Archive for Maggio, 2023

Terzo Polo, Carlo Calenda straparla e attacca tutti

lunedì, Maggio 29th, 2023

Domenico Alcamo

Saranno state le ultime settimane difficili, o magari la platea di under 30 di «Azione» e forse la vocazione professorale che appartiene al personaggio, ma ieri Carlo Calenda, parlando ai giovani del suo partito, è tornato a vestire la maglia ben nota del dispensatore di lezioni a tutto tondo. Che si scaglia contro ministri e governo rivendicando che lui sì, a differenza dei comuni mortali una soluzione a tutti i problemi l’avrebbe eccome. A partire da uno dei temi principali del confronto politico, ossia il Pnrr: «La problematica che il Governo ha è che non riesce a spiegare come vuole rifarlo. Noi gli abbiamo fatto una proposta: ripristinate Industria 4.0 e date questi soldi agli imprenditori che investono in digitale e ambiente e assumono, almeno non li buttiamo». E aggiunge: «Abbiamo scritto la norma con i relativi costi in modo che fosse in linea con le direttive europee: lo facessero perché altrimenti qui si chiacchiera di tutto senza mai riuscire a mettere in piedi niente, il vero problema di questo Paese».

Poi prende di mira singoli ministri. Il titolare della Cultura Gennaro Sangiuliano, per esempio, e la sua proposta di regalare un libro ad ogni nuovo nato (magari attraverso un buono, che i genitori potrebbero gestire attraverso lo Spid), per contrastare la disaffezione alla lettura che c’è nel nostro Paese: «Un libro per ogni persona che nasce? Ma che modo di pensare è? – tuona Calenda – Una semplificazione assurda. Regalando un libro non risolvi il problema della lettura. Serve cultura, ma cultura nazionale agganciata alla cultura europea». Notazione alquanto astratta, ancor più considerando che il concetto espresso da Sangiuliano aveva uno spettro più ampio, comprendendo anche il ruolo delle famiglie e delle scuole. Calenda, poi, va anche addosso al ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, per il concetto di etnia su cui tanto si è discusso nelle scorse settimane: «Lollobrigida il ceppo ce l’ha in testa se pensa che gli italiani possano essere definiti sulla base dell’etnia. Dentro ognuno di voi c’è sangue arabo, normanno, europeo, mediterraneo. Avete voglia di discutere, cari sovranisti, di identità? Facciamo un bel dibattito e vediamo chi conosce l’identità storica e culturale di questo paese, se voi o io». In realtà, il ministro dell’Agricoltura ha più volte sottolineato che il suo ragionamento era sul piano culturale, ma evidentemente al leader di Azione non basta. Gli replica, da Fratelli d’Italia, Riccardo Zucconi: «Comprendiamo che Carlo Calenda, dopo le diverse e numerose brutalizzazioni a cui è stato sottoposto da Matteo Renzi, abbia perso un po’ di lucidità, tuttavia il messaggio del ministro Lollobrigida è chiaro e assolutamente privo di discrimini razziali: basta strumentalizzazioni, se non sia ha nulla da dire meglio stare in silenzio».

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Bisignani, la profezia sulla Meloni: “Quando diventerà la nuova Merkel”

lunedì, Maggio 29th, 2023

GiorgiaMeloni può diventare la “nuova Merkel”. Parola di LuigiBisignani, che a Il Giornale ha spiegato il suo punto di vista sulla presidente del Consiglio: “È persona onesta, anzi intransigente sui valori e semmai, da underdog, è affascinata dal potere. Inteso come consenso. È una che non molla mai ed è capace di cambiare pelle. Se dovesse completare questa metamorfosi, oggi in chiaveconservatrice, sarà la nuova Merkel”. 

Bisignani ha anche ripercorso le origini della Meloni: “È partita da un angolo di Roma, dalla Garbatella, ed è arrivata a Palazzo Chigi, battendo tutti. È un’incantatrice ma anche una secchiona. Sì, è un’incantatrice secchiona, talento e studio dodici ore al giorno. Lei ha messo in fila tutti gli uomini dimostrando di essere sempre più avanti: la prima ad arrivare alle manifestazioni, l’ultima, dopo aver incollato i manifesti, a tornare a casa. Così ha scavalcato tutta la concorrenza. Basta osservare la cura con cui prepara i dossier, a differenza di Conte, che improvvisava, e di Draghi che pensava di sapere già tutto”. 

Stiamo per entrare nella Terza Repubblica: la profezia della Meloni, cosa significa
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Elly Schlein, la fuga e il sondaggio da incubo: Pd, è allarme rosso

lunedì, Maggio 29th, 2023

Brunella Bolloli

Sarebbe ingeneroso affermare che Elly Schlein se ne frega dell’Emilia Romagna, terra dove è nata politicamente, ha studiato, ha vissuto (e in parte vive ancora) e dove si è imposta fino a diventare vicepresidente della giunta regionale guidata dall’amico avversario delle primarie, Stefano Bonaccini. Ma, a parte la visita di inizio settimana in alcuni comuni alluvionati nella vallata del Santerno, la segretaria del Pd non ha brillato per la sua vicinanza alla popolazione devastata dalla tragedia. Forse perché nel frattempo si è impantanata. E non nel senso che ha affondato gli stivali, magari scelti dall’armocromista, nel fango che si mangia Conselice, Ravenna, Lugo e tutti i paesi sommersi dall’onda nera (questa sì) provocata dall’esondazione dei fiumi.

Ma perché si è fermata. È rimasta immobile di fronte al disastro, incerta sul da farsi, non ci ha messo abbastanza la faccia, ed era praticamente casa sua, mentre Giorgia Meloni sorvolava in elicottero con Ursula von der Leyen le zone allagate e si consultava con il governatore Bonaccini su come agire e su cosa fare per risolvere i problemi, e certo una è la presidente del Consiglio ed è suo dovere, ma l’altra è la leader del principale partito di opposizione e, incidentalmente, in Emilia Romagna ha avuto delle responsabilità precise: sue infatti erano le deleghe al welfare e soprattutto al “Patto per il clima”.

«Ancora una volta non ci hanno visto arrivare», è stata la frase cult della neo segretaria in quella notte campale per i cacicchi dem, in cui la 37enne nata a Lugano è stata incoronata a capo del Nazareno grazie al voto popolare dei gazebo che è prevalso su quello dei circoli, vale a dire sull’apparato. E però quel «non ci hanno visto arrivare» preso in prestito dalla femminista americana Lisa Levenstein e diventato il suo grido di vittoria dello scorso febbraio oggi può essere girato nel più mediatico “Chi l’ha vista?” perché perfino i compagni di partito lamentano l’assenza della segretaria. A conferma di un certo malessere ci sono gli ultimi sondaggi che vedono Fratelli d’Italia sempre primo partito e il Pd sempre secondo, ma in flessione rispetto alle settimane precedenti. Nella rilevazione di Swg, mostrata al tg di La7, il Pd è sceso dal 21,3% al 20,9, proprio nella settimana dell’alluvione dove l’ex vicepresidente dell’Emilia Romagna avrebbe invece dovuto guadagnare qualcosina, se avesse voluto. E nelle intenzioni di voto analizzate ieri da Nando Pagnoncelli peril Corriere della Sera il partito che fu di Enrico Letta è dato in calo dello 0,3%, un dato che, pur non essendo una variazione enorme, dà l’idea del calo dei dem. A fine aprile, infatti, il Pd viaggiava sul 20,7%, di recente qualcosa si è guastato.

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I sabotatori russi che fanno tremare il Cremlino: “Il dittatore Putin va sconfitto in guerra, agiremo fino al crollo del regime”

lunedì, Maggio 29th, 2023

Letizia Tortello

La voce è mascherata, così come i volti. Rilasciano un’intervista esclusiva a La Stampa, per raccontare i loro obiettivi, dopo la conferenza stampa dei giorni scorsi: «Il regime di Mosca deve cadere, Putin è un dittatore e dev’essere sconfitto sul campo». Sono i sabotatori russi che fanno tremare il Cremlino. Loro si danno il titolo di “partigiani”. L’azione più incisiva lo scorso 22 maggio, quando sono entrati nel territorio della regione russa di Belgorod, dall’Ucraina. Ma le incursioni non sono finite, dicono. L’organizzazione è estesa tanto da moltiplicare le operazioni.

Chi siete? Siete russi? Da dove venite? Avete una formazione militare? Avevate mai combattuto prima d’ora?
«Siamo partigiani russi di una cellula della rete che opera nelle regioni di confine tra Russia e Ucraina. È una rete abbastanza ampia. Siamo gente comune, molti di noi hanno alle spalle il servizio militare (la leva obbligatoria, ndr), ma nessuno ha fatto il mercenario prima d’ora. Tra noi, ci sono persone con esperienza di combattimento, ma non sono tanti. Quelli già formati condividono la loro esperienza con gli altri di noi, ci addestriamo nella pratica. Non eravamo soldati prima».

Perché volete la fine del regime di Putin?
«La nostra cellula si è formata a partire da un insieme di persone che erano contro il regime di Putin già prima della guerra su vasta scala. Ciascuno di noi ha i propri conti da saldare con questo regime. Ci sono persone di opinioni diverse, siamo per lo più di destra, ma tra noi ci sono anche liberali. Le opposizioni di ogni tipo in Russia sono state azzerate. Non possiamo più esprimere la nostra opinione in alcun modo, perché il dissenso è perseguibile per legge. E così, invece di protestare pacificamente, cosa che non ha portato ad alcun risultato, abbiamo deciso di imbracciare le armi. Questa è la ragione per cui siamo qui e combattiamo. Poi, molti di noi hanno anche parenti in Ucraina, il che aggiunge anche un’altra motivazione. Potremmo raccontare molto delle ragioni che ci spingono, ma in generale abbiamo un grande obiettivo: il rovesciamento del regime. E come lo vediamo noi, deve avvenire attraverso la sconfitta in guerra di Putin».

Qual è il vostro messaggio per Vladimir Putin?
«Putin per noi è un “cechista” (agente della Ceka, la polizia segreta nell’Urss, ndr) separato dalla realtà, è un dittatore. E noi capiamo bene che non ha senso trasmettergli alcun messaggio: non lo leggerà, non lo ascolterà. Quindi, gli trasmettiamo qualcos’altro, capirà bene la nostra posizione con le nostre azioni».

Fino a che punto siete disposti a spingervi? I sabotaggi nelle regioni russe continueranno?
«Certamente! Fino a che punto siamo disposti ad arrivare dipenderà dalle risorse che avremo a disposizione. Per ora, non ne abbiamo moltissime, ma siamo riusciti a fare deragliare un treno, abbiamo distrutto una decina di binari ferroviari e spero che continueremo col sabotaggio dei treni. Abbiamo anche fatto saltare alcune sottostazioni elettriche e diversi uffici di registrazione e arruolamento militare. Il nostro lavoro va avanti».

Cosa avete pensato quando la Russia ha invaso l’Ucraina?
«All’inizio, ovviamente, siamo rimasti choccati. Non era possibile che ciò potesse accadere, e molti di noi sono usciti per protestare con cartelli «No alla guerra». Ma non sono stati “coronati dal successo”, diciamo così. Essì, molti di noi, anzi quasi tutti, sono stati puniti con sanzioni amministrative, multe, qualcuno ha ricevuto anche denunce penali. E allora ci è parso chiaro che fosse necessario passare dalle parole ai fatti, cosa che è accaduta, come potete vedere».

Secondo voi, quanto durerà la guerra?
«È difficile da prevedere questo. Ad essere onesti, abbiamo l’impressione che la guerra potrebbe trascinarsi a lungo, perché la riserva di mobilitazione in Russia è ampia e non abbiamo speranza di poter aizzare il popolo alla rivolta. Il nostro popolo russo è abbastanza inerte su questo fronte, nessuno si preoccupa particolarmente per ciò che sta accadendo a livello di politica internazionale».

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Il test delle urne e i pericoli per Schlein

lunedì, Maggio 29th, 2023

Alessandro De Angelis

Lo si è visto già al primo turno di questa tornata amministrativa, sufficiente (quando corrono le liste) a tastare il polso del Paese: nei suoi rapporti di forza reali, siamo ancora al 25 settembre. La fase non è cambiata. E tuttavia i ballottaggi, molto condizionati da elementi locali, cui si aggiunge il voto di Catania dove la destra punta chiudere subito la partita, inevitabilmente avranno un valore simbolico, nei termini di «chi ha vinto e chi ha perso»: se il giovane Giacomo Possamai – uno che ha chiesto ai big del suo partito, compresa Elly Schlein, di non andare a «fare passerelle» – espugnerà Vicenza si aprirà il dibattito sul “modello civico”; se la destra invece riuscirà a conquistare Ancona, Brindisi, e a mantenere le tre città toscane (Pisa, Massa, Siena) sarà un bel problema per la segretaria Pd, la cui gestione solipsistica del partito alimenta già dei malumori sottotraccia da parte di chi, anche tra i suoi sostenitori, chiede maggior coinvolgimento, in termini di scelte e agenda.

Poi, come in un volta-pagina, la dinamica (forse l’illusione) bipolare, lascerà il campo alla grande proporzionalizzazione della discussione politica, con l’orologio fissato al voto per le Europee, dove il primo avversario è l’alleato potenziale o reale cui erodere voti. Con la non irrilevante differenza che, mentre da un lato Salvini potrà agitarsi sul canone Rai o sull’autonomia, ma non è nelle condizioni di forzare più di tanto nell’ambito di una coalizione guidata da una leadership saldamente egemonica, dall’altro non solo non c’è un embrione di alternativa, ma il solco politico tra Pd e Cinque stelle è destinato ad acuirsi. Certamente sulla guerra, ma il trailer di quel che accadrà è andato in onda anche sulle nomine Rai, dove uno ha gridato all’occupazione, l’altro ha preso parte alla spartizione, il che fissa la divisione sull’elemento morale e sulla soglia dello scandalo tollerabile, mica un dettaglio.

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Venezia al verde, spunta l’ipotesi di un “liquido tracciante”

lunedì, Maggio 29th, 2023

Laura Berlinghieri

VENEZIA. Una chiazza verde fosforescente nell’acqua del Canal Grande, esattamente davanti al Ponte di Rialto. Peraltro, nella domenica che ha visto sfilare tra il bacino di San Marco e i canali della laguna oltre duemila imbarcazioni per la Vogalonga, una delle manifestazioni più attese in città. Ieri mattina Venezia si è svegliata così. Sono stati alcuni residenti a segnalare alla Polizia locale la grande macchia verde fluorescente che si era impossessata di una porzione di laguna, tra le più fotografate dai turisti: il tratto del Canal Grande che si può vedere affacciandosi dal Ponte di Rialto. Diventato verde fosforescente, anche in questo caso per la gioia dei turisti, che immediatamente hanno fatto rimbalzare gli scatti sui social.

Il primo pensiero è volato agli ambientalisti: si è pensato che potesse trattarsi di un loro blitz, riadattamento lagunare dei lanci di vernice lavabile contro i monumenti italiani. E si è anche ipotizzata una citazione della provocazione artistica che l’argentino Nicolas Garcia Uriburu mise in atto nel 1968, in occasione della Biennale d’Arte, quando percorse il Canal Grande, gettando dalla barca in cui si trovava un pigmento in grado di rendere fosforescenti i microrganismi presenti nella laguna. Ma poi, nella città fragile che poggia sull’acqua, si è pensato anche che si potesse trattare della bravata di qualche maleducato. Quasi certamente l’ultima ipotesi è da accantonare. Mentre ci si continua a interrogare sulla prima, nonostante la precisazione di Ultima generazione: «Non siamo stati noi».

In ogni caso, stando alle analisi dei prelievi effettuati dall’Arpav (l’Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale) quanto accaduto ieri dovrebbe essere «colpa» della fluoresceina, un liquido assolutamente innocuo, che viene immesso nelle tubature o negli scarichi in caso di perdita d’acqua, per comprenderne il tragitto. Ne basta poco, per impregnare una porzione anche estesa di acqua: esattamente come potrebbe essere successo ieri mattina.

È comunque una buona notizia, dato che allo scandalo per lo sfregio alla città si aggiungeva il timore che quella versata nel Canal Grande potesse essere una sostanza tossica o comunque dannosa per le acque lagunari. «Ipotesi scongiurata, non c’è alcun pericolo di inquinamento»ha assicurato il presidente veneto Luca Zaia, «piuttosto, a preoccuparmi è il rischio emulazione».

Ma intanto ci si interroga anche su una seconda questione: come è possibile che nessuno si sia accorto di nulla, nella città del «Grande Fratello?», perennemente controllata dagli occhi delle telecamere e da quelli di residenti e turisti. Per questo il prefetto Michele Di Bari e il questore di Venezia Michele Masciopinto hanno disposto un’intensificazione della vigilanza nella zona, sia per monitorare eventuali conseguenze dell’episodio di ieri, sia per impedire che quanto accaduto possa ripetersi. E sempre per questo, oggi, forze dell’ordine, vigili del fuoco e Agenzia regionale per l’ambiente torneranno in Questura, convocati nuovamente dal Prefetto, dopo la riunione urgente che già era stata disposta ieri, subito dopo l’accaduto: «Per mettere a fattore comune le informazioni acquisite e gli accertamenti svolti sull’evento, al fine di individuarne le cause e le conseguenti azioni da intraprendere» hanno fatto sapere Prefettura e Questura, in una nota congiunta.

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Barca si ribalta sul Lago Maggiore per una tromba d’aria: quattro turisti morti

lunedì, Maggio 29th, 2023

Monica Serra

Sono stati recuperati un terzo e un quarto corpo dal lago Maggiore, dove ieri sera una barca turistica si è capovolta a causa di una improvvisa tromba d’aria sul lago Maggiore, vicino a Lisanza (Varese). Tra le venti persone salvate dopo essere riuscite a raggiungere la riva, nessuna ha riportato gravi ferite. Una tragedia imprevedibile secondo i testimoni, data la velocità con cui il tempo sul lago è mutato diventando tempesta.

«All’improvviso, il cielo è diventato nero, si è scatenata una pioggia fortissima e dalla riva non si vedeva quasi niente, nemmeno davanti alla baietta del Piccaluga, da dove credo si partito il battello. . .» . Così racconta il titolare della Nautica Lisanza, mentre alle dieci di sera, in questa piccola sponda lombarda del Lago Maggiore, si cerca ancora di capire cosa sia davvero successo a poche decine di metri dalla riva dove ieri sera una comitiva di turisti che a bordo stava festeggiando un compleanno e si è ritrovata in acqua per l’arrivo di una tempesta.

Il maltempo li ha sorpresi mentre tornavano verso la riva e il battello turistico si è ribaltato. Sembrerebbe una tromba d’aria intorno alle sette e mezza della sera e l’imbarcazione di sedici metri, che navigava sul Lago Maggiore, si è capovolta: in acqua sono finite più di venti persone. A tarda sera il bilancio ieri era di due morti e due dispersi, mentre le ricerche dei sommozzatori dei vigili del fuoco e dei carabinieri del comando provinciale di Varese proseguono senza sosta.

È successo al tramonto, dopo un pomeriggio soleggiato e tranquillo. A bordo dell’house-boat era salita in tutto una ventina turisti tra stranieri – sembrerebbe inglesi e tedeschi – e italiani, e due addetti del personale di bordo. Il vento forte è arrivato all’improvviso, si sono alzate le onde, l’imbarcazione si è rovesciata e si è inabissata.

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Il potere infinito (e le colpe) di Erdogan

lunedì, Maggio 29th, 2023

di Aldo Cazzullo

Elezioni che si tengono con la stampa imbavagliata e i dissidenti in galera non sono davvero libere. Ma la maggioranza dei turchi ha confermato il presidente, anche se non si può considerare un leader democratico quanto un autocrate

Il potere infinito (e le colpe) di Erdogan
Recep Tayyip Erdogan è stato confermato presidente (Ap)

Ha imprigionato scrittori, generali, giornalisti, blogger. Ha tentato di soffocare passo dopo passo la laicità su cui è stata costruita la Turchia moderna. Si è messo contro le grandi città: Istanbul di cui era stato sindaco, Izmir (Smirne) che l’ha sempre osteggiato, Ankara offesa dalla costruzione del suo sardanapalesco palazzo. Ha gestito male la tragedia del terremoto. Non è riuscito a entrare nell’Unione europea, anzi con molte scelte — dalla persecuzione dei curdi al dialogo con i peggiori satrapi — si è chiamato fuori dall’Occidente. Non ha saputo frenare l’inflazione, oggi in Turchia a livelli drammatici, tanto che è difficile pure comprare un’automobile, divenuta un bene rifugio: chi se ne accaparra una la rivende dopo pochi mesi per trarne profitto.

Allora, perché? Perché, dopo oltre vent’anni di potere, Recep Tayyip Erdogan è stato rieletto per l’ennesima volta, sia pure di misura, in modo non certo trionfale?

Intendiamoci: elezioni che si tengono con la stampa imbavagliata e i dissidenti in galera non sono davvero libere. Erdogan non si può considerare un leader democratico, quanto un autocrate.

Eppure non è che la maggioranza dei turchi sia incapace di intendere e di volere. Né può essere considerata vile e conformista: se c’è un popolo indomabile e coraggioso, formidabile in pace e in guerra fino alla spietatezza, è il popolo turco. Che è anche un popolo nazionalista, più ancora di altri.

Il motivo è scritto nella geografia e nella storia: la penisola anatolica è il ponte naturale tra Asia ed Europa, crocevia e terra di passaggio, sede di un impero dai tempi di Costantino; e i turchi, che a Costantinopoli entrarono quasi sei secoli fa, dopo aver vissuto l’apogeo e la decadenza hanno dovuto lottare duramente per non essere spazzati via. Certo hanno commesso crimini, ai danni degli armeni, dei curdi, dei greci; ma altre volte ne sono stati vittima, e tuttora popolazioni turcofone dell’Asia centrale dopo aver subito il giogo russo devono sottostare a quello cinese.

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Pnrr, dietro i ritardi italiani le tensioni tra Palazzo Chigi e il Mef e il nodo energia

lunedì, Maggio 29th, 2023

di Federico Fubini

Pnrr, dietro i ritardi italiani le tensioni tra Palazzo Chigi e il Mef e il nodo energia

Ursula von der leyen, presidente della Commissione europea

Se Bruxelles ha fretta di vedere le modifiche dell’Italia al Piano nazionale di ripresa e resilienza, non è solo perché sul successo di Roma Ursula von der Leyen si gioca una piccola parte del proprio futuro. Certo, un po’ forse è anche quello: la presidente della Commissione è fra gli artefici del Recovery e della scelta di concedere all’Italia la quota più ampia dei fondi; se il progetto fallisse nel Paese più emblematico, per qualcuno dei governi da sempre meno entusiasti in proposito non sarebbe certo un argomento per la rielezione di von der Leyen nel 2024. Dietro la fretta di Bruxelles c’è però soprattutto una ragione pratica: i garanti delle risorse del Pnrr sono proprio i governi europei, i quali dovranno necessariamente approvare le proposte del governo di Roma dopo che l’avrà fatto la Commissione stessa; la procedura prenderà mesi e, se si aspetta ancora, c’è il rischio che resti poco tempo per realizzare gli investimenti entro la scadenza del 2026. Le risorse

I tre fattori del ritardo

Intanto però in Italia si stanno facendo sentire tre fattori che portano il ministro per gli Affari europei, Raffaele Fitto, a procrastinare. Il primo è legato agli equilibri nel governo. Chi conosce bene l’impianto del Pnrr stima che i fondi potenzialmente soggetti a un cambio di destinazione pesino, al massimo, fra il 12% e il 15% dei 191,5 miliardi destinati all’Italia. Dunque fra venti e trenta miliardi al più, il che sarebbe già moltissimo. Ma per individuare gli investimenti da tagliare o da spostare, Fitto si è rivolto a coloro che ne detengono i segreti: le diverse amministrazioni ministeriali che, in teoria, hanno il quadro ciascuna dello stato di attuazione dei propri progetti. Qui è scattato l’istinto di autoconservazione delle burocrazie, perché molti ministeri sono tutt’altro che entusiasti di fare trasparenza. Nessuno ha fretta di rischiare di vedersi privare di fondi, solo perché alcuni cantieri non sono al passo.

Ragioneria dello Stato ai margini

Ha iniziato a farsi sentire a questo punto il secondo fattore di ritardo: il freddo sceso — più che fra i politici — fra gli uffici del ministero dell’Economia e di Palazzo Chigi. Fitto e la premier Giorgia Meloni hanno voluto lo spostamento alla presidenza del Consiglio della gestione del Pnrr e dei fondi europei tradizionali. Vista dal ministero dell’Economia, è stata l’amputazione di poteri di gestione di risorse per quasi trecento miliardi di euro. Questa svolta e le stesse riserve di Fitto hanno messo ai margini la Ragioneria dello Stato, che è parte del ministero dell’Economia. Negli ultimi tempi hanno lasciato il ministero oltre venti addetti al Pnrr, quindi la capacità di controllo finanziario del Piano ne sta soffrendo. È come se, sul Recovery, il principale centro di know how finanziario del governo si fosse messo alla finestra in attesa degli errori altrui: «Se qualcuno vuole le nostre competenze — dice una voce dall’interno — le prende e ci fa ciò che ritiene».

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Fabio Fazio, l’ultima puntata di Che tempo che fa. Serra: «Topo Gigio di che partito era?»

lunedì, Maggio 29th, 2023

di Renato Franco

Il conduttore affida il suo pensiero a Michele Serra: «La storia della Rai è fatta di persone e programmi, ma anche di ingerenza della politica»

Fabio Fazio, l’ultima puntata di Che tempo che fa. Serra: «Topo Gigio di che partito era?»

Sipario. Sigla. Che saluti che fa. Fabio Fazio chiude la sua esperienza in Rai. Ovazione in apertura di programma, lui che si batte la mano sul cuore, gli applausi che non finiscono. I ringraziamenti sono «al pubblico che mi ha sempre seguito», nessuna stoccata alla Rai («sono stati 40 anni bellissimi»), un’unica concessione all’amarezza ma con il sorriso («abbiamo aspettato segnali da Giove e da Marte che non sono arrivati»), allusione al contratto scaduto e non più rinnovato.

Quando c’è Luciana Littizzetto i riferimenti al «divorzio» invece hanno il taglio dell’ironia. La comica si presenta con un carrellino per fare il trasloco: «Dai, che a mezzanotte scatta lo sfratto, i pesci li diamo in comodato d’uso alla Clerici, il tavolo lo vendiamo su Ebay». Scrive anche una lettera alla Rai: «Non abbiamo superato la crisi del settimo governo, peccato andare via proprio adesso che qui in portineria hanno imparato a scrivere il mio cognome. Ringrazio Fabio, l’unico che se ottiene ottimi risultati gli danno addosso il doppio». Poi il saluto finale con la citazione polemica per Matteo Salvini: «Bello? Ciao».

Quello che davvero Fabio Fazio avrebbe voluto dire sembra affidarlo a Michele Serra, in «un editoriale» in cui il giornalista spiega che «la storia della Rai è fatta di persone e programmi, ma anche di ingerenza della politica». Eccolo il punto, la lottizzazione, il manuale Cencelli che distribuisce nomine e poltrone. Serra usa l’arma dell’ironia: «Oggi però, se Topo Gigio tornasse in onda, tutti si chiederebbero a quale partito è in quota. E se tornasse il Quartetto Cetra, sia ben chiaro che, dei quattro, uno dev’essere meloniano, uno leghista, uno grillino e il quarto del Pd. Poi quello grillino e quello del Pd si annullano litigando tra loro, e così diventa il duetto Cetra, solidamente governativo».

Serra attacca anche il ministro Gennaro Sangiuliano che proprio a Che tempo che fa aveva detto che «alla Rai ci sono gli stalinisti», quindi «ci chiediamo quanto sia stato difficile per lui sopravvivere quando era direttore del Tg2: lo tenevano chiuso in una segreta?». Parla di «brutto clima, recriminatorio e meschino» e avverte: «Se fossi di destra sarei preoccupato, perché penseranno che lavoro in Rai non perché sono bravo ma perché sono di destra. Pensate che anche il direttore di Isoradio — le notizie sul traffico — è di nomina partitica». La riflessione finale è amara: «Bisogna ricordarsi che la Rai è dello Stato, non dei partiti».

Fazio conduce come al solito, serio quando serve, ironico quando deve. Quello che doveva dire lo aveva detto a divorzio caldo, appena consumato: «Il mio lavoro continuerà altrove, d’altronde non tutti i protagonisti sono adatti per tutte le narrazioni, me ne sono reso conto, e quindi continuo a fare serenamente altrove il mio lavoro, quello che ho sempre fatto in questi quarant’anni». Per la Rai cambierà tanto — bisogna trovare uno che arriva al 12%, il doppio di share della media dei Rai3 —, ma per il telespettatore cambierà poco. Solo qualche tasto più avanti del telecomando (il Nove), stesso format e stesso titolo (Che tempo che fa) perché il copyright non appartiene alla Rai.

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