Archive for Maggio, 2023

La battaglia per la libertà di chi muore anche per noi

domenica, Maggio 14th, 2023

MASSIMO GIANNINI

Un ramoscello d’ulivo scolpito è il vero simbolo che resta, alla fine del veloce sabato romano di Volodymyr Zelensky. È il regalo che Francesco fa al presidente ucraino, ed è il dono che solo un Papa argentino può consegnare a un mondo perso a giocare a dadi con l’Apocalisse. Se la pace ha davvero una chance, è in buona parte nelle mani del Vescovo di Roma. L’unico che non ha mai smesso di evocarla, mentre i cosiddetti “Grandi del Pianeta” parlavano d’altro, in questi quindici mesi d’inferno tra Bucha e Bakhmut. Forse l’unico che potrebbe essere ascoltato in Russia, perché capo di una “superpotenza post-occidentale”, palesemente poco affezionata all’Europa ma certamente dotata di visione strategica su tutti i dossier dei due emisferi, dall’Africa al Sud America. Ma anche l’unico che per ora Zelensky non può e non vuole ascoltare. Lo dice chiaro, dopo gli incontri al Quirinale, a Palazzo Chigi e in Vaticano: c’è solo una pace possibile, ed è quella che decideremo noi, vittime incolpevoli dell’aggressione russa.

Così quel ramoscello d’ulivo sembra già inaridito, perché per ora non c’è una terra in cui si possa piantare. Quella terra non è l’Ucraina, o almeno non lo è adesso, perché come annuncia il suo leader “noi prepareremo il nostro piano di pace”, ma intanto “combatteremo e fino a quando non saremo arrivati al confine con la Crimea”, e allora Putin capirà che per lui è finita, perché avrà perso il sostegno interno dei suoi apparati e della sua gente. La guerra continuerà “fino ad allora”, anche se nessuno può sapere quando arriverà questo “allora”. Nel frattempo, partirà l’annunciata controffensiva di Kiev, perché con il macellaio di Mosca non c’è trattativa possibile.

“Di che dobbiamo parlare, con uno che massacra i nostri figli?”, chiede il presidente ucraino, che invoca solo “una pace giusta”, la sua, e non si accontenta “dei territori”, ma chiede anche giustizia, cioè un tribunale internazionale che giudichi e condanni i crimini di Putin.

Suscita un’emozione forte, sentir parlare questo eroe per caso che nel giro di pochi anni, da attore comico televisivo, si è ritrovato a gestire il governo della sua nazione e poi a guidare il suo popolo in un conflitto contro un nemico immensamente più feroce e potente di lui. E fa effetto sentirgli dire “noi combattiamo per i valori che sono anche i vostri”, e sentirgli ripetere “siamo grati all’Italia perché, come voi, stiamo dalla parte giusta, quella della verità” e per questo “noi vogliamo entrare nella Nato e nell’Ue”. Ma la geopolitica purtroppo non si nutre di emozioni, per dirla con Lucio Caracciolo, ma obbliga a “entrare nelle scarpe di tutti i contendenti, anche di chi si avverte profondamente avverso, se davvero si intende cogliere i perché di una guerra”. Per questo, mentre Zelensky vola a Berlino seguendo le tappe del suo tour europeo, ci rendiamo conto di quanto lo scenario sia ancora fosco e tetro per chi invece spera in uno spiraglio di pace.

Il ramoscello d’ulivo che non trova terreno fertile lungo il corso del Dnepr, infatti, al momento non sembra trovarlo neanche Oltre Tevere. La mediazione papale ha azzardato i suoi primi passi, annunciata dallo stesso Bergoglio, convinto che parlare “con l’aggressore è necessario”, anche se a volte “il dialogo puzza”. Non sappiamo con esattezza cos’abbia risposto Zelensky al Santo Padre, né cosa si siano detti nel colloquio successivo con il segretario di Stato vaticano. Sappiamo però che il commander in chief ucraino ripete “non ci servono mediatori”, ma “piani d’azione” per una pace giusta. Può darsi che quei piani d’azione fossero scritti nella cartellina che monsignor Gallagher teneva sottobraccio, ma per ora non ne abbiamo contezza.

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Guerra Russia-Ucraina, Zelensky a Berlino per preparare la sua controffensiva. Attacco russo con i droni a Kiev

domenica, Maggio 14th, 2023

a cura della redazione

Quella di ieri è stata una giornata intera a correre da una parte all’altra di Roma, incontri istituzionali, conferenze stampa, esternazioni via social, intervista condotta a più voci. Alla fine il pensiero di Volodymyr Zelensky è più che chiaro. Il messaggio più forte di tutti, quello che gela chi sperava in un qualche spiraglio diplomatico, è che la controffensiva dell’Ucraina continuerà fino alla vittoria.

Il presidente ucraino poi scrive su Twitter: «Oggi c’è anche una Dichiarazione Congiunta con l’Italia sull’adesione dell’Ucraina all’Unione Europea e alla Nato. Segnali giusti e tempestivi. L’Italia ha sostenuto in modo assolutamente chiaro tutti i punti della Formula di pace ucraina».

Nella dichiarazione congiunta, Roma e Kiev sottolineano che «il futuro dell’Ucraina e del suo popolo è nella Famiglia europea».

Sulla Nato, si afferma che «l’Ucraina ha il diritto di scegliere i propri accordi di sicurezza».

Quanto poi alla pace, «la Repubblica Italiana sostiene l’iniziativa dell’Ucraina per una pace giusta e sostenibile basata sulla sovranità e sull’integrità territoriale dell’Ucraina. La Formula di pace ucraina comprende una serie di obiettivi importanti, molti dei quali sono già oggetto di lavoro da parte della Repubblica Italiana, come la sicurezza alimentare ed energetica».

Guerra Russia-Ucraina, cosa è successo sabato 13 maggioPunti chiave

  • 07:22 Respinto ennesimo attacco russo con i droni su Kiev
  • 01:20 Zelensky è arrivato a Berlino per preparare la sua controffensiva

08:21

Esercito di Kiev: in 24 ore 620 militari russi uccisi in battaglia

Secondo l’ultimo aggiornamento delle stato maggiore ucraino postato su Facebook, nelle ultime 24 la Russia ha subito la perdita in battaglia di 620 militari, portando a circa 199mila il numero totale dei soldati della Federazione morti dall’inizio dell’invasione. L’ufficiale ucraino Anatolii Shtefan ha riferito che ieri le truppe russe hanno avuto perdite ingenti a Klishchiivka, vicino Bakhmut, nel Donetsk, come riporta Unian. 07:51

Esercito Mosca: presa parte di un’autostrada cruciale in Donetsk

Secondo le forze speciali del Gruppo Sud della Federazione, l’esercito russo ha preso il pieno controllo di una sezione dell’autostrada vicino al villaggio di Novokalinovo vicino ad Avdiivka, nel Donetsk, uno dei fronti dove si concentrano le battaglie. Lo riporta Ria Novosti. “Siamo sul tratto della strada H20, l’area dell’insediamento di Novokalinovo. Il tratto di strada è sotto il nostro controllo. Abbiamo qui le squadre di fuoco di mortai. Per gli ucraini è molto difficile sfonddare”, ha riferito un combattente del Gruppo Sud all’agenzia di stampa statale russa Novokalinovo si trova a circa sette chilometri a nord di Avdiivka, una delle principali aree fortificate sul territorio dell’autoproclamata repubblica del Donetsk che finora rimane sotto il controllo di Kiev. 07:22

Respinto ennesimo attacco russo con i droni su Kiev

Attacco russo con i droni nella notte su Kiev, la capitale ucraina, che le forze di difesa hanno respinto e distrutto, secondo quanto annunciato su Telegram dall’ amministrazione militare della città e riferito da Ukrinform. «Il settimo attacco aereo contro la capitale dall’inizio di maggio! Secondo le informazioni preliminari, prima di mezzanotte, i russi hanno lanciato droni da ricognizione verso la capitale. Molto probabilmente – ha detto Serhii Popko, il capo della l’amministrazione militare della città – per identificare le posizioni delle nostre difese aeree». Secondo lui, tutti i droni che si muovevano verso Kiev sono stati distrutti nello spazio aereo intorno alla capitale. Di notte, c’è stata anche un’altra allerta aerea dovuta presumibilmente a missili da crociera lanciati da bombardieri strategici russi collocati nel Caspio. Nessun missile da crociera di questo tipo è stato rilevato nello spazio aereo intorno alla capitale, ha sottolineato Popko. Come riportato da Ukrinform, ieri sera sono stati annunciati allarmi aerei in tutto il territorio dell’Ucraina. 01:20

Zelensky è arrivato a Berlino per preparare la sua controffensiva

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Papa Francesco, l’incontro con Zelensky e il comunicato di poche righe che certifica lo stallo: intesa solo sugli sforzi umanitari

domenica, Maggio 14th, 2023

di Gian Guido Vecchi

Il pontefice cauto, dopo le difficoltà. L’ipotesi di inviare a Mosca e Kiev due cardinali come emissari
Papa Francesco, l’incontro con Zelensky e il comunicato di poche righe che certifica lo stallo: intesa solo sugli sforzi umanitari

CITTA’ DEL VATICANO — Il cielo sopra San Pietro è grigio come le prospettive di pace. Quando Volodymyr Zelensky arriva nel cortile dell’Aula Paolo VI, poco dopo le 16, si sa già che l’udienza con il Papa non sarà delle più semplici. La prima volta era stato ricevuto da Francesco l’8 febbraio 2020, sono passati poco più di tre anni ed è come fossero dieci, il giovane presidente che si mostrava un po’ intimidito in giacca e cravatta si presenta ora con la felpa militare, incanutito, l’aria tirata. Si stringono la mano nell’auletta dietro la Sala Nervi, «è un grande onore per me essere qui», dice Zelensky accennando un inchino, «la ringrazio per questa visita», sorride il Papa.

Sul tavolo c’è un crocifisso, seduti uno di fronte all’altro è come se si studiassero, il colloquio riservato dura quaranta minuti. E il primo segnale di quanto sia stato faticoso è nelle prime parole della Santa Sede, affidate al portavoce Matteo Bruni: poche righe per dire che si è discusso della «situazione umanitaria e politica dell’Ucraina provocata dalla guerra in corso», salvo aggiungere che «entrambi hanno convenuto sulla necessità di continuare gli sforzi umanitari a sostegno della popolazione». La convergenza si mostra quindi sugli aspetti «umanitari» e non sulla situazione «politica», come a limitare, almeno per ora, lo spazio della «missione di pace» di cui Francesco aveva parlato a fine aprile.

Una differenza confermata da ciò che Zelensky dirà più tardi a Porta a Porta , sillabando che il suo Paese non ha bisogno di mediatori e l’unico piano di pace è quello ucraino. No alla mediazione vaticana, insomma. E in ciò che il presidente ucraino aggiunge in un messaggio, «ho chiesto di condannare i crimini russi in Ucraina, perché non può esserci uguaglianza tra la vittima e l’aggressore», si nota una certa insofferenza che in questi mesi ha accompagnato in Ucraina i tentativi di Francesco di «costruire ponti»: aprire tutti i canali di dialogo possibili verso «la strada della pace» e favorire una mediazione, fino a mettere a disposizione il Vaticano per colloqui tra le parti.

Il Papa non ha mai mancato, ogni settimana, di pregare per «il martoriato popolo ucraino». Del resto lo aveva detto senza veli di ritorno dal Kazakistan, lo scorso settembre, ai giornalisti che gli chiedevano se ci fosse un limite alla disponibilità al dialogo con Mosca: «Io non escludo il dialogo con l’aggressore, a volte il dialogo puzza, ma si deve fare». I comunicati della Santa Sede non fanno cenno all’invito al Papa ad andare a Kiev: ha già detto che lo farà solo se potrà andare anche a Mosca. Francesco ha donato una scultura in forma di ramoscello d’ulivo, Zelensky ha ricambiato con un’opera ricavata da una piastra antiproiettile e un quadro sull’uccisione dei bambini.

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Zelensky, la sintonia con Meloni che scommette sulla vittoria di Kiev. Telefonata a Draghi

domenica, Maggio 14th, 2023

di Monica Guerzoni

Zelensky, la sintonia con Meloni

All’«amico Volodymyr» la premier Meloni ha donato una cassetta di oli e vini pregiati e da Zelensky la «cara Giorgia» ha avuto in regalo il quadro di un’artista ucraina, che racconta a tinte gialle e blu una delle orribili stragi compiute dall’esercito russo. Per Palazzo Chigi lo scambio di cortesie simboleggia quanto stretti siano i rapporti tra i due Paesi e quanto «importante» sia la tappa romana del presidente ucraino, la prima di un tour nelle grandi capitali europee.

La tesi è che l’Italia ne esca rafforzata e che possa proporsi agli occhi degli Usa come «un pilastro» della Ue. In realtà Zelensky era già stato a Parigi e Berlino (e a Roma no), ma a sentire i meloniani questo viaggio ha un valore «più forte», perché coincide con la preparazione di quella «controffensiva di primavera» a cui il leader della resistenza di Kiev crede più che a ogni possibile mediazione. Per Zelensky il piano di pace cinese non esiste e di quello vaticano l’Ucraina «non ha bisogno».

Ad accoglierlo a Ciampino è il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che gli ricorda di essere stato lui, da presidente del Parlamento Ue, il primo politico italiano a incontrarlo a cena a Bruxelles nel 2019. L’ospite d’onore arriva in auto nel cortile di Palazzo Chigi e con Meloni sono baci, abbracci e strette di mano. La sintonia è forte e anche l’armocromia, poiché l’abito nero della premier si intona con la felpa militare. «È nato un rapporto di personale amicizia» dirà lei dopo i 70 minuti di faccia a faccia nel suo studio, in inglese e senza interpreti. La premier rinnova il sostegno al piano in dieci punti di Zelensky e suggella il patto di collaborazione con una dichiarazione impegnativa: «Noi scommettiamo sulla vittoria ucraina». È un sostegno «a 360 gradi», politico, umanitario e militare. Zelensky non svela i piani segreti della controffensiva e chiede «molte ambulanze blindate», invoca armi e munizioni e la leader e il ministro della Difesa assicurano che un nuovo pacchetto di strumentazioni militari è in preparazione. Meloni garantisce «l’applicazione rigorosa delle sanzioni» e ogni sforzo per integrità territoriale, sovranità e indipendenza di Kiev: «Una pace giusta potrà esserci solo se la Russia si ritira». Obiettivo per il quale la premier si spenderà nel G7 in Giappone.

I colloqui continuano a tavola, nella sala delle Marine, presenti anche il consigliere diplomatico Talò e il sottosegretario Fazzolari. Nel menù insalata di mare, branzino e gelato. Crosetto sottopone a Zelensky le sue preoccupazioni: «La controffensiva ucraina sarà pesante anche per il suo popolo». Nessuno lo sa meglio di lui, che insiste nel ricordare che «i morti di Putin sono ucraini» e dà voce a un tormento che lo assilla: la paura che l’opinione pubblica occidentale possa cedere e premere sui governi perché allentino il sostegno all’Ucraina. «Davvero qualcuno in Europa pensa che la pace si mantenga facendo finta di niente quando ti sparano?», si sfoga Zelensky, usando parole che ricordano l’attacco a Berlusconi nella conferenza stampa con Meloni a Kiev, il 21 febbraio. Questa volta il nome che lo agita è quello di Salvini e forse non basteranno chiarimenti e smentite a diradare le nubi. Il premier ucraino guarda con sospetto chi invoca il «cessate il fuoco» senza curarsi che la fine delle ostilità lascerebbe territori ucraini occupati dai russi.

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Hanno tutti ragione | Armocromia grillina, i nuovi colori di Conte per l’abbinamento con Meloni

sabato, Maggio 13th, 2023

di Stefano Cappellini

Giuseppe Conte ha un problema con il Pd, e viceversa. Dice: ma a che serve parlare di alleanze ora? Nel 2024 alle Europee si vota con il proporzionale, ognun per sé. Vero. Si può far finta di niente. La risoluzione delle grane può essere rinviata, in politica come nella vita, ma non sempre il tempo offre una scappatoia.  

È evidente che Conte non ha gioito per l’elezione di Elly Schlein alla segreteria. Si sentiva già incoronato capo dell’opposizione. Nei mesi in cui il Pd era rimasto acefalo i sondaggi suggerivano il sorpasso dei 5S sui dem, e l’arrivo di Schlein ha invertito la tendenza. Non solo, ora Conte teme che Schlein possa recuperare definitivamente parte di quei voti di sinistra che negli ultimi anni sono stati tesoretto elettorale dei grillini. Il risultato è evidente: Conte ha già mezzo svestito i panni di Mélenchon italiano, che avrebbe certo tenuto in caso di vittoria di Stefano Bonaccini alle primarie dem, e ha cominciato un’altra partita: da un lato, non perde occasione di mettere Schlein sotto tiro, ha ritenuto anche di mettere subito a verbale che per lui non ci sono le condizioni di un “accordo strutturale” con il Pd, dall’altro ha aperto trattative ovunque possibile con la maggioranza, come dimostrano il voto del Parlamento sui membri del consiglio di giustizia tributaria, Conte ha ottenuto un incarico per l’ex Guardasigilli Alfonso Bonafede, e soprattutto la partita Rai.  

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Una spericolatezza tipicamente contiana, accreditarsi unica vera opposizione e al contempo dare sponda a Meloni sui singoli dossier, pochette e barricata, Cortina d’Ampezzo e cortina di ferro, atlantista e antimperialista, antifascista e pubblico lodatore della lettera di Meloni sul 25 aprile nella quale l’antifascismo non è nemmeno nominato. Dopo aver capito che il mercato elettorale a sinistra rischia di restringersi, l’ex presidente del Consiglio sembra a caccia di nuovi spazi, lui che ne ha già occupati molti. Non vuole correre il rischio di essere fagocitato dal Pd, prospettiva che ritiene, forse non a torto, molto probabile in caso di alleanza. La tesi secondo cui il rapporto tra Conte e Meloni potrebbe evolversi in qualcosa più che un asse sotterraneo è inverosimile, nessuno dei due ha interesse ad andare oltre. Quale sia invece il tornaconto reciproco di questa interlocuzione è chiaro per il leader M5S ed è chiaro anche per la presidente del Consiglio: un Conte che marcia lontano da intese con i dem è la garanzia che all’opposizione non prenda mai forma una proposta alternativa e competitiva rispetto alla maggioranza attuale. 

Questo, però, obbliga il Pd a porsi delle domande e soprattutto a trovare presto risposte. Il rapporto con il M5S è sempre stato ambiguo anche visto dal lato dei dem, che hanno cercato opportunisticamente di trasformare la nascita del Conte bis nella fondazione di un improbabile nuovo campo progressista. Fondazione alla quale hanno fatto finta di credere in molti, spinti più che altro dall’idea di normalizzare l’anomalia grillina e prosciugarne i voti. Non ha funzionato. La finzione ha retto finché Conte ne guadagnava il ruolo di leader, perso il quale ha abbandonato le velleità da federatore prodiano.

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Legge Basaglia, quello che manca sui disagi mentali

sabato, Maggio 13th, 2023

di Massimo Ammaniti

Come ho raccontato nel mio libro di memorie Passoscuro, erano gli anni ’70 del secolo scorso ed io, giovane neuropsichiatra infantile, avevo accettato l’invito di Franco Basaglia di trasferirmi a Trieste per occuparmi della salute mentale di bambini e adolescenti nell’ambito dei servizi psichiatrici da lui diretti.

Avevo accolto la sua proposta con entusiasmo, ero molto interessato al suo lavoro di smantellamento degli ospedali psichiatrici, che non servivano a curare i pazienti psichiatrici e addirittura ne provocavano l’emarginazione sociale e l’isolamento affettivo. Ne avevo avuto esperienza diretta nell’Ospedale Psichiatrico di Roma, all’interno del Padiglione dei bambini considerati irrecuperabili, vittime di un sistema di custodia degradante che provocava soltanto l’aggravamento della loro disabilità.

Ero pronto a trasferirmi a Trieste con la mia famiglia e nel tragitto mi fermai a Venezia per una notte. Durante quella notte insonne mi interrogai sulla mia scelta, se era sufficientemente ragionata. Sicuramente sarebbe stata un’esperienza di lavoro importante, tuttavia dal mio punto di vista Basaglia e il suo gruppo davano troppa enfasi all’ambiente sociale, non valorizzando le sofferenze personali dei pazienti psichiatrici, che richiedevano trattamenti più complessi sul piano psicologico.

Quando finalmente giunse l’alba la mia decisione era presa, non sarei andato a Trieste perché desideravo studiare a fondo i più recenti sviluppi scientifici della psicopatologia e della psicoanalisi e le stesse strategie terapeutiche.

Non sono stato un basagliano, quantunque apprezzassi molto il suo lavoro di critica verso una psichiatria ottocentesca inadeguata a prendersi cura dei malati mentali, tuttavia credo che sia necessario oggi riconoscere il suo grande contributo senza nascondere allo stesso tempo luci e ombre.

“Eravamo scarti, qui siamo persone”. Viaggio a Trieste dove i “matti” imparano a vivere da soli

dalla nostra inviata Maria Novella De Luca 12 Maggio 2023

La Legge 180 del 1978, ossia la Legge Basaglia, ha rappresentato un grande passo avanti di civiltà e di riaffermazione dei diritti umani e anche di apertura di una nuova stagione nella cura mentale. Va tuttavia riconosciuto che la legge rappresentò un compromesso per evitare il referendum e lo stesso Basaglia non ne era completamente soddisfatto.

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Caro affitti, cos’è l’effetto Airbnb

sabato, Maggio 13th, 2023

Giuliano Balestreri

Da un lato c’è l’indotto per bar e ristoranti che, solo per l’Italia, Airbnb calcola in oltre due miliardi di euro l’anno a cui si aggiunge una «spinta alla microimprenditorialità»; dall’altro c’è una costante pressione sui prezzi degli affitti. La protesta delle tende è in qualche modo figlia dell’effetto Airbnb. «Durante il Salone del Mobile, a Milano, riesco ad affittare il mio bilocale in zona semicentrale a 300 euro a notte, capita anche di arrivare a 350 euro. Poi ci sono la moda, gli eventi sportivi, i concerti. I pagamenti sono garantiti e la casa è sempre nella mia disponibilità». Il racconto di Riccardo, manager pugliese da anni nel capoluogo lombardo, spiega più di tante parole perché l’effetto Airbnb e gli affitti brevi siano destinati ad aumentare sempre di più. E il think tank Tortuga ha calcolato che un aumento dell’1% delle penetrazione di Airbnb implichi una crescita del 7% del costo degli affitti.

Una lettura che l’Aigab, l’associazione dei property manager in Italia, guidata da Marco Celani, contesta fortemente: «Solo a Milano ci sono 190 mila appartamenti in affitto, di questi appena 15/16 mila sono disponibili sulle piattaforme a breve termine. Come si può pensare che bastino a influenzare l’andamento del mercato? Il problema del caro affitti, piuttosto, è da collegare all’inflazione e in alcune città che hanno un importante bacino studentesco (Milano, Roma, Bologna e Firenze) alla carenza di posti letto per studenti». Un problema che – secondo il manager – si potrebbe risolvere alla radici indagando sulla fuga di studenti dalle università del Mezzogiorno e soprattutto con il tempo: «I politici sembrano non saperlo, ma grandi operatori italiani e stranieri stanno costruendo 7 mila posti letto in studentati, per cui il problema si risolverà grazie al mercato, senza bisogno di limitazioni alla disponibilità delle case delle famiglie italiane».

Resta il fatto che nell’immediato trovare una soluzione è difficile. Anche perché mano a mano che gli affitti a lungo termine scadono, vengono sostituiti da affitti a breve che hanno le stesse agevolazioni fiscali, attraverso la cedolare secca (una tassazione fissa al 21% che non fa cumulo con il reddito), ma con un vantaggio importante: tra un affitto breve e l’altro i canoni possono oscillare liberamente; i contratti tradizionali a medio e lungo termine, invece, sono immutabili. Anche di fronte all’inflazione che sale del 7%. C’è poi un altro aspetto tutt’altro che secondario: nel caso di affitti transitori pensati ad hoc per studenti e lavoratori in trasferta, il rischio di avere l’appartamento vuoto durante l’estate è molto alto. Motivo per cui, sono sempre più i proprietari che preferiscono non vincolarsi a un contratto, per poter sfruttare i picchi di prezzo durante l’anno anche a costo di lasciarlo vuoto per mesi.

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Dopo la polemica col governo la Buchmesse cancella Rovelli

sabato, Maggio 13th, 2023

«L’Italia mi ha chiesto di rappresentarla alla cerimonia di apertura della Fiera del Libro di Francoforte, ma siccome ho osato criticare il ministro della Difesa, il mio intervento è stato cancellato». Così Carlo Rovelli, fisico di grande successo letterario annuncia di aver ricevuto da Franco Ricardo Levi, commissario per la Fiera del Libro di Francoforte, una email che ritira l’invito alla fiera libraria più importante d’Europa (e forse perfino oltre).

Rovelli è stato al centro delle polemiche, nei giorni scorsi, per il suo intervento al Concerto del Primo Maggio nel quale ha criticato, senza complimenti, l’operato del governo italiano in Ucraina. Gli scrive Levi: «Il clamore, l’eco, le reazioni che hanno fatto seguito al suo intervento al concerto del Primo Maggio mi inducono a pensare, mi danno, anzi, la quasi certezza, che la sua lezione che così fortemente avevo voluto per l’inaugurazione della Buchmesse con l’Italia Ospite d’Onore diverrebbe l’occasione non per assaporare il fascino della ricerca, ma per rivivere polemiche e attacchi».

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Torino, il patto arcobaleno

sabato, Maggio 13th, 2023

Claudia Luise, Maurizio Tropeano

«Benvenuti alla festa della natalità». Vladimir Luxuria saluta così dal palco del Teatro Carignano i 300 sindaci arrivati a Torino per chiedere al Parlamento di approvare una legge che non discrimini i figli delle famiglie arcobaleno. Non sceglie a caso la parola natalità, che con la mente rimanda proprio alle dichiarazioni di poche ore prima, rilasciate dalla premier Giorgia Meloni che l’ha definita «una priorità assoluta». E anche Chiara Appendino, deputata del M5S, che quando era sindaca del capoluogo piemontese è stata la prima a registrare i figli di due mamme, fa il verso alle parole di Meloni: «Dice che è donna, madre e cristiana? Lo sia anche con questi bambini».

Le città per i diritti, i sindaci uniti a Torino per le famiglie arcobaleno: l’integrale

Torino si propone come città laboratorio, da cui parte un “patto arcobaleno” che ha come punto centrale il riconoscimento del matrimonio egualitario, lo strumento che i primi cittadini di Torino (Stefano Lo Russo), Roma (Roberto Gualtieri), Milano (Giuseppe Sala), Bari (Antonio De Caro), Firenze (Dario Nardella), Bologna (Matteo Lepore) e Napoli (Gaetano Manfredi) hanno messo al centro della loro mobilitazione. Un appuntamento voluto da Lo Russo, di cui La Stampa è media partner, condotto dal direttore Massimo Giannini e dalla vicedirettrice Annalisa Cuzzocrea. «Non deve essere una battaglia di un partito ma di un Paese», è il messaggio trasversale che arriva dalla sala. Lo dice chiaramente Giannini: «È una questione no-partisan. Bisogna creare alleanze, la politica può farlo. Ci deve provare anche il Parlamento, ma in questa fase la sensazione è opposta». Il direttore annuncia che La Stampa ha introdotto la figura del Diversity manager. «Il problema per il governo – come rimarca Cuzzocrea – è il diritto di due omosessuali ad avere una famiglia. E il Parlamento ha evitato accuratamente di occuparsene come fa spesso con le cose che riguardano la carne viva delle persone». Invece, aggiunge Giannini, «non c’è proprio niente da tollerare, di fronte alla normalità dell’amore in tutte le sue forme e le sue espressioni». Per questo, come esordisce Lo Russo, «si tratta di una battaglia doverosa e complessa, che coinvolge il nostro futuro. Una battaglia che non rientra sotto nessuna bandiera di partito».

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Fabio Fazio a Discovery, firma a un passo: il conduttore lascia la Rai

sabato, Maggio 13th, 2023

di Antonella Baccaro

Fabio Fazio sta per firmare con la Nove: da marzo ha chiesto di aprire la trattativa per il rinnovo del suo contratto, senza risposta. Si tratta sui voti per il nuovo ad Sergio

Fabio Fazio a  Discovery, firma a un passo: il conduttore lascia la Rai

È un weekend frenetico quello che precede il consiglio di amministrazione Rai di lunedì che dovrebbe vedere la nomina di Roberto Sergio a nuovo amministratore delegato, dopo le dimissioni di Carlo Fuortes. Telefonate di pressione dei partiti hanno raggiunto i consiglieri il cui voto è meno scontato. Lunedì Sergio ovviamente non voterà. E mentre è certo il sì dei consiglieri di centrodestra, Simona Agnes e Igor De Biasio, e quello contrario di Francesca Bria (quota Pd), l’indipendente Riccardo Laganà sarebbe per l’astensione (che vale no), come ha fatto con i precedenti ad. A questo punto sarebbero determinanti i voti della presidente Marinella Soldi (il cui voto, in caso di parità, vale doppio) e quello di Alessandro di Majo (quota M5S). I grillini sono in trattativa per ottenere una direzione di rilievo per Giuseppe Carboni, senza la quale il voto sarà un no o un’astensione. Se così fosse, in condizione di parità, dirimente sarebbe il voto di Soldi.

«Il cda è già in mano a Matteo Renzi» era la voce che circolava ieri, e che alludeva al rapporto intercorrente tra l’ex premier e Soldi. Un problema che Sergio non avrà, se sarà nominato, quando dovrà indicare i direttori di genere (il parere del cda non è vincolante) e di testata (è sufficiente non avere 5 voti contrari). Una maggioranza dovrà esserci invece per l’approvazione del budget a fine anno e per le prossime nomine nelle controllate: Rai Cinema, Rai Com e San Marino Rtv. «Quello del cda sarà prima di tutto un giudizio sul metodo usato per occupare la Rai» ha twittato il presidente di Fnsi, Vittorio Di Trapani. «La legge sulla Rai va cambiata», attacca il segretario Usigrai, Daniele Macheda. Ieri Pd e M5S hanno respinto l’ipotesi che Report, la trasmissione di Sigfrido Ranucci, venga cancellata. Voce smentita in ambienti Rai.

Sarebbe invece in procinto di firmare con Discovery Fabio Fazio, il cui programma traslocherebbe su Nove. Il conduttore attende una conferma dal 15 marzo, quando ha chiesto di sapere se il suo contratto — in scadenza a fine giugno — sarebbe stato rinnovato. Nessuno avrebbe aperto però una trattativa per farlo rimanere. Ieri è tornato a parlare Fuortes che, smentendo indiscrezioni, si è detto «non disponibile a coprire il ruolo di sovrintendente del Teatro San Carlo». Il manager non nega che «sarebbe un piacere e un onore straordinario» guidare un teatro la cui «nobile tradizione è continuata fino all’attuale gestione di Lissner», che così viene da lui omaggiato. Ma il San Carlo è per Napoli «forse il luogo più simbolico e identitario» e «va trattato come tale» lo esalta Fuortes. Quindi «il sovrintendente deve avere un sostegno largo e condiviso da parte di tutta la collettività» e la sua nomina «non può in alcun modo subire distorsioni, essere o apparire di parte». Per questo, conclude, «non ci sono a mio avviso le condizioni per ricoprire il ruolo di sovrintendente». Non un atto del governo può dunque portare Fuortes al San Carlo. Ma cosa succederebbe se «tutta la collettività», rappresentata nel collegio di sorveglianza del San Carlo, lo reclamasse a gran voce?

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