Archive for Maggio, 2023

Emilia-Romagna, il governo snobba le proteste su Bonaccini commissario: scontro col Pd

domenica, Maggio 28th, 2023

Aumenta il pressing soprattutto da parte del Pd e degli amministratori locali dem affinché venga scelto come commissario sull’alluvione in Emilia-Romagna il presidente della Regione Bonaccini. Il governo ribadisce che il tema non è sul tavolo, «al momento opportuno, adesso serve affrontare il tema emergenza», sottolinea il vicepremier e ministro degli Esteri Tajani. «Trovo poco interessante e poco edificante il dibattito su chi sarà il commissario, a me interessa che i soldi arrivino a destinazione e che vengano spesi bene e presto», sottolinea il responsabile il responsabile per i rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, «se ne parlerà più avanti. Ce ne occuperemo quando il Cdm deciderà in maniera ufficiale». Si rafforza l’ipotesi del tecnico (tra i nomi quello dell’attuale capo della protezione civile Curcio), ma nell’esecutivo la priorità è legata allo stanziamento delle risorse. I due miliardi? «Serviranno altri interventi», dice il ministro per le disabilità Locatelli.  Il presidente della Repubblica, Mattarella, visiterà martedì le zone colpite dal maltempo. «Tanti ci stanno cercando per chiedere come dare una mano: venite in vacanza qui, ci sono tutte le condizioni per una formidabile stagione», ha detto il presidente dell’Emilia-Romagna Bonaccini.

Rating 3.00 out of 5

Ballottaggi, sfida finale in sette capoluoghi. Prove d’alleanza Pd-5Stelle

domenica, Maggio 28th, 2023

Alessandro Di Matteo

ROMA. È il giorno della verità per 41 Comuni chiamati ai ballottaggi, ma anche l’inizio della partita per le città di Sicilia e Sardegna, che votano invece per il primo turno. Si vota oggi (dalle 7 alle 23) e domani (dalle 7 alle 15) e si tratta di un test importante, perché è l’ultimo prima delle europee del prossimo anno. Tra i comuni chiamati al secondo turno (41 in tutto) ci sono sette capoluoghi, quasi tutte sfide delicate tra centrodestra e centrosinistra. In Sicilia, poi, si vota per il primo turno in quattro capoluoghi – Catania, Siracusa, Ragusa e Trapani – anche in questo caso partite di primo piano, risultati che assumeranno inevitabilmente un significato politico anche nazionale.

Il centrodestra governava 8 capoluoghi su 17, prima di questa tornata elettorale, e al primo turno di 15 giorni fa nelle regioni a statuto ordinario ha già vinto in 4 città, compresa Latina riconquistata dopo un’amministrazione di centrosinistra e poi la gestione del commissario prefettizio nell’ultimo anno. Pd e alleati avevano i sindaci di 5 capoluoghi (più appunto Latina poi passata alla gestione commissariale nel 2022) e al primo turno sono riusciti a vincere a Brescia e Teramo.

Il secondo turno però è un capitolo a parte, il ballottaggio storicamente non è un terreno favorevole per il centrodestra e non a caso venerdì il coordinatore di Fi Antonio Tajani ha messo le mani avanti: «Non sono appassionato dei ballottaggi. Con la legge elettorale in vigore si rischia di falsare i risultati delle amministrative». Ancona, per esempio, è una delle sfide più delicate. Quindici giorni fa era in testa col 45,1% il candidato del centrodestra Daniele Silvetti, circa quattro punti avanti rispetto a Ida Simonelli del centrosinistra (41,3%). Ma il Pd crede nella rimonta, anche perché il capoluogo delle Marche è una roccaforte della sinistra e perderla sarebbe un duro colpo. Fondamentale per Elly Schlein sarà recuperare il voto M5s, nonostante Giuseppe Conte non abbia siglato apparentamenti in questa città.

La situazione è ribaltata a Vicenza, dove al primo turno è finito in testa Giacomo Possamai, centrosinistra, che col 46,2% ha superato il sindaco uscente di centrodestra Francesco Rucco (44%). Qui sono Pd e alleati a cercare la vittoria in trasferta, un successo che sarebbe molto importante in una regione dove il centrodestra è sempre molto forte. Anche in questo caso democratici e M5s erano divisi al primo turno, ma al ballottaggio i 5 stelle sosterranno il candidato del centrosinistra.

Occhi puntati anche sui tre capoluoghi toscani, presidi di sinistra espugnati dal centrodestra nel 2018. A Pisa il sindaco uscente Michele Conti stava per fare il bis giù al primo turno e ha mancato il successo per un pugno di voti, fermandosi a un passo dal 50%. Ma il centrodestra arriva in vantaggio anche a Massa, dove Francesco Persiani al primo turno ha preso il 34,76% contro il 30,23% di Paolo Martinelli. Stessa situazione a Siena, anche se lo scarto è stato minimo con il candidato del centrodestra Fabio Nicoletta al 30,5%, seguito da Anna Ferretti (centrosinistra) con il 28,75% Tutta interna al centrodestra la partita a Terni: al ballottaggio se la vedono Orlando Masselli, candidato da Lega, Fdi e Fi, e Stefano Bandecchi, “civico” ma sempre di area centrodestra.

Rating 3.00 out of 5

Catania, scossa di terremoto di magnitudo 4

domenica, Maggio 28th, 2023

Una serie di scosse di terremoto sono state registrate dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia nella zona di Milo, comune in provincia di Catania alle pendici orientali dell’Etna.

La più forte è avvenuta alle 6.44 con una magnitudo di 4.0, inizialmente valutata fra 3.7 e 4.2. L’epicentro rilevato a 7 chilometri a ovest di Milo.

La scossa è stata avvertita anche nei comuni di Sant’Alfio, Zafferana Etnea, Santa Venerina, fino a Giarre e Riposto, località più vicine al mare. Le altre scosse hanno una magnitudo compresa fra 2.2 e 2.8.

LA STAMPA

Rating 3.00 out of 5

L’estate dei lavoratori introvabili

domenica, Maggio 28th, 2023

PAOLO BARONI

ROMA. L’ultimo appello l’ha lanciato ieri «Chef Express», azienda leader nel settore della ristorazione, che solo in Italia è presente in 200 tra stazione ferroviarie, aeroporti e aree autostradali: ogni anno questa società del gruppo Cremonini assume circa 2.500 lavoratori stagionali, che si aggiungono ai 7.200 addetti stabili, e per ora ne mancano appello più della metà, circa 1.300.

Tra cuochi, pasticceri, personale di sala, baristi, addetti alla reception degli alberghi e quant’altro, secondo le stime di Confesercenti, quest’anno andranno reperiti almeno 100 mila addetti in più tra bar, ristoranti e alberghi. E più di una impresa su tre (36% secondo un sondaggio commissionato alla Swg) ha difficoltà a reperire personale.

«Tra aprile e agosto – spiega a sua volta il vicedirettore della Fipe Confcommercio, Luciano Sbraga – le imprese dei nostri settori (ristorazione, intrattenimento, stabilimenti balneari) devono assumere circa 170/180 mila persone. Per la metà di esse ci saranno difficoltà di reperimento. Questo non significa che non verranno trovate, ma certo non sarà facile».

Per Sbraga tra i profili più difficili da reperire al primo posto c’è il personale di sala, poi cuochi, barman e a seguire pasticceri/gelatieri. Secondo il presidente della Federazione turismo organizzato di Confcommercio, Franco Gattinoni, «la carenza di personale nel settore turistico, sia nelle figure ad alta che bassa professionalizzazione, rischia di colpire l’incoming proprio nel momento in cui ci fanno sperare in un’estate di grande ripartenza. Mancano ad esempio 7 mila autisti di bus turistici, per la scarsa disponibilità di persone con patente e competenze adeguate. E poi si registra un gravissima penuria di guide turistiche nazionali, visto che non si fanno da troppo tempo esami di abilitazione, in attesa da 10 anni di nuove norme».

Quest’anno è atteso un vero e proprio boom del turismo con un numero di presenze che secondo delle previsioni dovrebbe superare il livello pre-Covid oltre quota 500 milioni. Secondo Confcommercio, per questa ragione, il settore dei servizi avrebbe bisogno di assumere 280 mila nuovi lavoratori. Le stime ufficiali elaborate da Unioncamere e Anpal parlano di 107 mila domande di lavoro solo nel mese di maggio da parte delle imprese del turismo e 398 mila entro luglio, ovvero 10.840 in più dell’anno passato. Limitandosi alle sole professioni qualificate tra esercenti e addetti alle attività di ristorazione servirebbero 83.030 entrate, ma per metà (49,8%) queste figure risultano di difficile reperimento.

A frenare il lavoro nel settore del turismo, segnala Confesercenti, in base al campione sondato da Swg ci sono innanzitutto la mancanza di candidati con adeguata preparazione (46%) e la carenza di candidati (28%). Un altro 19% delle imprese che lamentano difficoltà di reperimento del personale lo spiegano col fatto che i candidati selezionati non hanno giudicato soddisfacente l’accordo economico che veniva loro proposto.

L’offerta limitata di lavoratori viene spiegata col fatto che la stagionalità viene vista come un fattore di precarietà (61% delle risposte). Ma, soprattutto sui giovani, pesa l’impegno nei giorni festivi e prefestivi (60%) e l’idea che nel commercio e nel turismo ci sia poca possibilità di crescita professionale ed economica (55%).

Rating 3.00 out of 5

Le conseguenze economiche del melonismo post-draghiano

domenica, Maggio 28th, 2023

MASSIMO GIANNINI

Non vogliamo rovinare il presepe meloniano, così mirabilmente agghindato dalle tante Agenzie Stefani acquartierate nelle redazioni dei “picchiatori d’area” e nei telegiornali della Tv di Stato (e mai definizione fu più in linea con i tempi). Siamo felici di questa straordinaria resilienza italica, di fronte ai tre choc globali di questi ultimi tre lustri: crisi dei debiti sovrani, pandemia e guerra in Ucraina. Siamo fieri di questa economia reale che non solo si cura le ferite, riparte e addirittura fa meglio di quelle dei partner occidentali. Per quest’anno il Fondo monetario assegna all’Italia una crescita dell’1,1% (migliore della stima precedente ferma allo 0,7), mentre la Commissione europea prevede un più 1,2% (contro una media dell’1,1 nell’Eurozona).

Se poi pensiamo che da giovedì scorso la Germania è ufficialmente in recessione, allora mancano solo i Re Magi, e anche l’Epifania Tricolore sarà infine compiuta. In realtà, come ricorda giustamente Mario Deaglio, questa bolla festosa che il governo gonfia ogni giorno d’aria e propaganda rischia presto di scoppiare. Il fronte internazionale è pieno di incognite. Secondo il Global Debt Monitor dell’Iif, proprio nel momento in cui Fed e Bce hanno stretto il nodo scorsoio dei tassi di interesse, il debito mondiale è volato alla cifra monstre di 304.900 miliardi di dollari. In America la stretta monetaria ha innescato una discesa del costo della vita, ma i debiti delle famiglie hanno superato per la prima volta nella storia quota 17 mila miliardi di dollari: se va bene ci sarà meno inflazione ma crescita anemica, se va male ci saranno recessione e default privati, che si aggiungono a quello pubblico non ancora scongiurato dalla Casa Bianca e dal Congresso.

In Europa il caro-prezzi è più ostinato, e questo spingerà Christine Lagarde a elevare ancora i tassi, proiettando sull’economia dell’area euro lo spettro di una vera recessione.

Il fronte interno è ancora più vischioso. Come osserva opportunamente Alessandro Penati, tanto “compiacimento per le previsioni gratificanti di crescita del nostro Paese” potrebbe portarci presto a “un brusco risveglio”. Al di là della spinta momentanea dell’edilizia drogata dal Superbonus, delle ottime performance di alcune filiere produttive come l’agroalimentare e dell’export manifatturiero, la politica economica è confusa, contraddittoria, corporativa. La Melonomics, semplicemente, per adesso non esiste. Non è una critica faziosa, perché finora non esiste nemmeno una Schleinomics. È, più banalmente, la somma delle gravi criticità evidenziate in questi ultimi giorni da tutte le principali istituzioni indipendenti.

L’ultimo a smontare il vacuo storytelling della presidente del Consiglio e del suo ineffabile ministro del Tesoro è l’Fmi, che invoca “un piano credibile di riduzione del debito a medio termine”, suggerisce una revisione del sistema previdenziale con “un’età pensionabile collegata alle aspettative di vita, prestazioni maggiormente allineate ai contributi e abolizione dei regimi di prepensionamento”, consiglia un Fisco che “incoraggi l’occupazione, abolisca le spese fiscali inutili, rafforzi la riscossione delle entrate, tuteli la progressività”. La Banca d’Italia, in audizione alla Camera, è inflessibile sulla delega fiscale: mancano “le opportune coperture finanziarie”, non è chiaro “né quali incentivi saranno oggetto di razionalizzazione né quindi l’entità delle risorse che potranno essere recuperate”, ma soprattutto il sistema ad aliquota unica e a riduzione del carico fiscale risulta “poco realistica per un Paese con un ampio sistema di Welfare, specie alla luce dei vincoli di finanza pubblica”.

Rating 3.00 out of 5

La grande frenata dell’economia italiana

domenica, Maggio 28th, 2023

Fabrizio Goria

Sono sempre di più le nubi che si addensano sull’economia italiana. Dopo i moniti di Commissione Ue, Banca d’Italia e Fondo monetario internazionale ora è Confindustria a rimarcare come l’attività domestica stia crescendo a ritmi più moderati nel secondo trimestre. A trainare sono i servizi, mentre l’industria fatica. A preoccupare è l’inflazione, più persistente del previsto, e le possibili conseguenze delle strette monetarie della Banca centrale europea (Bce). In aumento, secondo le stime preliminari di Eurostat visionate da La Stampa, sono i fallimenti. Il trend iniziato nel finale del 2022 e proseguito nel primo trimestre 2023, bancarotte a +2,6% su base annua, continuerà ancora. E potrebbe deprimere l’espansione del Pil italiano.

Non è una bocciatura, ma una presa di coscienza. Il centro studi di Confindustria, nel suo rapporto periodico, evidenzia quanto sia chiaroscurale la situazione. I servizi stanno trainando il Pil italiano, mentre è meno solida la condizione di manifattura e costruzioni. Allo stesso tempo, i tassi d’interesse continuano a salire e i prestiti a calare. Dai consumi arrivano segnali misti, mentre gli investimenti crescono anche se poco. Nello specifico, dice Confindustria, «i servizi trainano la crescita, con il turismo in Italia nel 1° trimestre che è salito al di sopra dei livelli del 2022 (+30,7% la spesa dei viaggiatori stranieri), portandosi intorno a quelli del 2019». In aprile il Pmi dei servizi è salito «ancora di più, indicando forte crescita (57,6 da 55,7), anche se a maggio la fiducia delle imprese ha subito un calo». Il settore, si rimarca, «beneficia ancora della domanda repressa delle famiglie liberata dalle riaperture post-Covid». Sul fronte dell’industria, «la produzione è diminuita ancora a marzo (-0,6%), terzo calo consecutivo, ma chiude il 1° trimestre solo di poco negativa (-0,1%) grazie alla buona eredità di dicembre». Lo scenario è però «in peggioramento». A maggio, viene spiegato, «la fiducia delle imprese è di nuovo calata: meno ordini, più basse attese sulla produzione». Non solo. La domanda estera «non tira più». L’export italiano di beni «si è fermato, in media, nel 1° trimestre 2023». E non è una bella notizia, in quanto quest’ultimo è stato uno dei settori che più ha favorito le buone performance dello scorso anno.

La congiuntura non è positiva. Specie se si valutano altri aspetti. Come i fallimenti in arrivo. Secondo Eurostat, dopo l’incremento del 26,8% negli ultimi tre mesi del 2022 rispetto al trimestre precedente, anche nella prima parte dell’anno in corso c’è stato un aumento. E un ulteriore girandola è continuata nel periodo corrente. Il picco, teme la banca tedesca Deutsche Bank, non sembra vedersi ancora. Ma è chiaro che i rialzi dei tassi da parte della Bce, che proseguiranno per buona parte dell’estate, complicano la vita a imprese e famiglie. Le seconde spendono meno, le prime vanno in crisi di liquidità e devono portare i libri in tribunale. Per ora, evidenzia Eurostat, il fenomeno in Italia è ancora non marcato, per merito della grande liquidità delle società, ma il vento potrebbe cambiare in fretta.

Rating 3.00 out of 5

«L’Irpef è una tassa iniqua». Ecco come dovrebbe essere riformata

domenica, Maggio 28th, 2023

di Massimiliano Jattoni Dall’Asén

L’Irpef necessita di una revisione generale per renderla un’imposta non solo più “semplice” ma anche rispettosa della progressività. Ne è convinto il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, che durante l’audizione del 17 maggio in Commissione finanze alla Camera sulla delega per la riforma fiscale ha spiegato che il principio dell’universalità dell’Irpef risulta oggi «minato dalla previsione di specifiche esenzioni e dal ricorso all’imposizione sostitutiva per distinte tipologie di reddito che provocano una distorsione del sistema, per cui a parità di reddito individuale l’imposizione fiscale può non essere la stessa».

Irpef minata da inefficienza e iniquità

Il problema deriva anche dal fatto che l’Irpef nel tempo è stata oggetto di numerosi interventi, ha spiegato Ruffini, che «hanno reso l’imposta molto articolata dal punto di vista tecnico, oltre che caratterizzata da diverse criticità per quanto riguarda efficienza ed equità della tassazione». L’attuale sistema fiscale distingue il pagamento dell’Irpef sulla base della ritenuta alla fonte e della dichiarazione annuale. Dunque, il perimetro della riforma tributaria si restringe ai contribuenti che non pagano le imposte con la ritenuta alla fonte. Nel corso del 2022 le entrate tributarie erariali accertate in base al criterio della competenza giuridica sono state pari a 544.528 milioni di euro, con un incremento di 48.484 milioni di euro rispetto al 2021 (+9,8%).Quelle derivanti dall’Irpef 269.078 miliardi di euro. Le imposte sono versate per l’81,9% da dipendenti e pensionati, ovvero il 14,5% dei contribuenti che pagano l’Irpef in base alla dichiarazione (l’evasione fiscale è stimata in più di 100 miliardi di euro). Il problema è che lavoratori dipendenti, autonomi e pensionati hanno specifiche detrazioni d’imposta, cosa che rende la loro posizione fiscale diversa a parità di reddito.

Verso i 50 mila euro le differenze si riducono

Inoltre, come spiegava poco tempo fa al Corriere la Fondazione Nazionale Commercialisti, la struttura Irpef a quattro aliquote in vigore per l’anno di imposta 2023 prevede una No Tax Area (NTA) differente per le tre principali tipologie di reddito. In particolare, per il reddito da lavoro dipendente, la NTA è pari a 8.174 euro, per il reddito da pensione è pari a 8.500 euro, mentre per il reddito da lavoro autonomo è pari a 5.500 euro. Il reddito da lavoro dipendente beneficia anche del trattamento integrativo di 1.200 euro annui fino a 15.000 euro di reddito imponibile (si tratta dell’ex Bonus Renzi da 80 euro, diventato poi strutturale a 100 euro mensili). Man mano che il reddito imponibile sale e si avvicina a 50 mila euro, le differenze tra le detrazioni tendono a ridursi per azzerarsi, infine, per tutte e tre le tipologie di reddito in corrispondenza di un imponibile pari a 50 mila euro. Ciò vuol dire che l’Irpef netta è uguale per tutte e tre le tipologie di reddito in corrispondenza di questa soglia di imponibile. Le differenze tra le detrazioni sono invece molto significative nella parte bassa della curva reddituale.

Pensionati e autonomi più poveri sono i più tartassati

Insomma, i pensionati e gli autonomi più poveri sono anche i più tartassati. Le differenze tra le detrazioni, unite al trattamento integrativo di 1.200 euro spettante ai redditi da lavoro dipendente fino a 15 mila euro, determinano differenze significative nell’Irpef netta (vedi qui la tabella). In particolare, in corrispondenza di 15 mila euro di reddito imponibile, il reddito da pensione ha un’Irpef netta di 1.543 euro superiore al reddito da lavoro dipendente, differenza che sale a 2.088 euro per il reddito da lavoro autonomo (va detto che, nel caso di un reddito di soli 10 mila euro da lavoro dipendente, l’imposta diventa negativa perché ampiamente compensata dall’ex Bonus Renzi da 1.200 euro annui). Queste differenze si riducono all’aumentare del reddito imponibile.

Rating 3.00 out of 5

Rai: scoppia il caso Barbareschi, torna Miss Italia e Fiorello chiarisce la battuta su Amadeus

domenica, Maggio 28th, 2023

di Antonella Baccaro

Due consiglieri chiedono lo stop al suo programma su Rai 3. L’attore: «È censura preventiva». Fiorello: «Amadeus farà Sanremo, era solo uno scherzo»

TITOLO

Un attacco al giorno, e a volte anche di più. Il fortino della Rai, dopo il cambio dei vertici e l’ultima infornata di nomine è sotto assedio. Ogni giorno dal settimo piano si dà il via libera almeno a un paio di comunicati per chiarire, smentire, smussare, placare la tempesta che si agita intorno. E intanto è corsa per chiudere i palinsesti autunnali entro il 7 luglio. Pesano i buchi creati dall’uscita di Fabio Fazio e Lucia Annunziata mentre altri addii si profilano minacciosi.

Ieri si è aperto un nuovo fronte. Due consiglieri di amministrazione, Francesca Bria (area Pd) e Riccardo Laganà (dipendenti Rai) hanno chiesto di cancellare la seconda edizione del programma condotto da Luca Barbareschi, In Barba a tutto, che sarebbe previsto dai piani di produzione e trasmissione 2023 del genere Cultura. Il motivo è l’intervista recente in cui il conduttore dichiarava che «le attrici che denunciano molestie cercano pubblicità».

«Riteniamo oltremodo gravi le parole del signor Barbareschi — scrivono — e chiediamo che, alla luce delle policy di valorizzazione e tutela delle donne volute e sostenute con fermezza da questo cda, nonché per evitare danni di immagine e ulteriori polemiche per il servizio pubblico, sia valutato dagli attuali vertici la cancellazione del programma in oggetto». Non solo, Bria e Laganà suggeriscono provocatoriamente di utilizzare il budget previsto per «un programma di approfondimento sul tema della violenza sulle donne». Da notare che la lettera indirizzata a Soldi rappresenta un’ulteriore sollecitazione alla presidente a svolgere un ruolo super partes. I consiglieri si appellano a quelle stesse policy sulla paritàin base alle quali Soldi, nello scorso cda, ha bocciato le nomine dei direttori delle testate giornalistiche, solo uomini.

Rating 3.00 out of 5

Formazione professionale, un paradosso italiano

domenica, Maggio 28th, 2023

di Ferruccio de Bortoli

Centinaia di migliaia di posti restano scoperti per mancanza di candidati adeguati. E il sistema economico avrà necessità di 5,8 milioni di nuovi occupati ancora più qualificati

Sembra solo una questione di soldi. Da una parte non si sa come spenderli, dall’altra non sappiamo dove trovarli. Mai avuti tanti investimenti da fare, grazie (e non solo) al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Mai avuti così tanti capitoli da finanziare: dalle inesistenti coperture della riforma fiscale agli interventi contro il dissesto idrogeologico. Una lunga lista di promesse. I vasi della spesa pubblica, specialmente a fronte di impegni europei – che includono anche le riforme – non sono comunicanti. Qualcuno coltiva però questa insana illusione che conferisce al dibattito pubblico un’atmosfera oppiacea di leggerezza finanziaria. Ci sarebbe anche il ponte di Messina che il vice presidente del Consiglio, Matteo Salvini, dopo l’ultimo decreto, presenta in Rete sotto il promettente titolo: «Dalle parole ai fatti». Siamo più tranquilli.

Non è il solo paradosso dell’Italia contemporanea. Ce n’è un altro, drammatico, del quale non vogliamo, chissà perché, occuparci. Un’emergenza sempre secondaria. Il processo di rimozione è collettivo. Proprio ieri Eurostat ha ribadito che siamo, dopo la Romania, il Paese europeo con il maggior numero di ragazze e ragazzi, tra i 15 e i 29 anni, che non studiano né lavorano. Uno su cinque. E non ci scandalizziamo. Tiriamo dritto. Sull’altro piatto della bilancia del lavoro, sono raddoppiate, rispetto al periodo pre Covid, le aziende che non riescono a trovare i profili professionali di cui hanno bisogno. Una su due.

Secondo il rapporto Excelsior-Unioncamere, già oggi più di un milione e duecentomila posti di lavoro rimangono scoperti per mancanza di candidati adeguati. E nei prossimi 5 anni il sistema economico, nel suo complesso, avrà necessità di 5,8 milioni di nuovi occupati — ancor più qualificati — per sostituire tra l’altro 2,7 milioni di persone che andranno in pensione. Intanto l’Italia invecchia. Avrà sempre meno giovani che però non riesce a preparare adeguatamente, salvo farsi sfuggire quelli più bravi o intraprendenti. Siamo ancora largamente convinti — perché questo è il tenore della discussione pubblica — che per innalzare il tasso di natalità bastino gli asili nido e gli aiuti alle famiglie. Abbiamo bisogno di immigrati ma temiamo di doverli integrare. Non è solo un tabù politico. Quelli che ci aiutano in famiglia vanno bene; quelli che si incontrano per strada no.

Uno studio della Banca d’Italia, firmato da Gaetano Basso, Luigi Guiso, Matteo Paradisi e Andrea Petrella, ha quantificato in 300 mila unità, l’occupazione aggiuntiva che verrà creata dal Pnrr nel solo 2024. Gli autori si chiedono però, desolatamente al termine del loro studio, se quei posti, ad alto valore aggiunto, specie in settori tecnologicamente avanzati, verranno coperti. Sarebbe una beffa se non fosse così. Nei prossimi giorni, il ministro Raffaele Fitto, che ha la responsabilità dell’avanzamento del Pnrr, renderà nota la propria relazione sullo stato d’attuazione. Sarà interessante capire non tanto quanto si sarà speso, bensì quanto di quello che non si riesce a spendere dipenda dalla mancanza di profili professionali adeguati. In sostanza dalla qualità del capitale umano. Perché quest’ultimo è il vero obiettivo del Next Generation Eu, che non a caso si chiama così e riguarda le prossime generazioni. Non unicamente, come sembra, le infrastrutture, l’alta velocità, la rete digitale, le fonti rinnovabili. Non è solo un grande progetto di opere pubbliche per la transizione, ma anche e soprattutto un immenso investimento sul capitale umano. Rischia di fallire per le poche competenze attualmente a disposizione e rischia di diluirsi per non averne create abbastanza.

Rating 3.00 out of 5

Pnrr, l’ipotesi di congelare «solo» 300-400 milioni sui 19 miliardi della terza rata

domenica, Maggio 28th, 2023

di Federico Fubini

Pnrr, l'ipotesi di congelare «solo» 300-400 milioni sui 19 miliardi della terza rata

Non si può dire che sul Piano nazionale di ripresa e resilienza regni una fiducia incondizionata nel rapporto fra Roma e Bruxelles. Negli ultimi mesi nella Commissione europea è cresciuta l’insofferenza perché dall’Italia sono arrivati ripetuti annunci sulla revisione dei progetti, ma pochi dettagli. Intanto a Palazzo Chigi si è formata l’impressione che da Bruxelles si assumano atteggiamenti capziosi, fino a bloccare l’erogazione da 19 miliardi di euro (richiesta già in gennaio) accampando all’improvviso problemi burocratici mai sollevati prima. Un fondo di irritazione e di sospetti, da entrambe le parti, rimane.

Ma per la rata del Pnrr attesa ormai da mesi e per quella successiva — la terza e la quarta del piano da 191,5 miliardi — si inizia a intravedere un percorso
. Per accelerare l’erogazione, sia a Bruxelles che a Roma si stanno prendendo le misure di un nuovo strumento: le «sospensioni di pagamento parziali». Nel caso della terza rata da 19 miliardi, questa clausola implicherebbe il versamento da Bruxelles di quasi tutta la somma prevista ad eccezione di 300 o 400 milioni. Per la quarta rata da 16 miliardi, legata a 27 obiettivi che l’Italia in teoria dovrebbe raggiungere entro giugno, la quota di pagamenti congelati potrebbe invece essere più alta.

La procedura legale

Sul piano legale, non si tratterebbe di una mossa arbitraria. A febbraio scorso la Commissione ha approvato una «comunicazione» (vincolante) che indica cosa fare se un Paese chiede l’erogazione di una rata del Recovery senza aver raggiunto tutti gli obiettivi di investimento e di riforme legati ad essa. Bruxelles può defalcare una somma calcolata in base al peso degli obiettivi che mancano; a quel punto il governo in questione ha un mese per contestare il congelamento dei fondi e poi, se la sua obiezione viene respinta, sei mesi per mettersi in linea. Nel caso che il ritardo rimanga però anche dopo sei mesi, la quota di pagamento già bloccata viene «sospesa in permanenza e dedotta». In sostanza, il Paese perde una parte dei soldi del Recovery. Questa procedura legale serve a mettere la Commissione Ue e i suoi funzionari al riparo delle contestazioni della Corte dei conti europea. Diversi governi in questi mesi stanno in realtà manifestando fastidio per il gran numero di controlli sui loro piani, proprio perché a Bruxelles si lavora sotto la spada di Damocle della magistratura contabile di Lussemburgo.

Un segnale politico

Ma quali che siano le procedure, non sfugge a nessuno a Bruxelles che la scelta di congelare una piccola quota dei fondi sarebbe letta in Italia come un segnale politico. L’erogazione della terza rata avverrebbe quasi per intero, in modo da non aprire una crisi sul Pnrr e da preservare la liquidità su cui il Tesoro a Roma conta molto. Ma la sospensione di 300 o 400 milioni lascerebbe capire che la Commissione si aspetta dall’Italia più collaborazione e più trasparenza — anche preliminare e informale — in vista di una revisione del Piano. Non basta infatti che il governo inserisca altri progetti motivandoli con i ritardi di quelli che usciranno dal Pnrr: l’Italia deve dimostrare anche che i nuovi piani sono più adatti dei vecchi ad accelerare la transizione verde, digitale o gli altri obiettivi del Piano.

Rating 3.00 out of 5
Marquee Powered By Know How Media.