Archive for Aprile 22nd, 2023

Sondaggi, Pagnoncelli gela la sinistra: tra Meloni e gli italiani è ancora luna di miele

sabato, Aprile 22nd, 2023

Fratelli d’Italia che arretra mentre cresce la fiducia nella premier Giorgia Meloni, il Pd che supera il 20 per cento, Lega e Forza Italia appaiati in virtù del balzo del partito di Silvio Berlusconi. Sono questi alcuni degli aspetti più rilevante del sondaggio Ipso pubblicato sabato 22 aprile dal Corriere della sera. A snocciolare numeri e considerazioni è Nando Pagnoncelli che si chiede se la luna di miele del governo di centrodestra con gli italiani sia finita o meno. “A giudicare dal sondaggio odierno non si direbbe, dato che rispetto a marzo il gradimento per l’operato del governo fa segnare l’aumento di un punto (oggi il 44% si esprime positivamente sull’esecutivo) e quello della premier di due punti (46% di valutazioni positive) portando l’indice di gradimento (calcolato escludendo coloro che non si esprimono) rispettivamente a 51 e 53”, spiega il sondaggista.

Secondo Pagnoncelli il governo “tiene” per diversi motivi, come ad esempio le scelte che hanno avuto un “effetto di rassicurazione anche presso una parte dell’elettorato non di centrodestra: rapporti con l’Ue, atlantismo, posizione sul conflitto in Ucraina, tenuta dei conti pubblici”. E poi perché i dati economici migliorano. Tra le varie ragioni, ce anche “la mancanza di un’opposizione coesa che induce molte persone a fidarsi e «ad affidarsi» a chi guida il Paese”, spiega il sondaggista.

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Schlein batte tutte le piazze: porta il Pd pure al corteo per la casa

sabato, Aprile 22nd, 2023

Luigi Frasca

Elly Schlein ha una strategia sola: andare in piazza contro il governo. Anche ieri, nella riunione della segreteria del Pd che si è svolta nel circolo di Riano, alle porte di Roma, per ricordare il posto dove venne ritrovato il cadavere di Giacomo Matteotti, ha lanciato il suo invito alla mobilitazione generale di tutto il centrosinistra per la battaglia sulla casa. «Vogliamo fare una grande campagna nazionale del Pd sul diritto alla casa, messo a rischio anche dal fatto che il Governo ha tolto 330 milioni di supporto per l’affitto – annuncia la segretaria – È una scelta che non si spiega, viene da pensare che non capiscano le difficolta delle famiglie». «C’è un’assenza del governo sconcertante le fa eco Pierfrancesco Majorino, che ha la delega sul tema – C’è bisogno di un piano nazionale e il governo non può far finta di niente, non fa nulla pur avendo in mano i fondi del Pnrr».

Prima di iniziare la riunione Elly Schlein ha deposto un mazzo di rose rosse e si è chinato in raccoglimento, accanto al sindaco Luca Abbruzzetti. Insieme a lei ci sono alcuni componenti della segreteria, giunti sul posto a bordo di un pulmino. A Riano il sindaco, «di sinistra», ha in giunta alcuni assessori di FdI, ma «non è un accordo di partito, o un laboratorio politico: è roba di paese. E poi sono post democristiani più che fascisti», assicura.

La riunione della segreteria, che si svolge nella sala danze e burraco del circolo Arci sportivo ricreativo «La Rostra», inizia dopo una «photofamily», tante strette di mano e qualche selfie. Una signora si rivolge a Schlein: «Erano anni che non ero così contenta di mettere una croce. Tieni duro». Poi i presenti si mettono seduti al grande tavolo a ferro di cavallo e iniziano a intervenire, ognuno sui temi di propria competenza. Ci sono anche i rappresentanti dei giovani democratici Caterina Cerroni, che sfoggia una felpa della ong Mediterranea e, in videocollegamento, Raffaele Marras. Collegata da remoto è anche la responsabile Transizione ecologica Annalisa Corrado, da subito protagonista delle cronache politiche data la sua contrarietà all’inceneritore di Roma.
Quello sullo smaltimento dei rifiuti della Capitale non è l’unico tema su cui si registrano distinguo tra i dem. C’è il tema armi sempre scottante. Peppe Provenzano, responsabile esteri, ribadisce la linea.

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La premier ascolti la lezione Amato-Fini

sabato, Aprile 22nd, 2023

Montesquieu

Basterebbe, per uscire dal vicolo cieco di una politica vuota di idee, seguire il suggerimento che da New York Giuliano Amato offre a Giorgia Meloni: per uscire una volta per tutte dal vicolo cieco della disputa sul fascismo e l’antifascismo come unica, o quasi, essenza del dibattito politico, a quasi ottant’anni dalla data di nascita della democrazia, della Repubblica, della Costituzione. Con la precisazione che la citazione una volta tanto non insegue la consueta originalità dell’autore, che in questo caso esprime un concetto assai diffuso negli esseri pensanti, ma la sua autorevolezza.

Basterebbe, quindi, che Giorgia Meloni ripartisse ufficialmente dal punto di arrivo in materia di Gianfranco Fini (il famoso “male assoluto” proclamato in terra di Israele), per attenuare l’accusa di attaccamento a quelle radici. Fino a farla rapidamente e definitivamente dissolvere, almeno lì dove alberga un po’ di buona fede. Nessuno oggi, almeno lì dove alberga quel po’ di buona fede, accuserebbe Fini di nostalgia di una dittatura, e nemmeno di attaccamento a quelle radici; e non tanto e non solo per la radicalità e la fermezza di quell’abiura, quanto per la inequivocità e la nettezza di quel percorso di uscita da una destra ancora ricca di ambiguità e doppisensi. Come dimostra il legame subito instauratosi tra il pensiero finiano e inequivocabili campioni della democrazia. Tali erano e sono Rutelli, Tabacci, Casini, e altri. Ma nessuno, a destra, presidente del Consiglio in testa, evoca il nome di Fini, così come nessuno si propone di adottare il suo percorso. Nessuno rievoca lo strappo insindacabile di Alleanza nazionale e di Fini, più semplice ritrovare la memoria del Movimento sociale di Almirante. Era lì, a portata di mano, un polo conservatore tale da riabilitare l’appellativo storicamente nobile di destra. Si preferisce continuare ad animare lo sgorbio che si è imposto in giro per le democrazie, sempre più scivolanti. A certi voti, a certe compagnie, forse a certe idee non si rinuncia volentieri. Troppo faticoso sostituirli.

Così a destra, ahimè. In quella di Gorgia Meloni, non la più rozza ed estrema, forse la più intelligente e aperta. Ma al tempo proviamo a immaginare, sui palchi del vicinissimo 25 aprile, presentarsi, con lo spirito giusto dell’antifascismo, il presidente del Senato, lo stesso capo del governo, e altri campioni della stessa maggioranza, anche di altro partito. A immaginare che lì, su quei palchi, quegli stessi pronuncino quelle parole che tutti dicono di auspicare. Giubilo a sinistra? Sarebbe, probabilmente, il peggiore 25 aprile possibile per una parte, difficile da quantificare ma probabilmente non infima, della nostra politica antifascista e sedicente di sinistra.

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Le cinque tappe per aiutare il pianeta e superare la “policrisi”

sabato, Aprile 22nd, 2023

Sandrine Dixon-Declève

Dobbiamo affrontare una molteplicità di emergenze ambientali. Oltre al cambiamento del clima, anche le attività umane stanno avendo un impatto negativo sul terreno e sui corsi d’acqua terrestri con l’inquinamento chimico, l’urbanizzazione e la portata sempre crescente dell’agricoltura industriale. Al tempo stesso, i ghiacciai si stanno fondendo ed eventi meteorologici estremi, come siccità e alluvioni, sono sempre più familiari. Povertà e disuguaglianza continuano ad aumentare. Alle radici di questi problemi socioambientali c’è un modello economico globale basato sulla crescita infinita a qualunque costo.

Questa policrisi non è una minaccia lontana: già adesso sta avendo un impatto diretto sulle vite dei cittadini italiani e questo dovrebbe farci riflettere. La pandemia da Covid, il cambiamento del clima e l’invasione dell’Ucraina ci hanno aiutato a comprendere quello che conta davvero nella vita: la salute, la comunità, la natura, un reddito stabile, la cultura e la pace. In sintesi, il benessere per tutti. Eppure, le nostre economie non si stanno riprogrammando in linea con queste esigenze.

Nel 1970 si riunì per la prima volta il Club di Roma, guidato dall’industriale italiano Aurelio Peccei. Studiosi e scienziati si trovarono per discutere quella che Peccei definì la moderna «situazione difficile dell’umanità». Due anni dopo, fu pubblicato il primo importante rapporto del Club, il Rapporto sui limiti dello sviluppo. Il libro metteva in discussione l’idea che la crescita materiale continua e la ricerca di una espansione economica senza fine fossero compatibili con le risorse della Terra e il benessere umano. Questi avvertimenti passarono perlopiù inascoltati per il resto del ventesimo secolo ma, quando finalmente si percepirono le realtà del cambiamento del clima e della disuguaglianza sociale, alcuni leader e alcuni Paesi iniziarono a incentivare un nuovo tipo di economia, incentrata sul benessere più che sulla crescita. All’avanguardia di questa trasformazione ci furono nazioni guidate da donne come Jacinta Ardern in Nuova Zelanda e Nicola Sturgeon in Scozia.

Nonostante questo, il cambiamento incrementale in una manciata di piccoli Paesi non eviterà la catastrofe climatica né ridurrà le disuguaglianze sociali in Europa e tra nazioni più ricche e nazioni più povere. Quel che serve, invece, è un cambiamento della società su vasta scala, tale da poter proteggere meglio la natura, risanarla e portare benessere a molti. “Earth4All: A Survival Guide for Humanity”, l’ultimo rapporto pubblicato dal Club di Roma nel settembre 2022, illustra nei dettagli come raggiungere questo obiettivo.

Gli autori – scienziati, economisti e pensatori politici di tutto il mondo – individuano cinque straordinarie «inversioni di tendenza» per rendere realtà questa visione: porre fine alla povertà, risolvere la disuguaglianza, raggiungere l’equità di genere, effettuare la transizione verso l’energia pulita, rendere i sistemi alimentari salutari per gli esseri umani e per il pianeta. Queste inversioni di tendenza sono i requisiti minimi perché le nostre società possano creare economie in grado di sostenere il benessere per tutti e proteggere l’ambiente. Secondo la nostra analisi, gli investimenti dovrebbero essere pari ad appena il 2-4 per cento del reddito globale complessivo. Earth4All chiarisce anche come queste “inversioni di tendenza” siano collegate tra loro e spiega che il successo dipende dal fatto di affrontarle insieme e contemporaneamente. La redistribuzione della ricchezza è necessaria, per esempio, per rifondare la fiducia nei sistemi democratici essenziali affinché i governi diano vita a un ampio sostegno politico, necessario a prendere decisioni coraggiose. Nello stesso modo, diminuire l’uso da parte nostra di risorse naturali apporterà benefici all’ambiente e aumenterà la stabilità globale e la sicurezza riducendo il potenziale per conflitti e guerre.

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Il governo si arrende: via gli stadi dal Recovery, la terza rata è più vicina

sabato, Aprile 22nd, 2023

ALESSANDRO BARBERA, FRANCESCO OLIVO

ROMA. Seppur con fatica, la terza rata da venti miliardi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) sta per arrivare. Il governo ormai ne è convinto tanto da parlare di «positiva conclusione delle verifiche di tutti gli obiettivi». Non sarà indolore: l’Italia è pronta a stralciare definitivamente dalla lista dei progetti da finanziare gli stadi di Firenze e Venezia, che non convincono Bruxelles. Sul resto il ministro degli Affari europei Raffaele Fitto (che mercoledì farà un’informativa alle Camere), è fiducioso di aver convinto la Commissione europea. Due le questioni che sembrano risolte: garantire maggiore concorrenza nelle concessioni portuali e gli interventi sulle reti di teleriscaldamento.

Nel venerdì che precede il ponte del 25 aprile a Palazzo Chigi c’è stato un viavai di ministri. Giorgia Meloni si è vista a pranzo con il vicepremier Matteo Salvini con cui ha fatto il punto della situazione dopo le incomprensioni delle ultime settimane, sul Pnrr e non solo. L’impressione restituita dai fedelissimi della premier è che il leader della Lega si stia dimostrando collaborativo sulla vicenda dei fondi europei e questo aiuterà a stemperare le tensioni scoppiate sui migranti. Prova di ciò sarebbe stata la decisione di Meloni di affidare a Salvini la cabina di regia sulla siccità.

Prima del pranzo fra i due, Fitto ha incontrato separatamente quattro ministri, fra cui lo stesso Salvini. Colloqui di un’ora ciascuno durante i quali sono stati esaminati tutti gli obiettivi del piano in ritardo e quelli in scadenza il 30 giugno, la data entro la quale l’Italia deve rispettare 27 obiettivi in cambio di altri venti miliardi. Con Salvini (Trasporti) si è parlato di porti e di reti ferroviarie, con Giuseppe Valditara (Scuola) del complicato dossier degli asili nido, uno degli obiettivi del semestre in corso, con Giancarlo Giorgetti (Economia) ha discusso della governance (che ora verrà accentrata a Palazzo Chigi), mentre al centro del bilaterale con Matteo Piantedosi (Interno) è rimasta la questione degli stadi. Il governo sarebbe sul punto di cedere, ma prima vuole una risposta formale dalla Commissione, attesa per lunedì. L’orientamento comunitario è ormai chiaro all’esecutivo, e anche le parole del sindaco di Firenze Dario Nardella non trasmettono ottimismo: «Noi abbiamo fatto tutto quanto c’era da fare, vedremo cosa risponderanno», dice a Un giorno da Pecora su Radio 1, aggiungendo che «sarebbe incredibile se bocciassero il progetto dal punto di vista tecnico».

Il governo sta pensando a un piano alternativo per trovare risorse nazionali a favore dei due impianti: è la soluzione più ovvia, ma il fondo complementare al quale bisognerebbe attingere è già impegnato, come Giorgetti ha spiegato a Fitto durante il colloquio. Per trovare i 150 milioni necessari occorrerà tagliare dell’altro.

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Pnrr, Crosetto: “Non sappiamo come spendere 200 miliardi, prendiamo solo i fondi che useremo”

sabato, Aprile 22nd, 2023

Federico Monga

«Il sistema Italia non è in grado di mettere a terra tutti i progetti del Pnrr, bisogna prendere solo le risorse che siamo in grado di spendere». Di fronte alla platea dei più importanti imprenditori cuneesi, durante la presentazione della classifica Top 500, a cura di Pwc e La Stampa, il ministro della Difesa Guido Crosetto, affronta i temi economici e finanziari, dal Recovery al Mes ai balneari. Invita l’Europa a fare di più per il cessate il fuoco in Ucraina e a investire con forza in Africa per cambiare il verso dell’immigrazione.

Ministro rischiamo di perdere i fondi del Pnrr?
«L’Italia può fare tutto tranne che perdere i soldi. Faccio un esempio: prendiamo 100 milioni di euro per un’opera, entro la scadenza ne spendiamo solo 98. Significa che dobbiamo restituirne 98 milioni e ci teniamo l’opera non finita che dovremo pagare con il nostro bilancio. Il problema non è solo burocratico, di progettazione. La vera domanda è l’Italia ha la possibilità di scaricare a terra 200 miliardi in tre anni».

Che risposta si dà?
«La risposta va cercata nel Paese. Se io progetto di fare, ad esempio, 100 chilometri di gallerie e non ho le talpe per scavare, è inutile che faccio l’appalto. Perché le aziende che producono le talpe che scavano le gallerie sono 3 al mondo. Una è tedesca e due sono cinesi, e hanno prenotazioni per i prossimi 5 o 6 anni. Quando il Pnrr sarà già terminato. La discussione in Europa è su questa tagliola. La risposta del governo deve essere pragmatica, reale, valutata nei tempi».

Abbiamo chiesto troppi fondi? L’Italia è l’unico Paese che ha chiesto tutto.
«Consiglierei di prendere solo i fondi che si è sicuri di spendere».

Rifare gli stadi serve?
«Un investimento deve produrre qualcosa. Non so se rifare uno stadio sia proprio un investimento come una strada, un ponte o il 5G».

Veniamo al Mes, restiamo gli unici a non aver approvato la riforma.
«Il Mes non è nato come forma di finanziamento, ma come possibilità dell’Europa di intervenire in crisi come quella greca. E in Grecia dopo il maxi-prestito, la Troika ha commissariato una nazione sostituendosi al Parlamento. A me non piace. Se il Mes diventasse uno strumento che sostituisce la possibilità della Bce di intervenire nell’acquisto dei debiti sovrani quando si alzano troppo i tassi allora se ne stravolgerebbe il ruolo originale e potrebbe diventare utile».

Perché la Francia ha firmato e noi no?
«Perché pensa di non averne bisogno».

La guerra in Ucraina sarà ancora lunga?
«Per la Russia i morti e il tempo non hanno valore. Putin vive in una condizione per cui i morti, 100 mila o 300 mila, e il tempo, 1 anno o 3, non sono un problema. Per l’Occidente il tempo, i morti e le opinioni pubbliche sono un fattore rilevante. Si scontrano due mondi completamente diversi».

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25 aprile, il vicolo “ceco” di La Russa

sabato, Aprile 22nd, 2023

Niccolò Carratelli

Roma. L’ennesima polemica sul valore dell’antifascismo, a pochi giorni dal 25 aprile. E la scelta di andare all’estero, proprio in occasione della festa della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Ignazio La Russa martedì sarà a Praga. Aveva promesso un gesto simbolico, che «metterà d’accordo tutti», ieri l’annuncio: dopo l’omaggio mattutino all’Altare della Patria, con il capo dello Stato Mattarella e la premier Meloni, il presidente del Senato volerà in Repubblica Ceca. Prima interverrà alla riunione dei presidenti dei Parlamenti dei Paesi dell’Unione europea, poi è prevista in agenda la commemorazione al monumento di Jan Palach, patriota cecoslovacco divenuto simbolo della resistenza antisovietica. Infine, La Russa visiterà il campo di concentramento di Theresienstadt, utilizzato dalle forze tedesche durante la seconda guerra mondiale. «Ho modificato gli impegni internazionali assunti da tempo per essere all’Altare della Patria a fianco del presidente della Repubblica», tiene a precisare il numero uno di Palazzo Madama, forse mettendo le mani avanti rispetto alla scelta di andare all’estero proprio il 25 aprile.

Ma le polemiche, in realtà, lo inseguono per la frase pronunciata l’altro ieri sera al bancone della buvette, davanti ad alcuni giornalisti: «Nella Costituzione non c’è alcun riferimento alla parola antifascismo». Solo un’analisi linguistica, ha poi precisato, nessuna rilettura politica: «I valori della Resistenza, a cui mi sono esplicitamente richiamato, sono espressi in positivo nella prima parte della Costituzione».

Per La Russa, come al solito, la questione è chiusa, è stato frainteso. Ma dall’opposizione, in particolare dal Partito democratico, non la vedono allo stesso modo. «L’antifascismo è la nostra Costituzione», avverte la segretaria Elly Schlein. Mentre la capogruppo alla Camera, Chiara Braga, considera «molto grave che la seconda carica dello Stato non perda occasione per riaprire polemiche e ambiguità sulla verità storica del nostro Paese. Continuiamo ad assistere – spiega – a un tentativo di rimettere in discussione le radici antifasciste della nostra democrazia e della Repubblica». Il capogruppo dem al Senato, Francesco Boccia, ricorda a La Russa che «la nostra Costituzione è stata scritta dalle forze che si opposero al fascismo. È antifascista – aggiunge – non tanto e non solo per la XII Disposizione transitoria e finale, che vieta “la ricostruzione sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista”, ma perché ogni singolo articolo è scritto in antitesi con le teorie e la prassi del fascismo».

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25 aprile: i valori, la memoria e le ostilità di troppo

sabato, Aprile 22nd, 2023

di Antonio Polito

«Lui stesso ha detto che non sapeva quello che diceva». Questa frase di Ignazio La Russa, pronunciata in difesa del ministro Lollobrigida per lo strafalcione sulla «sostituzione etnica», potrebbe essere apposta come epigrafe a buona parte del dibattito odierno sul 25 aprile e la festa della Liberazione. Con un’aggiunta evangelica: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno». Un precetto che tra l’altro assolverebbe anche lo stesso presidente del Senato; il quale, nello scusarsi per aver detto che a Via Rasella i partigiani nel 1944 attaccarono «una banda musicale di semi-pensionati», ha invocato la stessa esimente, confessando di non sapere se «quella notizia, più volte pubblicata e da me presa per buona», fosse in realtà errata. Un tempo neanche troppo lontano le polemiche su natura e sorti di fascismo e nazismo le facevano gli storici, e si citava George Mosse o Francois Furet, Eric Hobsbawm o Renzo De Felice, Emilio Gentile o Claudio Pavone.

Oggi gli accademici hanno lasciato il passo a meno studiosi militanti, che dilaniano la vicenda storica prendendosene ciascuno il suo brandello. Ma questo esercizio, man mano che si allontana la memoria degli eventi di circa ottant’anni fa e i suoi testimoni scompaiono, diventa paradossalmente anche più pericoloso: perché un Paese senza memoria è un Paese senza storia, come avvertiva già nel 1975 Pier Paolo Pasolini.

Così siamo di nuovo qui a chiederci sorpresi come mai la festa della Liberazione non sia ancora, come pure dovrebbe essere, un valore condiviso, patrimonio nazionale e comune. Ma la verità è che quella data è sempre stata «divisiva», spesso deliberatamente «divisiva». Si può anzi dire che ha fatto notizia solo quando ha diviso.

Nei tornanti storici in cui è stata sconfitta o ha rischiato l’emarginazione, per esempio, la sinistra l’ha usata di solito per «delegittimare» i nemici del momento. Così il De Gasperi che nel 1947 fa un governo senza i comunisti viene accusato di aver rotto l’unità antifascista della lotta di Liberazione; nel 1960 il governo Tambroni, che si fa votare la fiducia dal Msi, viene imputato di riaprire le porte al fascismo; e i gruppi extraparlamentari negli anni ’70 identificano nella Dc il «nuovo fascismo»; e le Brigate Rosse si propongono come la «nuova Resistenza»; e nel 1994 perfino Umberto Bossi si materializza alla manifestazione del 25 aprile promossa dal «manifesto» contro la vittoria elettorale del «Cavaliere nero», perché stava per portare al governo i post-fascisti di Fini; e nel 2006 la sindaca di Milano, Letizia Moratti, viene cacciata a furia di fischi e cori dal corteo, nonostante spingesse la sedia a rotelle del padre, deportato a Dachau e decorato con la medaglia della Resistenza; e la Brigata ebraica, che alla liberazione dell’Italia ha partecipato per davvero, viene fischiata ogni anno. Perché è «ebraica».

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Palermo, arrestata la preside antimafia Daniela Lo Verde: rubava cibo in mensa e tablet per gli studenti

sabato, Aprile 22nd, 2023

di Lara Sirignano

La dirigente dell’istituto «Falcone» dello Zen, nominata Cavaliere da Mattarella, è accusata di corruzione e peculato. Arrestato anche il vice Daniele Agosta. Le intercettazioni choc: «Ci arrivano soldi da tutte le parti». E il ministro la sospende

Palermo, arrestata la preside antimafia Daniela Lo Verde: rubava cibo in mensa e tablet per gli studenti
La preside (a destra) e il suo vice mentre porta via un computer dalla scuola

Le immagini girate dai carabinieri la riprendono mentre razzia la mensa scolastica e si appropria di tablet e cellulari destinati alla sua scuola, l’istituto «Giovanni Falcone» dello Zen di Palermo, quartiere tra i più difficili della città. Per anni ritenuta una preside di frontiera, baluardo di legalità in una zona a rischio, nel 2020 nominata cavaliere della Repubblica dal capo dello Stato, oggi Daniela Lo Verde, 53 anni, è stata arrestata per corruzione e peculato insieme al vicepreside Daniele Agosta. Per mesi si sarebbero appropriati del cibo, di computer e di tablet destinati ai ragazzi e acquistati con i fondi europei. Il gip che, per entrambi, ha disposto gli arresti domiciliari parla di quadro probatorio «chiaro, del tutto inequivocabile e imbarazzante» e di una gestione assolutamente spregiudicata e volta a curare meramente interessi di natura personale. LEGGI ANCHE

Domiciliari per una commessa in un negozio di informatica

L’inchiesta, coordinata dal pm della Procura europea Gery Ferrara e Amelia Luise, coinvolge anche una terza persona, Alessandra Conigliaro, anche lei ai domiciliari: si tratta di una dipendente di un negozio di informatica che avrebbe ottenuto le forniture di dispositivi alla scuola in via diretta e in esclusiva e in cambio avrebbe regalato ai due dirigenti tablet e cellulari. Lo spaccato che viene fuori dalle indagini è disarmante. «Il riso .. . lo metti lì davanti alla cassettiera e per la cucina questo… benissimo… ora sistema sopra il frigorifero… questa cosa di origano mettila pure per casa… – spiegava la Lo Verde alla figlia non sapendo di essere intercettata—. Quelle mettile in un sacchetto che non si può scendere. Il tonno mettilo qui sotto… poi lo portiamo a casa a Sferracavallo (la villa al mare della preside ndr)».

L’inchiesta nasce dalla denuncia di una insegnante

Intanto le «cimici« dei carabinieri, coordinati dal colonnello Salvatore Di Gesare, comandante del Reparto Operativo di Palermo, registravano tutto. L’inchiesta nasce dalla denuncia di una insegnante che ha svelato i metodi della donna. Particolarmente grave ed emblematica una intercettazione di una conversazione tra la preside e il suo vice che commentano un furto di computer avvenuto a scuola e denunciato sui media dalla donna. «Per un cornuto un cornuto e mezzo – diceva Agosto — ci stanno arrivando soldi da tutte le parti!».

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Il sondaggio di Pagnoncelli, FdI cala al 29%, sale il Pd: 20,7%. Tiene il consenso al governo, cresce quello per la premier

sabato, Aprile 22nd, 2023

di Nando Pagnoncelli

Forza Italia raggiunge la Lega all’8%. Dopo la lite Azione e Italia viva al 5,2 (-1%)

Il sondaggio di Pagnoncelli, FdI cala al 29%, sale il Pd: 20,7%. Tiene il consenso al governo, cresce quello per la premier

Da qualche settimana molti si chiedono se la luna di miele tra gli italiani e il governo sia terminata. A giudicare dal sondaggio odierno non si direbbe, dato che rispetto a marzo il gradimento per l’operato del governo fa segnare l’aumento di un punto (oggi il 44% si esprime positivamente sull’esecutivo) e quello della premier di due punti (46% di valutazioni positive) portando l’indice di gradimento (calcolato escludendo coloro che non si esprimono) rispettivamente a 51 e 53. Analizzando l’andamento mensile dell’indice si osserva, al di là della lieve crescita odierna, una flessione di 4-5 punti rispetto ai mesi di novembre e dicembre, quando si registrarono i livelli di consenso più elevati. Si tratta di una flessione in linea o inferiore a quelle rilevate per la maggior parte dei governi che si sono succeduti alla guida del Paese dal 2006 in poi a sei mesi dall’insediamento. Nel complesso, quindi, permane una forte polarizzazione delle opinioni, dato che sostenitori e detrattori sostanzialmente si equivalgono.

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FdI cala al 29%, sale il Pd: 20,7%. Tiene il consenso al governo, cresce quello per la premier

Come si spiega la tenuta del consenso a fronte di decisioni che hanno suscitato polemiche e tensioni tra maggioranza e opposizione e all’interno della maggioranza? Si possono avanzare diverse possibili risposte: la prima fa riferimento alle scelte di fondo del governo che hanno avuto un effetto di rassicurazione anche presso una parte dell’elettorato non di centrodestra: rapporti con l’Ue, atlantismo, posizione sul conflitto in Ucraina, tenuta dei conti pubblici; la seconda tiene conto del quadro macroeconomico che ha visto scongiurare il rischio della recessione e ha fatto registrare un rallentamento dell’inflazione e la riduzione dei costi dell’energia; la terza possibile risposta fa riferimento alla relativa trasversalità dell’elettorato del centrodestra che determina reazioni di segno opposto ai singoli provvedimenti alcuni dei quali scontentano una parte del proprio elettorato ma ne accontentano un’altra ottenendo una sorta di «effetto compensativo», come pure avvenne con il governo gialloverde nella scorsa legislatura nonché nel primo anno del governo Renzi. Ad esempio, gli interventi in ambito fiscale hanno deluso alcuni segmenti appartenenti ai ceti produttivi (che si aspettavano riduzioni più significative), ma hanno ottenuto il consenso dei lavoratori dipendenti; e potremmo continuare con provvedimenti che hanno ridimensionato il reddito di cittadinanza, la mancata riforma della legge Fornero, i balneari, ecc. Un’ultima ragione riguarda la mancanza di un’opposizione coesa che induce molte persone a fidarsi e «ad affidarsi» a chi guida il Paese.

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