Archive for Maggio, 2023

Lavoro, sconto a orologeria: i sindacati verso lo sciopero

mercoledì, Maggio 3rd, 2023

Federico Capurso

ROMA. Taglio del cuneo fiscale, sostituzione del reddito di cittadinanza con l’assegno di inclusione, incentivi per le assunzioni dei giovani, aumento dei voucher e contratti a termine più flessibili. Per Giorgia Meloni il decreto Lavoro, approvato il Primo maggio in Consiglio dei ministri, contiene «il più importante taglio delle tasse degli ultimi decenni». Per le opposizioni, invece, «la premier mente, litiga con la matematica», e il decreto, accusano all’unisono Elly Schlein e Giuseppe Conte, «aumenterà il precariato». Per questo Pd e Movimento 5 stelle annunciano di voler scendere in piazza, seppur divisi. E il segretario della Cgil Maurizio Landini avverte: «Non escludo uno sciopero generale».

«Le solite polemiche da sinistra e sindacati del No», reagisce il vicepremier Matteo Salvini, difendendo il nuovo taglio del cuneo, sul quale il governo ha messo circa 3,5 miliardi (da sommare ai 5 previsti nell’ultima legge di bilancio), che porterà aumenti in busta paga «dagli 80 ai 100 euro mensili». Si tratta però di un aumento temporaneo, che varrà per i redditi fino a 35 mila euro l’anno e sarà valido solo da luglio a dicembre 2023. «L’impegno è renderlo strutturale», assicura la ministra del Lavoro Marina Calderone, ma il traguardo resta lontano, vagamente fissato «entro la fine della legislatura». D’altronde, rinnovare la misura per il solo 2024 costerebbe 12,6 miliardi di euro e «ci deve essere una situazione che lo consente, si deve agire con attenzione ai conti». Un aiuto potrebbe arrivare dall’Europa, attraverso le modifiche al Patto di Stabilità attualmente in cantiere a Bruxelles, su cui Meloni alza il pressing: «Sarebbe miope puntare sulla transizione verde e digitale, sugli investimenti sulla Difesa, e poi non tenere conto di queste priorità nel calcolo del rapporto deficit-Pil». Insiste, la premier, che «il Covid, la guerra di aggressione russa all’Ucraina hanno modificato lo scenario geopolitico, anche quello economico, e questo tema non può non essere tenuto in considerazione nel momento in cui si vanno a definire le nuove regole sul Patto di stabilità».

Altro capitolo chiave del decreto, sul quale insistono le opposizioni, è la cancellazione di causali nei contratti precari di 24 mesi. Una scelta che per le opposizioni farà aumentare il precariato. Nel decreto dovrebbe essere prevista poi una proroga di altri sei mesi della cassa integrazione straordinaria per i lavoratori di Ita, così come la proroga, fino alla fine dell’anno, del reddito di cittadinanza per i percettori che abbiano nel nucleo familiare disabili, minorenni o over 60. Scompare invece dal testo finale l’indennizzo di 500 euro per chi, dopo 24 mesi di precariato, non venga stabilizzato.

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Cartabianca, Scanzi a valanga su Viola: stop al vino messaggio terrorizzante

mercoledì, Maggio 3rd, 2023

Dalla ribalta tv dovuta alla pandemia alle tesi sul vino, si torna a parlare di Antonella Viola, docente di Patologia generale all’università di Padova. Nel suo ultimo libro propone consigli per invecchiare bene e vivere più a lungo. Tra questi, oltre al digiuno intermittente, c’è quello di abolire il vino perché “cancerogeno”. Secondo la prof è sbagliato dire che anche solo un bicchiere fa bene. Se ne è parlato martedì 2 maggio a Cartabianca, il programma condotto da Bianca Berlinguer su Rai3. Andrea Scanzi è tra i commentatori più critici: “La professoressa Viola dice sostanzialmente che bisogna smettere di bere vino. E’ un messaggio terrorizzante e sbagliato. Sembra di essere tornati al proibizionismo. Le persone vivono anche per essere felici e socializzare”.

Non è l’unico. Giorgio Calabrese, professore esperto di alimentazione, afferma che “bisogna bere vino con moderazione, ma non dobbiamo terrorizzare la gente. Di base il vino ha anche delle sostanze positive oltre l’alcol. Esistono alimenti che, se introdotti nelle quantità sbagliate, danno problemi. Bisogna ragionare sulle giuste dosi”. 

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Taglio alle detrazioni, così il governo prepara la riduzione dell’Irpef

mercoledì, Maggio 3rd, 2023

Edoardo Romagnoli

Un nuovo fisco che passerà da 4 a 3 aliquote Irpef, lotta all’evasione grazie alle nuove tecnologie, innalzamento della no tax area e detrazioni. Sono solo alcune delle novità contenute nella riforma fiscale presentata dal vice ministro dell’Economia e delle finanze Maurizio Leo durante l’audizione alle commissioni riunite: quella Finanze della Camera e quella sulla Riforma fiscale del Senato. Il progetto di riforma si sviluppa in quattro parti: principi generali, tributi, procedimenti e materiali. «Come primo intervento metteremo mano all’Irpef, imposta che presenta criticità e lacune» ha detto Leo.

Si passa da quattro aliquote a tre. Oggi fino a 15 mila euro si paga il 23%, tra 15.001 e 28 mila il 25%, tra 28.001 e 50 mila il 35% mentre oltre i 50 mila euro si paga il 43%. Con la riforma i due scaglioni centrali vengono accorpati per cui: per i redditi fino a 28 mila euro si paga il 23%, tra 28 mila e 50 mila il 27% e per i redditi oltre i 50 mila euro si paga il 43%. La riforma vorrebbe innalzare anche la no tax area fino a 10 mila euro l’anno, mentre oggi è fissata a 8,174 euro per i lavoratori dipendenti e 7,500 euro per i pensionati.

A queste misure il governo vorrebbe aggiungere ulteriori riduzioni dell’Irpef con delle risorse che possono emergere dal taglio del numero delle detrazioni. «Ce ne sono più di 47 – ha evidenziato il vice ministro – la voce più rilevante è rappresentata dai crediti d’imposta, sono circa 227 e cubano 36 miliardi: su questi è possibile fare un intervento di pulizia per fare in modo di mettere le risorse risparmiate al servizio della riduzione dell’Irpef».

Leo ha parlato anche del taglio del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti: «Penso che possiamo arrivare a 80-100 euro di cui si è parlato» in busta paga ma «ancora il testo non lo abbiamo visto. Il serbatoio sono i 3 miliardi sul 2023 e una parte dei 4 miliardi del 2024, penso che a questa cifra ci si possa arrivare, faremo delle verifiche con la Ragioneria» ha aggiunto.

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Il valore del potere neutro

mercoledì, Maggio 3rd, 2023

di Antonio Polito

Come il capo dello Stato, anche la Corte Costituzionale ha più volte dato prova di una funzione «moderatrice»

Nel triangolo di magnifici palazzi che circonda la Fontana dei Dioscuri, in cima al colle del Quirinale, opera quello che potremmo definire il «potere neutro» della nostra Repubblica. Il copyright di questa formula appartiene all’abate Sieyès, non a caso considerato dal pensiero liberale come «l’inventore del sistema rappresentativo» alla fine del Settecento. Di fronte alle convulsioni della Rivoluzione francese, Sieyès si pose infatti il problema di come limitare il «potere illimitato» della «volontà generale» di Rousseau, per mitigare i pericoli di dispotismo insiti in quella nuovissima forma di governo che era allora la democrazia. All’inizio pensava a un «giurì», a un arbitro , che vegliasse «con fedeltà alla salvaguardia del deposito costituzionale», moderasse le tensioni e i conflitti tra potere esecutivo e legislativo, e agisse «al riparo da passioni funeste». Poi, con la Restaurazione, gli sembrò che un monarca costituzionale potesse assolvere alla stessa funzione. È dunque facile vedere nella presidenza della Repubblica e nella Consulta gli eredi moderni di tale discendenza liberale. E i vantaggi che essi offrono alla democrazia sono stati di nuovo evidenti in queste settimane. Il capo dello Stato Sergio Mattarella si è infatti impegnato con numerosi discorsi in una vera e propria pedagogia costituzionale, mettendo in relazione tra loro i due grandi dibattiti che hanno chiamato in causa le radici e lo spirito della Repubblica: quello sulla Resistenza antifascista in Italia e quello sulla guerra di resistenza in Ucraina.

«La furia bellicista russa», ha detto il presidente con un linguaggio che non lascia spazio all’ambiguità, ripropone infatti all’Europa la minaccia di una «esasperazione nazionalistica che pretende di violare confini, di conquistare spazi territoriali». Il parallelo storico non può che essere con l’espansionismo nazista: «Come dimenticare la vicenda dei Sudeti e della Conferenza di Monaco, che aprirono la via alla Seconda guerra mondiale?». Ecco perché il solenne impegno «ora e sempre Resistenza», che Mattarella ha ripetuto a Cuneo, si invera oggi nel «sostegno all’Ucraina finché è necessario, finché occorre, sotto ogni profilo; di forniture militari, finanziario, umanitario. Se infatti l’Ucraina fosse lasciata alla mercé di questa aggressione, altre ne seguirebbero».

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La linea della Bce non cambia: l’aumento dei tassi di interesse va avanti (almeno) fino all’estate

mercoledì, Maggio 3rd, 2023

di Federico Fubini

La linea della Bce non cambia: l'aumento dei tassi di interesse va avanti (almeno) fino all'estate

La presidente della Bce Christine Lagarde

Ancora nei primi mesi dell’anno, nella Banca centrale europea era diffusa l’aspettativa che i tassi sarebbero aumentati di nuovo in maggio e giugno. Ma lo avrebbero fatto più lentamente rispetto ai rialzi a tappe forzate dell’autunno e dell’inverno, per poi fermarsi. Questo almeno è lo scenario che molti dentro e attorno alla Bce consideravano probabile. Non più: ora un percorso del genere, secondo la maggioranza nel Consiglio direttivo di Francoforte, non porta abbastanza lontano e non garantisce di sradicare l’inflazione dall’area euro abbastanza in fretta.

Quando domani presenterà le decisioni del Consiglio direttivo a Francoforte, Christine Lagarde probabilmente darà dunque almeno due messaggi. Il primo sarà molto tangibile: riguarda un nuovo aumento dei tassi d’interesse che, salvo improbabili sorprese, verrà deciso questa settimana e potrebbe essere di 0,25% o anche di 0,50%. Ma il secondo messaggio della presidente della Bce sarà seguito con anche più attenzione. Di fronte a un’inflazione che scende in modo più esitante di quanto molti avessero immaginato, Lagarde farà capire che nella Bce oggi si pensa di continuare ad alzare i tassi anche dopo gli aumenti di questa settimana e del mese prossimo. Difficile che ci siano annunci anticipati. Lagarde non si legherà le mani sulle prossime tappe della stretta monetaria, come fece alla fine dell’anno scorso per le sue mosse fino a marzo. Le indicazioni della presidente saranno più vaghe, ma le attuali intenzioni sono chiare: nella Bce molti vogliono far proseguire la stretta almeno fino all’estate inoltrata; prima dell’autunno prossimo le banche potrebbero pagare interessi di oltre il 4% (contro il 3,5% attuale) per rifinanziarsi allo sportello principale dell’istituto di emissione. È dal luglio del 2008, alla vigilia della Grande crisi finanziaria, che la banca centrale non pratica quel livello.

Ma il contrasto all’inflazione non prenderà solo la forma classica di una serie continuata di aumenti dei tassi. In giugno la Bce potrebbe decidere di rallentare ancora di più i riacquisti dei titoli di Stato comprati fra il 2015 e il 2019, man mano che questi scadono e vengono rimborsati. Per ora la banca centrale sta riducendo di 15 miliardi al mese il suo portafoglio di investimenti accumulati a ritmi anche di 80 miliardi al mese quando Mario Draghi era presidente. L’operazione sta procedendo senza sbalzi e lo spread sui titoli a dieci anni fra Germania e Italia, l’anello più debole della catena dell’euro, è persino sceso negli ultimi sei mesi di stretta monetaria e liquidazione degli investimenti della Bce. Ma tra non molto potrebbe accelerare il passo al quale la banca centrale riduce l’eredità del «quantitative easing» dal suo bilancio. Alcuni esponenti del Consiglio direttivo vorrebbero cessare del tutto i riacquisti, alla scadenza, della carta comprata fino al 2019. C’è chi pensa a fare lo stesso nel 2024 con 1.850 miliardi di interventi varati durante la pandemia.

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Maltempo Emilia-Romagna: treni sospesi per nuove esondazioni. Scuole chiuse e deviazioni

mercoledì, Maggio 3rd, 2023

di Silvia Maria Dubois, Federica Nannetti

La sindaca di Conselice: «Andate al palazzetto dello sport e portatevi una coperta». Fiorello: «Morandi non viene: ha la casa allagata»

esondazioni

La pioggia che non ha smesso per tutta la notte, fra martedì e mercoledì, l’avviso nelle stazioni dei treni di linee che saltano, bus sostitutivi, ritardi.  Ponti chiusi e deviazioni. E l’occhio di molti residenti fisso ai bordi di ponti e argini dei fiumi che salgono. Il day after di un surreale inizio di maggio sta creando ancora forti preoccupazioni in Emilia-Romagna dove l’allerta meteo resta alta.

Risveglio sotto la pioggia

Ed è proprio Bologna che si sveglia ancora sotto la pioggia: più acqua in 48 ore che in quattro mesi, da gennaio ad aprile, tanto che si aspetta l’allerta rossa per criticità idraulica attiva per tutta la giornata. Ma a essere colpite con precipitazioni incessanti, come riportato dal Centro Meteo dell’Emilia-Romagna, sono tutte le zone tra Reggiano, Modenese, Bolognese, Ferrarese, Ravennate e Forlivese, con una media di «80-90 millimetri per area tra est Emilia e ovest Romagna. Punte anche di 120-140 millimetri su collina e alta pianura Bolognese, Faentino, Imolese e Forlivese occidentale», continua il Centro Meteo. Le conseguenze, dunque, per questo 3 maggio, sono il portato di quanto successo ieri, ma almeno per le prime ore di oggi non sono attesi particolari miglioramenti: scuole chiuse, strade allagati, fiumi in piena che rompono gli argini. 

Esondazioni e treni sospesi

Nella notte si è ampliata la zona allagata per la rottura dell’argine del Sillaro a Conselice (Ravenna), ma è stata segnalata anche l’esondazione del Lamone in località Boncellino. Il Sillaro è osservato speciale già da ieri, in località San Salvatore a Sesto Imolese: zona rossa in cui tutti i corsi d’acqua sono sopra il livello idrografico tre. Alle 7,30 è stata chiusa la via Emilia in diversi punti, vicini a tratti di corsi d’acqua eccessivamente alti e pericolosi. Ma i disagi alla circolazione riguardano anche alcune linee ferroviarie: è al momento sospesa fra Faenza e Forlì (linea Bologna – Rimini), Russi e Lugo (linea Bologna – Ravenna), Russi e Granarolo (linea Faenza – Ravenna) e fra Lavezzola e Mezzano (linea Ferrara – Ravenna). La sospensione è stata resa necessaria per l’innalzamento del livello di guardia dei fiumi Montone, Lamone, Senio e Santerno dovuto alle forti e prolungate piogge. Sul posto già i tecnici di Rete Ferroviaria Italiana in costante contatto con Prefettura e Protezione Civile. 

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Perché le elezioni in Turchia sono importanti per l’Europa (e per il mondo)

martedì, Maggio 2nd, 2023

Giada Ferraglioni , Sergio Colombo

Le elezioni di maggio in Turchia sono tra gli appuntamenti più importanti del 2023. Il prossimo presidente definirà i rapporti del Paese con gli Stati Uniti, l’Unione europea e la Russia, e deciderà che ruolo avrà Ankara nella Nato e nella guerra in Ucraina. Dovrà inoltre decidere il futuro delle relazioni con i vicini Israele e Siria, da cui dipenderanno gli equilibri nel Medio Oriente, e gestire le tensioni nel Mediterraneo orientale. Non da ultimo, le elezioni del 14 maggio avranno risvolti sulle politiche migratorie della Turchia, crocevia delle rotte da Est più pericolose e battute. Difficile fare previsioni su quelle che saranno le svolte dell’opposizione dopo un’eventuale vittoria: al momento, a unire il “tavolo dei sei” è principalmente il sentimento anti-Erdoğan.

La Nato e la guerra in Ucraina

La Turchia si è ritagliata un ruolo di rilievo nella guerra in Ucraina. Proprio a Istanbul si sono firmati nel 2022 i primi accordi tra Mosca e Kiev: l’intesa, mediata dai turchi e dall’Onu, aveva permesso di smuovere oltre 20 milioni di tonnellate di grano bloccati nei porti del Mar Nero dall’inizio della guerra. I rapporti con la Nato da una parte e con la Russia dall’altra sono il tema più spinoso che dovrà affrontare il nuovo presidente. La Turchia è membro dell’Alleanza Atlantica dal 1952, ma non ha aderito alle sanzioni del G7 e dell’Unione europea contro Mosca. Inoltre, dalla fuga dei documenti del Pentagono, è emerso che la brigata Wagner, impegnata in Ucraina, aveva avvicinato “contatti turchi” a febbraio con l’obiettivo di comprare armi.

A fine marzo l’attuale presidente turco ha dato il via libera all’adesione alla Nato della Finlandia, e dunque all’estensione dell’Alleanza Atlantica a ridosso del confine con la Russia. Ma lo ha fatto dopo mesi di veti e di ultimatum: un equilibrismo che ha indispettito i partner occidentali e attirato feroci critiche da parte dell’opposizione guidata da Kemal Kılıçdaroğlu, erede di un kemalismo che guarda tradizionalmente a ovest. Il leader del Chp ha annunciato che, se sarà eletto, punterà a normalizzare definitivamente i rapporti con la Nato. Mosca permettendo.

I rapporti tra Turchia e Russia

Le relazioni tra Turchia e Russia si reggono su equilibri estremamente delicati. I due Paesi sono entrambi presenti in Libia (il primo in Tripolitania, il secondo nella Cirenaica), e Mosca ha ospitato il 25 aprile l’incontro tra i ministri degli Esteri di Turchia, Siria e Iran per discutere il riavvicinamento tra Damasco e Ankara.

Inoltre, per il governo turco Mosca resta a oggi un partner irrinunciabile dal punto di vista energetico: nel 2022, la Turchia ha importato il 40% del gas dalla Russia, mentre l’import di combustibili fossili è aumentato da 14,3 a 41,8 miliardi di dollari. Il 27 aprile il presidente russo Vladimir Putin ha partecipato in video-collegamento alla consegna del carburante per la centrale nucleare di Akkuyu, realizzata dalla russa Rosatom.

Gli interessi degli Usa e la questione curda

Nel tentativo di blindare il riavvicinamento alla Nato, Kılıçdaroğlu promette di “prendere iniziative” per tornare al programma di acquisto degli aerei F-35, sospeso dagli Usa nel 2019. Secondo alcuni analisti, il leader del Chp potrebbe decidere persino di restituire a Mosca i sistemi di difesa aerea S-400, il cui acquisto fu alla base dello strappo con Washington.

Gli Stati Uniti guardano con interesse al voto, e agli effetti che questo potrebbe avere sui rapporti con la Turchia. Negli ultimi anni, i due Paesi si sono scontrati a più riprese sulla questione dei curdi, sostenuti dagli Usa in Siria e combattuti – all’estero e in patria – da Erdoğan. Una vittoria di Kılıçdaroğlu, appoggiato dal partito filo-curdo Hdp, potrebbe dare nuovo impulso alle relazioni.

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Contro il governo Meloni (e il buon senso): gli scivoloni di Landini e della Cgil

martedì, Maggio 2nd, 2023

Lorenzo Grossi

Se c’è qualcosa che gli ultimi sette mesi di politica italiana hanno evidenziato in maniera inequivocabile, quello è senza dubbio la crisi di nervi di diverse persone appartenenti a vario titolo al mondo della sinistra: non solo tra gli esponenti delle opposizioni parlamentari (Partito Democratico in testa), ma anche all’interno delle organizzazioni sindacali. Tra tutti, quello che è spiccato per una costante ritrosia nei confronti delle misure adottate dal governo Meloni è Maurizio Landini. Da quanto è entrato in carica il nuovo esecutivo di centrodestra (ottobre 2022), a seguito delle elezioni nettamente vinte lo scorso 25 settembre, il segretario generale della Cgil non fa altro che attaccare ogni singolo provvedimento economico messo in piedi da Giorgia Meloni e dai suoi ministri.

Si dirà: è normale che un sindacato faccia sentire la propria voce per difendere fino in fondo le tutele dei lavoratori e, di conseguenza, pungolare i governi affinché ascoltino le loro istanze. Assolutamente vero. Peccato che Landini, durante questo primissimo scorcio di legislatura, abbia varcato spesso il confine che separa ciò che è di buon senso da quello che non lo è. Sfiorando, da questo punto di vista, la ridicolaggine.

Landini contro il merito

Nemmeno il tempo che il governo Meloni si potesse quantomeno insediare a Palazzo Chigi che subito la Cgil tuona contro l’istituzione del ministero dell’Istruzione e del Merito: “Trovo sia sbagliato, quando parliamo di istruzione in un Paese dove c’è questo livello di diseguaglianze, introdurre la parola ‘merito’ – afferma Landini il 24 ottobre -. Rischia di essere uno schiaffo in faccia per chi può avere tanti meriti ma parte da una situazione di diseguaglianza”. Il rifiuto aprioristico del merito come principio viene subito stroncata anche da noti anti-meloniani convinti come Carlo Calenda, il quale bolla il rifiuto di Landini come una presa di posizione “assurda e antistorica”.

I ministri del centrodestra giurano sulla Costituzione davanti a Mattarella a pochissime settimane dalla potenziale entrata nell’esercizio provvisorio del nostro Paese qualora non fosse stata approvata la manovra economica entro la fine del 2022. L’esecutivo licenzia una legge di bilancio pulita a tempi di record e modellata soprattutto sui tagli del caro energia. Il leader della Cgil, però, non accetta minimi compromessi e paventa un immediato sciopero nazionale dei lavoratori contro un governo che non aveva nemmeno un mese di vita: “È evidente che dobbiamo pensare a qualsiasi iniziativa e, siccome i tempi sono molto stretti, dobbiamo pensare anche a forme creative di mobilitazione”.

Le figuracce su rdc e Urss

Landini difende strenuamente il reddito di cittadinanza e a fine dicembre arriva persino a reputare che “il disegno governo è quello di farlo saltare” in modo tale da “fare cassa così, colpendo i più deboli”. Il presidente del Consiglio gli replica a stretto giro: “Sento in giro ante menzogne sul rdc: noi tuteliamo chi non può lavorare, tutti gli altri non possono aspettare il lavoro dei sogni. Non puoi pretendere che ti mantenga lo Stato con le tasse pagate da chi ha accettato un lavoro che spesso non era il lavoro dei sogni”. Quella frase pronunciata in tv nello studio di Porta a Porta fu l’annuncio di quello che poi si è effettivamente concretizzato con il freschissimo decreto Lavoro.

Che la Cgil vada nel pallone più totale in pieno inverno lo dimostra la clamorosa gaffe che ha caratterizzato il congresso della sezione di Bologna tenuto a San Lazzaro di Savena: ovvero l‘inno dell’ex Unione Sovietica utilizzato come tappeto musicale per festeggiare l’evento del sindacato rosso. Nessuno sdegno, anzi: applausi e pugni chiusi, con Landini che partecipa volentieri al revival senza spiccicare una mezza parola sull’accaduto. E scappa più di qualche sorriso. L’organizzazione parlerà di un “mero errore materiale della regia”, ma l’episodio in sé denota come, su certe ideologie, passano decenni ma evidentemente nulla cambia. Almeno per la Cgil.

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Vittorio Feltri: “Ora datemi dello sporco razzista”. Migranti, l’unica soluzione

martedì, Maggio 2nd, 2023

Vittorio Feltri

Sono consapevole: l’articolo che mi acne che mi costerà aspre critiche, la più pungente delle quali sarà che Feltri è uno sporco razzista, forse anche fascista. Ormai certi argomenti che coinvolgono gli stranieri sono autentici tabù. Mi riferisco agli stupri che quotidianamente la cronaca registra e in genere alle rapine e alle malefatte pubblicate puntualmente dai giornali, come fossero le previsioni del tempo. La misura è colma, ma non c’è verso che le nostre pur lodevoli forze dell’ordine riescano a opporsi efficacemente al crescente numero di malviventi che infestano i centri abitati. 

Se poi qualcuno, come sto facendo io, punta l’indice accusatore prevalentemente sugli stranieri sbandati, viene spolpato vivo da chi predica solidarietà e comprensione verso coloro che arrivano dal Continente Nero. Ovviamente esistono anche i farabutti connazionali, ma non si può negare che la maggioranza debordante dei responsabili di vari reati contro le persone sia costituita dai disperati giunti dalle nostre parti coi barconi. Gente che non siamo capaci di ospitare civilmente, assicurandole una casa e un lavoro, pertanto incline a commettere reati gravi per tirare a campare. Nei dibattiti televisivi tracimano coloro che insistono nel dire che i navigatori improvvisati devono puntare ad attraccare sulle nostre sponde, e predicano che bisogna rispettare la legge nel mare la quale impone di salvare chi tra le onde è in difficoltà. 

Belle parole, bei sentimenti, poi però le tragedie evitate in acqua si trasferiscono nelle strade della penisola, dove accade di tutto e di più: rapine, reati sessuali, risse e aggressioni come piovesse. È evidente che l’unico freno a questo stato di cose è la sospensione degli arrivi in massa dall’estero, che ormai procedono a ritmi troppo elevati. Mi rendo conto che l’argomento che propongo infastidisca la sinistra politica e pure i cattolici, peccato però che il mio rimedio sia l’unico in grado di proteggere i cittadini del nostro Paese, che non ne possono più di essere tormentati da tunisini e generi affini, signori inclini a menare le mani, ad accoltellare chi non si lasci derubare, senza calcolare la loro tendenza ad usare le donne come fossero bambole gonfiabili. Le anime pie che pretendono di accogliere ogni sbandato che sfida le mareggiate suggeriscano una soluzione diversa dalla mia per garantire agli italiani di non subire soprusi. Essi non possono difendersi da soli dai violenti, hanno bisogno di essere protetti, e ciò non coincide con la tendenza irrefrenabile a consentire a chiunque il permesso di sbarcare nei porti del Meridione. Se non si troverà un rimedio efficace a questo disastro prima o poi ci sarà una sollevazione popolare che non sarà facile soffocare.

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Galli Della Loggia: “I miti della sinistra cadono uno a uno. E Meloni…”

martedì, Maggio 2nd, 2023

Pietro Senaldi

«L’Italia non ha mai avuto un partito conservatore perché è una nazione nata da quella autentica rivoluzione che fu il Risorgimento, e perché le forze eterogenee che avevano fatto una tale rivoluzione si convinsero che fosse necessario restare sempre unite per difendere le istituzioni del nuovo Stato, insidiate da destra e da sinistra, e quindi non trovarono mai il modo di dividersi tra conservatori da un lato e socialisti dall’altro. Il risultato fu il trasformismo e la ricerca permanente della “via di mezzo”, due costanti della nostra vita politica insieme a un deposito se si vuole anche inconsapevole di progressismo presente dappertutto».

Rosi Bindi, per soffocare in culla il partito conservatore, ha dichiarato che con la Resistenza gli italiani hanno detto no non solo al fascismo ma anche allo Stato liberale che avrebbe prodotto prima la Grande Guerra e poi il regime…
«Come spesso i politici, la Bindi parla a braccio senza avere una conoscenza vera di niente. Le cose sono assai più complesse. Dal 1860 al 1914 lo Stato liberale rovesciò l’Italia come un calzino, cambiò tutto. Quanto ai rapporti effettivi, molti e profondi, che esistono tra l’Italia repubblicana e quella prima liberale e poi fascista, anche a livello di sistema politico, esiste una bibliografia che credo Rosi Bindi neppure immagina. La politica italiana è stata sempre direi istintivamente orientata nel suo complesso al cambiamento e allo statalismo, non certo ad un vero conservatorismo. Anche per ragioni oggettive. E pure oggi il partito conservatore, se mai ci sarà, dovrà cambiare un sacco di cose, a cominciare dallo Stato, dal suo apparato e dal suo funzionamento. E questa sarebbe una rivoluzione davvero epocale».

Quante probabilità gli dà?
«Le previsioni sono fatte per essere smentite. Dico 50 e 50».

Un conservatore che rivoluziona però non si è mai visto…
«Dipende dall’accezione che si dà al termine e qui il discorso, specie in termini storici, si farebbe molto lungo. Io penso che del passato vada conservato ben poco, se non alcuni valori e istituzioni fondamentali. Che però non si tratta di restaurare o difendere alla morte ma semmai riportare a una nuova vita e magari in forme nuove, attraverso prima di tutto una diversa narrazione, un’analisi del presente che smentisca il racconto progressista e convenzionale della realtà, secondo il quale ogni cambiamento, ogni rottura con il passato sono sempre un fatto comunque positivo. Da molto tempo mi sembra che ciò non sia più vero».

Lei concepisce il potenziale partito conservatore italiano essenzialmente come un’antitesi alla sinistra e alla sua narrazione?
«Viviamo una fase di grande incertezza e paura per il futuro. I miti di progresso evocati dalla sinistra stanno cadendo a uno a uno. La narrazione che il cambiamento sia per forza positivo e non possa che migliorare la condizione di vita delle persone ha perso credibilità. Oggila massa dei cittadini chiede sempre più protezione allo Stato e per questo si è aperto uno spazio per il partito conservatore. Sa chi è stato il primo a introdurre misure di protezione sociale in Europa? Un signore che si chiamava Bismarck…».

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