Archive for Maggio, 2023

Le spiagge e l’estate, la conta dei danni in Emilia-Romagna: «Corsa per riaprire»

venerdì, Maggio 19th, 2023

di Virginia Nesi

Le spiagge e l'estate, la conta dei danni in Emilia-Romagna: «Corsa per riaprire»

Giorgio Mussoni non nasconde la paura: «Quando pioveva a dirotto io ero qui, allo stabilimento, e c’era da tremare». Tremare perché nella Riviera il vento è forte e il mare mosso travolge e inghiottisce pezzi di spiaggia in cambio di detriti. L’accozzaglia di tronchi, piante e alberi ha la sagoma delle montagne. Prova a fare una stima dei danni economici: «Si fa fatica a vedere il mare, per portare via tutto ci vogliono dai 20 ai 50 camion». Da giorni il presidente della Cooperativa bagnini Rimini Nord segue con apprensione i lavori sulla costa. Mussoni ha 86 anni ma, lo precisa, «è tutto un gioco di forza, c’è da mettersi lì e piegare la schiena». Nel suo stabilimento, in zona Viserba, i resti dei fiumi invadono gli spazi poco prima occupati dagli ombrelloni. «Dobbiamo rimontarne più di 200 e abbiamo meno di 15 giorni, poi inizia la stagione, il tempo stringe», dice. Corrono contro le lancette dell’orologio i proprietari dei balneari. Lavorano giorni e notte. Nessuno ha intenzione di rinunciare alle aperture.

Il turismo e la pesca

Nelle zone turistiche più colpite c’è chi agita i rastrelli e chi invece non scende dai trattori. La burrasca ha creato dei solchi tra la strada e la battigia. E nel mare, oltre ai pezzi di alberi, spuntano «i mobili e gli oggetti che arrivano dalle case», assicura Paolo Lucchi, presidente di Legacoop Romagna. Rincara Mussoni: «Io ho visto anche una pecora morta. I fiumi portano giù di tutto. E tutto finisce sulle spiagge. Siamo gli spazzini d’Italia». I rifiuti danneggiano anche l’attività di pesca. Spiega Lucchi: «La quantità di detriti è talmente ampia che i pescatori stanno chiedendo un intervento straordinario da parte della Regione. Le reti, in mare, rischiano di rompersi e loro non riescono da soli a portare i detriti sulla costa».

La sabbia “mangiata”

A meno di 20 chilometri di distanza, il presidente della Cooperativa bagnini di Cesenatico Simone Battistoni descrive una situazione diversa: «Qui l’acqua è splendida, non ci sono detriti. Abbiamo in buona parte tolto la legna e oggi alcune spiagge saranno pronte». Il vero danno riguarda la sabbia. Tutta quella parte della battigia che continua a sparire sotto le onde del mare. Battistoni tenta di fare una previsione dei danni subiti: «Se consideriamo che un metro cubo di sabbia costa mediamente 10-11 euro, per l’intera regione servirebbero almeno 10 milioni. Dieci milioni per riavere indietro la sabbia “mangiata” dalla mareggiata” ». Ma è un dato teorico, e ci tiene a ribadirlo, perché puntualizza: «Nessuno la porterà, noi dobbiamo arrangiarci, ogni gruppo sta chiamando le ruspe». Riaprire è la priorità numero uno, lo ripete anche lui. Solo la Riviera romagnola totalizza 4,6 miliardi di spesa turistica diretta. Sommata all’indotto porta il comparto al 13% del Pil regionale. Ieri la ministra del Turismo Daniela Santanchè ha voluto rassicurare imprese e cittadini: «Garantiamo il massimo sostegno».

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Maltempo in Emilia-Romagna, il Veneto salvato dai bacini di laminazione ma in Emilia-Romagna uno su due non funziona

venerdì, Maggio 19th, 2023

di Pierfrancesco Carcassi

Con la tempesta Vaia del 2018 in Veneto si registrarono 700 millimetri di pioggia in poche ore, ora in Emilia Romagna ne sono caduti 300: il confronto fra le infrastrutture e i sistemi delle due regioni confinanti 

Il bacino di laminazione di Caldogno (Walter Parisotto)
Il bacino di laminazione di Caldogno (Vicenza)

La devastazione dell’Emilia Romagna nasce dai 300 millimetri di pioggia in poco più di 24 ore registrati nelle zone più colpite dall’ondata di maltempo degli ultimi giorni: dalle precipitazioni intense che hanno creato l’emergenza più grande dopo il terremoto del 2012; un altro terremoto, come l’ha definito il presidente della Regione Bonaccini. Sono esondati i corsi d’acqua in una cinquantina di punti, le frane sono oltre un centinaio, con conseguenze disastrose: un bilancio, ad ora, di 13 morti, decine di migliaia di sfollati e di persone senza elettricità, centinaia di strade interrotte, danni per miliardi. Eppure quei 300 millimetri non sono neanche paragonabili alla pioggia caduta nel vicino Veneto durante un’altra calamità di proporzioni devastanti: nei giorni segnati anche dalla tempesta Vaia che colpì le montagne del Nordest nel 2018, oltre ai venti da record si registrarono 715 millimetri di acqua in 70 ore. Più del doppio, ma non ci furono allagamenti paragonabili a quelli dell’Emilia Romagna di questi giorni. LEGGI ANCHE

Le opere nel Veneto

Tra i due territori, la prima differenza che salta all’occhio è data dalle infrastrutture. Il Veneto ha imparato la sua lezione nel 2010. L’alluvione che devastò il Padovano eil Vicentino quell’anno fu l’impulso per realizzare opere anti-alluvionali per un miliardo e mezzo di euro. Senza, 13 anni prima, finì sott’acqua un’area di 140 chilometri quadrati. Tra il territorio sicuro di oggi e i 130 comuni allagati di 13 anni fa ci sono vari bacini di laminazione: soprattutto quello di Caldogno (Vicenza) e quello di Montecchia di Crosara (Verona). Sono grandi vasche in cui convogliare le acque in eccesso dei fiumi, realizzate grazie a fondi di emergenza: nello specifico 3,5 miliardi stanziati con il piano dopo l’alluvione del 2010.  «Finora – ha spiegato Giampaolo Bottacin, assessore all’ambiente e alla Protezione civile del Veneto – abbiamo completato 5 bacini, investito 400 milioni in opere di consolidamento, 320 milioni in opere di manutenzione. E siamo solo a metà. Già oggi, però, possiamo dire che c’è stata una svolta importante. Lo testimoniano gli eventi impattanti del 2018, 2019 e 2020». Il caso per eccellenza cui fa riferimento l’assessore è proprio la tempesta Vaia del 2018, durante la quale sono caduti 715 millimetri di acqua in un arco ristretto di tempo. Oltre agli alberi sradicati si sono rotti acquedotti, sono crollati argini, ci sono state 130 frane ma i danni sono stati molto inferiori a otto anni prima.

In Emilia-Romagna 11 sono incompleti
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La spaventosa potenza dell’acqua, iscritta nella memoria della nostra specie

venerdì, Maggio 19th, 2023

Le immagini dell’Emilia Romagna riportano, a chi è meno giovane, ricordi di altre inondazioni in altre parti d’Italia. Cambiano le strade, le auto sommerse, non lo sguardo angosciato di chi ha visto la sua vita andare di colpo sott’acqua. (Beppe Severgnini)

CorriereTv


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Fuggi fuggi da Calenda. E Iv chiede alla Camera la testa di Richetti

giovedì, Maggio 18th, 2023

Laura Cesaretti

La guerra dei nervi tra Matteo Renzi e Carlo Calenda si trasferisce in Parlamento, dove rischiano di saltare i gruppi unitari.

A mettere la pistola sul tavolo nel duello finale tra ex alleati sono i renziani: la capogruppo al Senato Raffaella Paita ha convocato per sabato una riunione del gruppo (di cui entrambi i leader duellanti fanno parte) per chiedere al capo di Azione un «chiarimento politico». Lo stesso fanno i deputati di Iv alla Camera, che mettono in discussione il capogruppo (calendiano) Matteo Richetti, proponendo in alternativa i nomi di due «pontieri» di Azione: Enrico Costa o Mara Carfagna.

In ballo c’è il niet di Calenda alla lista comune per le elezioni europee: l’ex ministro dello Sviluppo economico, martedì sera, ha chiuso con durezza le porte a ogni possibilità di riunire il Terzo Polo in vista del voto per il Parlamento di Strasburgo. «Basta, con Renzi ho già dato», ha detto dagli studi di un talk show televisivo. Altro che liste comuni alle europee con chi «scippa» i parlamentari: il Terzo Polo è definitivamente morto, dice Calenda: «L’errore è stato mio: mi sono fidato quando lui mi ha detto che aveva tanti impegni e guadagnava tanti soldi con gli arabi, ed era disposto a fare un passo indietro. Ma poi Renzi poi ha fatto Renzi».

L’addio ad Azione, annunciato dalla parlamentare Naike Gruppioni, è stato «la goccia che fa traboccare il vaso», dicono i calendiani. Anche perché si inserisce in quella che Mariastella Gelmini ha definito una serie di «chiari atti di ostilità» di Italia viva contro Azione. Nel giro di 24 ore il partito di Calenda ha perso, oltre alla deputata Gruppioni, quadri locali e regionali, come il segretario del Piemonte ed ex parlamentare della Margherita Gianluca Susta: «In questo momento non sono in sintonia con Calenda, che considera la rottura con Iv non ricomponibile», dice.

Ora la prova di forza si sposta nei gruppi, e a Palazzo Madama Renzi ha i numeri per staccarsi da Calenda e fare un gruppo autonomo, mentre i senatori di Azione finirebbero nel Misto «con un capogruppo rosso-verde, ossia proprio del partito che ha causato la rottura tra Calenda e Enrico Letta alla vigilia delle politiche», fanno notare malignamente da Iv. E anche alla Camera l’affondo renziano potrebbe provocare un effetto centripeto. Insomma, il tentativo è di mettere Calenda con le spalle al muro e fargli ingoiare una ricucitura in extremis in vista delle Europee. Un obiettivo caldeggiato anche dal macroniano Stéphane Séjourné, presidente del gruppo liberal-centrista Renew Europe nel Parlamento europeo. Il quale, intervistato dal (renzianissimo) quotidiano Il Riformista, e non si sa quanto consapevole della faida tutta italiana in corso, avverte: «Nel 2024 avremo bisogno di tutte le forze del Terzo Polo per far eleggere il maggior numero possibile di europarlamentari del nostro gruppo. Siamo la terza famiglia politica europea, ma siamo quelli che consentono di avere la maggioranza al Parlamento europeo».

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Droga e documenti falsi: viaggio a Fquih Ben Salah, il paese del Marocco che si arricchisce con lo spaccio in Lombardia

giovedì, Maggio 18th, 2023

di Andrea Galli

È qui, nella città d’origine di Karima El Mahroug alias «Ruby», la base dei grossisti della droga che circola nella nostra regione. «Gli ordini partono dai bar del Corvetto e del Varesotto» 

Marocco

DAL NOSTRO INVIATO 
Fquih Ben Salah (Marocco). Un portico laterale come punto d’osservazione e la prima scusa pronta — un po’ d’ombra a riparare dal già feroce sole delle dieci — qualora l’appostamento venga smascherato, cosa che puntualmente avviene per colpa d’uno dall’altra parte della strada che al telefonino avvisa quelli di qui. Dagli ombrelloni esterni del «Caffè Duomo» salta allora fuori un piccoletto col ghigno, uno dei dipendenti, il quale con coraggio, dato appunto il caldo e pure l’orario, s’accende un portentoso cannone il cui fumo s’allunga sul vialone insieme alla sabbia alzata dai carri dei contadini; egli indugia con lo spinello fino a quando, delle due, una soltanto: o attacchiamo a riferire per davvero i motivi della visita in lande non turistiche, oppure possiamo anche andarcene. 

Le vedette nei quartieri

E poiché siamo arrivati al portico schivando in precedenza i sassi d’altri baristi, certo aiutati dai fedeli clienti, per le inopportune domande loro rivolte sui traffici di droga, e altresì abbiamo giocato (in macchina) a nascondino nei vicoli intasati di capre ribelli contro uno squadrone di motorini Garelli pilotati da ragazzini incaricati di pedinare, sempre per quelle inopportune domande, ecco, tanti saluti al piccoletto. Del resto le fonti l’avevano premesso: se cerchi una risposta alla domanda, vai a Fquih Ben Salah, ma occhio che son tipi sgamati. 

Il traffico di droga verso l’Italia

La domanda era la seguente: tanto si parla, in mezzo alla maggioranza dei connazionali che sgobbano come muratori, piastrellisti e operai, dei marocchini legati alla droga, da quelli che avevano governato il bosco di Rogoredo a quelli che governano i boschi delle province di Varese, Monza e Como; ma spesso si racconta soltanto di manovalanza alle dipendenze di imprecisate Cupole. Ebbene, attingendo a privilegiate fonti nella duplice non agevole situazione locale — le autorità non vogliono sentire parlare di hashish e dispongono di sofisticati apparati informativi—, il Corriere ha scoperto quanto segue. 

La regione di Béni Mellal-Khénifra

Fquih Ben Salah sorge nella regione di Béni Mellal-Khénifra, una delle più povere del Regno del Marocco: oltre due e milioni e mezzo di abitanti dei quali la metà andata all’estero, un complessivo di 135 comuni quasi esclusivamente rurali, e percentuali incerte, ma lo stesso definite tragiche, di bambini senza istruzione alcuna e adulti analfabeti. 

Il paese di Ruby

Siamo a due ore da Casablanca, che ha un peso in questa storia a differenza della figura di Karima El Mahroug alias «Ruby», originaria proprio di Fquih Ben Salah, paesana illustre e invidiata. La cittadina inizia con campi di terra e pietre dinanzi alla moschea, e approda, nella periferia opposta, in un enorme parcheggio degli scassati furgoni che servono da mezzi pubblici; ancora negli anni Ottanta la popolazione oscillava sulle 45mila persone: oggi sono oltre centomila. 

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«Anche l’acqua ad uso potabile in Lombardia è contaminata dai Pfas»: l’indagine di Greenpeace Italia

giovedì, Maggio 18th, 2023

di Silvia Morosi

La mappa delle sostanze chimiche artificiali altamente persistenti negli acquedotti lombardi. Maglia nera  alla provincia di Lodi. A Milano poco meno di un campione su tre è  risultato contaminato

Attivisti di Greenpeace a Venezia per chiedere alle autorità locali di intervenire contro la presenza nell'ambiente dei Pfas
La protesta di Greenpeace Italia contro l’uso di Pfas in Veneto (2017)

Introdotte sul mercato globale a metà del secolo scorso, hanno trovato ampia applicazione perché idrorepellenti, stabili e resistenti alle alte temperature. Una volta disperse in natura, però, sono estremamente resistenti, tanto da essere state definite anche “inquinanti eterni”. I PFAS – acronimo inglese di PerFluorinated Alkylated Substances – sono infatti sostanze alchiliche perfluorurate e polifluorurate, che contengono almeno un atomo di carbonio. Una nuova indagine di Greenpeace Italia – visionata in anteprima dal Corriere della Sera – ha mostrato la loro presenza anche nelle acque lombarde destinate al consumo umano. Con conseguenti problemi per la salute. Lo studio è stato condotto grazie a numerose richieste di accesso agli atti (FOIA) indirizzate a tutte le ATS (Agenzia di Tutela della Salute) e agli enti gestori delle acque potabili lombarde: dei circa 4mila campioni analizzati dagli enti preposti tra il 2018 e il 2022, circa il 19% del totale (pari a 738 campioni) è risultato positivo alla presenza di PFAS. Un inquinamento che rischia di essere molto sottostimato, se si considera che le analisi condotte finora sono parziali e non capillari. Si può dire, quindi, con certezza che sono migliaia i cittadini lombardi che, dal 2018, hanno inconsapevolmente bevuto acqua contenente PFAS, usata anche per cucinare o irrigare campi e giardini.

LA STORIA E I COSTI – «L’indagine condotta in Lombardia svela l’esistenza di un’emergenza ambientale e sanitaria fuori controllo», spiega al Corriere Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia. «Dai cosmetici ai capi di abbigliamento impermeabili, dalle padelle antiaderenti agli imballaggi in carta, i PFAS sono un ampio gruppo gruppo di sostanze chimiche di sintesi – secondo alcuni sono oltre 10mila – impiegate dagli anni ’40 del Novecento in vari comparti industriali. Una delle primissime applicazioni fu il progetto Manhattan, quello che poi portò alla creazione della bomba atomica. Da allora vengono utilizzate ovunque, tanto che studi scientifici recenti ci dicono che per queste sostanze è stato superato il corrispondente limite planetario. Perché si ritrovano, ormai, in ogni angolo del globo: dalle calotte polari al latte materno delle orse, dal nostro cibo, nell’aria che respiriamo e anche nella pioggia. L’inquinamento generato è, insomma, fuori controllo», aggiunge, ricordando come l’esposizione è stata associata a una serie di effetti negativi sulla salute (problemi alla tiroide, danni al fegato e al sistema immunitario, obesità, diabete, elevati livelli di colesterolo, …). «Oggi sappiamo che, secondo le stime di alcuni enti del Nord Europa, l’inazione politica ha dei costi ambientali e sanitari stimabili per tutti i Paesi europei, pari a 52-84 miliardi di euro l’anno. Costi a carico della collettività, destinati ad aumentare se queste sostanze continuano a essere utilizzate».

LA SITUAZIONE IN LOMBARDIA – Greenpeace Italia ha fornito una mappatura (disponibile su questo sito) per controllare gli esiti delle indagini e verificare quanti campioni di acqua a uso potabile non rispettano i valori limite più cautelativi proposti in altre nazioni come negli Stati Uniti (il 13,1%) o quelli vigenti in Danimarca (il 13,4%). Il record negativo è detenuto dalla provincia di Lodi, con l’84,8% dei campioni risultato positivo alla presenza di PFAS; seguono le province di Bergamo e Como, rispettivamente con il 60,6% e il 41,2%. L’area milanese si attesta a metà classifica, con un quinto delle analisi positive.

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Harry e Diana

giovedì, Maggio 18th, 2023

di Massimo Gramellini

Ovvero: lo strano caso di un orfano che cerca di far rivivere sua madre dentro di sé. Ci vorrebbe uno psicanalista per spiegarci se quella di Harry Windsor sia una scelta inconscia o un desiderio consapevole, in parte suggerito da una moglie forse troppo spregiudicata.

Sta di fatto che il secondogenito di Diana si è infilato con voluttà nei panni ereditari della vittima incompresa e perseguitata. E, dopo avere intentato cause giudiziarie all’universo mondo, persino al governo britannico reo di non pagargli più la scorta, l’altra sera ha sostenuto che lui e la moglie, con l’aggiunta della suocera, sono stati inseguiti dai paparazzi per le strade di New York, sfiorando la replica della tragedia che consegnò Diana Spencer al mito popolare.

Realtà o esagerazione? Al di là delle versioni discordanti, è comunque il film che Harry sta girando nella sua testa: la storia di due fratelli precocemente orfani di una principessa ribelle, uno solo dei quali, l’erede al trono, tradisce il mandato materno e si uniforma alla ragion di Stato, diventando il clone dei suoi avi. Mentre l’altro – il cadetto, lo scarto, lo “spare”- resta fedele alla missione di Diana, quella di scardinare il perbenismo della Casa Reale inglese, al punto da incamminarsi lungo lo stesso destino.

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Niente è più mite nel tempo dell’ambiente estremo

giovedì, Maggio 18th, 2023

Paolo Giordano

Poiché questo è il momento in cui dovremmo restare in silenzio — e nel silenzio concentrarci sugli alluvionati, gli sfollati, le vittime —, questo è anche il momento in cui esprimersi. La nostra psiche collettiva è intrappolata ormai da anni in cicli di emergenza e disinteresse, sempre più drammatici e sempre più brevi, che alla fine lasciano per lo più le cose come sono. La disponibilità ad ammettere e discutere un problema si apre e si chiude come una valvola a scatto. Così rimangono solo le occasioni peggiori, le meno adeguate in assoluto, quando la commozione è al culmine e sarebbe meglio tacere, per ribadire ciò di cui per il resto del tempo dovremmo parlare.

Nel caso specifico, per ribadire il concetto centrale, il più ambiguo ma anche il più devastante della crisi climatica, nonché quello che continua a sfuggire ai più: crisi climatica significa l’aumento in intensità e in frequenza dei fenomeni estremi. Di un segno e di quello opposto: siccità e alluvioni, ondate di caldo e ondate di gelo. La parola chiave, quella su cui sventatamente non è stato concentrato lo sforzo comunicativo dall’inizio, è proprio «estremo». Siamo già entrati in un’epoca in cui il clima, in ogni sua manifestazione, è più estremo di come lo conoscevamo.

Anche la siccità dei mesi scorsi in pianura padana e le inondazioni delle ultime ore sono tutt’altro che slegate. Il «come» è reperibile nelle spiegazioni dei climatologi interpellati ovunque, che di certo accompagneranno anche questo articolo, ma bisogna cogliere l’attimo, leggerle oggi, perché scompariranno non appena la pioggia sarà cessata e l’acqua si ritirerà. Qui ci è sufficiente dire che chi vede in un fenomeno la negazione dell’altro — nell’eccedenza di piogge la negazione della siccità — si sta fermando allo stadio delle impressioni, del pensiero irragionevole, e rifiuta di accogliere ciò che quegli stessi climatologi ripetono non da ieri e nemmeno dalla scorsa primavera o dall’ultimo decennio: i fenomeni atmosferici estremi sono più estremi e più frequenti, e lo saranno sempre di più. Quella che viviamo è un’escalation ambientale.

Martedì mattina ero in treno. Mentre la situazione meteorologica si aggravava, ho colto uno scambio di battute fra i miei vicini. Uno di loro, il più giovane, si occupava di qualcosa legato alla sostenibilità e ha mostrato al signore che gli sedeva di fronte il telefono con le immagini che arrivavano dall’Emilia-Romagna. L’altro ha commentato in modo lapidario: almeno è piovuto, i fiumi hanno raggiunto il loro livello normale, finalmente ci lasceranno in pace «con la storia della siccità».

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Alluvione in Emilia-Romagna, le notizie in diretta sul maltempo | Nove morti, 24 Comuni allagati

giovedì, Maggio 18th, 2023

di Redazione Online 

Colpite le province di Forli-Cesena, Ravenna, Bologna: dispersi e più di diecimila sfollati, Bonaccini: «Per la regione  è come un altro terremoto»

Alluvione in Emilia-Romagna, le notizie in diretta sul maltempo | Nove morti, 24 Comuni allagati
  • Sempre più drammatico il bilancio dell’ondata di maltempo che ha invaso l’Emilia-Romagna martedì: sono 9 i morti, decine i dispersi, migliaia gli sfollati.
  • Sono 24 i Comuni allagati, tutti i fiumi della regione hanno tracimato. In 36 ore le precipitazioni di 6 mesi.
  • È finita sott’acqua Faenza, una parte di Cesena e di Forlì e molti altri grandi centri abitati. In alcune zone, in pochi minuti l’acqua è salita, raggiungendo anche i primi piani delle case. Sommersi alcuni quartieri di Bologna. Stato d’emergenza anche a Rimini.
  • Fermi i treni. Garantiti i servizi in Ausl e ospedali con i gruppi elettrogeni.
  • Impegnati 700 vigili del fuoco, mobilitato il Battaglione San Marco.
  • La premier Giorgia Meloni ha assicurato la massima disponibilità ad aiutare le zone colpite. Lo strumento potrebbe essere quello di un decreto legge. Previsto pure lo stop agli obblighi fiscali.
Ore 9.00: allagato il centro di Lugo, in provincia di Ravenna

Ha cominciato ad allagarsi il centro storico di Lugo, nel Ravennate. L’acqua ha cominciato a risalire dalla parte sud della pianura, lato via Emilia, per le esondazioni del Senio e del Santerno, che scorrono il primo ad ovest e il secondo a est della città. L’acqua dei fiumi, ricercando una via verso il mare, ha così invaso la cittadina romagnola, a una decina di chilometri in linea d’aria da Imola e Castel Bolognese, che si sta allagando sempre di più. Alcune strade sono già sotto un metro d’acqua e gli allagamenti hanno raggiunto la Rocca estense che sorge nel centro cittadino.

Ore 8.50: il ministro Pichetto «sarà dichiarato stato di calamità»

 «Martedì sarà dichiarato lo stato di calamità perché è evidente che ci vuole un atto normativo per farlo e si risponderà ai primi interventi con il blocco dei mutui e delle riscossioni tributarie, tutti interventi che necessitano di un provvedimento per decreto. Nel contempo c’è uno strettissimo rapporto con le autorità locali con la Regione prima di tutto e tra oggi e domani e si cercherà di capire lo stato della gravità dell’emergenza e i primi interventi e poi le valutazioni complessive». Lo ha detto il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, intervenuto a Radio Anch’io.

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Morire nel fango

giovedì, Maggio 18th, 2023

Niccolò Zancan

Inviato a Lugo di Romagna. Così si muore. Distanti. Separati dalla furia di un’onda. Ma Marinella Maraldi e suo marito Sauro Manuzzi erano usciti fuori insieme. Volevano salvare i cani, mettere al riparo gli attrezzi della loro azienda agricola. Volevano lavorare, come ogni santo giorno della loro vita. Ronta di Cesena: una delle piane più floride d’Italia. Campagne con vista Adriatico. Loro coltivavano erbe officinali e fiori per pasticceria. Dalla cascina al capannone, passando per un ponte. Erano lì, in quel momento, quando è arrivata la piena del Savio. La furia dell’acqua ha atterrato il ponte. Il signor Manuzzi ha cercato di abbrancare la moglie, l’ha presa per le braccia per trattenerla. Ma l’acqua è stata più forte. L’hanno visto tornare verso casa controcorrente. Ha resistito per cento metri: «L’onda gli arrivava a mezzo busto». L’hanno visto raggiungere un prato in salita, dove si è accasciato ed è morto di crepacuore. Il cadavere di Marinella Maraldi, 70 anni, è stato trovato ieri mattina. Era a venti chilometri di distanza, sulla spiaggia di Zadina di Cesenatico. Perché così si muore. «Avete visto? Il Savio si è ripreso il suo corso originario».

Sembra una vendetta della natura. Ma è qualcos’altro. «La mia azienda agricola è andata completamente sotto. Basta!», urlava inferocito il signor Augusto Moreno in mezzo al fango. «È colpa dell’uomo!», urlava. C’era già stata un’alluvione nel 2021 in questa stessa zona. «E sapete cosa è successo? Che la Regione Emilia Romagna ha restituito, fra il 2021 e il 2022, la bellezza di 55,2 milioni di euro ricevuti dallo Stato per la manutenzione degli argini e la messa in sicurezza del territorio. E sapete perché quei soldi sono stati restituiti? Perché non sono riusciti a spenderli. Oh, non lo dico mica io! Lo dice la Corte dei Conti!».

Quell’uomo urla la sua rabbia dentro una specie di palude. «Adesso basta!». Intorno a lui, un gigantesco caos si è preso le strade, dividendo la regione in parti irraggiungibili. Di qua o di là dell’autostrada, di qua o di là dalla Via Emilia. Non si passa. Perché l’acqua scorre sul cemento: sono 21 i fiumi esondati in diversi punti. Tantissima acqua tutta insieme: 300 millilitri di pioggia. Dopo anni di siccità tremenda, in due giorni sono cadute le precipitazioni dell’intera primavera. Ma era il tempo di prima. Mentre questo è un tempo nuovo. È il tempo degli estremi: arsura e morte, tempeste d’acqua e morte. E quindi, si muore.

Si muore come è morto il signor Fabio Scheda, 43 anni, che a San Lazzaro di Savena cercava di svuotare il pozzo, per impedire che inondasse casa sua. È morto annegato lì dentro. Così come è morto il signor Riccardo Soldati, 77 anni, inghiottito da una frana nel suo giardino di casa a Casale di Casilese. L’acqua non lascia scampo. È qualcosa difficile da credere fino all’attimo prima. Ma si alza sempre un vento caldo, e poi arriva il rumore tremendo che precede la piena. Dentro un’auto allagata, fra Solarolo e Castel Bolognese, c’è un uomo annegato che deve ancora essere recuperato e identificato.

Così si muore. Recuperati dai sommozzatori nel pieno centro di una città di pianura. Come sono stati ritrovati i corpi di una coppia di anziani, marito e moglie, in via Padelli a Forlì. Scene incongrue. Prospettive difficili da mettere a fuoco. Le barche dei vigili del fuoco nel centro di Cesena. O ancora a Forlì: un’altra vittima. In via Firenze, il quartiere che costeggia il fiume Montone. «Mio marito!», urlava dal balcone una signora. Urlava e piangeva perché sapeva già tutto. Il marito era annegato, mentre lei è stata portata in salvo con un gommone.

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