Archive for Maggio, 2023

Meloni a Hiroshima, il monito del G7 dalla città della bomba

giovedì, Maggio 18th, 2023

ILARIO LOMBARDO

DALL’INVIATO A HIROSHIMA. Giorgia Meloni è atterrata alle due di notte, dopo uno scalo tecnico ad Anchorage, in Alaska. Terminato il Consiglio d’Europa in Islanda, l’aereo della premier ha fatto rotta verso il Giappone. È la prima dei leader del G7 ad arrivare a Hiroshima, per un summit che sarà in gran parte dedicato alla guerra in Ucraina e agli ulteriori strumenti da mettere in campo per contrastare l’aggressione del presidente russo Vladimir Putin. Nel secondo anno del conflitto, scegliere la città del sud del Giappone per ospitare il vertice annuale dei sette grandi ha ovviamente un significato molto simbolico. Qui la bomba atomica ha messo un punto alla storia. Qui il padrone di casa, Fumio Kishida, intende lanciare un avvertimento contro ogni opzione nucleare. Disarmo e non proliferazione saranno i primi punti di discussione dei tre giorni di summit.

Meloni avrà oggi pomeriggio un colloquio con il primo ministro giapponese. Dovrebbe essere solo il primo dei bilaterali previsti in agenda. Molto importante sarà un eventuale incontro con Emmanuel Macron, dopo le infinite tensioni di questi mesi e gli ultimi attacchi sulle politiche migratorie della destra italiana del ministro dell’Interno francese Gerard Darmanin, mai smentito finora dal numero uno dell’Eliseo. La squadra diplomatica di Palazzo Chigi sta lavorando anche a un bilaterale con il presidente americano Joe Biden. Sul tavolo quasi sicuramente ci saranno i rapporti dell’Italia e degli alleati europei con la Cina, un tema che farà da sfondo all’intero vertice, concentrandosi soprattutto sugli squilibri commerciali con il gigante asiatico e i venti di guerra su Taiwan. Non è invece prevista, al momento, una discussione sulla Via della Seta, gli accordi con Pechino che gli Usa vorrebbero che l’Italia annullasse (per i rischi riguardanti la sicurezza interna ai Paesi alleati).

Sicuramente però, stando alle indiscrezioni sui dossier, si discuterà di come affrancarsi dalla dipendenza cinese in determinati campi strategici, sulle materie prime su cui Pechino ha quasi il monopolio, e nella condivisione della tecnologia militare.

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Le elezioni europee si terranno tra il 6 e il 9 giugno 2024

giovedì, Maggio 18th, 2023

La decisione degli Stati membri sulle delle elezioni tra il 6 e il 9 giugno 2024 sarà finalizzata al prossimo Consiglio utile, probabilmente già il 22-23 maggio prossimi.

Le procedure di determinazione della data elettorale europea sono fissate nell’Atto elettorale del 1976, che prevede che le elezioni del Parlamento europeo si tengano in uno stesso lasso di tempo compreso tra la mattina del giovedì e la domenica successiva. L’Atto elettorale prevede che le date di default corrispondano a quelle delle prime elezioni del Parlamento europeo (7-10 giugno 1979), che per il 2024 si tradurrebbe nel 6-9 giugno. Se risulta impossibile tenere le elezioni nelle date di default, il Consiglio può stabilire un periodo alternativo, all’unanimità e consultato il Parlamento europeo.

Per le elezioni del 2024, il Parlamento europeo aveva richiesto di anticipare le elezioni al 23-26 maggio, in particolare per venire incontro ai Paesi del Mediterraneo che sarebbe già in vacanza nella settimana di giugno.

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Ma la mia Riccione saprà rialzarsi in piedi

giovedì, Maggio 18th, 2023

LINUS

Una cosa come questa non era nemmeno pensabile. Frequento Riccione, ci vivo, ho casa e famiglia da più di trent’anni e ho visto nevicate, piccole e grandi tempeste e secolari pini marittimi sradicati dal vento, ma una cosa così chi se la poteva immaginare. È straripato e ha seminato distruzione un piccolo fiume del quale nemmeno i riccionesi quasi ricordavano l’esistenza. In questo momento penso alla Riccione degli amici e dei parenti e non alla cittadina che viviamo e vediamo in estate, penso agli amici, alle tante persone che conosco da anni e stanno magari soffrendo per un disastro impensabile. Siamo costantemente in contatto con i genitori di mia moglie, che per fortuna sono anziani ma battaglieri… abbiamo una rete di persone che ci stanno dando una mano ad aiutarli…

L’acqua adesso sembra finita, la tempesta è passata, il fiume si è ritirato e anche il mare dovrebbe essere tornato un po’ indietro… lo spero, perché quella della erosione della spiaggia era già da tempo un’emergenza e nelle immagini di ieri sembrava che il mare se la fosse portata via completamente…

Ma sono fiducioso, i romagnoli e gli emiliani sono gente molto concreta e reattiva e sapranno ripartire come e meglio di prima.

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Dimartedì, Di Battista azzanna Vespa: “Scena patetica”. Gelo da Floris

mercoledì, Maggio 17th, 2023

“Mi sono vergognato”. Alessandro Di Battista spara a zero sul trattamento che l’Europa e l’Italia stanno riservando a Volodymyr Zelensky. Il leader ucraino  ha compiuto una sorta di tour europeo negli ultimi giorni: è stato a Roma, a Palazzo Chigi, Quirinale e Vaticano, a Berlino, Londra, Parigi… “Mi sono vergognato nel vedere Giorgia Meloni e gli altri leader europei trasformarsi in piazzisti di armi incapaci di pronunciare la parola negoziato”, afferma l’ex M5s ospite come di consueto di Giovanni Floris a Dimartedì, su La7. 

La posizione di Di Battista sulla guerra è nota: no all’invio di armi a Kiev.  “Zelensky ha fatto un munizioni-tour, anche legittimo al suo punto di vista – si infervora l’ex grillino – Cerca soltanto armi perché non gli interessa la pace ma vuole la sconfitta militare della Russia, anche evidentemente supportato da una narrazione piena di fake news da parte della stampa occidentale”. Di Battista si accalora ancora di più nel parlare della puntata speciale di Porta a porta con il presidente ucraino: “Che scena patetica sulla Rai, con tutti giornalisti pro-Zelensky”, attacca Dibba, “una linea del tutto dissimile rispetto a quella maggioritaria perché in Italia il 60% non vuole più inviarmi in Ucraina, non vogliamo lasciarci trascinare in una guerra che non è nostra e che evidentemente vogliono che venga combattuta per altri dieci anni”. Un fiume in piena.

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Migranti, prove di disgelo tra Meloni e Macron: “Lavoreremo insieme”

mercoledì, Maggio 17th, 2023

Luigi Frasca

Giorgia Meloni ieri è sbarcata a Reykjavik, in Islanda, per partecipare al quarto vertice dei Capi di Stato e di governo del Consiglio d’Europa. Il vertice è stato l’occasione anche per un faccia a faccia con il presidente francese Emmanuel Macron dopo le polemiche sui migranti delle ultime settimane. Alcune fonti vicine al presidente del Consiglio hanno raccontato un «clima di grande cordialità tra Emmanuel Macron e Giorgia Meloni». Il presidente francese «ha salutato il capo del governo italiano prima dell’avvio del vertice». Poi ai giornalisti che gli chiedevano di un possibile confronto con la premier ha risposto: «Lavoreremo insieme. Penso che ci sarà l’occasione di incontrarci e di scambiare i nostri punti di vista. Bisogna lavorare con tutti gli Stati membri dell’Ue, è la mia filosofia, spero di poter cooperare con il governo italiano. Non si può lasciare l’Italia sola davanti al problema migranti. Serve la solidarietà europea e l’efficacia delle nostre frontiere comuni».

A Reykjavik ovviamente si è parlato anche di Ucraina. L’Europa è unita «nel difendere valori che in Ucraina sono stati colpiti» e non accetterà il «diritto del più forte» ha dichiarato Meloni. Il presidente del governo italiano ha ribadito che l’Europa è «un’istituzione che nasce per difendere i diritti fondamentali dell’uomo», e con la creazione del «registro dei danni provocati dalla guerra» arriva un «segnale concreto» e «importante». L’immagine che ne viene fuori, è la sintesi della presidente del Consiglio, è quella «di un’Europa unita che agisce concretamente. Quei valori che noi abbiamo a lungo dato per scontati e che questa istituzione difende, in Europa sono sotto attacco con la guerra di aggressione russa all’Ucraina».

Un’esigenza che fa passare in secondo piano anche le polemiche con la Francia sui migranti. «Sia qui che al G7 in Giappone tutti parleremo con tutti. A me interessano le questioni che in questo momento la comunità internazionale deve avere la forza di ribadire senza tentennare. Il resto sono questioni interne e le lasciamo alla politica interna».

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Il Tesoro punta su Franco per guidare la Bei, tra i candidati c’è anche la spagnola Calviño

mercoledì, Maggio 17th, 2023

dal nostro inviato MARCO BRESOLIN

BRUXELLES. Il grande puzzle delle nomine Ue si comporrà soltanto dopo le elezioni europee del prossimo anno, che con ogni probabilità si terranno nel weekend dal 6 al 9 giugno. Ma il primo tassello andrà messo già a breve perché bisogna scegliere il nuovo presidente della Banca europea per gli investimenti (Bei), il braccio finanziario dell’Unione europea. L’Italia ha buone possibilità di vincere la partita e il Tesoro, secondo quanto risulta a “La Stampa”, avrebbe già iniziato a sondare gli alleati sul nome del candidato che ritiene più spendibile: l’ex ministro delle Finanze Daniele Franco. Anche se lo scontro sulla mancata ratifica del Mes rischia di complicare la trattativa.

La corsa per sostituire il tedesco Werner Hoyer, il cui mandato scade a dicembre, è iniziata ufficialmente ieri: nel corso dell’Ecofin, la presidenza svedese dell’Ue ha invitato i 27 governi a sottoporre eventuali candidature entro il prossimo 16 giugno. Quel giorno si riunirà a Lussemburgo il Consiglio dei governatori della Bei per approvare l’elenco dei candidati, dopodiché i nomi verranno vagliati dal Comitato per le nomine. In autunno i Ventisette voteranno per eleggere (a maggioranza qualificata) il nuovo presidente.

Il vero momento decisivo sarà quindi tra ottobre e novembre, ma nei contatti bilaterali tra i ministri già si lavora per costruire le alleanze. Per gli incarichi economico-finanziari, in genere, i Paesi Ue si dividono secondo il classico schema Nord-Sud. Ma anche l’appartenenza politica può giocare un ruolo. Da questo punto di vista, il nome di Franco – anche se proposto da un governo di centrodestra – è assolutamente “neutro”, essendo un tecnico puro. Questo può certamente aiutarlo a raccogliere un consenso trasversale, al di là del fatto che il suo curriculum (Ragioniere generale dello Stato, direttore generale della Banca d’Italia e poi ministro del Tesoro nel governo Draghi) è indubbiamente il suo migliore biglietto da visita. Tra l’altro l’Italia è da sempre un partner privilegiato della Bei, essendo il primo beneficiario dei finanziamenti: circa 10 miliardi di euro lo scorso anno su un totale di 72,5 miliardi.

La candidatura di Franco potrebbe però scontrarsi con un altro nome forte del fronte mediterraneo. Per la presidenza della Bei si parla molto dell’attuale vicepremier e ministra delle Finanze spagnola Nadia Calviño, che ieri ha avuto un incontro bilaterale proprio con l’attuale presidente Werner Hoyer e lunedì si è intrattenuta con il collega Giorgetti. Calviño dovrebbe però lasciare anzitempo il governo di Pedro Sanchez, motivo per cui la spagnola ancora non ha sciolto la riserva. Già direttrice generale della Commissione Ue, l’anno prossimo la ministra potrebbe lasciare Madrid per tornare a Bruxelles e ottenere un portafoglio durante il prossimo mandato della Commissione. Tutto dipende però dall’esito delle elezioni di fine anno in Spagna: una vittoria del centrodestra le sbarrerebbe la strada, per questo l’opzione Bei le consentirebbe di piazzarsi anzitempo.

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L’effetto delle leader sulle Europee

mercoledì, Maggio 17th, 2023

Marcello Sorgi

All’indomani dei risultati del primo turno di amministrative che ha coinvolto un italiano su dieci (con una partecipazione, tuttavia, solo al 59 per cento), il tradizionale studio dei flussi elettorali dell’Istituto Cattaneo conferma che per la prima volta si sono registrati un «effetto Meloni» contrapposto a un «effetto Schlein». Più prevedibile il primo, dato il forte traino esercitato dal governo guidato dalla leader di Fratelli d’Italia e nato otto mesi fa. Atteso, ma non scontato il secondo, sebbene la nuova segretaria abbia riguadagnato solo una parte di ciò che il Pd aveva perso nei mesi seguiti alla sconfitta elettorale del 25 settembre 2022, quando il partito, dal 22 per cento registrato nei sondaggi fino all’agosto dello stesso anno, era arretrato al 19, e poi via via al 15-16 nei lunghi mesi che avevano preceduto le primarie. Schlein adesso oscilla tra il 20 e il 21, ha quindi ancora un punto da recuperare.

A Brescia, la vittoria-simbolo di questa tornata, la crescita è avvenuta grazie a elettori che dai Cinque Stelle si sono spostati verso il Pd. Lo stesso, ma in misura più contenuta, è accaduto ad Ancona, la città dove il centrodestra è uscito in vantaggio dal primo turno, ma il centrosinistra potrebbe recuperare grazie al possibile aiuto degli elettori del candidato battuto di Conte. A Pisa, città tradizionalmente di sinistra conquistata dal centrodestra nel 2018, se l’ «effetto Schlein» non c’è stato è perché gli elettori pentastellati e di Azione-Iv non si sono spostati: e sarebbe bastato, com’è accaduto altrove, che i sostenitori di Calenda e Renzi passassero con il centrodestra, per portarlo alla vittoria.

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Elly Schlein, appello a 5S e Terzo Polo: “Creiamo alleanze forti per frenare la destra”

mercoledì, Maggio 17th, 2023

Carlo Bertini

ROMA. «Non sappiamo se vi sia stato l’effetto Schlein, di sicuro questa volta l’effetto Meloni non c’è stato», sentenzia Davide Baruffi, plenipotenziario del voto locale, emiliano come la segretaria, che seduta accanto a lui al terzo piano del Nazareno, sede del Pd, annuisce sorniona. Lui è convinto che «tutte le partite sono aperte, anche ad Ancona», Elly Schlein prepara il secondo tour delle città: la sua avversaria non la nomina, ma si capisce che una dinamica in stile “I duellanti” (dal celebre film di Ridley Scott) si è ormai innescata. E andrà avanti a lungo. «Ci rimettiamo subito in pista. In questi giri elettorali ho visto entusiasmo, speranza e passaparola», scuote il capo contenta.

Tailleur grigio perla, sorriso stampato sul volto per un primo turno di elezioni comunali «che ci lascia molto soddisfatti tanto da guardare con grande ottimismo ai ballottaggi», la leader dem allarga le mani quando vuole rendere l’idea di un campo di alleanze da ampliare. «Si possono trovare alleanze forti, alternative alla destra, a volte in modo più largo o meno, ma il Pd continuerà a lavorare nella maniera più unitaria possibile». La chiamata a Cinque stelle e moderati del Terzo polo è esplicita, quasi accorata, «confermo la piena disponibilità ad incrociarsi sui territori anche con gli altri leader». Sa che sarà impossibile riunirli tutti, «noi ci siamo, dovete chiedere a loro». Ecco: il problema è che “loro” nicchiano, anzi, qualcosa di più ostile si sente dire da Matteo Renzi, lesto nel consigliare la segretaria dem «a non fare questue dei voti grillini». Tanto per far capire che dove ci saranno i suoi nemici giurati, non sarà facile avere lui. «Il ballottaggio costringe a stare o di qua o di là», ricorda Baruffi. E a dare una lettura politica di questo voto è Sandro Ruotolo, responsabile cultura della segreteria: «Questo primo turno di elezioni comunali, così come le passate politiche, ci dice chiaramente che con questo sistema elettorale da soli si perde».

Elly per ora si compiace di aver già fatto meglio di Giorgia, se non altro per averla battuta sul campo, cioè a Brescia, dove la premier è arrivata in pompa magna con Salvini e mezzo governo. E per averla battuta nella sfida tra i due partiti. Il giorno dopo il primo turno, si tirano le somme: e se è vero che come certifica YouTrend, il Pd è primo partito in tutti i campanili più grandi – eccetto Latina, Teramo e Terni – e quindi da Ancona a Brescia a Brindisi, passando per Pisa, Siena, Sondrio e Vicenza, battendo FdI e Lega; è anche vero però che in molti casi nel 2018 andò meglio di oggi, nella stessa Ancona, così come a Brescia e Vicenza. Insomma, difficile dire se vi sia stato l’effetto Schlein sul Pd, di sicuro non c’è stato un «effetto Conte» sui Cinque stelle: che scontano numeri da brivido, ovunque sotto il 5 per cento, anche in contrade campane dove alle politiche sfioravano il 40. Dal Pd, i più sinceri fanno questa previsione: «Io – confessa un dirigente alla Camera – vedo due vittorie possibili a Siena e Massa, forse anche a Brindisi e addirittura a Vicenza, ma non a Pisa, dove il loro candidato ha dimostrato di avere un traino molto forte». La verità è che la paura di vincere a Pisa è grande quanto quella di perdere, poiché «se crollasse dove al primo turno per 15 voti non ha superato il 50 per cento, la destra eliminerebbe il ballottaggio per legge», prevedono i più avveduti.

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Apartheid oncologica, dai mutui alle assicurazioni anche da guariti il cancro può restare un incubo

mercoledì, Maggio 17th, 2023

PAOLO RUSSO

ROMA. «Avevo già avuto il cancro prima di questo. A un polmone. Tossivo. Feci un controllo. Lo riconobbero subito, era a uno stadio iniziale. Però ero in campagna elettorale, quella volta non potei dire che ero malata, gli avversari mi avrebbero accusata di speculare sul dolore». Così, dopo aver squarciato con coraggio il velo sul male di oggi, per sua stessa ammissione incurabile, la scrittrice Michela Murgia racconta che il tumore può essere fonte di discriminazione.

Come quella subita da Laura. Sono passati vent’anni da quando le fu diagnosticato un tumore al seno, curato in cinque. «Faccio la ballerina da sempre e qualche tempo fa ho deciso di lasciare il mio lavoro in ufficio per aprire una scuola da ballo». Ma subito arrivano gli intoppi. «Prendo un appuntamento in banca dove però mi chiedono delle mie condizioni di salute passate e presenti e a quel punto l’impiegato mi anticipa che un mutuo a lungo termine non mi sarebbe stato concesso. È come se fossi tornata ai tempi della malattia ma a 15 anni dalla guarigione». Storie di ordinaria ingiustizia, una delle tante che subiscono il milione e passa di italiani che per la medicina sono a tutti gli effetti guariti dal cancro, tanto da avere un’aspettativa di vita uguale agli altri, ma che si vedono negare il proprio diritto all’oblio di una malattia che non c’è più. E questo non solo davanti alla richiesta di un mutuo, ma anche in un colloquio di lavoro o al momento di stipulare un’assicurazione, senza per questo vedersi presentare polizze da capogiro. Ingiustizie che si perpetuano persino di fronte a una richiesta di adozione, per realizzare il sogno di un figlio che a volte la malattia non consente di avere.

Proprio pochi giorni fa il premier spagnolo, Pedro Sanchez, ha annunciato che entro giugno il suo governo varerà una legge sul cosiddetto «oblio oncologico». Un provvedimento che abolisce l’obbligo di dichiarare di aver avuto un tumore al momento di stipulare un contratto o di avanzare una richiesta di adozione. Un diritto già sancito per legge in altri Paesi europei. In Francia già dal 2016 e dopo solo 5 anni di assenza di recidive, in Olanda, Belgio, Lussemburgo, Portogallo e Romania, prima del passo avanti spagnolo, banche e compagnie assicurative, così come i datori di lavoro, non possono infatti richiedere informazioni sulle patologie pregresse, quando è trascorso un lasso di tempo che varia dai 5 ai 10 anni dall’inizio delle cure. Leggi di civiltà che una risoluzione votata a febbraio del 2022 dall’Europarlamento raccomanda a tutti gli Stati membri di adottare.

Un’analoga raccomandazione la contiene anche il nostro Piano nazionale oncologico, approvato appena il mese scorso, mentre in Parlamento giacciono disegni di legge «bipartisan» dove è stabilito che «non possono essere richieste al consumatore informazioni sullo stato di salute relative a patologie oncologiche pregresse quando siano trascorsi 10 anni dal trattamento attivo in assenza di recidive o ricadute della malattia, ovvero 5 anni se la malattia è insorta prima del 21° anno di età». Un altro articolo va invece a modificare la legge «184» del 1983 sulle adozioni, inserendo gli stessi limiti temporali di 10 e 5 anni, passati i quali gli ex malati oncologici non possono più essere in alcun modo discriminati.

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Michele Serra: “La destra vuole la sua propaganda, sentirsi inferiore la rende aggressiva”

mercoledì, Maggio 17th, 2023

Annalisa Cuzzocrea

Michele Serra, la Rai esiste da 70 anni, Fabio Fazio ci ha lavorato per 40. Adesso è stato praticamente spinto fuori. Che pericolo rappresentava?
«Fazio ha sempre lavorato in totale autonomia e non ha debiti politici da saldare. Deve tutto quello che ha solo al proprio lavoro, dunque a se stesso. Ho lavorato con lui per molti anni, fino al 2015, non ha amici politici e non frequenta la politica. Nel mondo partitico/romano che si contende da sempre la Rai, sono qualità controproducenti».

Dovrebbe essere il contrario?
«Dovrebbe, ma se un gruppo di potere decide che la televisione pubblica deve diventare la fabbrica della sua “narrazione”, che è un modo elegante per dire propaganda, uno come Fazio è inservibile. Bene che vada, può essere tollerato. Ma per lavorare bene non ci si può sentire “tollerati”, ci si deve sentire sostenuti dal proprio editore. Ha fatto benissimo ad andarsene».

Qual è il problema della Lega di Salvini con Che tempo che fa, dove non si registrano attacchi sguaiati e che ha sempre invitato tutte le parti politiche. C’è un problema di immaginario?
«Nel caso di Salvini suppongo che il problema sia di tipo antropologico più che politico: è il prepotente scamiciato che odia e deride il primo della classe un poco azzimato, come accade in ogni classe di scuola media. Credo che le buone maniere di Fabio facciano parte, per quelli come Salvini, dello stigma del radical-chic. Ci sarebbe solo da sorridere (di Salvini) se negli anni, con il supporto di giornali scritti con il bastone, i social di destra non avessero animato un vero e proprio linciaggio, pieno di insulti e minacce, fondato sulla fola di “Fazio che invita solo quelli di sinistra”. Su quella poltrona bianca sono passati quasi tutti i leader della destra, da Berlusconi a Storace a Fini allo stesso Salvini. Quest’anno Meloni era stata invitata alla prima puntata, per evidenti ragioni di rilievo giornalistico, ma non ha accettato l’invito».

Che tipo di Rai ti aspetti, visto che si profila una pressoché totale “occupazione” degli spazi?
«La Rai ha forti valori professionali interni, e perfino qualche dirigente, che lavorano per il bene dell’azienda e non per vassallaggio politico. Ma questo tessuto sano è come ingabbiato, la cappa dei partiti pesa sull’informazione e, negli ultimi anni, perfino sull’intrattenimento. Non vogliono controllare solo i tigì, anche le canzoni di Sanremo. Lo so, fa ridere. Ma fa anche abbastanza paura».

È sempre stato così, è sempre valsa solo l’affiliazione al potere e ai partiti, o le cose negli anni sono peggiorate?
«È sempre stato così. Tutti i partiti, escluso quelli molto piccoli che non potevano permetterselo, hanno rivolto alla Rai lo sguardo del padrone. Ho scritto decine di Amache, negli anni, sull’ossessione dichiaratoria dei vari Gasparri e Anzaldi (ex Pd, ora renziano) a proposito della Rai. Credo che abbiano avuto da ridire anche sulle previsioni del tempo, impicciandosi di una materia – la televisione – della quale sanno quanto io so di astrofisica. Ma con la destra al potere c’è un problema in più, ed è un problema enorme. Ha un gigantesco complesso di inferiorità che la rende più insicura e dunque più aggressiva. Si fida solo dei suoi. Dunque alla Rai metterà i suoi, e farà credere che “gli altri”, tutti gli altri, lavoravano lì solo perché “di sinistra”. Come Amadeus, noto biografo di Rosa Luxemburg».

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