Archive for Maggio, 2023

Giubilei, il consigliere di Sangiuliano che sponsorizza il filosofo pro Putin

martedì, Maggio 16th, 2023

Ilario Lombardo

ROMA. È consigliere, lodato e magnificato pubblicamente, del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. È presidente di fondazioni e associazioni che sognano il trionfo di un nuovo nazionalismo conservatore, che sia anche la rivincita di una vagheggiata purezza italica. È opinionista fisso nelle trasmissioni Rai perché il suo nome è da tempo nella short list degli ospiti graditi a Giorgia Meloni e agli uomini della premier a Viale Mazzini (anche se il suo impiego con il governo consiglierebbe di aggiornare i sottopancia tv per specificarne l’affiliazione e forse un certo conflitto di interessi, intellettualmente parlando). È fan della democratura di Viktor Orbán. È l’uomo delle relazioni internazionali che guarda con nostalgia alla destra sciamana di Donald Trump. Tutto a soli 31 anni. E non è finita. Perché Francesco Giubilei è soprattutto un animatore culturale, editore della Giubilei Regnani, e il 21 maggio al Salone del Libro di Torino presenterà il volume, che edita lui stesso, di Alain De Benoist, «La scomparsa dell’identità». L’autore, presente al Salone, merita una parentesi personale, significativa per capire sbandate, antiche passioni, radici, tradimenti e inversioni di rotta di quell’universo della destra italiana che è cresciuta con Meloni e il suo progetto politico.

Di quel brodo culturale in cui hanno galleggiato tanti, De Benoist è punto di riferimento. È il filosofo della Nouvelle Droite, la destra francese identitaria, pensatore controverso affascinato dai venti dell’Est, dallo spiritualismo di Aleksander Dugin, l’ideologo panrusso di Vladimir Putin. Con Dugin, De Benoist ha scritto anni fa un libro, «Eurasia, Vladimir Putin e la Grande Russia». L’invasione dell’Ucraina era ancora un’aspirazione. Si combatteva in Donbass, per la Crimea e l’autocrate del Cremlino era osannato come una star dalle destre estreme europee. In Italia, Matteo Salvini indossava magliette con la faccia del presidente russo e Giorgia Meloni, tra le prime a complimentarsi per la sua quarta elezione vinta, lo esaltava come difensore dei valori europei e cristiani. Nel libro-conversazione con De Benoist, Dugin già dava un assaggio dei piani di Putin: «In Ucraina noi combattiamo il regime “arancione” delle marionette americane (…) siamo ostili allo Stato nazione ucraino perché è uno stato atlantista e filo-americano, parte del “sistema per uccidere i popoli”». Il pensiero di De Benoist è una critica ossessiva al liberalismo, al capitalismo e al tempio dove si celebrano questi due culti moderni: gli Stati Uniti. «L’americanizzazione del mondo e la mondializzazione mettono in pericolo l’identità dei popoli molto più dell’immigrazione».

Ad appena due mesi dall’invasione dell’Ucraina, nel pieno della mattanza di Putin, mentre l’Occidente si sta attrezzando per una risposta collettiva e compatta, De Benoist rilascia queste dichiarazioni a Breizh-Info, sito dell’estrema destra francese vicina a Éric Zemmour. Gli chiedono chi pagherà le conseguenze della guerra e la sua risposta è: «Io e te, ovviamente, non gli ucraini! Le squallide sanzioni, di portata senza precedenti, decretate contro la Russia per soddisfare le richieste americane, peggioreranno le cose». Nel mondo secondo volontà e rappresentazione di Meloni è in atto un cortocircuito tra vecchi e nuovi amori. Per esempio, Giubilei è frequentatore assiduo del governo ungherese, invitato al Cpac di Budapest, l’evento dei trumpiani europei, che combattono i migranti e diritti Lgbt e hanno come nume Orbán. Con lui c’era anche Vincenzo Sofo, europarlamentare di FdI, marito di Marion Maréchal, nipote di Marine Le Pen e vice di Zemmour (ancora la destra francese). Meloni sembra invece aver dimenticato l’amico ungherese, che un tempo invitava ovunque e portava ad esempio.

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L’Europa, le regole fiscali e la sovranità nazionale

martedì, Maggio 16th, 2023

di Alberto Mingardi

Chi contesta le norme Ue spesso punta ad aumentare la spesa pubblica. Nonostante la Costituzione

Nella nostra Costituzione c’è l’articolo 81. Nella formulazione originaria, prevedeva che per ogni nuova spesa il legislatore indicasse chiaramente come l’avrebbe finanziata. Dopo la riforma del 2011, prescrive l’equilibrio di bilancio; non anno per anno, ma nel corso del ciclo economico: in sostanza mettere fieno in cascina nella fase espansiva per poter spendere in quella recessiva. Diciamo che non è il più fortunato degli articoli della Carta. Sostanzialmente è lettera morta. Però ne fa parte e se la nazione che siamo si definisce attraverso quel documento, il pareggio di bilancio fa parte delle regole che ci siamo dati.

Invece in queste settimane la discussione sulla revisione del patto di Stabilità è tutta un marcare il territorio. Tornano gli argomenti che nel 2018 avevano riempito la campagna elettorale più antieuropeista della storia. La moneta unica sarebbe una camicia di forza (se non proprio un complotto ordito da francesi e tedeschi ai nostri danni), le regole fiscali una minaccia per la sovranità nazionale.

Da allora il Covid 19 e la risposta congiunta data dai Paesi Ue hanno stemperato certi toni. Ma i trasferimenti, che poi sono diventati il Pnrr, rispondono alla logica di un momento eccezionale, quello della pandemia con tutte le sue conseguenze, e non possono diventare la normalità in una costruzione sovranazionale eterogenea come l’Ue e l’area euro. Se essa diventasse davvero una «unione di trasferimenti» (come l’Italia, dove ogni anno imposte pagate al Nord finanziano spesa nel Mezzogiorno), sarebbe destinata a deflagrare fra i conflitti: Nord e Sud, frugali e prodighi, litigherebbero ben di più di quanto non abbiano fatto finora.

Le regole fiscali sono inevitabili per la buona amministrazione del club europeo, perché la moneta unica ci obbliga a un minimo di disciplina condivisa. Si tratta di strumenti imperfetti: sono destinate a essere ancorate a numeri «stupidi» come diceva Romano Prodi, nel senso di arbitrari. Ma lo schema di cui si parla è più flessibile che in passato, soprattutto rispetto all’obiettivo di riduzione del debito, e prevede un target di spesa pubblica per i diversi Paesi. Un «numero» più facile da comunicare anche al grande pubblico e che definisce quanta parte dell’attività economica di un Paese è controllata e gestita dallo Stato.

In Italia le regole fiscali sono contestate da più parti perché minerebbero la sovranità nazionale. Ma non fa parte della sovranità nazionale l’articolo 81? E se i nostri governanti e parlamentari, nel corso degli anni, si sono dimostrati allegramente indifferenti rispetto al contenuto della Carta, è una minaccia che in qualche modo l’Europa ci aiuti a darvi attuazione? O forse la nazione, che non coincide col suo ceto politico, ha bisogno di un gatto che prenda i topi, indipendentemente dal passaporto?

Il sospetto è che dietro tante rivendicazioni della nostra sovranità nazionale stia solo una cosa: un pregiudizio favorevole alla spesa pubblica. Anche a prescindere da qualsiasi valutazione ponderata dei suoi effetti attesi.

A tutti piace annunciare, per esempio, un aumento dell’occupazione in ragione della maggiore spesa. Lo si fece per Quota 100. L’argomento, caro alla destra, era che mandando prima in pensione le persone si sarebbe fatto posto per nuovi lavoratori. A ogni nuovo pensionato, dovevano corrispondere tre ingressi nel mondo del lavoro. Peccato che se aumentano i pensionati attuali si fanno anche più gravosi — direttamente o indirettamente — i contributi, aumenta il costo del lavoro, diminuisce pertanto l’incentivo ad assumere.

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La luna di miele con il centrodestra dura, Schlein fatica, male i 5 Stelle: l’esito del primo turno delle comunali

martedì, Maggio 16th, 2023

di Francesco Verderami

Confermata una situazione cristallizzata, gli spostamenti si misurano in decimali. Il voto del Parlamento è avvenuto solo 8 mesi fa e il centrodestra ha ribadito il primato

La luna di miele con il centrodestra dura, Schlein fatica, male i 5 Stelle: l’esito del primo turno delle comunali

L’interesse di queste elezioni è il turno che verrà, cioè il secondo. L’esito del primo ha dimostrato che il centrodestra non ha esaurito la luna di miele con i cittadini, mentre l’opposizione non ha usufruito per ora di un «effetto Schlein». Il ballottaggio potrà indirizzare il risultato, ma non al punto di ricavarne un significato nazionale. Perché le Amministrative si svolgono con il doppio turno, le Politiche a turno unico.

Semmai il responso delle urne conferma quanto anticipavano da settimane i sondaggi: una situazione cristallizzata, dove gli spostamenti nei consensi dei partiti si misurano in decimali. E in fondo questa è di per sé una buona notizia per il governo, perché le elezioni intermedie sono sempre state una croce per chi siede a Palazzo Chigi, tanto che in passato il voto locale provocava spesso un rimpasto. Non sarà così stavolta, per due motivi. Il primo è che il rinnovo del Parlamento è avvenuto solo otto mesi fa, e il centrodestra ha confermato ieri il suo primato; il secondo è che il vero test per maggioranza e opposizione saranno le Europee dell’anno prossimo.

Fra due settimane si potrà capire se il centrodestra sarà riuscito a strappare la storica roccaforte di Ancona agli avversari o se il centrosinistra riconquisterà qualche capoluogo della Toscana. In ogni caso il risultato non avrà alcun riflesso sul quadro politico nazionale. E come al solito verrà archiviato. Sarebbe però un errore, perché il voto di ieri comunque un segnale l’ha lanciato, ed è un avvertimento rivolto al Palazzo a concentrarsi sui problemi e sulle cose da fare.

Da un lato infatti le questioni di governo non consentono distrazioni, tanto in Italia quanto in Europa, che ormai sono la stessa cosa. Certo, Giorgia Meloni oggi può rivendicare che l’economia italiana sta marciando a ritmi superiori alle attese. Ma dagli accordi per la gestione del Pnrr, alle intese sul nuovo Patto di Stabilità, fino alla ratifica del Mes, la premier sarà chiamata a scelte che impatteranno sul Paese e quindi sul giudizio dei cittadini.

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I risultati definitivi delle elezioni comunali 2023, al primo turno, città per città

martedì, Maggio 16th, 2023

di Gianluca Mercuri

Il primo turno delle Comunali finisce 4-2 per il centrodestra, che sfiora il quinto gol nella notte a Pisa. Tra due settimane si conoscerà il risultato finale. Un test importante, perché era chiamato al voto un italiano su dieci

I risultati definitivi delle elezioni comunali 2023, al primo turno, città per città

Il primo tempo è finito 4-2 per il centrodestra, con un quinto gol sfiorato nella notte a Pisa e fallito per una manciata di voti. Il risultato finale di questo round di elezioni amministrative lo conosceremo però tra due settimane, quando nelle altre 7 città capoluogo di provincia in cui si è votato si terranno i ballottaggi.

Il test è importante, perché comunque era chiamato al voto un italiano su 10, ma trarne uno spunto che proietti questo voto sul piano nazionale non è un esercizio immediato.

Di certo si conferma il trend astensionista: ha votato il 59%, contro il 62 di 5 anni fa.

Sul piano strettamente politico, invece, si può dire che l’effetto Meloni — otto mesi dopo le Politiche — non si è attenuato e che l’effetto Schlein — quasi tre mesi dopo la sua elezione al vertice del Pd — non si è ancora pienamente dispiegato: per capire meglio la tenuta delle due principali leader italiane, la loro presa sui rispettivi bacini elettorali e la possibilità che un giorno si sfidino per la guida del Paese, bisognerà aspettare, come spiega Francesco Verderami, le Europee dell’anno prossimo.

I risultati in tutte le città

Il centrodestra avanti nelle città

Il momentaneo 4-2 si deve ai successi della coalizione meloniana a Sondrio, Treviso, Latina e Imperia (anche se nella città ligure l’ex ministro Scajola, confermato sindaco, lo considera un successo solo suo). Il centrosinistra — o meglio la coalizione a guida Pd, quasi ovunque separata dai 5 Stelle — si conferma a Brescia e Teramo, rischia di perdere Ancona ma spera di strappare ai rivali Siena e Vicenza. Ecco com’è andata città per città (cd sta per centrodestra, cs per centrosinistra):


Ancona: centrodestra avanti Daniele Silvetti, cd, precede con il 45,3% Ida Simonella, cs, che ha preso il 41,2.
Il dato politico
: a detta degli stessi candidati, il cd puntava al cappotto immediato e il cs temeva una batosta peggiore. Con i grillini ridotti a poco più di nulla, l’ago della bilancia sarà il civico Francesco Rubini, che ha superato il 6%. Ancona è importante per vari motivi: unico capoluogo regionale al voto, «fortino rosso» che il cd vuole assolutamente strappare alla sinistra — sempre vincitrice in questi 30 anni di elezione diretta dei sindaci — dopo esserci riuscito tre anni fa in Regione. Non a caso, Meloni è andata ad Ancona due volte e non sarebbe sorprendente se ci tornasse prima del ballottaggio.

Brescia: vince il centrosinistra Laura Castelletti, vicesindaca uscente, ha battuto il candidato del cd Fabio Rolfi: 54,8 contro 41,6.
Il dato politico
: prima sindaca donna e dura sconfitta del candidato leghista. «La botta per la coalizione di governo è pesante», scrive Cesare Zapperi. Anche qui erano venuti Meloni e soprattutto (5 volte) Salvini. Conquistare la seconda città lombarda era considerato prioritario, in una regione in cui il cs governa anche Milano, Bergamo, Mantova, Varese e Cremona.

Vicenza : centrosinistra avanti Giacomo Possamai precede col 46% il sindaco uscente del cd Francesco Rucco (44,2).
Il dato politico
: Possamai, 33 anni, è sicuramente il personaggio più interessante di questa tornata elettorale. Per l’età, per la capacità di prendere più voti del sindaco uscente ma soprattutto perché riesce ad esprimere una carica nuovista e perfino nuova, pur rappresentando un centrosinistra che si direbbe superato (è un lettiano, ha votato Bonaccini alle primarie, non ha voluto Schlein a sostenerlo). L’impressione è che, a prescindere dall’esito del ballottaggio, ne sentiremo parlare a lungo.

Pisa: centrodestra avanti Michele Conti è in vantaggio sul candidato di cs Paolo Martinelli con il 49,96%, contro il 41,12.
Il dato politico
: il sindaco uscente ha mancato per un soffio la vittoria al primo turno. All’1,45 di stanotte, dopo lo spoglio dell’85esima sezione, aveva superato il 50%. Ma l’86esima e ultima sezione, 5 minuti dopo, gli ha negato il trionfo per pochissimi voti. Ottimo comunque il risultato della sua lista, oltre il 15%. Il Pd è primo partito col 24%, ma l’inconsistenza dei 5 Stelle, fermi al 3, fa fallire l’esperimento del campo largo.

Siena: centrodestra avanti Nicoletta Fabio precede di poco la candidata di cs Anna Ferretti: 30,5 contro 28,7.
Il dato politico
: sono tanti. Il primo è che la sindaca sarà donna. L’altro è che il cd, che nel 2018 vinse sull’onda del caso Montepaschi, ora paga le sue divisioni: il sindaco uscente Luigi De Mossi non solo non si è ricandidato, ma ha appoggiato il candidato centrista Fabio Pacciani, che ha raggiunto il 22%. Da notare che Nicoletta Fabio ha sostituito all’ultimo Emanuele Montomoli, sgradito a Meloni perché massone.

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La potenza economica della Cina e il suo “massimo picco”: cosa può succedere

lunedì, Maggio 15th, 2023

Federico Giuliani

Archiviata la pandemia di Sars-CoV-2 e superate le rigide restrizioni della Zero Covid Policy, la Cina ha riaperto i suoi confini portando le lancette al dicembre 2019. Il motore del gigante asiatico è tornato a scoppiettare in attesa di riprendere i ritmi dei tempi d’oro.

Negli ultimi 4 decenni, del resto, il Dragone si è lanciato in un’ascesa che non ha eguali nel mondo. Dal 1978, anno delle riforme economiche, ad oggi, il pil cinese è cresciuto mediamente del 9% all’anno, consentendo a circa 800 milioni di cittadini di sfuggire alla povertà e trasformando il Paese in una potenza globale capace di mettere in apprensione gli Stati Uniti.

Un percorso invidiabile e unico, quello della Repubblica Popolare Cinese, che deve tuttavia tener conto di alcune, recenti, preoccupazioni a lungo termine. Le più importanti: il calo demografico, il rallentamento – se non la fine – del boom immobiliare che ha contribuito alla crescita economica cinese e i nuovi diktat del Partito Comunista Cinese. Molto più interessato a garantire la sicurezza nazionale che non la prosperità delle grandi aziende, l’autosufficienza nei settori più critici che non l’interdipendenza con il resto del pianeta.

È in uno scenario del genere che la rapida ascesa economica della Cina sta rallentando, proprio nel periodo in cui dovrebbe avviarsi il “grande ringiovanimento” cinese promesso da Xi Jinping.

Picco e maturazione

L’economia cinese starebbe subendo una definitiva maturazione, o per meglio dire, come ha sottolineato l’Economist, starebbe per raggiungere il picco massimo della sua crescita.

È una previsione coraggiosa, visto che la maggior parte delle vecchie previsioni economiche sulla Cina non si è mai verificata. Eppure, se un decennio fa gli analisti prevedevano il sorpasso del pil cinese su quello statunitense durante la metà del XXI secolo, ai tassi di cambio del mercato, adesso quegli stessi esperti hanno orientato le loro stime verso una sorta di parità economica. Dunque, niente più sorpasso Cina-Usa ma parità.

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Meloni e Salvini da Berlusconi al San Raffaele, vertice in corsia

lunedì, Maggio 15th, 2023

Francesca Del Vecchio Francesco Olivo

MILANO-ROMA. I vertici del centrodestra con i tutti i rituali, le ville sfarzose, i pranzi, le liti e i comunicati congiunti, oggi si svolgono in una stanza d’ospedale. Giorgia Meloni e Matteo Salvini hanno fatto visita a Silvio Berlusconi al San Raffaele di Milano, per la prima volta da quando il leader di Forza Italia è ricoverato. I due alleati lo hanno visto separatamente, viste le condizioni molto delicate del Cavaliere, nella tarda mattinata Meloni e poi nel pomeriggio Salvini. A riceverli la fidanzata di Berlusconi, Marta Fascina, presenza fissa.

Dietro a queste visite c’è l’affetto personale, ma anche la politica: Meloni ha tutto l’interesse di tenere ancorata Forza Italia, dopo le polemiche dei primi mesi e Salvini, al contrario, ha (o, avrebbe) bisogno dell’asse con gli azzurri per arginare lo strapotere della premier e deve cercare sponde per le sue battaglie, prima tra tutte quella per il ponte sullo stretto di Messina. Il Cavaliere, prima dell’arrivo di Meloni, si è fatto stampare le agenzie con le ultime notizie del giorno, ha scorso la rassegna stampa preparata dai suoi collaboratori, affinché la visita in ospedale non fosse soltanto un omaggio al patriarca del centrodestra, ma anche di fatto un incontro tra i leader della coalizione. Un’immagine di normalità, anche in un quadro clinico complicato.

Se non fosse stato per gli alleati, la domenica del Cavaliere sarebbe stata quella di un italiano qualunque, le partite, con l’ennesima vittoria del suo Monza, le chiacchiere con alcuni vecchi amici e poi a sera la visione di Che tempo che fa, il programma di Fabio Fazio, il quale ieri ha annunciato il suo addio a una Rai ormai controllata a pieno dalla destra.

È tutto un entrare e uscire di auto blu la giornata del San Raffaele di Milano, via Olgettina 60, dove da 40 giorni è ricoverato Berlusconi. La visita a sorpresa di Meloni – intorno alle 11.30 e «durata più di un’ora», secondo il calcolo, forse un po’ generoso, di Palazzo Chigi – apre la strada a tutte le altre. Oltre agli habitué Gianni Letta, amico di una vita del Cav, e il fratello Paolo, per tutto il piovoso pomeriggio milanese si rincorrono voci di una visita imminente anche da parte di Salvini, che alle 18.30 appare dietro agli scuri vetri posteriori della sua auto.

Sembra quasi la fotocopia della visita di Meloni: grande segretezza, nessun commento a voce. Solo brevi note dai rispettivi staff. «Berlusconi è di ottimo umore, è in rapida ripresa, e nonostante il ricovero lavora sui principali dossier», era stato il commento ufficiale della premier. Le fa eco, quasi con le stesse parole, Salvini: «Fin dal primo giorno di ricovero, sono stato costantemente in contatto per essere rassicurato circa le condizioni di salute di un vero e proprio amico», recita la nota del leader del Carroccio. «Abbiamo parlato anche di alcuni provvedimenti rilevanti come il decreto Ponte, che è sempre stato un progetto di Berlusconi, delle amministrative e del Milan», prosegue la nota.

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Sanità da incubo, medici e infermieri in sala senza qualifiche: ecco la giungla dei gettonisti

lunedì, Maggio 15th, 2023

Paolo Russo

Medici e infermieri in affitto ma senza essere iscritti nemmeno all’Albo professionale, dottori spediti a fare cesarei senza avere mai visto una sala parto, sanitari di cooperative trasformati in stakanovisti del gettone al lavoro per 24 ore consecutive senza alcun turno di riposo. E poi medici ultrasettantenni con i capelli più bianchi dei loro camici e frodi in quantità, come quella di inviare meno personale di quello pattuito e pagato da Rsa e ospedali con le piante organiche sguarnite da anni di tagli alla sanità. Benvenuti nel mondo dei sanitari a gettone messo a nudo dall’indagine a tappeto dei carabinieri dei Nas, che hanno scoperto 165 posizioni irregolari che hanno portato alla segnalazione di 205 persone, di cui 83 all’autorità giudiziaria.

La giungla dei medici a gettone però non verrà disboscata più di tanto per almeno un altro anno.

Nonostante il ministro della Salute, Orazio Schillaci, mercoledì si sia affannato a difendere gli emendamenti approvati della sua maggioranza al decreto bollette, sostenendo non contenessero alcun allentamento della stretta sui gettonisti, un’attenta lettura dei testi mostra che non è così.

Se infatti fino ad ora il ricorso alle coop di medici in affitto era previsto soltanto nei pronto soccorso e reparti di emergenza e urgenza, ora per 12 mesi continuerà ad essere consentito anche negli altri reparti. Sempre con i paletti previsti dalla prima versione del decreto, ossia con una specializzazione attinente al ruolo che si deve andare a ricoprire, con il limite inderogabile dei 70 anni di età e sempre che siano riscontrate le necessità di urgenza e la mancanza di personale interno da utilizzare per ricoprire i vuoti in pianta organica. Ma uno degli emendamenti approvati prevede anche che la possibilità di assegnare incarichi ai gettonisti sia estesa «a tutte le strutture sanitarie e ospedaliere da riqualificare». Ossia più o meno tutte. Così si continuerà a pagare medici tre, anche quattro volte tanto quelli dipendenti, che lavorano in team e seguendo nel tempo i pazienti hanno il vantaggio di poter offrire una migliore assistenza, oltre che di costare molto meno. Controsensi di un sistema di governo della sanità ancora strutturato a silos.

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Giuseppe Conte: “Gli Stati Generali per cambiare la tv pubblica. Il bellicismo di Meloni nasconde i problemi”

lunedì, Maggio 15th, 2023

ANDREA MALAGUTI

«Dovremmo avere il coraggio di dire che questa strategia militare, che ha bandito la strategia negoziale, porta solo morte e distruzione».

Regole d’ingaggio per questa intervista a Giuseppe Conte. Si parla guerra e di Rai. Zelensky, Putin, Fazio e Littizzetto sì. Schlein, economia e riforme, almeno per oggi no. La politica classica è bandita. Una forma di rispetto per il voto amministrativo in corso. Anche se è difficile immaginare qualcosa di più politico del conflitto in Ucraina e della radiotelevisione italiana, estremi velenosi di un dibattito che serve a capire su quali valori, se esistono, si fonda il Belpaese. Lo scontro sul pensiero unico e i presunti colbacchi di viale Mazzini (nemici da spazzare via in nome di un rivoluzionario futuro patriottico) da un lato, l’Occidente a trazione americana e la fascinazione per il putinismo dall’altra. L’egemonia culturale interna di qua, la pressione internazionale di là. Che cosa siamo diventati? Il leader del Movimento 5 Stelle, foto di John Fitzgerald Kennedy sui profili social, un tempo Avvocato del Popolo, adesso orgogliosa bandiera di un pacifismo papalino-ghandiano, lo racconta a La Stampa.

Giuseppe Conte, la via della pace proposta dal Vaticano non piace a Volodymyr Zelensky.

«La mediazione di Papa Francesco può in ogni caso aprire un percorso negoziale costruttivo. Una porta che Europa e Italia devono coraggiosamente tenere aperta».

Non è quello che vogliono tutti?
«Non mi pare. Noto che Giorgia Meloni, con un’espressione che mi ha molto colpito, “scommette” sulla vittoria Ucraina, promettendo illimitate forniture militari. In questo modo però si accetta la possibilità di una carneficina senza fine e di una possibile deflagrazione nucleare».

Secondo Antonio Tajani l’unica strada possibile per il cessate il fuoco è quella che indicherà Kiev.
«È un’impostazione del tutto sbagliata. Ma temo che lo slancio bellicistico serva a nascondere l’incapacità di affrontare emergenze interne come il caro affitti, i mutui alle stelle, l’inflazione fuori controllo, contratti precari e il crollo del potere d’acquisto di famiglie con stipendi sempre più bassi».

Perché l’Ucraina dovrebbe rinunciare a una parte del proprio territorio?
«Nessuno mette in discussione il diritto dell’Ucraina all’integrità territoriale. Questo non significa che non dobbiamo creare le condizioni per sederci a un tavolo».

Europa, Nato e Stati Uniti sono d’accordo a mandare armi in Ucraina, esattamente come Meloni. Voi non più. Avete valori diversi?
«Più semplicemente noi abbiamo il coraggio di dire che questa strategia militare, che ha bandito la strategia negoziale, porta solo morte e distruzione».

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La domanda del Washington Post sui presunti contatti tra Prigozhin e il capo dei servizi ucraini Budanov irritò Zelensky. Il caso ricostruito attraverso i canali indipendenti russi

lunedì, Maggio 15th, 2023

Jacopo Iacoboni

Il giornalismo russo indipendente dalla sera di domenica non parla quasi d’altro: dell’intervista di Volodymir Zelensky al Washington Post, e del passaggio dell’intervista che non compare nel testo finale pubblicato e editato. Perché c’è un retroscena interessante.

Come noto, la direttrice del Washington Post Sally Buzbee, il capo degli esteri Douglas Jehl, il capo per la Russia e l’Europa orientale David M. Herszenhorn, il capo dell’ufficio di corrispondenza in Ucraina Isabelle Khurshudyan e il corrispondente capo per l’Ucraina Siobhán O’Grady hanno intervistato Zelensky per un’ora il 1 maggio nel palazzo degli uffici presidenziali a Kiev. Ne è venuta fuori una conversazione, poi riportata da tutti i media, molto importante, sulla prevista controffensiva, e su documenti di intelligence statunitensi leakati che hanno rivelato informazioni sensibili anche Ucraina. La conversazione, scrisse il Wapo, ebbe solo un leggero editing per chiarezza.

Tuttavia molti siti e canali giornalistici indipendenti russi stanno notando che la parte inizialmente rimossa è interessante. Il Washington Post – ricostruisce per esempio il sito d’informazione russo “Astra” – chiedeva al presidente dell’Ucraina i contatti della sua intelligence con Yevgeny Prigozhin: «Dai documenti risulta che la GUR, la vostra agenzia di intelligence, mantiene contatti segreti con Prigozhin, lei era a conoscenza di questi contatti, inclusi incontri con Yevgeny Prigozhin e ufficiali della GUR. Questo è vero?».

Zelensky, nella risposta, prima evoca il segreto militare, quasi con una battuta per smorzare la tensione: «Questa è una questione di intelligence militare. Volete che io venga condannato per tradimento?». Poi però rilancia lui stesso: «Tuttavia è molto interessante se qualcuno dice che hai dei documenti o se qualcuno del nostro governo parla delle attività della nostra intelligence. Vorrei anche chiedervi: quali fonti in Ucraina contattate? Chi vi parla delle attività della nostra intelligence? Dopotutto, questo è il crimine più grave nel nostro paese in questo momento. Con quali ucraini parlate?».

Il team del giornale risponde ovviamente senza citare le sue fonti: «Possiamo dire esattamente quali informazioni ci sono su Prigozhin e il GUR. Il 13 febbraio, il capo della direzione principale dell’intelligence dell’Ucraina, Kirill Budanov ,l’ha informata del piano russo per destabilizzare la Moldavia con l’aiuto di due ex dipendenti della Wagner. Budanov le ha detto che vede il piano russo come un modo per smascherare Prigozhin, perché “abbiamo a che fare con lui”. Lei ha incaricato Budanov di informare il presidente moldavo Maia Sandu, e Budanov le ha detto che il GUR ha informato Prigozhin che sarebbe stato dichiarato un traditore che lavora per l’Ucraina. Il documento dice anche che Budanov si aspettava che i russi usassero i dettagli dei negoziati segreti di Prigozhin con la direzione principale dell’intelligence e gli incontri con gli ufficiali della direzione principale dell’intelligence in Africa…».

A quel punto, Zelensky risponde così: «Ascoltate. Ad essere onesto, voi leggete qualcosa, dite qualcosa. Semplicemente non capisco da dove prendete tutto questo, con chi state parlando e così via. State parlando di come ho incontrato Budanov. Dite che siete – come dovrei metterlo? Sembra che voi abbiate persone che hanno qualche tipo di registrazione, o avete delle prove, o avete qualcosa, perché è quello che sembra. State facendo di nuovo, vi chiedo scusa, quello che avete fatto prima. Pubblicate alcune informazioni che non aiutano il nostro stato, io non ho ben capito di cosa parlate». A questo punto però c’è un piccolo crescendo di tensione, perché Zelensky dice questo agli intervistatori americani: «Non capisco bene il vostro scopo. Il vostro obiettivo è aiutare la Russia? Voglio dire, significa che abbiamo obiettivi diversi. Ognuna di queste domande demotiva semplicemente l’Ucraina, demotiva alcuni partner ad aiutare l’Ucraina. Beh, comunque, non capisco il vostro scopo».

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Comunali 2023, il primo vero scontro tra Meloni e Schlein: città e obiettivi dei partiti per dirsi vincenti

lunedì, Maggio 15th, 2023

di Maria Teresa Meli

La premier spera di strappare Ancona al centrosinistra, la segretaria Pd mira a riconquistare Pisa e Siena. Ma se la maggioranza è compatta (nonostante le divisioni nel governo), le opposizioni restano divise

Comunali 2023, il primo vero scontro tra Meloni e Schlein: città e obiettivi dei partiti per dirsi vincenti

Va in scena il primo vero scontro elettorale tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein. La partita del Friuli Venezia Giulia, infatti, non può considerata tale visto che la segretaria del Pd era alla guida del partito da appena un mese.

Sulla carta la segretaria dem parte con un certo vantaggio. Il centrodestra, infatti, ha più da perdere del centrosinistra visto che guida la maggior parte dei capoluoghi in cui si è votato domenica è si tornerà a votare lunedì. Non solo: in quegli stessi capoluoghi alle scorse politiche il centrosinistra ha conquistato il 3,7 per cento in più rispetto alla media nazionale, mentre il centrodestra ha ottenuto in 2 per cento in meno.

I terreni di gioco di questa prima tornata di amministrative sono più d’uno. C’è Ancona, dove il centrodestra non ha mai vinto e che la premier spera di strappare al centrosinistra. Non ne ha fatto mistero nella kermesse organizzata nel capoluogo delle Marche con Salvini, Tajani e l’onnipresente Pino Insegno: «Governo e regione sono una filiera che funziona. Manca solo Ancona…».

E poi c’è Brescia. Non a caso il centrodestra ha deciso di chiudere lì (sempre con Meloni, Salvini e Tajani) la sua campagna elettorale. Segnare un punto in uno di quei due capoluoghi sarebbe importante per la maggioranza e consentirebbe a Meloni di rafforzare la sua leadership sul centrodestra.

Ma anche Schlein ha delle ambizioni ben precise. Innanzitutto quella di riconquistare le roccaforti toscane di Pisa, Siena e Massa. E infatti la segretaria del Pd ha chiuso la sua campagna proprio in quella regione: prima a Pisa e poi a Siena, che al Pd viene considerata la più contendibile delle città toscane, nonostante lì i dem vadano senza il M5S. Riprendere la guida anche di uno solo di questi capoluoghi rappresenterebbe per i dem un’inversione di tendenza importante e dimostrerebbe che l’effetto Schlein si fa sentire.

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