Archive for Maggio, 2023

L’antimafia parte in salita: chi sono gli indagati e i commissari sotto accusa

mercoledì, Maggio 24th, 2023

Niccolò Carratelli

Ben sette mesi di attesa per vederla insediata e poi la commissione parlamentare Antimafia parte con una neopresidente contestata per una presunta amicizia con un ex terrorista neofascista e tre componenti sotto processo per corruzione, concussione o reati ambientali. Più altri indagati o citati nelle carte giudiziarie delle procure siciliane. Nella lista anche nomi noti, come l’ex sottosegretario all’Agricoltura (governo Renzi) Giuseppe Castiglione, eletto alla Camera con Azione, ma prima in Forza Italia e luogotenente di Angelino Alfano in Sicilia. È stato rinviato a giudizio a marzo 2017 ed è imputato per corruzione, perché avrebbe promesso «assunzioni al Cara di Mineo» in cambio di voti. La vicenda riguarda gli appalti per la gestione dei servizi del Centro per richiedenti asilo in provincia di Catania, tra il 2011 e il 2014, quando Castiglione era soggetto attuatore del Cara.

Un altro commissario sotto processo è il senatore di Forza Italia, Francesco Silvestro, campano, soprannominato “il re della notte”, perché l’azienda di famiglia produce materassi. Guarda caso, era stato già dichiarato «impresentabile» dalla vecchia commissione Antimafia, in occasione della candidatura alle regionali 2020, in quanto imputato, insieme all’ex sindaco di Arzano (Napoli), di tentata concussione ai danni di un imprenditore titolare dell’appalto comunale dei rifiuti. Vittima di intimidazioni, stando alle accuse, per ottenere assunzioni, contratti e una sponsorizzazione per la squadra di pallavolo locale. I fatti risalgono al 2013, quando Silvestro era presidente del consiglio comunale: quella amministrazione era stata poi sciolta per infiltrazioni camorristiche. A dieci anni di distanza, comunque, rinvio dopo rinvio, il processo si avvia verso la prescrizione.

Il terzo imputato è il deputato leghista Anastasio Carrà, vicesegretario del partito di Salvini in Sicilia e sindaco di Motta Sant’Anastasia, a processo perché accusato di aver attentato alla salute pubblica nel suo comune alle pendici dell’Etna. Per i magistrati catanesi, Carrà avrebbe favorito l’utilizzo di un bypass fognario non autorizzato, in cui sarebbero confluiti scarichi abusivi delle acque reflue, contenenti percentuali di elementi chimici e batterici superiori ai limiti di legge. Sempre per reati ambientali è sotto inchiesta la senatrice Dafne Musolino, eletta con Sud chiama Nord, il partito dell’ex sindaco di Messina Cateno De Luca, e ieri votata come presidente (ha ottenuto 4 preferenze) dai rappresentanti di Azione e Italia Viva. Indagata, con lo stesso De Luca, per la mancata bonifica di una discarica abusiva, quando lei era assessore all’ambiente della città siciliana. Tre imputati e una indagata, dunque. Poi ci sono quelli finiti nelle carte giudiziarie, ma senza essere toccati in prima persona. Come il senatore di Fratelli d’Italia, Raoul Russo, più volte citato nell’inchiesta della procura di Palermo sulla gestione dei fondi da parte dell’assessorato al Turismo della Regione Siciliana. Un’indagine che ha come punta dell’iceberg il finanziamento da quasi 4 milioni per organizzare un evento di promozione dell’isola al festival del cinema di Cannes. Russo è stato capo della segreteria tecnica dell’assessore Manlio Messina, oltre che coordinatore del partito di Giorgia Meloni a Palermo.

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Massacri e conquiste: così Prigozhin si è guadagnato la fiducia di Putin (e si permette di chiamarlo «nonnetto»)

mercoledì, Maggio 24th, 2023

di Fabrizio Dragosei

Il leader del Cremlino tollera le uscite del capo della Wagner perché da anni gli garantisce risultati che gli altri ufficiali non sono in grado di ottenere

Massacri e conquiste: così Prigozhin si è guadagnato la fiducia di Putin (e si permette di chiamarlo «nonnetto»)

Il «trionfatore di Bakhmut», come sembra ormai volersi dipingere agli occhi dei russi, ha deciso nelle ultime ore di abbassare leggermente i toni nei confronti dell’Esercito e del ministro della Difesa. Soprattutto perché Evgenij Prigozhin vuole ritirare i suoi miliziani dalla città distrutta e affidarne entro pochi giorni il controllo proprio alle Forze armate regolari. «Perché sa che altrimenti sarebbe fatto a pezzi», dicono gli ucraini. Perché gli uomini della Wagner debbono «riposarsi nelle retrovie» in attesa di nuovi difficili incarichi, secondo la versione dell’ex ristoratore, ex rapinatore e ladro diventato indomito combattente per conto di Vladimir Putin.

E certamente l’aver consegnato al signore del Cremlino l’unica significativa vittoria sul campo da molti mesi a questa parte aumenta enormemente le sue quotazioni, anche se a Mosca sono probabilmente più quelli che vorrebbero farlo fuori di quelli che lo amano. Ma Prigozhin e l’armata privata per la quale è stato scelto il nome del grande musicista tedesco sono da tempo ormai uno strumento imprescindibile della strategia di potere e conquista di Vladimir Vladimirovich. Che si è reso perfettamente conto della inadeguatezza delle strutture ufficiali e per questo tollera le uscite fuori le righe di Prigozhin, perfino quando parla, ovviamente riferendosi a lui, di un «nonnetto felice convinto che tutto vada bene». E si chiede, «in via puramente ipotetica», se poi non verrà fuori che «questo nonnetto è un co… patentato».

Il fatto è che da molti anni, almeno dal 2014, Prigozhin porta a casa risultati, con metodi assolutamente non ortodossi che gli altri luogotenenti dello Zar nemmeno riescono a immaginare.

Prima la nascita della milizia privata, fatta creare dall’ex tenente colonnello del Gru (il servizio di spionaggio militare) Dmitrij Utkin (Wagner era il suo nome di battaglia) e utilizzata nell’invasione della Crimea e nel Donbass. Poi le iniziative, tutt’ora parzialmente in corso, in diversi paesi africani, soprattutto Repubblica Centroafricana e Libia, oltre che in Siria.

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Alluvione in Emilia-Romagna, i sub trovano la 15esima vittima. «Rischi sanitari per gli abitanti»

mercoledì, Maggio 24th, 2023

di Alfio Sciacca

Allarme a Conselice per l’acqua stagnante: l’ipotesi di richiami vaccinali. L’ultimo corpo recuperato a Lugo sarebbe di un agricoltore di 68 anni

Alluvione in Emilia-Romagna, i sub trovano la 15esima vittima. «Rischi sanitari per gli abitanti»
Strade allagate a Conselice

«L’acqua sale su dalle fogne e in casa non si respira. Dopo giorni in queste condizioni e senza nulla da mangiare siamo andati via. Ora ci ospitano dei parenti». L’abitazione di Vittoria Di Matteo, dove vive con il marito e tre figli, è in Via Aldo Moro, una delle strade trasformate in fiumi maleodoranti. Per una famiglia che decide di andar via ce ne sono centinaia che resistono, prigioniere in casa, aspettando che passi il canotto che distribuisce le buste bianche con dentro acqua e qualcosa da mangiare.

Da cinque giorni è questa la quotidianità di Conselice, diecimila abitanti, diventato l’epicentro di una nuova emergenza che si aggiunge a quella del fango e delle frane. In questo caso si tratta di rischi per la salute della popolazione, legati proprio a quell’acqua putrida che potrebbe trasformarsi in un rischio di infezione per i residenti e chi li assiste. Dopo aver camminato a lungo nell’acqua le tute e gli stivaloni degli uomini delle forze dell’ordine vengono spruzzati di disinfettanti. Mentre la sindaca, Paola Puca, lancia disperati appelli ai suoi concittadini. «Non camminate a piedi nudi nell’acqua — urla al megafono davanti al municipio — proteggete la pelle dal contatto con l’acqua con guanti e dispositivi di protezione individuale. Evitate che i bambini giochino nelle aree allagate». A dimostrazione della gravità della situazione ieri a Conselice sono arrivati sia la direttrice dell’Ausl di Ravenna sia la vicepresidente della Regione, con delega alla Protezione civile, Irene Priolo. Anche i vertici sanitari confermano potenziali pericoli per infezioni alla pelle o gastrointestinali. E stanno valutando anche delle vaccinazioni di profilassi.

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Emilia-Romagna, il grande cuore della solidarietà: una mobilitazione virale

martedì, Maggio 23rd, 2023

Pietro De Leo

C’è il grande cuore della solidarietà che pulsa nella reazione collettiva all’alluvione in Emilia Romagna. È un collage composto da tanti volti; quello dei volontari della Protezione Civile, poi di una partecipazione molto più «spontanea», spesso di giovanissimi, che affondano gli stivali nel fango e spalano, tirano via melma e detriti. A riprova di quanto molti appartenenti ad una generazione catalizzata dagli smartphone possano strapparsi via dal vortice dello schermo e ritrovare la concretezza della terra e dell’aiuto fisico. Una catena diventata virale, nelle foto che girano sui social e rimbalzano sui giornali. E c’è poi la mobilitazione associativa. Con il mondo del terzo settore, impegnato nella sua molteplice galassia. Poi ci sono le categorie. Confindustria, Cgil, Cisl e Uil lanciano un «Fondo di intervento» in cui verranno destinati contributi volontari dai lavoratori ed una dazione, di pari ammontare, anche dalle imprese. Si è mossa poi la Federazione Italiana Cuochi per assicurare container e mettere in campo la maestria degli chef. L’Ordine dei Farmacisti ha messo in moto la sua macchina organizzativa per compensare le carenze di servizio laddove compromesse dalla calamità.

E ancora, compulsando le notizie, vediamo quanto siano fondamentali le associazioni del comparto agricolo, sia per avere una prima fotografia di massima dei danni, sia (anche in questo caso) per dare aiuto. Per fare qualche esempio, l’Associazione Regionale Allevatori e il Cai, Consorzi Agrari d’Italia, si sono adoperati per la consegna di carburante e mangimi alle aziende che erano rimaste senza. Al di là della retorica che spesso erutta in queste occasioni, c’è una cronaca sostanziale di aiuto vero e indispensabile. Poi c’è un tema di contesto e di prospettiva che dimostra quanto, spesso, in questi anni sono stati compiuti errori. Viviamo l’epoca della frammentazione, di un’apnea digitale che troppo spesso ci ha portato a considerare l’apporto dell’uomo comodamente sostituibile. Nelle emergenze (da quella attuale alle altre calamità, sino al Covid), abbiamo scoperto che non è così. La centralità della persona, come componente di una dimensione collettiva, è ancora fondamentale. Così come lo sono le realtà associative, i corpi intermedi la cui capacità di «fare rete» si è dimostrata decisiva in queste giornate drammatiche.

Spesso, la turbopolitica degli ultimi decenni, quella fondata sulla preponderanza dei leader, sul predominio di suggestioni immediate, e sparse a mezzo social, ha portato a ritenere le istanze (e la portata di queste realtà) come tranquillamente bypassabili. È stato un errore, l’ennesimo, in questa fase storica piena di allucinazioni, in cui ci siamo illusi di poter fare a meno di aggregazioni ispirate da obiettivi o valori comuni. Di poter trasferire sul web gran parte delle relazioni sociali. Ora, quanto accaduto ci richiama alla «terra» e alle mani. E risulta quanto mai attuale quel concetto di «big society» teorizzato dall’ex premier inglese David Cameron, conservatore, ormai qualche lustro fa.

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Governo in confusione e l’altolà dell’Europa

martedì, Maggio 23rd, 2023

Stefano Lepri

Non si poteva trovare simbolo migliore dei guai dell’Italia. Alle prese con il Pnrr rischiamo, come Paese, di mostrarci incapaci di preparare il domani. Le difficoltà a realizzare gli investimenti che più darebbero frutti in futuro sembrano spingere le forze politiche dominanti a preferire meno soldi ma a pronto effetto. Eppure, proprio queste difficoltà ci indicano dove occorrerebbe innovare.

L’Europa offre un sacco di soldi per dare alla nostra economia una spinta che duri negli anni, e che dunque eviti all’Italia di perdere altro terreno nel mondo. Ora si scopre non solo che quei soldi faticheremo a spenderli, o che rischiamo di dedicarli a opere poco utili; si scopre perfino che dubitiamo dell’idea stessa di investimento, ovvero costruire qualcosa che sia utile poi. Avremmo la possibilità di prospettarci traguardi ambiziosi, tipo infrastrutture e servizi al livello dei Paesi più avanzati; ma non si smuovono strutture pubbliche inefficienti perché paralizzate da conflitti e veti reciproci di mille piccoli poteri litigiosi e invidiosi, più ancora che dalle scarse capacità di uffici dove per anni non si sono assunte persone competenti e capaci.

Tutto ciò che non marcia nell’attuazione del Piano conferma l’urgenza delle riforme che secondo gli accordi europei ne sono parte essenziale, e casomai segnala che ne occorrerebbero di più incisive. Ma proprio di riforme – burocrazia, giustizia, concorrenza, la lista è nota – si sente parlare pochissimo, né si intravedono novità. Sono intasati i canali attraverso i quali la politica dovrebbe raccogliere le esigenze dei cittadini. Erano stati inseriti nel Piano gli stadi di Venezia e di Firenze, non c’erano invece abbastanza residenze per studenti universitari, quelle che ora reclamano ragazze e ragazzi attendati in svariate piazze: quando appunto l’Italia ha meno laureati di tutti gli altri Paesi d’Europa. Investire sul futuro non è solo costruire opere che migliorino città e comunicazioni, è preparare meglio i giovani. Però i maggiori finanziamenti per la ricerca universitaria rischiano di disperdersi nelle scelte piccine di cerchie accademiche chiuse. Né ci si domanda come mai nei confronti internazionali vadano bene i bimbi delle elementari, appaiano in ritardo i ragazzi delle superiori.

Se le amministrazioni pubbliche sono lente ad agire, non è di per sé una cattiva idea dare più spazio al settore privato. Ma per che cosa? Da trent’anni, fin da quando non colsero l’occasione storica offerta dallo smobilizzo dell’industria di Stato, le nostre imprese private si sono mostrate poco ardite nell’innovazione, e in media hanno investito meno delle concorrenti. Occorrerebbe concentrare gli sforzi su investimenti di valido contenuto. Non serve distribuire a pioggia; né gli altri governi ci permetterebbero di destinare le risorse dell’Europa a sussidi per far meglio competere le aziende nostre con le loro. Va detto poi che le aziende italiane più dinamiche sono, quasi sempre, quelle che hanno avuto poco a che fare con il denaro pubblico.

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Guerra Russia-Ucraina, la Russia sotto attacco a Belgorod: incursione dall’Ucraina. Quattro droni kamikaze russi abbattuti da Kiev. Mosca attiva il regime anti-terrorismo

martedì, Maggio 23rd, 2023

a cura della redazione

La Russia ha deciso di instaurare un «regime legale di zona di operazione antiterrorismo» nella regione di Belgorod, al confine con l’Ucraina, dopo che è stata effettuata un’incursione armata da parte di quelli che secondo Mosca sono «sabotatori» ucraini. Secondo il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, «Lo scopo del sabotaggio ucraino nella regione di Belgorod è quello di distogliere l’attenzione dalla situazione nella direzione di Bakhmut».

Attacco nella regione russa di Belgorod, il governatore accusa sabotatori ucraini ma Kyev replica: “Sono partigiani russi”

L’incursione, che prosegue, è stata rivendicata da due organizzazioni armate di russi più o meno inquadrati nelle file dell’esercito ucraino e delle quali non si sa molto: la Legione Libertà per la Russia e il gruppo di estrema destra Corpo dei Volontari russi. Sembra che l’estate scorsa le due milizie abbiano stretto un patto con un terzo gruppo armato, l’Esercito repubblicano nazionale, e che abbiano chiesto di rappresentarli presso gli Stati stranieri all’ex deputato russo Ilya Ponomarev, emigrato a Kiev fin dal 2019 e diventato cittadino ucraino.

Cannes, donna vestita con i colori dell’Ucraina si cosparge di sangue finto: il gesto sulla scalinata del Palais

Quest’ultimo, tuttavia, non ha mai ammesso apertamente di essere coinvolto in questa attività se si esclude la lettura, nell’agosto dello scorso anno, di un comunicato in cui l’Esercito repubblicano nazionale rivendicava l’uccisione in un attentato alle porte di Mosca di Darya Dugina, figlia del filosofo nazionalista Alexander Dugin. Il Corpo dei Volontari russi, invece, aveva rivendicato anche un’incursione nella provincia russa di Bryansk all’inizio di marzo.

Un raid russo nel frattempo ha danneggiato la rete elettrica della centrale nucleare di Zaporizhzhia. Dopo qualche ora la corrente è stata ripristinata ma il direttore dell’Aiea Grossi ha ammonito: «La situazione nella centrale non può andare avanti così».

Cosa è successo ieri, 22 maggio 08:55

Estonia: dare 1 milione di munizioni a Kiev è ancora possibile, ma serve accordo politico. Tutti i Paesi piazzino gli ordini

“Il milione di munizioni all’Ucraina entro il prossimo marzo è un obiettivo realistico, è possibile farlo, ma oggi ci vuole un impegno politico al Consiglio, ogni Paese deve piazzare gli ordini alle aziende, e probabilmente mettere soldi freschi sul tavolo, specialmente se si paragona quanto fatto per la crisi del Covid e i sussidi all’energia”. Lo ha detto Hanno Pevkur, ministro della difesa estone, arrivando al Consiglio Difesa. 08:48

Gb: i partigiani hanno attaccato 3 volte la regione di Belgorod tra venerdì scorso e ieri

Le forze di sicurezza russe si sono scontrate con tutta probabilità con gruppi di partigiani in almeno tre località della regione russa di Belgorod, vicino al confine con l’Ucraina, tra venerdì scorso e ieri: lo scrive il ministero della Difesa britannico nel suo aggiornamento quotidiano di intelligence. L’identità dei partigiani non è stata confermata, ricorda il rapporto pubblicato su Twitter, ma i gruppi anti-regime russi ne hanno rivendicato la responsabilità. L’incidente più grave è avvenuto vicino a Grayvoran, commentano gli esperti di Londra, sottolineando che oltre agli scontri a fuoco con armi di piccolo calibro si è registrato un aumento degli attacchi con droni. Le autorità hanno evacuato diversi villaggi e hanno dispiegato ulteriori forze di sicurezza nell’area. Mosca sta affrontando così una minaccia sempre più grave alla sicurezza nelle sue regioni di confine, con perdite di aerei da combattimento, attacchi con ordigni esplosivi improvvisati alle linee ferroviarie e azioni partigiane dirette, prosegue il rapporto osservando che quasi certamente la Russia userà questi incidenti per sostenere la narrazione ufficiale secondo cui è la vittima della guerra. 08:36

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Alluvione, oggi in Cdm 300 milioni dal governo

martedì, Maggio 23rd, 2023

FRANCESCO OLIVO

Una lotteria, le aste di auto sequestrate alla criminalità, persino dei francobolli con il sovrapprezzo. Il governo cerca fondi per tamponare i disastri provocati dall’acqua e dal fango in Emilia-Romagna (e nella parte settentrionale delle Marche). L’esercizio della fantasia di tecnici e ministri rivela una difficoltà oggettiva nel trovare i soldi. I primi stanziamenti non sono ancora stati quantificati, le cifre hanno continuato a ballare per tutta la giornata di ieri. Sul tavolo del Consiglio dei ministri di oggi, in programma alle 11, ci saranno sicuramente i cento milioni stanziati dal ministero dell’Agricoltura, guidato da Francesco Lollobrigida. Poi ne arriveranno altri. A Palazzo Chigi si calcola possano essere ulteriori 200 o forse 300 milioni di euro, dal fondo per le emergenze. Tutti sanno che si tratta di misure assolutamente insufficienti, Lollobrigida lo ha detto apertamente, e le aspettative più grandi per colmare il divario vengono riposte nell’Ue, e in particolare il Fondo di solidarietà europea. La speranza del ministero dell’Economia è quella di poter utilizzare anche una parte dei soldi non impegnati del Pnrr, dirottandoli nel capitolo del dissesto idrogeologico.

La Regione Emilia-Romagna sta provando a fare i calcoli e pur essendo, per forza di cosa, parziali lasciano intendere la vastità del dramma: cento Comuni, 43 colpiti dalle alluvioni, 53 dalle frane in montagna e collina, e nell’area intorno a Ravenna sono più di 3.000 gli edifici interessati. Totale, provvisorio: non meno di sei miliardi.

Al di là delle cifre, c’è una questione politica che sta occupando le forze di maggioranza: la scelta del commissario. Chi sarà a gestire l’emergenza? Parte del governo, a cominciare da Giorgia Meloni, insiste: dovrà essere Stefano Bonaccini. Coinvolgere il presidente della Regione Emilia-Romagna viene considerato naturale, intanto per lo spirito di collaborazione mostrato, persino esibito, dal governatore in questi giorni, ma anche per condividere il peso di questa situazione con un dirigente di peso del Partito democratico.

La linea di Palazzo Chigi, però, viene contestata dalla Lega, «a noi Bonaccini non va bene», spiegano fonti vicine a Matteo Salvini, contrario sia alla prospettiva che l’incarico del governatore sia quello di commissario all’emergenza e a maggior ragione che il compito si estenda alla ricostruzione. Il presidente dell’Emilia Romagna non ha parlato di questo con Giorgia Meloni durante il colloquio in prefettura a Ravenna di domenica scorsa. E un nuovo incontro tra i due è previsto oggi a Palazzo Chigi, al termine del Consiglio dei ministri, alla presenza dei ministri interessati dal dossier e da rappresentanti delle parti sociali del territorio. La nomina a commissario per l’emergenza viene data per probabile da fonti dell’esecutivo.

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Revisione del Pnrr, il governo si spacca. Salvini a Fitto: “Non rinuncio a un euro”

martedì, Maggio 23rd, 2023

Luca Monticelli

ROMA. «Il Piano nazionale di ripresa e resilienza va smantellato». La rivoluzione annunciata dal ministro Raffaele Fitto, che il governo conta di chiudere con la Commissione europea entro la fine di agosto, agita il governo. «Nessuna rinuncia ad alcun progetto, vogliamo spendere tutti i fondi», alza la voce il vicepremier e numero uno alle Infrastrutture e Trasporti, Matteo Salvini, sorpreso dall’idea di Fitto che ieri a questo giornale ha raccontato di voler cambiare «profondamente gli obiettivi previsti due anni fa e ormai superati dagli eventi». Fitto considera «gran parte del Pnrr non spendibile», perciò l’esecutivo sta immaginando «un definanziamento di una serie di interventi non strategici su cui c’è la certezza che non si realizzeranno». Secondo il responsabile degli Affari europei le grandi opere dovranno essere tagliate del 30% e occorre anche una riflessione sulle piccole, perché «la polverizzazione in decine di migliaia di progetti» è irrealistica. Giugno 2026, la data limite per gli investimenti, «sembra lontana ma è vicinissima». Dopo aver letto La Stampa di lunedì, Salvini ha parlato con l’esponente di Fratelli d’Italia: «L’obiettivo per quel che riguarda me e il governo è spendere bene tutti i fondi del Piano, soprattutto quelli per le infrastrutture perché abbiamo un gap con altri Paesi europei che dobbiamo colmare. Quindi – sottolinea il segretario della Lega – non è assolutamente in agenda né la restituzione dei soldi né la loro mancata spesa, al massimo si possono rimodulare alcune voci». Salvini ricorda di avere «in portafoglio 40 miliardi di euro da mettere a terra per modernizzare e garantire in sicurezza le infrastrutture, ma se me ne danno di più per l’emergenza idrica per fare dighe e invasi, li spendo».

Fitto sostiene che nell’articolo di ieri siano state riportate «frasi e sintesi» che non ha pronunciato, ma La Stampa conferma ogni parola del colloquio che si è svolto a Modena, a margine del Festival della giustizia penale.

Il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, collega di partito di Fitto, prova a difenderlo: «È stato frainteso», e critica il piano di Mario Draghi: «Quello che è stato fatto in questo Paese lo conoscono tutti, quando furono chieste il massimo delle risorse a debito, quando furono presentati i progetti in pochi giorni, uno accatastato all’altro. Alcuni sono già stati bocciati, pensiamo agli stadi. Non faremo gli stessi errori che hanno fatto i governi precedenti: noi andremo al confronto con Bruxelles preparati e responsabili». Urso assicura che il governo Meloni non voglia smantellare il Pnrr: «Abbiamo sempre ribadito che vogliamo rivedere le risorse destinate ai singoli capitoli per utilizzarle al meglio, per progetti che siano realmente cantierabili nei tempi e nei modi richiesti dalla Commissione europea».

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Baiardo, l’uomo dei misteri

martedì, Maggio 23rd, 2023

Enrico Deaglio

Questo Baiardo comincia a diventare stucchevole, oltreché losco: rivela, minaccia, confida, prevede, allude, chiede soldi; non sembra aver paura, né che gli tappino la bocca i suoi vecchi sodali, né che qualche giudice gli metta le manette (e, francamente, non si capisce il perché non lo facciano). Si capisce perché la trasmissione di Giletti su La 7 sia stata chiusa – l’editore non voleva finire nei guai -, si capisce meno perché la Rai abbia mandato in onda ieri sera un’ennesima puntata della saga del gelataio, in cui Baiardo rivela che l’ormai famosa foto (virtuale) del trio Berlusconi – Graviano – Generale dei CC Delfino, seduti tranquilli al bar della piazza di Orta San Giulio, sono non una, ma tre e che le ha scattate lui. A poco sono servite le proteste dei legali e della famiglia Berlusconi, per l’infamia che sottendono; se La 7 si è ritirata dallo show, la Rai insiste; e io non riesco veramente a capire il perché. Né, di nuovo, capisco perché carabinieri o magistrati lascino libero Baiardo di imperversare, da sei mesi. Forse pensano di risalire attraverso di lui ai suoi mandanti?

O forse pensano di lasciar passare senza troppi colpi di scena, l’anniversario della strage di Capaci, il trentunesimo per l’esattezza: un altro secolo, un’altra vita, un’altra generazione.

O forse c’è – intorno a Baiardo – qualcosa di indecoroso e di indicibile.

Nelle righe che seguono vi propongo di riconsiderare una sequela di eventi, la maggior parte dimenticati, che formano una possibile narrazione, come si dice ora.

Dunque, nel 1992, Giuseppe Graviano, boss palermitano semi sconosciuto, ma in realtà molto ricco, molto potente e molto protetto, conduce una latitanza dorata e senza problemi di sicurezza tra il paese di Omegna e Milano, dove ha “nella sua disponibilità”, un appartamento a Milano 3, la creatura di Berlusconi, con cui, dice lui, è in rapporti di affari (affari molti seri). Ad Omegna è invece è Salvatore Baiardo, un affiliato al clan, a fargli da segretario e autista tuttofare. Il generale dei carabinieri Francesco Delfino, dopo anni passati a Miano ad occuparsi di sequestri di persona (il suo reparto, piuttosto che “La Benemerita” era chiamato “La Benestante”, perché il generale, quando liberava un rapito, lo convinceva a ringraziare l’Arma). Delfino conosceva Berlusconi? Non c’è prova, ma è probabile, di certo pescò tra i carabinieri gli uomini per la sicurezza privata della sua famiglia. Delfino conosceva Graviano? Sicuramente, in quanto Graviano gli fece fare “il colpo del secolo”, con l’arresto dell’autista di Riina, nel paese di Borgomanero, a pochi chilometri da Orta. Non solo, ma Delfino si premurò di avvertire, sei mesi prima del fatto, politici potenti che sarebbe stato lui ad arrestare Riina. Giuseppe Graviano, tre anni fa, pubblicamente rivelerà di conoscere Delfino e si vanterà di aver fatto un servizio allo Stato contribuendo alla cattura di Riina. (E’ un argomento che il generale Mario Mori, uscito indenne dopo un ventennio dal famoso processo trattativa, non ama affrontare. Il merito tocca a lui. Delfino non ribatte, perché è morto, in disgrazia peraltro).

Dunque, sicuramente la notizia della foto che ritrae il trio è falsa, ma naturalmente è verosimile; siamo insomma nella situazione peggiore.

Ma torniamo al nostro gelataio. Salvatore Baiardo il 27 gennaio 1994 accompagna con la sua Mercedes 190 i Graviano Giuseppe e Filippo da Omegna a Milano. I due, le loro fidanzate e altri amici palermitani, vengono arrestati la sera mentre mangiano al ristorante. Ma nessuno trova loro le chiavi di casa, né di Omegna, né di Milano Tre. In sostanza, un po’ come era successo per la casa di Riina a Palermo, nessuno tocca le sue cose, i suoi documenti, i suoi effetti personali, i suoi soldi o i suoi telefoni. Salvatore Baiardo sarà arrestato più di un anno dopo e accusato di reati gravissimi: avrebbe organizzato la logistica dell’attentato degli Uffizi a Firenze, organizzato un imponente riciclaggio di denaro per contro dei Graviano. È verosimile che Baiardo abbia preso in consegna gli effetti personali dei fratelli Graviano? Sì.

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Lo Stato, l’autonomia, le Regioni e un bilancio da fare

martedì, Maggio 23rd, 2023

di Ernesto Galli della Loggia

Non ho mai conosciuto qualcuno che, nato a Roma, non si dicesse «romano» ma «laziale» (che semmai, come si sa, oggi significa perlopiù uno che tifa per la squadra di Ciro Immobile). Egualmente, mai ho sentito un napoletano presentarsi come «un campano» o qualcuno nato a Torino dirsi di primo acchito piemontese invece che torinese. Anche di chi sia nato alla Giudecca scommetterei quello che volete che non gli verrebbe mai in mente di non dirsi veneziano ma «veneto».

Scrivo questo per sottolineare quanto dovrebbe essere noto a tutti: e cioè che storicamente in Italia l’identità cittadina è sempre stata estremamente più forte di quella regionale. «L’Italia è un Paese di città» diceva Carlo Cattaneo: di città con intorno il proprio contado (cioè la provincia). Pochi sanno che in qualche caso i confini e le denominazioni regionali oggi in uso furono addirittura letteralmente inventati subito dopo l’Unità per pure ragioni statistiche.

Anche al momento di scrivere la Costituzione l’istituzione di un ordinamento regionale fu voluta solo dai cattolici in omaggio alla loro antica diffidenza verso lo Stato unitario, e alla fine accettata più o meno malvolentieri anche dagli altri costituenti ma solo come una generica istanza di decentramento di tipo amministrativo. Nulla di più.

Tuttavia, negli anni ‘90 del secolo sorso, in coincidenza con la disintegrazione della Dc e con la crisi della prima Repubblica, una significativa richiesta regionalista — talvolta con un esplicito sottinteso federalista se non addirittura secessionista — emerse nel nord e specialmente nel nord-est del Paese. Fu, come si sa, l’inizio della battaglia della Lega. A proposito della quale va considerato, tuttavia, che dal 1989 ad oggi in nessun turno di elezioni politiche o regionali la Lega stessa ha mai superato a livello nazionale il 20 per cento dei voti, e in trent’anni solamente tre volte essa è riuscita ad andare oltre il 10 per cento (alle politiche del ’96 con il 10,7; alle regionali del 2010 con il 12,28; alle politiche del 2018 con il 17,37). A riprova del consenso evidentemente minoritario che presso l’opinione pubblica ha sempre riscosso e continua a riscuotere quello che è il suo principale tema identitario.

Ancora più strabiliante quindi (in realtà fu un disperato tentativo di togliere comunque voti al centro destra nelle imminenti elezioni politiche) appare la svolta decisa nel 2001 sulla base di una risicatissima maggioranza, dal governo Amato sostenuto dalla sinistra, in particolare dai diesse guidati da Walter Veltroni. Si tratta della svolta che ha riformato il titolo V della Costituzione stravolgendo l’impianto originario del regionalismo. Innanzi tutto attribuendo tanto allo Stato che ai Comuni, alle Città metropolitane, alle Province e alle Regioni il medesimo rango in quanto elementi costitutivi della Repubblica. Il che ha voluto dire che tutti quegli enti substatali hanno perso la loro precedente connotazione di stampo prevalentemente territoriale per diventare, viceversa, attori di primaria importanza nella definizione dell’attività normativa generale, in certi casi anche internazionale, del Paese.

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