Archive for Maggio, 2023

I partiti al di là dei simboli

mercoledì, Maggio 17th, 2023

di Venanzio Postiglione

Il fascismo, la Rai, le nomine. Le nomine, la Rai, il fascismo. Cambiando l’ordine degli addendi, la somma non cambia: una frase che fa sorridere di nostalgia, perché ha il sapore delle scuole elementari. Con quei numeri che giravano sulla lavagna e il risultato che era lo stesso. È una foto dell’Italia, didascalia «maggio 2023». L’Emilia-Romagna va sott’acqua, case evacuate, treni fermi, famiglie sui tetti: ma se il marziano di Ennio Flaiano atterrasse di nuovo a Roma, troverebbe i temi di sempre. Il solito campo di gioco.

È la liturgia del conflitto prevedibile. Il simbolo che vale più dei contenuti. L’esame di anti-fascismo, perché c’è ogni volta una parola che manca (e un po’ è vero), ma chissà quando arriverà l’esame di futuro. Lo spoils system all’italiana, inventato dalla sinistra e realizzato adesso dalla destra: qui e subito, come non ci fosse un domani. L’occupazione della Rai, che è nata nella notte dei tempi, ha accecato tutti e non serve neppure al consenso: nessuno ha visto arrivare Bossi, il Cavaliere, i Cinquestelle. Siamo a un passo da un’altra rivoluzione storica dopo Internet, cioè l’intelligenza artificiale, il mondo vive da anni sugli smartphone, ma qui litighiamo sui tg regionali, prenditi Aosta e lasciami Campobasso.

Il voto nelle città di domenica e lunedì (due giorni, contro l’astensionismo, che infatti aumenta) non ha intaccato gli equilibri. Otto mesi dopo, la luna di miele con Giorgia Meloni e il governo è ancora in corso, più i centri sono grandi e più il Pd resiste (vedi Brescia), i Cinquestelle recuperano a livello nazionale e quasi si estinguono a livello locale. Il centrodestra è avanti, ma ci sarà il ballottaggio e la partita resta aperta: il sistema elettorale per i sindaci garantisce l’alternanza e la governabilità da 30 anni esatti. L’ipotesi di cambiarlo, diciamolo, attiene più al circo equestre che alle scienze politiche.

Neanche il secondo turno delle città sarà un terremoto. Le elezioni europee sono lontane, quelle politiche appaiono lontanissime. Il tempo delle bandiere è finito: la destra è al potere, è già al potere, la sua nuova identità si costruirà con il governo reale, i fatti, le scelte, i provvedimenti, non con la continua affermazione di sé. O addirittura con il senso di rivalsa. E anche la cosiddetta egemonia culturale si modella, se si è capaci, con le idee e lo slancio, non con le poltrone. Vale lo stesso per la sinistra. La polemica colpo su colpo, la retorica del «no sempre», l’occupazione degli incarichi sbagliata solo se la fanno gli altri, il richiamo continuo agli anni Venti del Novecento quando siamo negli anni Venti del Duemila, ecco, tutto questo dà l’idea di posizioni pregiudiziali. Giuste o sbagliate che siano. La condanna per un leader è la stessa dai tempi dell’antica Atene: le persone sanno cosa dirà prima che parli. Al punto che i sofisti, per rompere l’incantesimo, si divertivano con i discorsi contrapposti, sostenendo una tesi e poi quella contraria.

Il passaggio dai simboli ai contenuti è il punto chiave. Francesco Verderami, ieri, l’ha scritto chiaro e dritto: «Davanti a una confusa gestione del Paese il governo potrebbe essere punito dagli elettori, sarebbero loro a rappresentare l’alternativa». E la storia recente è anche esplicita. La definizione fulminante inventata da Pindaro per gli uomini, «creature di un sol giorno», sembra il titolo di molte carriere politiche di casa nostra. Piantare bandierine o governare bene? Nel romanzo epico «Il Signore degli Anelli», amato e citato dalla premier, Frodo trova sempre la strada giusta e, soprattutto, resiste ogni volta al richiamo della forza oscura e illimitata. Perché è esattamente un’allegoria del potere. Per centinaia e centinaia di pagine: eroico il protagonista e forse anche il lettore.

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Navi fantasma alla deriva, migliaia di marinai a bordo: coinvolti anche 14 porti italiani

mercoledì, Maggio 17th, 2023

di Milena Gabanelli, Maria Serena Natale e Francesco Tortora

Undici miliardi di tonnellate di merci trasportate ogni anno, il 90% degli scambi totali: il commercio marittimo è la spina dorsale del capitalismo globale. Un sistema formato da 118 mila navi con due milioni di lavoratori a bordo, eppure questo gigantesco equipaggio transnazionale in continuo movimento sugli oceani è invisibile, soprattutto quando finisce nei guai. Pandemia e guerra d’Ucraina hanno aggravato un fenomeno poco noto ma di lungo corso e in crescita, che riguarda anche l’Italia: imbarcazioni e marinai abbandonati a se stessi. Secondo la Federazione internazionale dei lavoratori dei trasporti, che riporta i casi all’Organizzazione internazionale del lavoro, fino al 2016 non si superavano le 25 denunce l’anno, nel 2022 il numero era salito a 103, con 1.842 marittimi coinvolti.

Ufficiale di bordo prigioniero per 4 anni

Luglio 2017, la nave da carico MV Aman battente bandiera del Bahrein e noleggiata da una compagnia libanese resta bloccata nel porto egiziano di Adabiya, nel Canale di Suez, per certificati di sicurezza scaduti. Né dal Libano né dal Bahrein arrivano i soldi per carburante e documenti, il comandante è a terra e i giudici locali nominano tutore legale del mercantile l’ufficiale più alto in grado rimasto a bordo, il siriano Mohammed Aisha, originario di Tartus imbarcato a maggio. Mese dopo mese la MV Aman si svuota e Mohammed si ritrova solo, con il divieto di allontanarsi da una nave ormai fantasma, senza elettricità e senza vita. Ogni settimana il giovane ufficiale nuota fino a riva per procurarsi il cibo e ricaricare il cellulare. Nessuno si muove per quattro anni. Finché nel 2021 interviene la Federazione internazionale dei lavoratori dei trasporti che riesce a far nominare un nuovo tutore e Mohammed può finalmente tornate a casa. La surreale storia della MV Aman rivela un mondo dove è facile restare in trappola perché l’armatore non riesce più a coprire i costi del viaggio o della manutenzione e opta per la via più «conveniente»: stop a pagamenti e contatti, nave e uomini lasciati al proprio destino.

Abbandonate 9.925 persone su 703 mercantili

Negli ultimi 20 anni sono state abbandonate in totale 9.925 persone su 703 navi mercantili e la somma degli stipendi non pagati ha raggiunto i 40 milioni di dollari. Con 25 abbandoni, l’Italia è quinta per casi registrati nei propri porti dopo Emirati Arabi Uniti (89), Spagna (45), Turchia (37) e Iran (35). Tra dispute pendenti e risolte, gli scali interessati sono Augusta (4 casi), Oristano (3), Cagliari, Ancona, Ravenna, Messina, Genova, Napoli, Venezia, Palermo, Porto Empedocle, Chioggia, Savona, Civitavecchia.

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Maltempo e alluvione in Emilia-Romagna, il climatologo: «Mai così tanta acqua in sole due settimane»

mercoledì, Maggio 17th, 2023

di Alessandro Fulloni

Massimiliano Pasqui, climatologo e ricercatore del Cnr, parla della situazione soprattutto in Romagna: «Superata in un giorno la media trentennale dell’intero mese di maggio. Due eventi in sequenza rari». «La siccità? I terreni perdono la capacità di assorbire: così si spiana la via agli allagamenti»

Maltempo e alluvione in Emilia-Romagna, il climatologo: «Mai così tanta acqua in sole due settimane»

«Cosa sta succedendo, soprattutto in Romagna? La sintesi è questa: siamo davanti a un evento fotocopia di quanto ha già martoriato queste province un paio di settimane fa, tra il 1 e il 4 maggio. Stesse condizioni meteo, con una circolazione ciclonica, ovvero il maltempo, molto stazionaria, che si muove con lentezza. E che soprattutto è sopraggiunta ribaltando lo scenario di siccità che sull’intero Mediterraneo, al riparo dell’anticiclone delle Azzorre che ha ceduto repentinamente, andava avanti da mesi». Massimiliano Pasqui, climatologo e ricercatore del Cnr, sta monitorando in diretta la valanga d’acqua che si sta riversando tra Ravenna, il Forlivese, il Bolognese e le città nel Nord delle Marche. «Per dare un’idea: negli ultimi due mesi da queste parti è caduta il doppio della pioggia che scende normalmente. Ma il punto grave è che le precipitazioni si sono concentrate in pochi giorni, appunto tra il 1 e il 4 maggio e dalla mezzanotte del 15».

La situazione maltempo in Emilia-Romagna, in diretta

I numeri evidenziati dal climatologo, e che riguardano gli abitati in pianura, aiutano a capire meglio: su Cesena, tra le località che più stanno soffrendo, in 18 ore si sono abbattuti 70 millimetri di pioggia a fronte di una media che, nell’intero maggio, negli ultimi trent’anni è stata di 52 millimetri. A Faenza, sommersa due volte in 15 giorni, siamo a 70 millimetri contro una media di 57. A Bologna e Ancona siamo lì: rispettivamente 50 e 40 millimetri contro i passati 66 e 55. Pasqui scuote la testa: «Questa seconda ondata piovosa si è abbattuta sulla Romagna, lambendo parte dell’Emilia e delle Marche, dopo che il territorio era ancora vulnerabile per le conseguenze della prima».

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Emergenza alluvione e maltempo in Emilia-Romagna, in diretta: tre morti, dispersi e migliaia di evacuati

mercoledì, Maggio 17th, 2023

di Paolo Foschi, Enea Conti  e Redazione Online

Regione in ginocchio per gli straripamenti di fiumi e torrenti. Situazione drammatica in Romagna: un uomo morto a Forlì e un altro in una frazione di Cesena, si cerca la moglie. Un altro corpo trovato in spiaggia a Cesenatico 

Emilia Romagna, nella notte nuove esondazioni. «Aiuto, l'acqua sta salendo all'ultimo piano». Due morti e diversi dispersi
Carabinieri mettono in salvo un anziano a Faenza (Foto Ansa)

È sempre più drammatica la situazione in Emilia Romagna per l’emergenza maltempo che ha colpito anche le regioni vicine. Nella notte ci sono state nuove esondazioni, l’acqua ha invaso strade e case in tantissimi centri: da Cesena a Faenza, da Riccione a Lugo. Le operazioni di soccorso sono difficili, gli abitanti sono invitati a salire ai piani alti delle abitazioni. Drammatico il bilancio con due vittime e una donna dispersa. Un uomo, che che era stato dato per disperso è stato poi trovato nella notte morto a Forlì, viveva al piano terra di una casa invasa dall’acqua del vicino fiume Montone. Un’altra vittima a Ronta di Cesena dove è stato trovato morto un 70enne: il corpo è stato recuperato dai vigili del fuoco. Risulta ancora dispersa la moglie. Migliaia le persone evacuate a seguito di strutture allagate e fiumi in piena o esondati che hanno rotto gli argini. A Cesena la gente a stata costretta a salire sui tetti, in attesa di essere portati in salvo dagli elicotteri. A Forlì il sindaco annuncia «la peggiore situazione mai vissuta». Scuole chiuse anche mercoledì 17 maggio, a Bologna e negli altri Comuni colpiti. Drammatica a situazione a Faenza, nel Ravennate, dove l’acqua è entrata nel centro abitato e molte persone sono state evacuate. Sempre nel Ravennate è esondato nella notte il fiume Santerno e ci sono state nuovi evacuati accolti nei centri allestiti. Riccione è praticamente sott’acqua. Nel Bolognese esonda anche il fiume Sillaro. Si moltiplicano intanto le foto e i messaggi sui social network di persone che a Faenza, nel Ravennate, nel Cesenate chiedono aiuto poiché le loro case sono invase dall’acqua. Tra cancellazioni e ritardi è interrotta in molti tratti la circolazione dei treni. Intanto continua a piovere: è stato calcolato che sono caduti 130 mm di pioggia in sole 24 ore.  le previsioni non promettono nulla di buono: su buona parte della regione Emilia-Romagna anche per oggi è stata emessa una nuova allerta meteo rossa per fiumi, frane e mareggiate.

Ore 8.19: un’altra vittima, uomo morto a Cesenatico in spiaggia

Un’altra vittima della terribile ondata di maltempo che ha sconvolto la Romagna nelle ultime ore. Un uomo è stato trovato morto in spiaggia a Cesenatico, più precisamente nel litorale di Zadina. Una tragedia in un mese di maggio che passerà alla storia come tra i più tragici di sempre per il territorio romagnolo.

Ore 8.10: a Bologna portici e via Saffi allagata, l’allerta del Comune

«Salire ai piani alti in alcune vie in zona Ravone. Salire al primo piano in via Montenero, via del Chiù, via della Ghisiliera e in tutte le vie adiacenti al torrente Ravone per rischio esondazione. Anche in zona felice battaglia e genio. Non recarsi nelle cantine e nei negozi. Più in generale la popolazione deve stare il più possibile in casa», lo comunica il Comune di Bologna.

Ore 7.50: altri dispersi tra Forlì e Cesena

Almeno 4 persone risultano disperse nella provincia di Forlì-Cesena in seguito all’andata di maltempo che da ieri sta interessando il centro-Italia e che vede impegnati circa 600 vigili del fuoco. Secondo quanto si apprende dai soccorritori, una persona sarebbe dispersa a Cesena e tre a Forlì.

Ore 7.45: le vittime nelle provincia di Forlì e Cesena

Le esondazioni nella serata di ieri a Forlì e Cesena lasciano purtroppo per strada due morti. Il primo in ordine di tempo a Forlì, nel quartiere Romiti che è andato sott’acqua. I vigili del fuoco hanno salvato una donna che chiedeva aiuto da un balcone di via Firenze, ma una volta entrati in casa per fare altrettanto con il marito lo hanno trovato senza vita, annegato. Il secondo a Ronta di Cesena in via Masera Seconda, un 70enne il cui corpo esanime è stato ritrovato dai Vigili del fuoco. Dispersa la moglie e con lei un numero ancora imprecisato di persone.

Ore 7.45: il sindaco di Faenza: «nottata che non dimenticheremo»

«Abbiamo passato una nottata che non potremo mai più dimenticare. Un’alluvione che la storia della nostra città non aveva mai conosciuto. Qualcosa di inimmaginabile». Così il sindaco di Faenza, Massimo Isola. «Centinaia e centinaia di persone al lavoro da tutta la notte, stanno continuando a intervenire nelle aree allagate con un unico obiettivo: mettere in sicurezza tutte le persone ancora in difficoltà. Per questo motivo – aggiunge il primo cittadino – invito chiunque sia a conoscenza di parenti o amici al momento irrintracciabili a segnalarmelo tramite messaggio privato. Vi prego di indicare nome e cognome, indirizzo di residenza, composizione del nucleo familiare, numero di telefono cellulare e ogni altra informazione ritenuta utile. La collaborazione di tutti è fondamentale. Stiamo uniti».

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Riforme costituzionali, Roberto Morassut contro Elly Schlein: “Sì al premierato”

martedì, Maggio 16th, 2023

Edoardo Romagnoli

Le opposizioni sempre più divise sulla forma di governo. L’ultima «defezione» in ordine temporale è quella del deputato del Partito democratico Roberto Morassut: «Le elezioni in Turchia risvegliano la speranza di una svolta politica in uno dei Paesi più importanti nel contesto mondiale e non solo euro mediterraneo. Il 98% dei turchi si è recato al voto nonostante l’esistenza di un regime autoritario o di una ’Democratura’, come oggi si dice. Tutto questo introduce riflessioni profonde anche per noi, in Italia. L’elezione diretta del capo del Governo è davvero così pericolosa e inquietante? In Italia la democrazia è stanca e il parlamentarismo infiacchito. Governi che vivono di decreti e fiduce e un Parlamento che discute di quasi nulla, con equilibri perennemente instabili». Una posizione non proprio in linea con quella della segretaria Elly Schlein che invece aveva bocciato sia l’elezione diretta del presidente del Consiglio che quella del presidente della Repubblica. Un’opposizione totale che aveva portato Schlein a proporre ironicamente alla Meloni durante il loro primo faccia a faccia l’istituzione di una «monarchia assoluta». «Occorre trovare la strada di una democrazia più efficiente e decidente – continua Morassut – con i giusti contrappesi parlamentari. Credo che il Pd debba porsi questo nodo irrisolto da decenni. E non sia giusto chiudersi nella difesa di scuola dell’esistente. Un no secco va posto sull’autonomia differenziata, invece. Senza mediazioni. Mettendo in campo una nostra idea di riforma del regionalismo e le macroregioni. Un modo per spaccare la destra, senza avere paura di una qualche forma di elezione diretta. Anche perché se si votasse domani, credo che Elly Schlein batterebbe Giorgia Meloni». Sull’elezione diretta del presidente del Consiglio il governo aveva ricevuto l’avvallo anche del Terzo Polo.
«Siamo favorevoli all’indicazione del presidente del Consiglio, con l’opzione del sindaco d’Italia o con l’indicazione del presidente del Consiglio. Abbiamo sottolineato che c’è un tema grande che è l’efficienza del Parlamento, oggi viviamo in un monocameralismo di fatto. Noi siamo a favore di una scelta monocamerale e di una distinzione fondamentale delle due Camere», aveva detto il leader di Azione Carlo Calenda. Ma poi sulla proposta di Azione di far partire delle consultazioni fra le forze di opposizione, soprattutto con il Movimento 5 Stelle, la componente di Italia Viva aveva voluto fare dei distinguo. In quell’occasione Maria Elena Boschi aveva dichiarato: «Non è possibile un coordinamento con il M5S che è contro le riforme.

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Il governo ben saldo. “E ora le riforme e le prossime sfide”. Esultanza di Salvini

martedì, Maggio 16th, 2023

Massimiliano Scafi

E Ancona? La città chiave di questa tornata elettorale, storica roccaforte rossa, è ancora in bilico e chissà come andrà a finire. Latina intanto passa al centrodestra e Brescia resta al centrosinistra, mentre i sindaci di sette capoluoghi verranno assegnati soltanto al secondo turno. Quindi pazienza, per valutare meglio l’esito del primo duello Giorgia-Elly bisognerà aspettare due settimane, ma insomma, «nel frattempo siamo in testa 5 a 2», dicono a Palazzo Chigi. Dopo il voto dei 600 comuni sparsi nel Paese Giorgia infatti si sente più salda. «E adesso sotto con le riforme istituzionali», dice. «Grande soddisfazione» viene messa a verbale pure da parte di Matteo Salvini, contento «per la netta crescita della Lega sia in termini di consensi che di sindaci e consiglieri eletti».

Nessuna spallata, niente effetto Schlein, a sei mesi dall’insediamento il governo può concentrarsi sull’agenda. O meglio, sulle agende, visto che nella maggioranza i programmi non sempre coincidono alla lettera. Per la Meloni al primo posto c’è «la sfida per la stabilità degli esecutivi», presidenzialismo o premierato poca importa, perché, come ha ripetuto chiudendo la campagna elettorale a Brescia, «quello che conta è rimettere il potere di scelta ai cittadini». Salvini invece punta più sull’autonomia regionale. «L’obbiettivo di fine legislatura è quello di arrivare a un’Italia federale, con i cittadini che eleggano direttamente il presidente del Consiglio o il capo dello Stato».

Sfumature? Strade parallele che convergeranno? Il leader della Lega anche davanti ai seggi ha smentito frizioni e divergenze significative con Giorgia e la premier sostiene di essere «stanchissima ma tranquilla». L’idea di tutti, rilanciata pure con gli incontri con Silvio Berlusconi, è di andare avanti per cinque anni, «perché c’è un Paese da cambiare», con la consapevolezza però, ricordano da Palazzo Chigi, che «ci aspettano settimane particolarmente impegnative». Se il viaggio di Zelensky a Roma ha rafforzato la posizione internazionale dell’Italia, ora il governo dovrà mettere la testa su alcuni dossier cruciali, dall’economia ai rapporti con la Francia al Pnrr: Bruxelles, che vuole più riforme e la ratifica del Mes, ancora non ha pagato la terza rata dei fondi del piano. E le agenzie di rating ci hanno messo nel mirino.

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Cassa integrazione e lavoro, cambia tutto: ecco come

martedì, Maggio 16th, 2023

Federico Garau

Grazie a un disegno di legge che accompagnerà il decreto lavoro si potrà svolgere una mansione retribuita senza perdere il diritto al trattamento di cassa integrazione anche per quei contratti di durata inferiore ai sei mesi, con l’obiettivo di agevolare il reimpiego di una gran fetta di cittadini che stanno beneficiando degli ammortizzatori sociali.

Nel momento in cui tale norma entrerà in vigore, anche per questi lavoratori non scatterà la totale sospensione del trattamento come accade allo stato attuale delle cose, ma si verificherà solo la perdita del sussidio per le giornate effettivamente lavorate. La speranza del governo è quella di far emergere quelle piccole mansioni che in genere vengono svolte in nero durante il periodo di cassa integrazione.

L’articolo 3 del ddl

Il disegno di legge è accompagnato da una relazione integrativa in cui si fa perno sull’orientamento della Corte di Cassazione in materia. In una sentenza del 1992, come riportato da Il Messaggero, gli Ermellini determinarono infatti che “lo svolgimento di attività lavorativa remunerata, sia essa subordinata od autonoma, durante il periodo di sospensione del lavoro con diritto all’integrazione salariale comporta non la perdita del diritto all’integrazione per l’intero periodo predetto ma solo una riduzione dell’integrazione medesima in proporzione ai proventi di quell’altra attività lavorativa”.

Con l’articolo 3 del decreto di legge verrà a cadere la distinzione di trattamento tra i lavori (sia dipendenti che autonomi) della durata inferiore a sei mesi e quelli con estensione temporale superiore, per i quali ad ora è già previsto, in caso di cassa integrazione, il principio di interruzione degli ammortizzatori sociali solo per le giornate effettivamente lavorate senza la sospensione totale del trattamento. Ovviamente sarà dovere del lavoratore comunicare direttamente all’Inps il proprio impiego, pena la decadenza del diritto al trattamento di integrazione salariale.

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L’Italia corre più veloce dell’Europa. Giorgetti: “Mes, non siamo pronti”

martedì, Maggio 16th, 2023

dal nostro inviato Marco Bresolin

BRUXELLES. Nel giorno dell’ennesimo pressing dell’Eurogruppo sulla mancata ratifica della riforma del Mes, che il ministro Giancarlo Giorgetti ha cercato di respingere dicendo che «il Parlamento non è ancora pronto», arrivano due notizie per il governo. Quella buona, come ha evidenziato Paolo Gentiloni, è che quest’anno l’Italia crescerà più di Francia e Germania (+1,2%). «Credo non avvenisse da tempo», ha ricordato il commissario. La cattiva è che dal 2024 l’Italia tornerà in maglia nera nella classifica europea del Pil con un dato che non andrà oltre l’1,1%: secondo le previsioni economiche della Commissione europea, l’anno prossimo il Pil dell’Eurozona crescerà dell’1,6%, mentre quello dell’Ue dell’1,7%. Nessuno farà peggio.

Per Gentiloni la spinta del Pnrr è «fondamentale» perché rappresenta uno strumento che mette a disposizione spese per investimenti «in una fase in cui i margini per le politiche espansive sono ridotte». Per questo l’Italia «deve fare uno sforzo». Bruxelles stima un impatto sul prodotto interno lordo pari al 2,5% del Pil in tre anni, ma «a patto che si rispettino i tempi e gli obiettivi» per potere ottenere i pagamenti. Al momento la terza rata è ancora bloccata: al netto della questione degli stadi di Firenze e Venezia, ormai depennati, non sembrano esserci ostacoli politici insormontabili. Si tratta di «ritardi tecnici» dovuti all’enorme mole di documenti richiesti dalla direzione generale Ecfin all’Italia. Secondo fonti Ue, il via libera potrebbe arrivare nei prossimi giorni o addirittura nelle prossime ore.

Per Bruxelles, comunque, c’è la soddisfazione per aver scampato una recessione tecnica (quest’anno l’Eurozona crescerà dell’1,1%) e per aver riportato i deficit e i debiti pubblici su un percorso discendente: quest’anno il valore medio calerà rispettivamente al 3,1% e all’83% nell’intera Ue. Migliora anche la situazione dei conti pubblici italiani, ma il valore del disavanzo sarà comunque superiore al tetto del 3% nel prossimo biennio: 4,5% quest’anno e 3,7% il prossimo. Il debito calerà invece di quattro punti percentuali e quest’anno sarà al 140,4%. Paschal Donohoe, presidente dell’Eurogruppo, ha però ricordato che «l’inflazione è ancora troppo alta (5,8% quest’anno, ndr) e deve essere fatta scendere». Anche se, come ha fatto presente Gentiloni, la stretta finanziaria pesa inevitabilmente sull’economia.

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Amministrative, resa dei conti interna: Lega oscurata da FdI, ma Meloni non sfonda

martedì, Maggio 16th, 2023

Federico Capurso

ROMA. Lo spoglio delle schede avanza lentamente. Forse troppo, per la coalizione di centrodestra che già dal tardo pomeriggio tradisce una certa impazienza: «Si va avanti a fatica, il Viminale è lento», notano gli uomini di Fratelli d’Italia. È ormai chiuso il conto dei comuni vinti, di quelli persi e dei ballottaggi che si dovranno affrontare, ma «quello che pesa davvero – ragionano nel partito di Giorgia Meloni – sarà il risultato ottenuto da ogni singola lista di partito».

In ballo ci sono 6,3 milioni di elettori, dal Piemonte alla Puglia, che rappresentano una delle ultime grandi prove di respiro nazionale di quest’anno. Anche da qui, dunque, da quello che si vedrà sotto la lente di ingrandimento, si potrà fare un bilancio dell’attività di governo e degli equilibri interni alla coalizione, territorio per territorio. E sempre da qui, nelle prossime settimane, si inizierà a impostare la lunga campagna elettorale che porterà alle elezioni europee del 2024, dove non esistono alleanze o coalizioni e ogni partito corre per sé.

Lo stato di salute della coalizione, che vince in quattro capoluoghi di provincia, contro i due del centrosinistra – ed è avanti in cinque grandi città al ballottaggio su sei – offre quella serenità utile soprattutto a guardare oltre. E qui, al di là delle luci dei riflettori puntati sui sindaci vincenti e sui comuni ancora in bilico, emergono le prime ombre. Quelle sulla Lega di Matteo Salvini, che non riesce ad arginare l’avanzata di Fratelli d’Italia al Nord. E quelle che si allungano sul partito di Meloni, dove preoccupa il trend generale che, seppur in crescita rispetto alle ultime amministrative, non sembra tenere il ritmo della cavalcata con cui FdI si è presentata alle ultime elezioni politiche, appena otto mesi fa. Forza Italia, dall’altra parte, si definisce «determinante» per la vittoria della coalizione, ma non può fare molto di più di fronte all’evidente cristallizzazione del suo ruolo di terza forza della coalizione.

Dietro i successi celebrati dalla grancassa leghista, a preoccupare il leader è soprattutto la sconfitta a Brescia, dove vince l’alleanza di centrosinistra e la Lega viene ampiamente doppiata da Fratelli d’Italia. L’argine costruito in occasione delle ultime regionali, in Lombardia come in Friuli Venezia Giulia, sembra essere crollato. Il “pericolo Meloni”, per il Carroccio, si nasconde anche tra le pieghe del buon risultato generale incassato in Lombardia: il centrodestra passa da 16 a 18 sindaci, eppure sempre più spesso, qui come in Veneto, è il partito della premier a trainare l’alleanza. La Lega resiste a Treviso, dove l’influenza del governatore Luca Zaia è forte, ma perde terreno a Vicenza. E anche nel veronese, terra da tempo sotto il controllo dei fedelissimi di Salvini, non va granché meglio: nei tre comuni più grandi al voto, tre sorpassi di Meloni. «Sui territori – ammettono i leghisti dal Veneto – c’è un po’ di delusione».

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Turchia, l’identità batte la ragione

martedì, Maggio 16th, 2023

Nathalie Tocci

Sulle elezioni in Turchia non aveva capito niente nessuno, sottoscritta inclusa. Non avevano capito niente gli europei che consideravano l’esito delle urne scontato, con una vittoria del presidente Recep Tayyıp Erdoğan alle presidenziali e del suo Partito di Giustizia e Sviluppo (Akp) alle legislative. La Turchia viene spesso assimilata a Erdoğan, il cui crescente autoritarismo è noto ben al di là dei confini della repubblica. Quindi se Erdoğan è un autocrate, o addirittura un dittatore come viene talvolta definito in Italia, allora la Turchia è un’autocrazia, se non una dittatura. Chi la pensava così sarà stato sorpreso nel vedere un’affluenza di quasi l’89% in un Paese che sfiora i 90 milioni di abitanti: sono numeri da far invidia nera alla nostra democrazia, stanca e disillusa, e che nella tornata delle amministrative che si è chiusa ieri ha visto andare alle urne meno di sei elettori su dieci. Saranno stati ammirati dalla mobilitazione degli osservatori ai seggi, per assicurare che il processo elettorale filasse liscio e senza brogli. Saranno stati stupiti dal risultato, con Erdoğan che si è arrestato al 49,5% ed il suo sfidante principale Kemal Kılıçdaroğlu al 44,8%, aprendo la via al ballottaggio – il primo da quando il Paese ha adottato un sistema presidenziale – il 28 maggio. Difficile immaginare un secondo turno nella Russia di Vladimir Putin, nell’Egitto di Abdel Fattah al-Sisi oppure nella Cina di Xi Jingping… No, la Turchia non è una dittatura. Lo stato di diritto, i diritti delle minoranze, le libertà di stampa e di associazione, e la separazione dei poteri – pilastri fondanti di una democrazia liberale – sono gravemente erosi in Turchia. Nel centenario della repubblica fondata da Mustafa Kemal, detto Atatürk, insomma, la Turchia non può essere definita una liberaldemocrazia. Eppure, proprio alla luce dello svuotamento del sistema democratico, soprattutto nell’ultimo decennio, è incredibile che la società turca manifesti un dinamismo e una resilienza democratica come quelle viste l’altro giorno.

Ma non avevano capito nulla (ed eccomi inclusa nella categoria) coloro che pensavano (e speravano, ammetto) in un esito diverso. Avevo immaginato che si sarebbe andati al ballottaggio, ma credevo sarebbe accaduto con rapporti di forza invertiti tra Erdoğan e Kılıçdaroğlu. Non è la prima volta che i sondaggi sottostimano la performance di Erdoğan, ma questa volta sembrava diverso. L’opposizione è, per la prima volta, unita, con una coalizione di sei partiti di centrosinistra, liberali e conservatori, con l’appoggio esterno del partito filo-curdo. La rabbia e la disillusione nei confronti di Erdoğan, inoltre, non sono mai state così alte, alla luce dell’inflazione divampante (oggi poco sotto il 50%), della stagnazione economica e del terremoto che ha ucciso 50 mila persone, molte delle quali sotto le macerie di palazzi malcostruiti durante l’era Erdoğan e soccorsi troppo tardi dalle autorità sotto il suo controllo. Insomma, molti pensavano che tutto questo avrebbe pesato di più, superando lo spazio mediatico monopolizzato da Erdoğan o le sue misure populiste, dall’Internet gratis agli studenti agli aumenti degli stipendi dei funzionari pubblici. Sicuramente in pochi immaginavano la popolarità delle forze nazionaliste, dal partito Mhp, coalizzato con l’Akp di Erdoğan, al terzo candidato alle presidenziali Sinan Oğan, che ha ottenuto oltre il 5% dei voti e che ora potrebbe porsi in vista del ballottaggio come ago della bilancia. Il che rappresenta soprattutto un rompicapo per Kılıçdaroğlu e l’opposizione, che dovranno assicurarsi gli elettori di Oğan senza, al tempo stesso, alienarsi le preferenze dei curdi. La Turchia è una società democratica ma anche terribilmente polarizzata, in cui le guerre culturali e identitarie pesano più della razionalità materiale.

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