Domenico Quirico
Gli anniversari, le celebrazioni pubbliche hanno un loro
odore, una sorta di alito soprannaturale che forse i loro sacerdoti
neppure colgono. Che odore ci sarà oggi sulla Piazza rossa durante la
sfilata che ricorda la vittoria nella seconda guerra mondiale? Certo
sfileranno carri armati rombanti, missili paurosamente enigmatici come
dinosauri, quadrate legioni di fanti, “specnaz”, cadette alternate a
ceffi marziali, mobilitazioni quasi epilettiche, veterani grigi come
ceneri di storie spaurite.
Guerra Russia-Ucraina, le notizie di oggi in tempo reale
Odore
di gloria, di potenza, di forza dunque? Quello che si annuncia anche
nelle Alte Sfere è semmai uno sfinimento generale che è il nome
scientifico della tristezza. Un anno dopo l’aggressione all’Ucraina,
nella stessa piazza, l’odore che si respira è di muffa, di ragnatele,
zaffate di rassegnazione, di impotenza. L’odore dei regimi in balia alla
decadenza senza potervi porre rimedio. Nella piazza l’unica rimembranza
circondata da aure fatidiche beh!, pare proprio la mummia di Lenin. La
parata è la vetrina di un negozio dove si vendono cose nuove che
sembrano vecchie ma che comunque non si possono comprare per i prezzi
troppo alti. La vecchia Urss brezneviana, insomma. Qualcosa che ha già
appiccicato addosso il soccombere alla peste dell’oblio. Per i regimi
autoritari è peggio che subire una sconfitta militare o diplomatica. Da
quelle si risorge, dall’altra no. Un anno fa ci si interrogava, in modo
un po’ grottesco per la verità, su quale poteva esser la sorpresa che
Putin avrebbe infilato nel suo discorso, alcuni ipotizzavano che avrebbe
annunciato una unilaterale fine della operazione speciale. I silenzi
del “vozhd”, del duce supremo, allora erano interpretabili come astuzie
subdole, raffinate che nascondevano terribili colpi di scena, armi
segrete, ferinità diaboliche. Un anno dopo l’apoteosi di questo
ermetismo è il nulla da dire. Ogni parola, ogni gesto anche i più
naturali, oggi, acquisteranno il carattere spettrale del vuoto. Alla
vigilia di un altro nove maggio forse il dato più preoccupante per il
futuro è che nessuna sorpresa è possibile, che non ci saranno svolte
palingenetiche, passi indietro o passi avanti. La guerra continuerà
orribilmente naturale, tragedia da cui nessuno è esentato, in un mondo
quotidianamente arenato attorno ad essa, occupata a straziarsi in un
ossesso scrutinio di sé. Ci si appiglia alla “controffensiva” ucraina
come a un palpito liberatorio in un copione piatto. Perfino i russi
sembrano, per paradosso, affidarsi alla controffensiva, poiché l’attacco
nemico restituirebbe loro una parte, difendersi, resistere, al di là
del rituale insistere su bombardamenti ciechi.
Al secondo
appuntamento con l’impegnativo anniversario con la Vittoria l’autocrazia
putiniana somiglia al moribondo regno borbonico di fronte a Garibaldi.
Quando le cose vanno male gli assolutismi ancora vitali reagiscono con
la ferocia, trovano colpevoli veri o finti. E punirli non basta più,
bisogna costruire rituali e dannazioni che siano peggio della morte,
trasformarli in messaggi per spaventare. Nulla di tutto questo è
accaduto a coloro che oggi sfileranno o saranno in prima fila sulla
tribuna d’onore con i loro carichi di medaglie appesi a ventri ben
torniti, i marescialli, i generali, gli ammiragli, i cortigiani in
uniforme che sembrano aver addosso qualcosa di guasto. Certo non sono
più i tempi staliniani con gli eroi definitivamente retrocessi di fronte
a spicci plotoni di esecuzione per “tradimento’’. Ma trascinarli sul
banco degli imputati per incapacità, in prigione: questo sì. In
prigione, non in pensione.