Archive for Maggio, 2023

Pnrr in frenata libera: bloccata la rata da 19 miliardi, a rischio anche quella di giugno

lunedì, Maggio 22nd, 2023

di Milena Gabanelli

Per gestire i 192 miliardi del Pnrr ci vuole un fisico bestiale! Non puoi permetterti di rallentare: le scadenze di rendicontazione del piano industriale sottoscritto con la Commissione Ue sono ogni sei mesi e solo se hai fatto quello che hai promesso la Commissione paga. Significa che ogni giorno la cabina di regia di Palazzo Chigi deve capire se gli ingranaggi che coinvolgono ministeri, Comuni e Regioni funzionano. La struttura Draghi nasce con tre livelli di controllo: quella tecnica di Palazzo Chigi che si interfaccia con quella del Mef e dei ministeri. Il punto di contatto con Bruxelles lo tiene Chigi e il Mef. A fine ottobre 2022 cambia il governo e, come è naturale, cambiando i ministri c’è un periodo di stallo. Il 10 novembre 2022 Giorgia Meloni conferisce a Raffaele Fitto l’incarico di ministro per gli Affari Europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il Pnrr. La decisione è di accentrare tutto in una nuova «Struttura di Missione» in capo a Fitto. Il piano è da correggere perché nel corso dell’anno sono aumentati i prezzi dell’energia, è esplosa l’inflazione e ci sono gli inevitabili aggiustamenti in corso d’opera. La «Struttura di Missione» però è una scatola vuota, e per diventare operativa ci vuole un decreto che viene emanato solo il 26 aprile. Intanto cosa succede in questi sei mesi?

Il Piano rallenta

La segreteria tecnica e l’ufficio centrale della Ragioneria dello Stato – che danno la tabella di marcia, coordinano e controllano l’avanzamento lavori dei ministeri, delle Regioni e si interfacciano con la Commissione – procedono. Le strutture tecniche dei ministeri, però, entrano in una sorta di limbo: le persone non sanno se saranno riconfermate e si cerca di capire che aria tira, anche perché sul piano della comunicazione il nuovo governo mette le mani avanti. Il ministro Fitto a dicembre, davanti alla Commissione Politiche dell’Unione Europea, dichiara: «l’obiettivo di spesa per quest’anno non sarà assolutamente raggiunto». Giorgia Meloni il 4 dicembre: «È un dato incontrovertibile che dei 55 obiettivi da centrare entro fine anno a noi ne sono stati lasciati trenta». Informazione scorretta: mancavano dettagli burocratici e poche misure richiedevano effettivamente un’accelerazione, che c’è stata. E infatti a fine dicembre il Mef manda puntualmente la rendicontazione a Bruxelles per il pagamento della terza rata che vale 19 miliardi di euro. Per prassi la Commissione si prende circa due mesi di tempo per la verifica: i progetti rispettano le linee guida? I lavori procedono secondo le tappe stabilite? Le riforme vanno avanti di pari passo?

19 miliardi ancora bloccati

Si apre la discussione sui correttivi da apportare: nel piano di riqualificazione urbana i Comuni di Firenze e Venezia infilano gli stadi. I ministeri competenti sono il Mef e ministero dell’interno che avrebbero dovuto aprire i documenti e dire: «alt, questo non c’entra nulla con la rigenerazione urbana». Non lo hanno fatto, e quando la Commissione Ue chiede conto la risposta è: «discrezionalità politica». Ovviamente inaccettabile. C’è da trattare sul decreto concorrenza: per fare investimenti strutturali sui porti, e quindi migliorare la concorrenza e le finanze pubbliche, le concessioni non devono durare 60 anni, ma va rispettato un limite proporzionato all’investimento. C’è da discutere sul teleriscaldamento: i progetti rinnovabili collegati alla rete gas potrebbero essere inammissibili, anche se il bando era stato già prediscusso e valido. La Corte dei Conti svolge controlli in parallelo che, a sua volta, generano incomprensioni e ritardi. Molte di queste questioni non sono gestite bene: sostituto il capo dello staff tecnico al ministero dei Trasporti, dello Sviluppo Economico e della Transizione ecologica (diventato nel frattempo ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica). Solo questi tre ministeri gestiscono più di 90 miliardi e 60 programmi di investimento che i nuovi arrivati non conoscono e devono studiarsi. Sta di fatto che, fra aggiustamenti e chiarimenti, il tira e molla con Bruxelles va avanti da 4 mesi e ad oggi la rata da 19 miliardi non è ancora sbloccata.

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Aiuti all’Emilia Romagna dopo l’alluvione, pronta la «road map»: subito 100 milioni e l’uso dei fondi Ue (ma non dal Pnrr)

lunedì, Maggio 22nd, 2023

di Fabrizio Caccia

Il governo conta di ricavare dal bilancio almeno un miliardo. L’ipotesi di moratoria fiscale fino al 31 dicembre. Poi gli indennizzi

Pronta la «road map» Subito 100 milioni per i primi indennizzi e la moratoria fiscale

La strada è tracciata. «Dopo tutti gli incontri e i sopralluoghi, siamo molto fiduciosi», ha detto ieri il governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, salutando Giorgia Meloni di ritorno a Roma. Si parte subito, d’intesa col governo: «C’è gente che ha perso tutto, avremo bisogno di rimborsi al 100%», ha aggiunto Bonaccini.

Così, ecco pronta la «road map» della rinascita: 10 milioni erano già stati stanziati per la prima emergenza, quella del 4 maggio. Adesso, dopo la nuova alluvione, ne seguiranno subito — domani in Consiglio dei ministri — altri 20 «per garantire i soccorsi», ha annunciato Meloni da Ravenna. 

In realtà, il decreto tampone di domani impegnerà in tutto un centinaio di milioni e si articolerà in due fasi. «I primi provvedimenti — ha spiegato Meloni — serviranno per l’emergenza e per esentare le aziende e i cittadini dal pagamento delle imposte». Moratoria fiscale e contributiva: si parla del congelamento fino al 31 dicembre dei versamenti erariali e tributari, dall’Imu all’Iva. E la sospensione riguarderà anche gli adempimenti societari e i processi. «Poi — ha aggiunto la premier — si lavorerà sugli indennizzi e sulla ricostruzione». Tutto questo dopo la mappatura dei comuni colpiti (il cosiddetto «cratere» o «zona rossa») e la stima dei danni.

Cento milioni da centellinare: tra strade provinciali, scuole comunali, primi aiuti all’agricoltura. Di sicuro non basteranno. Secondo la Regione servirà più di un miliardo di euro, così i tecnici del ministero dell’Economia sono già al lavoro per trovare il possibile tra le pieghe del bilancio.

La presidente del Consiglio, però, ha un’idea precisa, specie dopo i colloqui avuti a Hiroshima con i Grandi del mondo: «Il Fondo europeo di solidarietà per le emergenze si può utilizzare», ha detto ieri Meloni. Non solo: «È strategico conoscere le risorse di cui disponiamo ai vari livelli istituzionali e cercare di concentrarle per spendere subito quello che possiamo spendere». Un esempio? Dei 3 miliardi a disposizione delle Regioni per la prevenzione del rischio idrogeologico, finora ne sono stati impegnati meno della metà e in molti casi per cantieri che attendono ancora di essere aperti. Perciò, una riallocazione di questi fondi non è un’ipotesi da scartare.

Ma si punterà anche «sulla semplificazione delle procedure». Quanto ai miliardi del Pnrr, invece, ieri Meloni ha raffreddato gli animi: «In questa fase occorre lavorare su altri fondi».

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Silvio Berlusconi, prima intervista dopo il ricovero: «È stata dura, ma mia moglie Marta ha superato sé stessa. Ora rinnovo il partito»

lunedì, Maggio 22nd, 2023

di Paola Di Caro

Il leader di Forza Italia parla dopo i 45 giorni di ricovero in ospedale: «Ho sempre avuto fiducia. Mia moglie Marta non mi ha lasciato neanche per un minuto. Meloni e Salvini? Non solo alleati, ma veri amici. Renzi dice spesso cose giuste, ma non ne trae le conseguenze. E lo spazio al centro lo presidia Forza Italia»

Silvio Berlusconi, prima intervista dopo il ricovero: «È stata dura, ma mia moglie Marta ha superato sé stessa. Ora rinnovo il partito»

Si è affidato «al Cielo», ai medici, agli affetti più cari, a «mia moglie Marta, che ha superato sé stessa», all’amore del suo popolo e perfino all’affetto dei suoi avversari. Ma soprattutto alle sue forze, che sente di star ritrovando e che userà — assicura Silvio Berlusconi che torna per la prima volta a parlare dopo 45 giorni di ricovero al San Raffaele in cui si è temuto per la sua vita — per continuare a guidare Forza Italia. Il suo partito, del quale ci tiene a riconfermarsi leader assoluto, senza delfini o successori.

Continuerà il «rinnovamento» del suo movimento, annuncia il leader azzurro, senza «rottamazioni», come continuerà l’impegno a «presidiare il centro», senza rincorrere nessuno: Matteo Renzi, se vuole, venga «dalla nostra parte» ma non sarà Forza Italia a corteggiarlo. E guarda al futuro con ottimismo: gli italiani «si stanno rendendo conto» dell’«ingiustizia» da lui subita sul piano giudiziario per anni e «ci daranno fiducia».

Presidente, per prima cosa: come sta?
«Sto meglio, grazie. Devo ancora recuperare le forze, ma è solo questione di tempo».

È stata dura, c’è stata grandissima preoccupazione per le sue condizioni: ha avuto paura di non farcela?
«È stata dura, ma sono sempre stato fiducioso. Mi sono affidato, come in altri momenti difficili, all’aiuto del Cielo e alla professionalità dei medici e del personale sanitario del San Raffaele, che non finirò mai di ringraziare».

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Gianrico Carofiglio: “I politici imparino a dialogare col nemico”

domenica, Maggio 21st, 2023

di Giuseppe Salvaggiulo

“Quando si dialoga con qualcuno, bisogna vedere le argomentazioni dell’avversario nella luce più generosa possibile”. Così Giorgia Carofiglio ha raccontato il libro scritto con il padre Gianrico, durante l’incontro allo stand de La Stampa al Salone Internazionale del Libro di Torino. “Io sono convinto che sia possibile – ha aggiunto invece l’ex magistrato -.

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Schlein e Saviano stanno con chi contesta: ecco l’Italia dell’odio

domenica, Maggio 21st, 2023

Francesco Boezi

Il fanatismo di nuova generazione si è guadagnato un quarto d’ora di celebrità. Sullo sfondo, la sensazione che la vittoria elettorale del centrodestra abbia spezzato il fiato ai nudi proprietari delle «casematte» di gramsciana memoria. In fondo, la contestazione subita dal ministro Eugenia Roccella al Salone Internazionale del Libro di Torino è tutta qui: intolleranza ed estetica da femminismo woke, con la motivata paura di aver perso il monopolio del settore. É la Cancel culture che tende a distruggere tutto, pure il diritto di parola. La Digos comunque ha fatto partire 29 denunce verso attivisti. La Meloni in serata ha stroncato la contestazione. «Quanto accaduto oggi al Salone del Libro di Torino è inaccettabile e fuori da ogni logica democratica. Altrettanto inaccettabile è l’operazione dei soliti noti di capovolgere i fatti, distorcendo la realtà e giustificando il tentativo di impedire a un ministro della Repubblica di esprimere le proprie opinioni. Come al solito chi pretende di darci lezioni di democrazia non ne conosce le regole basilari», ha detto.

Tra i primi a prendere posizione, il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano: «Non permettere ad un autore, chiunque esso sia, di poter presentare il suo libro ed esprimere il proprio pensiero perché bloccato da un gruppo di violenti, è un atto antidemocratico e illiberale», ha affermato il capo di Dicastero. Il ministro della Sovranità alimentare Francesco Lollobrigida ha twittato: «Impedire di presentare un libro è come bruciarlo riportando alla mente i peggiori episodi della storia dell’umanità».

Augusta Montaruli, parlamentare di Fdi, ha stigmatizzato la fuga del vertice del Salone che dal 2024 sarà sostituito da Annalena Benini. La deputata era a pochi passi dal direttore quando questi ha mollato la presa sull’evento. «Il direttore Lagioia è andato via balbettando senza permettere a un ministro di parlare e questo è vergognoso ed è ammazzare il pluralismo di cui il Salone è regno».

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Francesco manda in soffitta la “Costituzione” di Giovanni Paolo II

domenica, Maggio 21st, 2023

Nico Spuntoni

Lo scorso sabato, mentre l’attenzione di tutti era concentrata sull’udienza a Volodymyr Zelensky, Francesco ha promulgato la nuova Legge fondamentale dello Stato della Città del Vaticano. Il testo regola l’organizzazione interna dello Stato di cui è sovrano il Papa e va a sostituire quello precedente entrato in vigore il 22 febbraio 2001 al posto della Legge fondamentale del 1929.

Le novità

Leggendo il testo e facendo un confronto con quello del 2001, salta subito agli occhi l’utilizzo del termine “funzioni” anziché quello di “potere” che viene riservato soltanto al Pontefice per rimarcarne la pienezza della potestà di governo. Secondo Maria D’Arienzo, ordinaria di Diritto Ecclesiastico, Diritto Canonico e Diritti Confessionali all’Università degli Studi di Napoli Federico II interpellata da IlGiornale.it, questa modifica denoterebbe la volontà di presentare la funzione legislativa, esecutiva e giudiziariacome “espressioni del potere strumentale all’azione del Pontefice” e sarebbe una conferma della “natura strumentale di Città del Vaticano alla missione della Chiesa cattolica, essendo uno Stato che ha una sua peculiarità e una sovranità sui generis”.

Il Papa al centro

La centralità del Sommo Pontefice nel governo dello Stato rimarcata dall’esclusività della parola “potere” va in una direzione leggermente diversa rispetto al testo del 2001 che pur mantenendo l’esercizio del potere legislativo, esecutivo e giudiziario come prerogativa del Papa, ammetteva diverse deleghe e attribuzioni a commissioni e tribunali dando continuità a quello smarcamento del Successore di Pietro dal governo ordinario avviato nel 1939 da Pio XII con la costituzione della Pontificia Commissione per lo Stato Città del Vaticano chiamata a governare lo Stato in suo nome. La nuova Legge non cambia quest’impianto e lascia intatta, ad esempio, la Pontificia Commissione soprammenzionata ma non prosegue su quella strada di alleggerimento al Papa del peso dell’esercizio dei poteri a lui attribuiti nel governo ordinario, come si può evincere dall’articolo 1.

L’apertura ai laici

A proposito della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano, con quattro parole (“e da altri membri”) all’articolo 8 si ammette la possibilità che a farne parte siano anche non cardinali. E quindi anche laici. La professoressa D’Arienzo spiega a IlGiornale.it che questa scelta va inquadrata “all’interno di una visione ecclesiologica diversa rispetto al passato” che presuppone “un’apertura a quello che noi chiamiamo il Popolo di Dio”.

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Il patetico teatrino

domenica, Maggio 21st, 2023

Andrea Malaguti

Storia amara di libertà negate, di insulti e di violenza. Eugenia Roccella, ministra-strega-cattiva e suppostamente antiabortista sale sul palco della Regione al Salone del Libro e gli attivisti(e) di “Extinctiotn Rebellion” e “Non una di meno” le gridano addosso come se fosse un nemico da tacitare e umiliare (magari perché, nella spirale dell’incomprensione acida, anche loro si sentono tacitate e umiliate). Va da sé che non si fa, perché un conto è la protesta e un altro è la prevaricazione, anche se dall’altra parte c’è la rappresentante di un governo di destra-destra che sui diritti civili tende a medioevalizzare piuttosto che ad allinearsi alla tanto invocata civiltà Occidentale.

Roccella contestata al Salone del libro, Montaruli contro Lagioia: “Vergognati”

Per chi avesse dubbi, chiedere al preoccupato premier canadese Justin Trudeau. Roccella reagisce con stile, chiede alle forze dell’ordine di non portare via nessuno (applausi) e invita i ribelli sul palco. Una di loro ci va. Roccella dice: prego parla. E lei parla, ma non dialoga. E quando la ministra-strega-cattiva prova a riprendersi il turno, viene ancora sommersa dalle grida. Sbagliato e, certo, inaccettabile come sostiene una premier che dovrebbe interrogarsi sulle proprie difficoltà a fare i conti col dissenso. Qualcuno invoca il direttore (uscente) del Salone, Nicola Lagioia. Non essendo ubiquo e tanto meno Superman con la responsabilità del servizio d’ordine di questa gigantesca fiera stracolma di gente, Lagioia si presenta appena può. Dice: «Protestare è il sale della democrazia, ma lasciatela parlare». Intervento di buonsenso che non risolve la questione, ma spinge la deputata di Fratelli d’Italia Augusta Montaruli a gridargli le peggio cose. «Vergognati, suoneremo i tamburi quando te ne andrai». Lo vuole in esilio. Allontanato con piume e pece. Lagioia la guarda esterrefatto, senza neanche sapere che l’indignata e molto onorevole accusatrice è stata appena condannata a un anno e sei mesi per avere comprato Swarovsky, vestiti e borse firmate con soldi pubblici. Come direbbe Bartali: è tutto sbagliato, è tutto da rifare.

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Jet a Zelensky, c’è anche l’Italia

domenica, Maggio 21st, 2023

dal nostro inviato   Ilario Lombardo

HIROSHIMA. Era stato Andriy Yermak, il capo ufficio presidenziale di Volodymyr Zelensky, a far capire che anche l’Italia sarebbe pronta in qualche modo a entrare nella neonata “jet coalition”. La conferma è arrivata poche ore dopo da Giorgia Meloni. La premier non ha smentito le indiscrezioni, lasciando intendere che il sostegno italiano sarà limitato all’addestramento dei piloti ucraini.

È un passo avanti importante nel sostegno militare, già massiccio, che sta ricevendo la resistenza ucraina. Nelle ultime ore c’è stata una svolta, avvenuta non a caso mentre i sette grandi si riunivano in Giappone. Gli americani hanno dato il via libera alla coalizione dei Paesi pronti a inviare gli F16 (si parla di tra gli altri di Danimarca e Paesi Bassi) o disponibili ad addestrare i piloti (Francia, Regno Unito, Belgio). L’ok di Washington era necessario, ma finora la Casa Bianca aveva frenato. Il cambio di strategia era nell’aria. Zelensky sta girando il mondo per raccogliere consenso sull’imminente controffensiva contro la Russia. Il suo arrivo a Hiroshima, sul palco del vertice internazionale più importante, ha coinciso con l’annuncio di Joe Biden agli alleati.

Guerra ucraina Russia, le news di oggi

L’Italia non ha F16 ma è considerata un’eccellenza nella formazione dei piloti. Il tema è altamente delicato per il governo italiano, per gli equilibri interni alla maggioranza e per la sensibilità dell’opinione pubblica, già spaccata sulle forniture militari a Kiev. Per questo, al termine del secondo giorno di G7, prima di lasciare Hiroshima in anticipo per raggiungere la Romagna affogata dall’alluvione, Meloni misura ogni singola parola. «Noi non disponiamo di F16 e quindi difficilmente potremo partecipare a questo progetto. Stiamo valutando un eventuale addestramento ai piloti ucraini ma è una decisione che non abbiamo preso e che stiamo discutendo assieme agli alleati». La strada sembra tracciata. Già a Kiev, lo scorso fine febbraio, la presidente del Consiglio non aveva escluso questa possibilità. L’Italia non si vuole sottrarre a un impegno che è stato richiesto direttamente da Zelensky. Ora però Meloni dovrà vedersela con gli alleati della Lega, non così favorevoli alla fornitura dei jet, con il mondo pacifista e una parte delle opposizioni. Ma bisognerà anche capire in cosa consisterà questo addestramento. Due le opzioni: o avverrà in basi italiane, o in quelle Nato ospitate sul territorio nazionale magari in collaborazione con addestratori stranieri. Resta anche l’ipotesi dell’invio di Amx e Tornado, i modelli in dotazione alla Difesa italiana. Ma è una decisione che si concretizzerà solo se la guerra proseguirà.

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Moretti: io, i film e i principi per cui lottare

domenica, Maggio 21st, 2023

ANNALISA CUZZOCREA

Questa è la storia di un inseguimento: dei pensieri, dei ricordi, delle idee di Nanni Moretti su quel che sta accadendo a tutti noi; su quel che avviene nel Paese, con il governo più a destra di sempre nella storia repubblicana (spoiler: si resta e si lotta per quello in cui si crede); su quel che succede nel dibattito sulla guerra, dove l’antiamericanismo dà vita a follie come il filoputinismo e noi vorremmo fare come Giovanni nel Sol dell’Avvenire, quando strappa la foto perché «io Stalin che era un dittatore nel mio film non lo voglio vedere». Tra pochi giorni Moretti sarà a Cannes, che è luogo di elezione del suo cinema. Lì è stato premiato con la Palma d’oro per La stanza del figlio, che era insieme bellezza e dolore, disperazione e conforto. Lì torna con l’aria di chi sa di essere capito. Questa conversazione con La Stampa inizia dalla Francia e arriva alle canzoni. In mezzo, ci sono Nanni ragazzino, il suo preside al liceo, la pallanuoto, la «preveggenza» ma, sopra a tutto, il potere salvifico del cinema.

Come mai questa connessione sentimentale con la Francia?
«Un po’ è per caso, visto che i miei film sono pronti in primavera e li propongo a Cannes. Ma soprattutto: mi fa piacere che in Francia il cinema sia preso sul serio, sia come fatto artistico che industriale. Se lei mi dice cinema, io non penso agli Stati Uniti, penso alla Francia, penso alle sue tante sale, alle riviste di cinema (che qualcuno legge!), alle associazioni di categoria – produttori, distributori, esercenti – che in quel Paese contano davvero. I miei primi film a essere distribuiti in Francia (Bianca, La messa è finita) sono arrivati lì quando si era appena esaurita la stagione d’oro della commedia italiana, in Francia amatissima. E allora per un po’ di tempo i miei film hanno coperto un vuoto che si era creato, il pubblico li andava a vedere, a Cannes erano premiati. Finché dura… Mi viene in mente mio padre, professore di epigrafia greca, che quando al liceo io pur non sapendo niente di latino e greco venivo promosso mi diceva: “Finché dura…”. Non è durato: in prima liceo mi hanno prima rimandato in quattro materie e poi a settembre mi hanno bocciato».

L’Italia a cena parla del suo film. Si divide tra «capolavoro» e «le merendine della mamma non torneranno più». Prevale il capolavoro. Ha fatto ridere ed emozionato tanti, non solo chi l’ha sempre seguita. Se lo aspettava?
«Avevo fatto un paio di proiezioni in una minuscola saletta con qualcuno della troupe e persone che con il film non c’entravano niente. Alla fine tutti avevano gli occhi rossi. Quando mettendoti a nudo racconti di te, quando parti da te e riesci ad arrivare agli altri è un miracolo, una fortuna di cui hai poca consapevolezza».

Adesso è più consapevole?
«Quando ero giovane avevo una reazione indispettita quando mi si diceva che con i miei film avevo raccontato una generazione, mi sembrava un’interpretazione troppo sociologica e poco cinematografica. Ora ho cambiato idea: se davvero è successo anche questo è per me un onore e una fortuna. Ho fatto un po’ di presentazioni in giro per l’Italia e mi ha toccato il calore e l’accoglienza affettuosa del pubblico».

Cosa ha smosso secondo lei?
«Forse è anche un fatto di credibilità: le persone percepiscono che faccio un film solo quando sento l’urgenza e la necessità di raccontare quella determinata storia con quel determinato stile».

Quanto c’è di lei nel volere riscrivere il finale della storia di Giovanni? Nel rifiuto della depressione, del cappio, esorcizzato attraverso l’arte? Nel dire: la storia è storta, ma io col cinema la posso raddrizzare?
«È proprio quello che mi è successo all’inizio di tutto, quando, finita la scuola, non sapevo cosa fare e mi sono aggrappato al cinema (anzi al desiderio, al miraggio di fare cinema, cominciando a fare dei filmini con la cinepresa Super8). A pallanuoto avevo esordito in serie A a quindici anni, ero il regista della nazionale giovanile. Avevo cominciato a fare un po’ di politica a scuola (non si riusciva a comunicare con gli studenti, l’unica comunicazione era con i rivali degli altri gruppi extraparlamentari di sinistra). E poi, in sequenza, abbandonai la pallanuoto, poi abbandonai la politica, poi all’ultimo anno di liceo mi ritirai da scuola: non volevo più studiare, non volevo più fare niente».

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I negazionisti dell’apocalisse che si lavano la coscienza

domenica, Maggio 21st, 2023

MASSIMO GIANNINI

La risposta più bella e commovente, di fronte a questa nuova tragedia degli umani, la danno gli umani stessi. Quelli che spalano a mani nude il fango e il dolore, da Lugo a Conselice, da Faenza a Cesena. Quelli che il grande Maurizio Maggiani, ricordando un’altra alluvione di 150 anni fa, chiama gli “scarriolanti”: gente tosta, che annega le lacrime nel Lamone mentre scava, spazza, pulisce, porta via terra e acqua a tonnellate, perché anche a questa disgrazia, “ciò, ci andremo su dietro”. Quelli che se ne fregano delle putride polemiche politiche e delle trucide regine del tua culpa, perché qualunque cosa accada o sia accaduta, il peggio diluvio o la peggio malattia, adesso “la si insegue, gli si salta in groppa e la si doma”.

Come al solito, piangiamo i morti e gli sfollati. Piange anche Giorgia Meloni dal Giappone, e dopo quattro giorni, vivaddio, dice: «La mia coscienza mi impone di tornare». Ci angoscia la Spoon River degli anziani, che soli e ammalati non vogliono lasciare le loro case distrutte. Ci commuove l’epopea degli angeli del fango che a diciott’anni si infilano le galosce e imbracciano le pale, altro che sdraiati e divanisti. E invece due cose ci fanno inorridire, in questo eterno day after delle sciagure italiche. La prima è il cinismo di chi specula, per qualche voto o qualche copia in più, cinguettando ironie e sarcasmi attraverso le grate della fogna social o titolando “Sott’acqua il modello Pd” le penose prime pagine ispirate dal novello Minculpop. Da Santagata a Bagnacavallo stiamo ancora recuperando i cadaveri dalle cantine allagate, e volonterosi carnefici della grande Revanche patriottica, insieme a vogliosi artefici della nuova “egemonia culturale”, sentono l’urgenza di un bel processo sommario, con condanna ovviamente incorporata, alla famigerata “Emilia Rossa”.

Neanche fosse ancora vivo Togliatti.

“Se la sinistra affonda non è mai colpa sua”, scrivono e dicono. Come se questo fosse il problema, adesso: piove, e non più governo ladro ma sinistra assassina. Vergogna, vergogna per tanta squallida demagogia. In quelle lande sommerse della Val Padana affondano cose e persone, di cui conta la vita e non il colore politico. In quel gorgo maledetto non affonda “la sinistra”, che nei decenni, nei mesi e persino nei giorni passati, che sia stata di governo o di opposizione, nazionale o municipale, di errori a carico ne ha tanti, gravi e meno gravi. Semmai affonda l’Italia, in un naufragio perenne che oggi inghiotte la “Romagna Nostra” come ieri ha già inghiottito il Polesine nel ’51 (quando morirono 101 poveri cristi), il Piemonte nel ’94 (che fece 70 vittime) e Sarno nel ’98 (che se ne portò via 161). Oppure la Liguria nel 2014, la Sardegna nel 2020, Capri nel 2021.

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