Gli ospedali top e i peggiori: vi diciamo quali sono e perché. Ecco le pagelle mai rese note
giovedì, Maggio 25th, 2023di Milena Gabanelli e Simona Ravizza
Le aziende ospedaliere, come tutte le aziende, funzionano bene o male a seconda di come sono gestite. Con una differenza però: le prime gestiscono la salute e gli errori di gestione non sono ammessi. Le cronache ci raccontano di solito i casi eccezionali del tipo: «Molinette, salvata bambina di 5 anni con un trapianto di fegato collegato direttamente al cuore» (11 dicembre 2022); «Policlinico Gemelli, caso di rara complessità: nella stessa seduta, effettuato un bypass coronarico, asportato un tumore renale e rimosso un enorme trombo. Impegnate 3 equipe per 10 ore» (10 febbraio 2023); «Padova, trapiantato un cuore fermo da 20 minuti: prima volta» (15 maggio 2023). Un clamore meritato e rassicurante. Contemporaneamente ci sono gli episodi di malasanità che fanno altrettanto rumore e ci terrorizzano. La quotidianità con cui ci confrontiamo abitualmente da pazienti è fatta, però, soprattutto d’altro: Pronto soccorso, liste d’attesa, esami diagnostici che per essere precisi vanno eseguiti con macchinari sotto i 10 anni. Ed è qui che, tranne rare eccezioni, qualità delle cure e capacità dei manager sono strettamente legate. Vediamo cosa vuol dire.
Quando un ospedale funziona bene
Un’azienda ospedaliera funziona bene quando rispetta requisiti imprescindibili:
1) un Pronto soccorso dove i pazienti non se ne vanno perché non hanno ricevuto entro le 8 ore le cura e l’assistenza necessaria;
2) tempi di attesa che rispettano quanto indicato dalla legge
(per esempio l’intervento chirurgico per la protesi d’anca entro 180
giorni e gli interventi per tumore alla mammella, al colon retto e al
polmone entro 30 giorni);
3) tassi non elevati di ricoveri ad alto rischio di inappropriatezza
(come l’artrodesi), ricovero dei pazienti nel reparto giusto per il
loro problema (per esempio meno ricoveri possibile di pazienti medici in
reparti chirurgici), non fare passare troppi giorni dall’ingresso in
ospedale per un intervento chirurgico all’intervento chirurgico stesso,
capacità di attrarre pazienti da fuori Regione;
4) bilanci e conti in ordine;
5) numero adeguato di medici e infermieri per posto letto;
6) macchinari e apparecchiature non obsolete.
Le pagelle ai direttori generali
In base a questi indicatori, per la prima volta, è possibile dare una pagella su come sono guidati gli ospedali pubblici: l’Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali che fa capo al ministero della Salute, ha valutato le performance dei manager di 53 ospedali pubblici, di cui 30 universitari, divisi rispettivamente per chi ha più di 700 posti letto o meno di 700 posti letto. Lo ha fatto come previsto dalla legge di Bilancio del 2019 che le affida il compito di monitorare il raggiungimento degli obiettivi dei direttori generali: «L’Agenas – si legge all’art. 1, comma 513 – realizza (…) un sistema di analisi e monitoraggio delle performance delle aziende sanitarie che segnali, in via preventiva, attraverso un apposito meccanismo di allerta, eventuali e significativi scostamenti relativamente alle componenti economico-gestionale, organizzativa, finanziaria e contabile, clinico-assistenziale, di efficacia clinica e dei processi diagnostico-terapeutici, della qualità, della sicurezza e dell’esito delle cure, nonché dell’equità e della trasparenza dei processi». Esclusi gli Irccs non universitari, i mono-specialistici, le Asl e le aziende territoriali come le Aziende sociosanitarie territoriali (Asst) della Lombardia che dal 2015 hanno incorporato quasi tutti gli ospedali pubblici lombardi: la scelta di escluderli dell’Agenas è motivata dalla necessità di avere dati comparabili tra loro. I risultati che leggerete di seguito sono stati incrociati con i dati del «Piano nazionale esiti», lo strumento con cui Agenas testa annualmente la qualità delle cure, a conferma della corrispondenza tra capacità dei manager e risultati clinico-assistenziali.