Archive for Maggio, 2023

Il difficile equilibrio tra poteri sui dossier economici

giovedì, Maggio 11th, 2023

di Francesco Giavazzi

Per il Pnrr ancora una volta può essere utile rifarsi al metodo adottato da Ciampi nel 1993 per realizzare le privatizzazioni

Sarà per il piglio della presidente del Consiglio, sarà per le divergenze di vedute che affiorano qua e là fra i partiti della maggioranza, sempre più spesso i dossier economici del governo vengono discussi a Palazzo Chigi. In una situazione che continua a risentire delle crisi degli anni recenti, ciò può anche essere elemento di rapidità e di chiarezza: purché di questo si tratti e non sia l’effetto di un riversare al centro compiti e decisioni che potrebbe avere persino effetti opposti a quelli desiderati.

La nuova governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza (ogni tanto serve ricordare che cosa si celi dietro la sigla Pnrr) è un esempio di riporto a Palazzo Chigi i cui effetti sull’esecuzione del piano potrebbero essere negativi. Il Pnrr, ora che è stato avviato, per funzionare e concludersi entro i tempi stabiliti, ha bisogno di un «cacciavite», cioè di una struttura di comando agile, che ogni mattina individui i progetti che stentano a partire, intervenga sulle amministrazioni che ne sono responsabili e, se necessario, attivi i «poteri sostitutivi» cioè la norma, forse la più importante del Pnrr, che consente al Consiglio dei ministri di sciogliere i nodi che bloccano i progetti superando gli ostacoli eventualmente posti da Comuni, Regioni o altri soggetti. Serve cioè una struttura che riesca a individuare rapidamente i punti critici e a correggerli.

C’è un pericolo che può nascondersi nella nuova governance. La guida del Pnrr vede a capo un ministro, politico molto abile, ma proprio in quanto ministro, figura di indirizzo, lontana dagli interventi da attuare. Allertato di una procedura che si è incagliata, il ministro chiamerà il suo capo-gabinetto, che a sua volta chiamerà il collega dell’amministrazione in cui si è manifestato il problema. Prima di arrivare all’ostacolo e rimuoverlo saranno trascorse settimane e nel frattempo si potrebbe anche essere persa l’informazione sui motivi dell’incaglio. Inoltre, nei giorni scorsi, fra il ministro e i responsabili dell’attuazione dei progetti è stata interposta un’altra figura, un magistrato contabile, presidente di sezione della Corte dei Conti, con il compito di coordinare la «struttura di missione» che a Palazzo Chigi guiderà il piano. Va ricordato che la Corte dei Conti vigila sulla correttezza delle procedure e della rendicontazione contabile della spesa pubblica.

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Meloni a Praga compatta i sovranisti: si accende la sfida per le Europee 2024

giovedì, Maggio 11th, 2023

Ilario Lombardo

DALL’INVIATO A PRAGA. Ci sono coincidenze che danno più sapore al racconto. Giorgia Meloni è in visita a Praga, a colloquio con uno dei suoi principali alleati nella sempre più ampia famiglia dei conservatori, quando dalla Francia e dalla Spagna, governate da liberali in un caso e socialisti nell’altro, arrivano due pesantissime critiche alle politiche del governo della destra italiana, su migranti e lavoro.

L’incontro con Petr Fiala è appena terminato. Meloni saluta il primo ministro ceco, leader del Partito democratico civico (Ods), membro dell’Ecr, il gruppo di Bruxelles guidato dalla leader di Fratelli d’Italia. Per quasi due ore hanno parlato dei tanti punti che le loro agende hanno in comune. A partire dalla svolta che entrambi si attendono nella gestione dei rimpatri e della cosiddetta “dimensione esterna”, nel prossimo Consiglio europeo di fine giugno. Nemmeno un cenno a Emmanuel Macron. Meloni ha però voglia di parlare. Di rispondere. E così nel giardino del palazzo del governo che si affaccia sulla Moldova, riapre la portiera della macchina per commentare con tre quotidiani italiani, tra cui La Stampa, l’ennesimo attacco arrivato dalla Francia: «Usare altri governi per regolare i conti interni non mi sembra una cosa proprio ideale né sul piano della politica né su quello del galateo». I casi non stanno diventando tanti?, le chiediamo. Meloni prende un secondo per rispondere, non nega l’escalation di commenti negativi rivolti a lei e alle scelte prese dal suo governo da uomini di fiducia del presidente francese: «Evidentemente c’è qualche problema sul piano interno, di tenuta del consenso. Non mi ci voglio infilare. Capisco le difficoltà». L’irritazione, se c’è, è ben mascherata. Meloni mostra tranquillità, e fa leva su una particolare visione diplomatica dei rapporti tra gli alleati. Stéphane Séjourné, autore dell’ultima bordata ai sovranisti italiani, è il portavoce di Renaissance, il partito di Macron: un macroniano di primo piano, certo, ma comunque non un esponente di governo come lo è invece Gérald Darmanin, il ministro dell’Interno che meno di una settimana fa ha riaperto la crisi con Roma, sempre sui migranti. Con Macron, Meloni non ha avuto contatti. Nessuna chiamata, neanche un messaggio. Dice di non averne sentito la necessità: «A me interessa quello che dicono gli italiani del lavoro che faccio». Poco dopo la scena si replicherà di fronte alle telecamere, nel castello di Praga, un attimo prima del secondo incontro della giornata, quello con il presidente della Repubblica ceca Petr Pavel.

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Un italiano su due vuole il presidenzialismo, ma i favorevoli calano rispetto all’era Draghi

giovedì, Maggio 11th, 2023

Alessandra Ghisleri

Il clima politico in cui stiamo vivendo ha messo ancora una volta in discussione il tema della Costituzione. I partiti sempre in cerca di argomenti identitari per legittimare le loro competizioni elettorali e a volte anche oscurare altre vertenze molto più complesse e complicate, sentono forte il loro ruolo di mediatori tra gli elettori e i possibili candidati da eleggere e, di fronte ad una realtà così difficile e confusa come la nostra, è più naturale affidarsi al tema delle riforme per guardare il futuro piuttosto che discutere solo del complicato presente. L’Italia ha una buona tradizione in fatto di riforme, spesso transitorie e precarie che a loro volta hanno avuto – e molte attendono ancora – la necessità di essere modificate: ad esempio le leggi elettorali che nel tempo si sono avvicendate, o il Titolo V, oppure più recentemente la legge costituzionale che nell’ottobre del 2020 ha previsto il taglio dei parlamentari senza un aggiornamento dei procedimenti delle Camere. Molte esperienze del passato hanno infatti dimostrato che le riforme votate in parlamento non trovano sempre successo tra gli elettori e la storia ne mette in luce in maniera cruda le loro debolezze. In tutto questo Presidenzialismo e Premierato sono ragioni che inseguono le attenzioni degli italiani, si può dire, dal passaggio tra la prima e la seconda repubblica, con la discesa in campo di Silvio Berlusconi, ormai da più o meno 30 anni.

Nel monitoraggio sui cittadini favorevoli alla possibile modifica della Costituzione che includesse il Presidenzialismo – ossia l’elezione diretta del Presidente della Repubblica nelle sue differenti varianti – estratto dalle banche dati di EuromediaResearch per Porta a Porta, si mette in evidenza il trend delle medie matematiche che nel tempo ha seguito lo scandire dei diversi governi che si sono avvicendati. Per cominciare è utile definire che in un intervallo tra il 15% e il 20% si sono posizionati sempre coloro che ad ogni rilevazione non si sono pronunciati o non hanno saputo esprimersi nel merito. Mentre il grafico delle medie dei cittadini favorevoli alla proposta mostra il movimento fluido delle risposte degli intervistati, una sorta di cantiere semi-permanente, che sale e decresce in concomitanza con i differenti governi e i relativi Presidenti del Consiglio. La percentuale più bassa dal 2010 ad oggi si è registrata nel passaggio tra il governo di Silvio Berlusconi e quello di Mario Monti (tra il 36.3% e il 38.4%). I punti più alti risiedono nel primo anno di mandato di Matteo Renzi (51.1%) e nel passaggio tra l’esecutivo di Mario Draghi e l’attuale di Giorgia Meloni (52.3%).

Oggi a quasi 8 mesi dalle elezioni il dato delle persone favorevoli al Presidenzialismo – si posiziona al 46.6%, distaccando di 10 punti i contrari (36. 8%). Tuttavia dalla campagna elettorale estiva dello scorso anno ad oggi si sono persi quasi 6 punti percentuali (5.7%) tra coloro che si dichiarano bendisposti a votare la proposta. Osservando i cambiamenti nella storia istituzionale del nostro Paese ci si accorge che la fine del Governo Renzi, con il disastro del referendum del 4 dicembre 2016, i favorevoli calano al 41.2%; un dato medio dell’anno simbolico e coincidente con il risultato referendario dei Sì del 4 dicembre 2016: 40.04% (12.708.172 voti a favore – fonte Ministero dell’Interno). Dal Governo di Paolo Gentiloni (fine 2016 inizio 2018) a quello denominato “Conte 1” il dato medio torna a crescere trovando il suo apogeo nel passaggio dal governo giallo-verde a quello giallo-rosso (47.4%). Con l’indebolimento di Giuseppe Conte tra il 2020 e il 2021 i valori rientrano sui livelli del 41.1%. A livello di partiti quelli schierati con il centrodestra approverebbero il Presidenzialismo con dati superiori al 70%, mentre di contro Partito Democratico e i suoi alleati con il Movimento 5 Stelle trovano le loro maggioranze schierate sui pareri contrari. In linea con il dato nazionale sono gli elettori del Terzo polo, Azione con Italia Viva.

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L’ombra delle cordate sulla nomina alla Gdf: Inps e Inail, tempi lunghi

giovedì, Maggio 11th, 2023

ALESSANDRO BARBERA

ROMA. A una settimana dalla delibera del Consiglio dei ministri, il decreto di commissariamento di Inps e Inail è infine arrivato in Gazzetta ufficiale. Il governo ora ha venti giorni per decidere con chi sostituire Pasquale Tridico e Franco Bettoni alla guida dei due enti. Nel decreto c’è anche la norma per il pensionamento dei sovrintendenti degli enti lirici, grazie alla quale Stéphane Lissner sarebbe costretto a lasciare il San Carlo di Napoli a favore dell’ex amministratore delegato Rai Carlo Fuortes. In ogni caso il Consiglio di oggi non si occuperà di nomine: né di queste, né della scelta del nuovo comandante generale della Guardia di Finanza, da ieri retta dal numero due del Corpo, Andrea De Gennaro. Dietro all’ennesimo rinvio ci sono ragioni pratiche e non: a Palazzo Chigi non ci saranno né il ministro del Tesoro Giancarlo Giorgetti – è lui che deve proporre la nomina del militare – né il vicepremier Antonio Tajani, entrambi in missione all’estero. Per chiudere il nuovo pacchetto di nomine occorrerà aspettare almeno una settimana. Giorgia Meloni e il sottosegretario alla presidenza Alfredo Mantovano sostengono la nomina di De Gennaro, Giorgetti e l’altro ministro competente (quello della Difesa Guido Crosetto) avevano avanzato la candidatura di Umberto Sirico.

Il caso Gdf è di difficile soluzione, e viene da lontano. Fra molti mal di pancia, il comandante generale uscente Giuseppe Zafarana (nominato ieri presidente di Eni dall’assemblea dei soci) aveva ottenuto la proroga del mandato di un anno dal governo Draghi. Il mese scorso era circolata l’ipotesi di un’ulteriore proroga, idea che però non convinceva nessuno. Ma la lunga attesa per la successione ha nel frattempo alimentato le candidature interne. Lo racconta maliziosamente il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri: «Ci sono undici generali meritevoli della nomina, bisogna sceglierne uno e il dolore è non dare agli altri dieci la gratificazione che meriterebbero». Spiega una fonte interna agli apparati: «In questi mesi i candidati si sono moltiplicati, e con essi le cordate interne per promuoverle». Secondo quanto ricostruito, il preferito di Zafarana era il capo di Stato maggiore Francesco Greco, che però ha il neo di essere fra i candidati più giovani. La Lega avrebbe visto bene la nomina dell’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate Antonino Maggiore, ma anche la sua candidatura ha trovato ostacoli interni. E così, con l’avallo di Giorgetti e Crosetto, è maturata l’ipotesi di Umberto Sirico, fin qui comandante delle operazioni speciali. Nel frattempo però nel borsino di Palazzo Chigi è avanzata l’ipotesi De Gennaro.

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Se la Francia conia anche l'”eco-ansia”

mercoledì, Maggio 10th, 2023

Francesco Maria Del Vigo

Avviso ai lettori: i collezionisti di ansie e gli ipocondriaci patologici abbandonino immediatamente queste righe, prima di iniziare ad avvertire un nuovo malessere del quale non conoscevano neppure l’esistenza. Il dizionario francese Petit Larousse ha inserito ben 150 nuovi vocaboli nella sua ultima edizione, tra questi ne spicca uno che in Italia ancora non esiste, ma non abbiamo dubbi che tra poco inizierà a spopolare: eco-ansia. Si tratta di «una forma di ansia legata ad un sentimento di impotenza di fronte alle attuali problematiche ambientali, una paura cronica di una catastrofe ecologica irreversibile provata per lo più dai ragazzi». Vocabolo nuovo di zecca per una «patologia» già ben radicata anche dalle nostre parti. Perché il dubbio che tra i militanti ecologisti più estremi, quelli che lanciano vernice contro palazzi e opere d’arte o si denudano in mezzo alla strada, serpeggiasse una sorta d’isteria lo avevamo sospettato. D’altronde ansia ed esasperazione sono allo stesso tempo causa e nutrimento di una cultura dell’apocalisse sempre più diffusa. Basti pensare alla più nota associazione di attivisti pro ambiente: «Ultima generazione», un nome menagramo davanti al quale è lecito abbandonarsi a gesti apotropaici, ma che soprattutto rivela tutto l’eccesso di catastrofismo che pervade una parte della società. Che è ben altra cosa dalla legittima e sacrosanta preoccupazione per i destini del nostro mondo. Il problema è che se pensi che tutto stia per finire da un momento all’altro, ti senti autorizzato ad agire in modo emergenziale, senza perdere tempo con inutili quisquilie come la legge e la democrazia. E questo, sì, fa venire una certa agitazione, ben poco ecologica e molto politica.

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Sos casa, le tendopoli nelle università

mercoledì, Maggio 10th, 2023

Maria Sorbi

A Roma l’affitto per una stanza in un appartamento in condivisione costa 500 euro al mese. A Milano anche di più. E d’accordo che gli studenti si adattano a tutto e si accontentano di un letto Ikea edizione 2002, ma a volte si trovano a condividere scantinati senza finestre e camere che certi box doccia sono più spaziosi.
Gli universitari fuori sede si sono accampati in tenda di fronte alle università per protestare contro un mercato, spesso fatto di sub affitti in nero, assolutamente sproporzionato alle loro tasche. E nel movimento dei campeggiatori all’ingresso degli atenei di Roma, Cagliari, Firenze, Pavia, Torino ci sono sì i fighetti che l’affitto lo pagano grazie alla longa manus di papino, ci sono sì i radical che interromperanno il sit-in in nome del santo week end per locali o alla casa al mare. Ma ci sono anche quelli che la retta universitaria se la pagano da soli, con turni serali dietro ai banconi dei bar e lavoretti vari.
Il movimento ha sollevato un problema reale, che incontra la spalla di rettori e politici perchè il rischio è compromettere il diritto allo studio dei ragazzi con meno possibilità economiche in nome di una speculazione edilizia incontrollata.
Mentre il ministro dell’Università Anna Maria Bernini studia un piano per aumentare il numero dei posti letto nei residence universitari, anche i rettori dicono la loro e si stanno muovendo per identificare immobili e fare contratti e locazioni a prezzi convenienti.
Il presidente della Conferenza dei rettori, Salvatore Cuzzocrea, fa l’esempio di Messina dove è rettore dell’università: qui è stato appena firmato un contratto con un hotel per 100 posti per dare altrettante residenze agli studenti. L’idea che la Conferenza dei rettori avvalla è usare i fondi del Pnrr per riconvertire edifici e dare subito alloggi a prezzi più bassi ai ragazzi, spiega Cuzzocrea, «poi è chiaro che questo è un problema ventennale. A Messina abbiamo una Casa dello studente a 600 metri dal rettorato chiusa da 20 anni ma la responsabilità non è dell’ateneo ma della Regione Sicilia».
Il Codacons si è attivato ha deciso di rivolgersi a Guardia di finanza e prefetti di tutta Italia affinché accertino illeciti e speculazioni a danno degli studenti e delle loro famiglie. «Milano è la regina delle speculazioni ma anche in altre città si registrano situazioni di illegalità diffusa dove locali non a norma vengono affittati a prezzi stratosferici – spiega il presidente Carlo Rienzi – Ci sono casi di cantine, sottoscala, garage e persino terrazze ubicate in prossimità delle università e trasformate in stanze improvvisate, piazzandole agli studenti a tariffe altissime».

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Nucleare più vicino. Obiettivo con la mozione: raggiungere emissioni zero nel 2050

mercoledì, Maggio 10th, 2023

Edoardo Romagnoli

Torna il nucleare in Italia. La Camera dei deputati ha dato il via libera alla mozione di maggioranza che impegna il governo di «valutare l’opportunità di inserire nel mix energetico nazionale anche il nucleare come fonte alternativa e pulita per la produzione di energia». L’obiettivo è arrivare a zero emissioni entro il 2050 e «partecipare attivamente, in sede europea e internazionale, a ogni opportuna iniziativa, sia di carattere scientifico che promossa da organismi di natura politica, volta ad incentivare lo sviluppo di nuove tecnologie nucleari destinate alla produzione di energia per scopi civili». Il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin e il vice ministro Vannia Gava hanno voluto ringraziare il Parlamento: «Ringraziamo l’intero Parlamento, maggioranza e opposizione, per aver mantenuto l’impegno di confrontarsi sul tema dell’energia nucleare e di aver dato un preciso indirizzo al Governo. La ricerca e la sperimentazione in questi ultimi decenni hanno fatto passi avanti enormi. Il nucleare di quarta generazione è sicuro quanto pulito. Ci confronteremo ora con i partner europei e valuteremo, con la massima attenzione, come inserirlo nel mix energetico nazionale dei prossimi decenni, con l’obiettivo di raggiungere, anche con il contributo del nucleare, gli obiettivi di decarbonizzazione stabiliti dall’Unione europea, sino a quella finale della neutralità climatica del 2050».

Oggi nel mondo, secondo il database dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica, attualmente ci sono 440 reattori nucleari in esercizio che forniscono il 10% dell’energia elettrica mondiale senza emissioni di anidride carbonica. Anche in Europa il nucleare fornisce il 25% dell’energia elettrica dell’Unione ed è già inserito nei piani di decarbonizzazione di molti Paesi membri, 12 dei quali il 28 febbraio 2023 hanno sottoscritto un accordo di cooperazione sul nucleare noto come «l’Alleanza per il nucleare». L’obiettivo è sostenere a livello comunitario il ruolo del nucleare come «strumento per raggiungere i nostri obiettivi climatici per generare elettricità in modo continuo e per garantire la sicurezza energetica» si legge nel testo approvato dall’Aula. La maggioranza spinge sul nucleare perché «per arrivare ai 650 TWh all’anno di fabbisogno elettrico al 2050 ci vuole un mix di fonti energetiche che preveda un 60% di fonti rinnovabili con sistemi di accumulo e un 40% di energia nucleare». Per questo serve una capacità atomica di circa 35GW, ipotizzando una potenza media di 5 GW per ogni centrale, ciascuna con 3-4 reattori di grande taglia, sarebbero necessarie 7 centrali di terza generazione evoluta. Da qui al 2050 saranno disponibili reattori di piccola taglia e modulari.

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Paola e Claudio Regeni: “Attoniti per le parole di Descalzi su Al Sisi, aspettiamo ancora la verità sul nostro Giulio”

mercoledì, Maggio 10th, 2023

Serena Riformato

ROMA. «Attoniti». Paola e Claudio Regeni sono rimasti attoniti davanti alle parole dell’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi che venerdì, sul palco della convention di Forza Italia, si è speso in parole di gratitudine per il governo di Al Sisi: «L’Egitto ci ha aiutato rinunciando ai suoi carichi quest’estate per mandarli in Italia per riempire gli stoccaggi. Questi sono Paesi a cui se dai, ricevi». Il Paese da cui l’Italia «riceve» non ha però mai fornito gli indirizzi dei quattro funzionari della National Security egiziana accusati di aver sequestrato, torturato e ucciso il ricercatore 28enne. La prossima udienza, il 31 maggio, dovrà ancora una volta affrontare l’impasse giuridica causata dall’irreperibilità degli imputati.

Cosa avete pensato quando avete saputo del discorso dell’ad di Eni?
«Le parole hanno sempre un peso e a volte sono soggette a più interpretazioni. Questa gratuita e ingiustificabile dichiarazione di Descalzi ci ha lasciati attoniti, la nostra “scorta mediatica” vale a dire i tanti cittadini che seguono con noi la dolorosa vicenda di Giulio, ci hanno subito trasmesso la notizia condividendo le nostre perplessità: perché Descalzi parla ora di una rinuncia da parte di Al Sisi (ma semmai avrebbe dovuto dire “del popolo egiziano”) dei suoi carichi di questa estate? E questo messaggio a chi è rivolto? Che cosa voleva dire effettivamente con “questi sono Paesi a cui se dai ricevi”? A quali Paesi si riferisce, alle dittature? E cosa dai e cosa ricevi? L’amministratore delegato di Eni certamente riceve e può esultare per la sua ininterrotta e inossidabile amicizia col dittatore Al Sisi. Ma cosa abbiamo ceduto, a cosa abbiamo rinunciato noi tutti in cambio di questa loro amicizia?».

Aggiungo la domanda della segretaria del Pd Elly Schlein: l’Italia ha “dato” l’impunità ai torturatori di Giulio Regeni in cambio del gas?
«Abbiamo rinunciato alla giustizia (diritto inalienabile) in cambio di merci? E chi ci guadagna in uno scambio così svantaggioso?».

Il ministro degli Esteri Tajani e la premier Meloni hanno scelto di non testimoniare al processo. Che valore avrebbe avuto la loro partecipazione?
«La presenza di Meloni e Tajani all’udienza del 3 aprile avrebbe dato al mondo intero un segnale della dignità che l’Italia può e dovrebbe avere rispetto alla violazione dei diritti umani e la conferma che lo Stato italiano si prende cura dei propri cittadini in tutte le situazioni anche all’estero e anche e soprattutto in ipotesi di tortura e omicidio. La loro testimonianza sarebbe stata, senza dubbio, un contributo nella ricerca di verità e nella battaglia di giustizia. Riteniamo che ogni cittadino abbia il diritto di conoscere le promesse di collaborazione espresse dal presidente Al Sisi. La loro assenza ha privato tutti noi di questi diritti».

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Perché la premier adesso è più sola

mercoledì, Maggio 10th, 2023

Marcello Sorgi

Nel giro di consultazioni con le opposizioni sulle riforme istituzionali, convocato solennemente alla Camera, e a cui ha dedicato quasi un’intera giornata di lavoro, Meloni non ha registrato la disponibilità al confronto che cercava e sarebbe necessaria su una materia così delicata. Ci sono stati due “no” pesanti da parte di Pd e 5 stelle. Un “sì” pronto a trasformarsi in un “ni” del Terzo Polo. E inatteso, proveniente dalla Lega, un richiamo alla lettera del programma con cui il centrodestra ha vinto le elezioni, che prevedeva il presidenzialismo e non altre ipotesi, come semi presidenzialismo o premierato forte, che la premier ha illustrato ai suoi interlocutori. Il punto che accomuna le varie proposte e motiva obiezioni, perplessità e dubbiose aperture è proprio l’elezione diretta: del Capo dello Stato o del presidente del Consiglio non fa differenza. La sensazione infatti è che introducendo un voto popolare sui vertici dello Stato non si andrebbe a una modifica costituzionale mirata a risolvere problemi annosi come l’instabilità dei governi. Ma a capovolgere il fondamento della Carta: la centralità del Parlamento.

Questo problema si manifesterebbe più forte nel caso del presidenzialismo, cioè di un Presidente della Repubblica all’americana che diverrebbe anche capo del governo, cancellando il ruolo di garanzia della Costituzione e di rappresentanza dell’unità del Paese affidato al Capo dello Stato all’italiana, com’è adesso, votato dalle Camere in seduta comune e integrate dai rappresentanti delle Regioni. Un Presidente dichiaratamente di parte, inoltre, non potrebbe nominare giudici costituzionali o senatori a vita, solo per fare due esempi. A meno, appunto, di andare a uno stravolgimento dell’impianto costituzionale.

Né questi problemi verrebbero meno se si adottasse la formula semi presidenziale alla francese, in cui il Presidente sceglie un primo ministro che si trasforma, in pratica, in un suo segretario. E com’è accaduto di recente, con la riforma delle pensioni che sta ancora provocando grandi proteste di piazza in Francia, può decidere per decreto senza sottoporsi al voto del Parlamento. L’unico vero bilanciamento in quel tipo di sistema è dato dalla possibilità che gli elettori formino due maggioranze diverse per la scelta del Presidente e per quella della maggioranza parlamentare, costringendo il Capo dello Stato a una “coabitazione” che, s’è visto, finisce per ingolfare il funzionamento dello Stato.

Inoltre anche la formula del premier eletto direttamente – diversa da quella tedesca in cui il nome del candidato è soltanto indicato sulla scheda e il governo nasce dalle trattative tra i gruppi parlamentari -, sperimentata solo per qualche anno in Israele, in Italia aprirebbe una questione che un costituzionalista del peso di Enzo Cheli ha indicato per tempo ed è ancora senza soluzione. E cioè: se il presidente del Consiglio è votato dagli elettori, che lo eleggeranno con oltre dieci milioni di voti, presumibilmente e stando agli attuali livelli di affluenza al voto, come potrebbe essere sfiduciato da un centinaio di senatori e un paio di centinaia di deputati? Si genererebbe uno squilibrio, tra il peso dell’elettorato e quello del Parlamento, destinato a pesare sul lavoro dell’eventuale successore del premier caduto in una crisi parlamentare, e a spingerlo verso lo scioglimento delle Camere.

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Trump, prima condanna: colpevole di abusi sessuali. E sulla corsa alla Casa Bianca incombe anche l’inchiesta su Mar-a-lago

mercoledì, Maggio 10th, 2023

dal nostro corrispondente Alberto Simoni

WASHINGTON. Donald Trump ha aggredito sessualmente e diffamato, definendola pubblicamente una «bugiarda», la scrittrice ed ex columnist di Elle, E. Jean Carroll, 79 anni, ed è stato condannato a pagare un indennizzo di 5 milioni di dollari. Dopo meno di tre ore di camera di consiglio, la giuria del tribunale di Manhattan – composta da sei uomini e tre donne – ha condannato l’ex presidente ma l’ha assolto dall’accusa di stupro.

Il giudice Lewis Kaplan ha chiesto dapprima ai giurati di decidere se Trump avesse stuprato, sessualmente abusato, o toccato contro la sua volontà la donna. Ognuna di queste opzioni avrebbe rispettato la denuncia formalmente avanzata, di violenza sessuale; quindi, il giudice Kaplan ha invitato i giurati di valutare la diffamazione. Il processo contro il tycoon era una causa civile e non ci sono conseguenze criminali, la donna aveva chiesto un risarcimento.

Sono una dozzina le donne che negli ultimi anni hanno denunciato Trump o sono uscite allo scoperto rivelando di essere state molestate. Due hanno deposto in questo processo. Ma l’unica vicenda arrivata in aula è quella di E. Jean Carroll, 79 anni, che nel 2017 sull’onda del movimento #MeToo aveva trovato il coraggio di raccontare quanto era accaduto in un camerino dei grandi magazzini Bergdorf Goodman a Manhattan a inizio 1996, dove Trump l’aveva bloccata e le aveva fatto violenza. Il processo è stato possibile grazie all’Adult Survivor’s Act, una legge di New York del 2022 che consente alle vittime di violenza di presentare una denuncia una tantum anche con decenni di ritardo.

L’ex presidente, 76 anni, ha sempre negato e ha rifiutato di deporre e testimoniare nel processo. L’unico elemento è stato un suo video di ottobre in cui aveva anche negato di riconoscere la donna dicendo poi che «non era il suo tipo» e che negava di conoscerla. L’impianto dell’accusa si è basato sulla lunga testimonianza della vittima. Aveva raccontato che conosceva Trump e che lo aveva incontrato mentre stava lasciando il negozio. Le chiese di provare un indumento per lui. «Mi ha convinta a entrare in un camerino, poi ha chiuso la porta, mi ha spinto contro un muro e mi ha tolto i collant. Mi sentivo soffocare e ho provato a respingerlo. Le sue dita sono entrate nella mia vagina, è stato doloroso, poi ha inserito il suo pene», ha raccontato alla giuria.

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