottato una frase del ministro Lollobrigida (quella sulla «sostituzione etnica» che è stata stigmatizzata dai consueti benpensanti), usando l’espressione «sostituzione etica». Al netto del clima, qualche emendamento della minoranza è stato approvato, come quello sul ruolo delle organizzazioni internazionali per gli accordi di formazione. Per il resto, bocciato l’emendamento di Scalfarotto per la regolarizzazione dei migranti che posseggono un lavoro. Approvata, invece, la possibilità di affidare l’hotspot di Lampedusa (dove aprirà anche un 118) alla Croce Rossa, come voluto dalla maggioranza. E modificato, infine, un passaggio del subemendamento di Gasparri, Lisei e Pirovano per evitare di contrastare i trattati internazionali quali la Carta di Nizza e la Carta europea dei diritti dell’uomo. Soppresso un solo comma. Un’ulteriore novità di rilievo: stop ai corsi di italiano e a quelli di orientamento legale nei centri accoglienza.

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Tra movimentismo e responsabilità, così Elly Schlein costruisce il nuovo Pd

giovedì, Aprile 20th, 2023

FRANCESCA SCHIANCHI

L’aveva promesso, eccola qua. Alla vigilia di Pasqua, il giorno della presentazione della segreteria via Instagram – molte facce nuove, fin troppe a giudicare dalla sorpresa di mezzo partito –, prima di prendersi qualche (criticatissimo) giorno di pausa, la segretaria del Pd Elly Schlein aveva annunciato una futura conferenza stampa. Troppi borbottii, nel partito e fuori, sui suoi tempi di decisione – quasi un mese per comporre la squadra -, troppe illazioni sui suoi silenzi. Dieci anni fa, come ieri, il tradimento dei 101 di Prodi fu l’inizio della sua parabola: ora appuntamento alla sede del Nazareno, alle spalle le bandiere del Pd, ucraina e arcobaleno – c’erano già quando era leader Letta, assicurano dal quartier generale, con lei di là dalla scrivania si notano di più.

Nelle ultime settimane è cresciuta la tensione con il Movimento cinque stelle sul termovalorizzatore di Roma, il Terzo polo è esploso, la maggioranza ha offerto qualche altra occasione di polemica, buonista e antifascista, dicono a destra; ottima per rimarcare una distanza, vista dal Pd. Di molti argomenti, Schlein non aveva ancora parlato, su parecchi temi controversi era attesa al varco dal suo stesso partito: chi è veramente? Cosa farà, continuano a domandarsi dalle fila di un Pd che, a quasi due mesi dalla scelta dei gazebo, in gran parte ancora si chiede chi lo stia guidando. Lei lo sa, e il primo messaggio che manda è lo stesso che pronunciò occhi negli occhi con la premier, un mese fa in Aula alla Camera: «Lei è al governo, ci sono io all’opposizione».

Vuole essere lei, vuole essere il suo Pd la vera alternativa alla destra, nel dare della «bugiarda» a Giorgia Meloni sulla protezione speciale («sono 18 i Paesi che hanno questa forma di protezione»), nella scelta della riunione della prima segreteria a Riano, là dove fu trovato il cadavere di Giacomo Matteotti, alla vigilia del 25 aprile e mentre dalla maggioranza ancora si glissa sull’argomento, nelle critiche alle nomine fatte dal governo e al decreto Cutro – «portano l’Ungheria in Italia». Inflessibile eppure disponibile a parlare con la premier di Pnrr «per il bene del Paese»: vuole essere l’anti-Meloni e si vede – e non è certo solo una trita questione di giovane leadership femminile. «Si fa trovare là dove bisogna stare per essere l’opposto di questa destra», valuta un vecchio dirigente dem superando la naturale ritrosia davanti all’eccentricità della figura di Elly Schlein. Per ora funziona e mette la sordina a qualunque tensione: il partito è dato dai sondaggi al 21 per cento in costante aumento, quando nemmeno tre mesi fa galleggiava sei o sette punti più in basso.

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Miriam Mafai, il giornalismo come passione civile e la capacità di dire: voglio avere tutto

giovedì, Aprile 20th, 2023

Annalisa Cuzzocrea

Comincio a dirvi chi non era, Miriam Mafai, perché non ci siano fraintendimenti. Miriam, che ha dedicato la sua vita fin da giovanissima alla causa del Partito Comunista Italiano, non era la ragazza rossa. Era una ragazza libera e lo è stata fino all’ultimo istante della sua vita. Non ha mai smesso di usare la ragione e non si è mai fatta tappare gli occhi dall’ideologia. Pur avendo – e sì che ce l’aveva – una fede incrollabile. Che viene fuori da qualsiasi cosa abbia scritto.Miriam credeva che l’ascolto, l’impegno, il lavoro, le parole, potessero cambiare il mondo. Non è mai stata pessimista perché non è mai stata arresa.

Quando ho cominciato a leggere tutto di lei, la prima cosa che ho invidiato – quante cose belle smuove l’invidia – è la passione civile. E quello che ho pensato è che quello che manca nel giornalismo, oggi, è la passione civile. Credere in qualcosa: lottare perché si affermi. Mi direte che questa è politica: andatelo a dire a George Orwell.

C’è una politica – la ricerca del bene della polis, della comunità – che si può fare fuori dai partiti e dalle istituzioni e Miriam Mafai l’ha fatta tanto più da giornalista che da funzionaria di partito, cosa che pure è stata, perché altrimenti non avrebbe saputo raccontare l’emancipazione delle donne durante la tragedia della Seconda guerra mondiale in Pane nero. Altrimenti, non sarebbe andata a descrivere cos’erano quelli che a noi sembrano oggi i pittoreschi sassi di Matera, un luogo dove le persone, i bambini, vivevano come bestie. Non avrebbe fatto un giro nelle miniere d’oltralpe in cui i reietti, nel dopoguerra, eravamo noi, i mangiaspaghetti, gli italiani umiliati e offesi degli anni dell’emigrazione di massa.

Se non ti spinge la certezza che la parola possa muovere qualcosa, che possa essere spada, come scriveva Leonardo Sciascia, non puoi neanche avvicinarti a capire chi era Miriam Mafai. L’incipit della sua biografia, Una vita quasi due, curata dalla figlia Sara Scalia, che non smetterò mai di ringraziare per l’ottima vellutata di zucca e per la fiducia con cui mi ha affidato i suoi ricordi, è questo: «Sono nata sotto il segno felice del disordine». Miriam viene da una famiglia fuori dalle regole ed è sempre rimasta fuori dalle regole, se per regole si intendono le convenzioni senza senso, la forma priva di sostanza. E non ha mai sbandato. Non ha mai smesso di seguire il filo della sua libertà e del suo impegno.

Aveva, come molti della sua generazione cresciuta dentro la carta stampata, il culto del giornale. Il giornale veniva prima di tutto. E c’è una cosa che spesso non si racconta di Miriam Mafai, perché la sua biografia e il suo carattere sono stati talmente particolari da prendersi tutta la scena: non si parla abbastanza dello stile. Della sua prosa asciutta arsa secca e al tempo vividissima. Della precisione del dettaglio. Del ritmo che segue uno spartito suo. Dei colori che sembrano venire da uno dei quadri di Mario Mafai.

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Lollobrigida non chiede scusa sulla sostituzione etnica: “Sono ignorante, non razzista”

giovedì, Aprile 20th, 2023

Antonio Bravetti

ROMA. Più che il suprematismo bianco, poté l’ignoranza. La versione di Francesco Lollobrigida, il giorno dopo la bufera sulla «sostituzione etnica», è la giustificazione di chi non ha studiato: «Il razzismo non c’entra, io non conosco i testi dei complottisti». Niente scuse, nessuna marcia indietro: «Io le parole che usano i complottisti non le conosco proprio – ribadisce a La Stampa a margine del forum internazionale di Confcommercio – posso dire in maniera diversa quello che ho detto ieri, ma il concetto è lo stesso: la natalità va incentivata». Giorgia Meloni, chiamata dalle opposizioni a sconfessare il ministro-cognato, tace. Nella maggioranza, però, emergono i distinguo e l’imbarazzo. «Parole davvero brutte», dice l’ex ministro leghista Gian Marco Centinaio. «È un modo di dire che non uso e non utilizzerei – osserva Alessandro Cattaneo (Fi) – ma quella stessa espressione l’hanno ripetuta nei comizi più volte e non ci siamo scandalizzati». Ha ragione da vendere: in rete tornano a galla decine di dichiarazioni di esponenti del centrodestra che parlano di «sostituzione etnica». Da Meloni a Salvini, fino al ministro Roberto Calderoli, che nel 2017 denunciava «oltre all’invasione anche la sostituzione etnica».

Ospite di Confcommercio, Lollobrigida torna sulle sue parole di martedì: «Si è fatta una grande confusione in queste ore su questo tema. Io non conosco i testi dei complottisti e penso, a questo punto, che siano molto più appassionati a leggerli a sinistra». Il ministro insiste sulla necessità di combattere «il calo demografico che ci vedrà in pochi anni perdere milioni di abitanti», ma «un’immigrazione che compensi questa perdita, per noi costituisce una soluzione secondaria. Il resto – sottolinea – sono chiacchiere e insulti proferiti da esponenti politici, che non c’entrano nulla con il razzismo, ma solo con la constatazione oggettiva della necessità di invertire il calo demografico».

Ospite di La7, il senatore della Lega Centinaio non condivide: «Il ministro Lollobrigida ha pronunciato parole veramente brutte, ha sbagliato la forma e spesso la forma è sostanza. Ma non considero sbagliato il suo ragionamento sulla necessità di aiutare le coppie italiane a fare più figli». Appena meno netto il capogruppo alla Camera Riccardo Molinari: «Utilizzerei quell’espressione? No, io non l’ho mai utilizzata». Insomma, La Lega critica il ministro? «A me non risulta che ci sia alcuna divisione all’interno della maggioranza – ribatte Lollobrigida – non ho avuto notizia di alcuna presa di distanza da parte del segretario Salvini o di altri esponenti di rilievo delle forze politiche di questa maggioranza. Se così dovesse essere, ne prenderemo atto».

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Debito e crescita, ecco perché è un errore dire no ai prestiti Ue

giovedì, Aprile 20th, 2023

di Federico Fubini

Ci sono realtà che bisogna riconoscere, quando si parla del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Non per gettare la spugna e dirsi che non c’è più niente da fare, ma al contrario per definire i punti di partenza e la strategia. Ecco dunque alcune di queste realtà. Solo nel 2022, tra settore pubblico e settore privato, la Francia ha investito 256 miliardi di euro più dell’Italia e la Germania ne ha investiti 474 in più. In un solo anno i nostri due principali partner e concorrenti hanno dispiegato in ricerca, macchinari, infrastrutture e tecnologie somme pari — rispettivamente — a oltre un Recovery e a oltre due Recovery in più rispetto all’Italia. Si potrebbe pensare che questi scarti riflettano le diverse dimensioni fra le economie nazionali, ma non è così. Non era già più così una quindicina di anni fa, quando il ritardo italiano negli investimenti era di cento o 150 miliardi l’anno (ai valori correnti) sui due grandi Paesi dell’area euro. Ma ora che lo scarto si è allargato a molte centinaia di miliardi l’anno, la sproporzione è ancora più evidente.

La Francia sviluppa un prodotto interno lordo di un terzo maggiore del nostro, ma investe due terzi di più; la Germania ha un Pil pari quasi al doppio del nostro, ma investe parecchio più del doppio rispetto a noi.

Lo Stato francese nel 2022 ha investito il doppio dello Stato italiano, le imprese francesi oltre duecento miliardi in più rispetto alle imprese italiane. Queste sono le grandezze relative a dove stiamo andando, basate sulla banca dati della Commissione europea. Immaginiamo di proiettare un simile ritardo sui prossimi dieci anni e l’arretratezza dell’Italia rispetto alla frontiera europea — non parliamo neanche di Stati Uniti, Cina o Giappone — sarebbe abissale. Avremmo infrastrutture, nuovi immobili, tecnologie, conoscenza, capacità digitale, capacità di produzione energetica, capacità di produzione agricola, automazione industriale per un valore di migliaia di miliardi in meno. È il futuro che vogliamo?

Difficile credere che questa visione animi le voci che in queste settimane si fanno sentire perché il governo rinunci almeno a una parte dei prestiti del Pnrr. Eppure in Italia si è formata una strana coalizione, molto eterogenea, che spinge in quella direzione: l’ala più anti-europea della maggioranza non vede l’ora di veder fallire il progetto di Bruxelles che più contraddice i suoi pregiudizi; ci sono poi osservatori divenuti più scettici su quanto sia possibile fare oggi del Pnrr, preoccupati soprattutto che i prestiti europei non finiscano per far salire il debito senza benefici visibili per l’economia. Questi timori sono legittimi, ma di nuovo vanno confrontati alle grandezze in gioco e ai possibili scenari alternativi. Il punto di partenza è che dei 191,5 miliardi di investimenti del Pnrr, 67 li faremmo comunque perché erano e restano già programmati. Invece si può ipotizzare che, senza Pnrr, rinunceremmo ai restanti progetti per 124,5 miliardi.

La differenza nel costo fra i due scenari salta agli occhi: poiché il Piano europeo è un misto di sussidi e prestiti a scadenza trentennale sui tassi agevolati di Bruxelles, con il Pnrr l’Italia è in grado di sviluppare investimenti per quasi duecento miliardi di euro pagando solo 2,5 miliardi di interessi all’anno. Senza il Pnrr, finanziandoci ai costi del debito trentennale italiano, l’Italia potrebbe sviluppare solo 67 miliardi di investimenti pagando in interessi 2,7 miliardi l’anno. In sostanza, rinunciando ai prestiti, avremmo meno della metà degli investimenti. Eppure pagheremmo di più.

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Pnrr, Fitto: il piano va rimodulato in 3 mesi, ma troppi ministeri fanno resistenza

giovedì, Aprile 20th, 2023

di Marco Galluzzo

Il responsabile degli Affari europei: alcuni programmi saranno spostati al 2029

Pnrr, Fitto: il piano va rimodulato in 3 mesi, ma troppi ministeri fanno resistenza

Alla fine del convegno organizzato da Civita, l’assoziaione di cui Gianni Letta è presidente da ormai dieci anni, l’ex alter ego di Silvio Berlusconi e Raffaele Fitto si appartano sulle terrazze del palazzo delle Generali. La vista è magnifica, e lo sono anche gli apprezzamenti che Letta ha rivolto durante il dibattito al ministro che ha le deleghe per il Pnrr e i Fondi di coesione: «Sono sicuro che ce la farà, ha competenze, coraggio e il passo giusto per portare a termine un compito così impegnativo». Letta e Fitto si conoscono da anni, da quando il giovane ministro pugliese era uno dei pupilli di Berlusconi. Ricordano insieme un caso di fruttuosa cooperazione, al termine dell’ultimo governo del Cavaliere, quando riuscirono a far arrivare 100 milioni di euro da Bruxelles (proprio con i Fondi di coesione) per risollevare le sorti delle rovine di Pompei, che da troppi anni vivevano un degrado che appariva irreversibile.

Oggi è cambiato tutto. O meglio, deve ancora cambiare tutto, e il ministro lo spiega prima dal palco del convegno poi confrontandosi proprio con Gianni Letta. C’è un problema di rimodulazione complessiva del Piano: «Perché non abbiamo da spendere un miliardo di euro, come la Lituania, e perché degli ultimi fondi di coesione siamo riusciti a investirne solo il 34%».

Quanto durerà il lavoro di modifica dei vari progetti del Piano che Fitto sta coordinando insieme alle nuove strutture di governance del Pnrr? È pur vero che Bruxelles vorrebbe tutto entro la fine di aprile, ma è altrettanto vero, come ha detto Giorgia Meloni, che «non abbiamo l’ansia dei primi della classe e che non esiste una regola temporale se non quella di fine agosto», e allora Fitto fa capire che più o meno 90 giorni, «prima della fine dell’estate», sarà il tempo necessario perché l’Italia si presenti di fronte alla Commissione con un Piano rivisto per l’ultima volta, definitivo, senza il rischio di non mettere a terra e collaudare i progetti entro la metà del 2016.

Ma esiste di questo lavoro un risvolto che Fitto condivide solo sottovoce con il suo vecchio sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e sono «le resistenza dei ministeri: non tutti si rendono conto che cambiare alcuni progetti, o dovervi rinunciare, è necessario nell’interesse di tutti, viceversa continuiamo ad essere seduti su un barile che rischia di scoppiare , alla scadenza prevista….».

Insomma il quadro è quello delineato dal palco del convegno e anche dalla presidente del Consiglio negli ultimi giorni. Riassume Fitto: «Stiamo aggregando e concentrando risorse, cosa che non si è mai fatto prima. Siamo penultimi in Europa per capacità di spesa dei fondi di Coesione, ora siamo primi, quelli che ne dovranno spendere più degli altri senza sprecarne nemmeno l’1%. È una sfida e una correzione molto forte».

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L’isola dei famosi, l’isola del nostro sconcerto

giovedì, Aprile 20th, 2023

È un brutto programma, non all’altezza di una rete ammiraglia

di Aldo Grasso / CorriereTv

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Treno merci deragliato a Firenze, oggi: circolazione interrotta, ritardi e treni cancellati in tutta Italia

giovedì, Aprile 20th, 2023

di Paolo Foschi e Alessandro Fulloni

L’incidente nella stazione di Firenze Castello, non ci sono feriti: la situazione dei treni Italo e Frecce in tempo reale

Treno merci deragliato a Firenze, oggi: circolazione interrotta, ritardi e treni cancellati in tutta Italia

La circolazione ferroviaria è interrotta oggi tra Firenze e Bologna a causa del deragliamento di alcuni carri di un treno merci nella stazione di Firenze Castello: lo rende noto in un comunicato Rete ferroviaria italiana (Rfi) precisando che l’incidente ha provocato danni ma nessun ferito.

Interrotte le linee per Bologna
«La circolazione ferroviaria è interrotta tra Firenze e Bologna sia sulla linea ad Alta Velocità, sia su quella storica a causa dello svio di alcuni carri di un treno merci nella stazione di Firenze Castello. Svio che ha provocato danni all’infrastruttura — si legge in una nota — ma nessuna conseguenza a persone». Ancora non sono chiare invece le cause che hanno determinato il deragliamento dei carri del convoglio.

Traffico rallentato su tutta la rete
A causa dello stop sulla tratta Firenze-Bologna, il traffico ferroviario sta intanto accumulando ritardi su tutta la Rete, peraltro alla vigilia di un lungo ponte per il quale sono previsti intensi flussi di viaggiatori.

Bloccati tutti i regionali. Tutte le informazioni
Per adesso, sui siti di prenotazione ferroviaria, la possibilità di fare acquisti è fortemente ridotta. Da Sud, si arriva sino a Firenze. E dalle informazioni che giungono da Trenitalia, qui ci si ferma.Questo perché il deragliamento ha interrotto la circolazione anche sui treni regionali, sempre da Firenze a Bologna. Per il momento, è impossibile fare previsioni sul ripristino della linea. Al minimo, «è questione di ore».

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