Archive for Giugno, 2023

Gli ex parlamentari 5S furiosi. Conte non li ha più assunti

domenica, Giugno 4th, 2023

Domenico Di Sanzo

Avevano già prenotato il biglietto di ritorno per il Palazzo, ma nel M5s l’imprevisto è sempre dietro l’angolo. Parliamo di deputati, senatori ed ex ministri, che erano convinti di avere in tasca un posto nei gruppi parlamentari grillini non appena sarebbe partita la nuova legislatura. E che ora, a quasi otto mesi di distanza dal debutto delle nuove Camere, sono ancora nel limbo, in attesa di una chiamata da parte di Giuseppe Conte.

Sì perché era stato proprio l’ex premier a promettere solennemente a un pugno di trombati il passe-partout per un altro giro di giostra a Montecitorio o a Palazzo Madama. In posizione defilata, certo, da dipendenti dei gruppi di Camera e Senato, eppure ancora nel giro che conta. Solo che, come spesso accade nei fatti che riguardano il Movimento, ci si sono messi di mezzo i soldi. E le rassicurazioni di Conte si sono rivelate promesse da marinaio. Le casse del partito languono e i fondi dei gruppi parlamentari si sono assottigliati perché il numero degli eletti è nettamente inferiore a quello della scorsa legislatura. Così soltanto in pochi tra gli ex sono riusciti a staccare un ticket per lavorare a Palazzo. I nomi più noti sono sicuramente Vito Crimi e Paola Taverna, da subito a libro paga di senatori e deputati M5s. Poi sono entrati gli ex sottosegretari Carlo Sibilia e Vittorio Ferraresi, quindi l’ex deputata Giulia Sarti.

Però a un certo punto il flusso si è interrotto. E qualcuno a cui era stato promesso un posto è rimasto a piedi. Come l’ex ministra per la Pubblica Amministrazione e per le Politiche Giovanili Fabiana Dadone. A dicembre per lei sembrava fatta. La trattativa tra Dadone e i vertici del M5s per un incarico negli Staff dei gruppi parlamentari era in fase avanzata. Ma a un certo punto qualcosa si è inceppato e l’ex ministra dei governi Conte e Draghi è stata messa in standby. «Lei è una delle più arrabbiate con Conte», svelena un deputato pentastellato su un divanetto del Transatlantico. Difficile rientrare dalla finestra, anche per un’esponente storica dei Cinque Stelle, promossa per ben due volte al governo del Paese. Bisogna aspettare, perché il M5s naviga in cattive acque ed è a rischio perfino il sostanzioso contratto di consulenza di Beppe Grillo, 300mila euro all’anno. Potrebbero essere ritoccati al ribasso anche i compensi di Crimi e Taverna, che ora guadagnano 70mila euro annui. «Non capisco perché un ex ministro come la Dadone e un ex vicepresidente del Senato come la Taverna ambiscano ad andare a lavorare negli Staff dei gruppi parlamentari, potrebbero fare altro, dopo aver ricoperto cariche così importanti», ragiona un altro parlamentare del M5s. Tra gli scontenti che non sono ancora stati chiamati a lavorare in Parlamento c’è pure l’ex deputato lombardo Davide Tripiedi, un altro nome in lizza per un posto alla Camera o al Senato. Delusi anche gli ex Gianluca Castaldi, Daniele Pesco e Rossella Accoto, che erano pronti perfino ad aprire una società di consulenza autonoma per collaboratore con i nuovi deputati e senatori. «Sono furiosi», è la voce che arriva dal corpaccione degli eletti grillini.

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Scontro con l’Ue: come farsi male da soli

domenica, Giugno 4th, 2023

Stefano Lepri

Insomma: come farsi male da soli. La spropositata reazione del governo a un semplice portavoce della Commissione europea trasforma in pubblica lite parole che altrimenti sarebbero passate inosservate. Di certo l’Italia non ricaverà alcun vantaggio: la diffidenza delle altre capitali del continente non potrà che accentuarsi.

I fatti sono che con il Pnrr l’Italia riceverà parte in regalo (sì, in regalo), parte in prestito, una somma enorme. Saranno oltre 200 miliardi di euro, raccolti sui mercati finanziari da tutta l’Unione. Dunque, è naturale che la Commissione europea si preoccupi di come verranno spesi. Ed è stata proprio la modifica a spron battuto di alcune norme sulla Corte dei Conti ad attirare l’attenzione.

In sé la questione è complicata. Può benissimo essere, come pensano diversi giuristi anche non vicini al governo, che il «controllo concomitante» da parte della Corte dei Conti non sia una buona idea. In passato poi questo organo di controllo nella scoperta di malversazioni non ha gran che brillato. Le sue valutazioni su come lo Stato spende sono spesso carenti di analisi economica.

Però, perché prendersela tanto a cuore? Si può sospettare che questa polemica sul nulla o quasi contro Bruxelles serva a preparare gli animi per divergenze di sostanza che potranno emergere poi; divergenze che forse hanno già fatto capolino nell’incontro fra Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen in Moldavia l’altro giorno.

Già erano un brutto segno gli attacchi concertati che la stampa di destra ha mosso al discorso, ai più parso cauto e rispettoso, del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco. Traspare una viva insofferenza verso tutte le istituzioni indipendenti che fanno parte dello Stato (un giorno toccherà anche alla Corte Costituzionale?) solo perché non si allineano in tutto e per tutto al governo.

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Danilov: «Trattare con Putin? Mai: non potete costringerci a negoziare con Satana»

domenica, Giugno 4th, 2023

di Andrea Nicastro

Il segretario del Consiglio di sicurezza e difesa nazionale ucraino: «La guerra nucleare? La bomba atomica vada a farsi fottere. Moli russi passeggiano ancora per Venezia, Firenze, Roma. E la posizione della Chiesa è strana»

Danilov: «Trattare con Putin? Mai: non potete costringerci a negoziare con Satana»

DAL NOSTRO INVIATO
KIEV — Oleksiy Danilov, segretario del Consiglio di sicurezza e difesa nazionale ucraino, è uno degli uomini più duri che guidano il Paese. In questa intervista non si trattiene: parolacce contro Putin, dito medio alla minaccia atomica e nessuna concessione ad un risultato finale che non sia la vittoria. Se la prende con la Chiesa, con «quei cardinali che attraverso il Papa vogliono influenzarci» e con gli occidentali «che ancora fanno affari con Mosca, che mettono il denaro davanti alla vita e alla libertà». «Non fosse per noi — dice — a quest’ora il nuovo Hitler che si chiama Putin sarebbe arrivato a Varsavia».

Danilov, lei ha le stesse informazioni militari del presidente Zelensky e del capo di Stato Maggiore Zaluzhny. Siete voi a decidere. Perché l’annunciata controffensiva non parte?
«Stamattina abbiamo tenuto l’83esima riunione del Consiglio di difesa dall’inizio dell’invasione. Chi è fuori da questo gruppo non può fissare date, fare ipotesi, annunci. Siamo noi, con calma, a scegliere che fare».

Ma proprio voi avete annunciato la controffensiva.
«Sbagliato, noi non diamo appuntamenti al nemico. Noi siamo pronti, questo sì, ma agiremo nel momento migliore».

Quali dovranno essere le condizioni?
«Le posso dire la strategia: liberare i territori occupati e tornare ai confini del 1991. La tattica si aggiusta di volta in volta».

E perché adesso siete pronti al contrattacco?
«Perché dal 24 febbraio del 2022 ad oggi è cambiato tutto. La maggior parte del mondo ha capito che la Russia non ha il secondo esercito del pianeta, non fa neppure parte della società civile e ha un presidente che ordina di uccidere i bambini. Cinquecento bambini. Vinceremo e lo porteremo ad un tribunale per crimini di guerra».

Totale riconquista e Putin in tribunale. Non crede sia più saggio trattare?
«Volete che ci arrendiamo? So che ci sono politici italiani che continuano a dialogare col diavolo di oggi, Putin. Piuttosto dite pubblicamente che lo sostenete. In Italia avete anche la strana posizione della Chiesa. Che Chiesa è quella che preferisce gli assassini di bambini? Se la Chiesa ritiene giusto accettare le condizioni di Satana, allora capisco, ma non credo».

Lei conosce già l’obiezione: negoziando si evitano altri morti.
«Stop. La gente ha paura a dare il giusto nome alle cose e perde il senso della realtà. Voi lo chiamate Putin, ma il suo nome è Satana. Se uno porta il crocefisso al collo va a benedire il diavolo? Quali leggi divine permettono di uccidere i bambini? Noi non vogliamo il russifascismo perché abbiamo imparato la lezione della storia. Non dovete spingerci o insistere. Devono ritirarsi e basta. Questa è casa nostra».

Anche a costo di migliaia di vite? Anche con l’atomica?
«La Bomba vada a farsi fottere. Se dovessimo spaventarci, vorrebbe dire che solo i Paesi con l’atomica possono difendersi. E’ questo che volete? Noi no, non ci pieghiamo».

Meglio i 60 milioni di morti della seconda Guerra Mondiale?
«Qui sta l’errore. L’1 settembre 1939 Hitler ha invaso la Polonia. Andava fermato allora, ma tutti hanno avuto paura. Il 24 febbraio 2022 è successo lo stesso solo che il nuovo Hitler ha trovato davanti noi. E invece di occupare l’Ucraina in tre giorni, è stato fermato e perderà. Potete aiutarci? Fatelo».

L’Occidente non fa abbastanza?
«Tanti amici ci aiutano, compresa l’Italia, che noi ringraziamo infinitamente, ma si può fare di più».

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Egemonia di potere

domenica, Giugno 4th, 2023

Giovanni De Luna

La lotta contro l’egemonia culturale della sinistra è un artificio retorico utilizzato dal governo di destra di Giorgia Meloni per nascondere una lucida e determinata corsa all’occupazione dei posti di potere. È una realtà che emerge innanzitutto dalla strumentale retorica vittimaria che accompagna una narrazione nella quale, ad esempio, il grande studioso del fascismo, Renzo De Felice, viene citato come una tra le vittime più illustri dello strapotere culturale esercitato dalla sinistra. Come esempio, però, non è dei migliori. A partire dagli anni ’70 De Felice infatti assunse un ruolo di primissimo piano nella distribuzione delle cattedre universitarie, proiezione accademica del rilievo assunto dalle sue posizioni nel dibattito storiografico sul fascismo. La monumentale biografia di Mussolini fu pubblicata da Einaudi, un feudo consolidato della sinistra, mentre la sua celebre intervista sul fascismo, rilasciata a Michael Ledeen, uscì in un libretto da Laterza, altra casa editrice sicuramente di sinistra. La vulgata televisiva sul fascismo (e su Mussolini «che aveva fatto anche cose buone») si fondava in gran parte sulle sue tesi interpretative e, insieme ai suoi allievi, De Felice uscì sostanzialmente vincitore dal conflitto mediatico che allora si scatenò nella grande arena dell’uso pubblico della storia proprio intorno a quelle tesi.

Intendiamoci, De Felice fu un grande studioso e le sue ricerche archivistiche restano ancor oggi un punto fermo. Ma non fu certo una «vittima» e farne il centro di una lamentazione vittimistica e autoconsolatoria della destra è, nei fatti, profondamente sbagliato.

Così come è sbagliato e riduttivo far risalire l’egemonia culturale della sinistra nell’Italia repubblicana (Giordano Bruno Guerri intervistato da Caterina Soffici su La Stampa) a un accordo spartitorio tra De Gasperi e Togliatti (a me la politica a te la cultura). Storicizzando il concetto di egemonia culturale (lo ha fatto Giuliano Ferrara sull’ultimo numero di «Vita e pensiero») si possono infatti distinguere le diverse «fasi» che ne scandiscono il percorso a partire – per quanto riguarda l’Occidente europeo – da quella della Chiesa cattolica messa in crisi dal «secolo dei Lumi» e dall’irruzione della «ragione», in grado allora di soppiantare la «fede» nel cuore e nelle speranze degli uomini e delle donne che abitavano il nostro pianeta. In questo scenario, più che da una grottesca prima edizione del manuale Cencelli, l’egemonia culturale scaturì dalla congiuntura politica segnata dalla fine della seconda guerra mondiale e dalla rovinosa sconfitta militare del fascismo e del nazismo. Con l’esaurirsi della tragica esperienza dei totalitarismi di destra, la prospettiva di poter effettivamente e liberamente partecipare alle decisioni politiche si accompagnò a un tumulto di passioni civili che fecero della democrazia il volano per attivare le energie collettive che si annidavano nelle pieghe più riposte dell’organismo sociale. Fu quella una democrazia in cui il rifiuto della passività della delega e del consenso totalitario fu sorretto da istituzioni animate da una forte carica pedagogica di educazione alla cittadinanza. Era quella una democrazia che rilanciava i progetti dell’artificialismo politico, del dominio dell’homo faber sulla natura e sul mercato, sottraendoli però agli strumenti della dittatura e coniugandoli con inalienabili diritti di libertà. Certamente la sinistra se ne giovò, soprattutto grazie alla sua capacità di proporsi come una sfida al vecchio ordine fondata su una irrefrenabile voglia di futuro, di progetti, di sogni, di utopie.

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Il Pnrr e la «sindrome della caldaia»

domenica, Giugno 4th, 2023

di Federico Fubini

In questo weekend di inizio giugno avrete senz’altro programmi più gradevoli.

Ma prendetevi cinque minuti, se volete, per visitare i siti dedicati al Recovery Plan dall’Italia e dalla Grecia. Il confronto ha senso e non solo perché siamo i due Paesi con il debito pubblico più alto in Europa, destinati a investire ben poco sui nostri obiettivi strategici se non ci fossero i fondi europei. Siamo anche due fra i Paesi per i quali il peso dei prestiti e dei sussidi in arrivo da Bruxelles è maggiore, in proporzione all’economia, dunque due per i quali l’impatto atteso sulla crescita è più alto.

Bene, partite da «Greece 2.0». Non solo il sito sembra aggiornato a ieri, con tutte le informazioni in dettaglio. Soprattutto, per quello che vale, trasmette un senso di entusiasmo. Sembra che i greci ci credano, abbiano voglia di realizzarlo questo piano, di andare avanti. E sarà pure marketing politico, ma nella homepage c’è il premier Kyriakos Mitsotakis fotografato tutto sorridente che stringe la mano della presidente della Commissione Ursula von der Leyen davanti a un cantiere del Piano.

Poi passate su «Italia Domani». Per carità: bello, elegante. Sembra fermo a due anni fa (malgrado gli aggiornamenti, certo). Soprattutto non c’è un volto, non trasmette alcuna sensazione
che sia lì per raccontare delle realizzazioni, tantomeno una svolta. Non dà alcun senso di entusiasmo dell’avere 200 miliardi di euro a condizioni incredibilmente vantaggiose per cambiare l’Italia.

Ogni giorno che passa il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) sembra sempre più qualcosa che ci tocca fare, un’altra medicina dell’Europa da buttare giù, e sempre di meno qualcosa di nostro e nel nostro interesse.

Se questa è l’idea, allora siamo fuori strada. A questo punto forse è anche giusto dirsi che il Pnrr non è un optional. Non è qualcosa che se la facciamo, bene; ma se non la facciamo, si va avanti comunque senza intrusioni europee. Non è affatto detto che abbiamo il lusso di scegliere e che se ce lo perdiamo — anche in parte — almeno ci siamo tolti di torno qualche burocrate di Bruxelles. Non ce l’abbiamo questo lusso perché l’intera traiettoria di crescita dell’economia e sostenibilità del debito pubblico in Italia in questo e nei prossimi anni dipende dalla realizzazione concreta e efficace di quel Piano. Il Documento di economia e finanza del governo prevede da adesso al 2026 una crescita cumulata del 4,9%, sulla quale si imperniano la discesa del debito, il contenimento del costo in interessi e dunque le condizioni a cui prenderanno prestiti le imprese e le famiglie nei prossimi anni. Quel numero — più 4,9% di crescita al 2026 — è il nostro architrave. Ma è appena il caso di aggiungere che due terzi di quella crescita (più 3,2%) vengono dalla totale ed efficace realizzazione del Pnrr secondo le stime, ehm, del sito «Italia Domani».

E non solo non possiamo permetterci il lusso di toglierci di torno questa scocciatura di dover spendere duecento miliardi di euro. Non abbiamo neanche il lusso di usare il Piano come un punching ball per regolamenti di conti politico-amministrativi fra fazioni. L’opposizione che quasi gioisce se qualcosa va storto (o se da Bruxelles arriva qualche proverbiale bacchettata) ma per il resto, per lo più, se ne lava le mani. Il governo che a momenti sembra più impegnato a scaricare il barile su chi lo ha preceduto che a risolvere problemi e dare una visione dei prossimi passi. Una premier che sarà sicuramente impegnata nel Piano, ma all’esterno dà l’impressione di esservi meno coinvolta dei suoi predecessori.

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Il femminicidio di Senago, «Giulia non perdonò i tradimenti di Impagnatiello e voleva abortire, poi andò con lui in vacanza»

domenica, Giugno 4th, 2023

di Cesare Giuzzi

La sorella Chiara Tramontano ai carabinieri: «Per l’interruzione di gravidanza erano trascorsi i termini legali. Disse che sarebbe tornata a Senago in attesa di trovare un’altra soluzione abitativa o di tornare a casa dai genitori»

Senago
La famiglia Tramontano, a destra Giulia 

Quando aveva scoperto a gennaio i tradimenti di Ale, Giulia aveva deciso di abortire. Non voleva che quel barman con la doppia anima fosse il padre del suo bambino. Ma «era al 96esimo giorno di gravidanza», oltre i termini legali che le consentivano l’interruzione. E così Giulia Tramontano aveva scelto di continuare, sperando che con l’arrivo del piccolo Thiago accadesse il miracolo. Che Alessandro Impagnatiello cambiasse, che le sue lusinghe, le sue moine, i suoi «ti amo» fossero davvero sinceri.

Era tornata da lui, anche contro il parere della sorella Chiara, 26 anni, la stessa che nei quattro giorni di scomparsa — da domenica 28 maggio al ritrovamento all’una di notte di giovedì scorso — non ha mai smesso di cercarla disperatamente: «Da quella discussione i rapporti tra noi sorelle si erano leggermente raffreddati», racconta la giovane davanti ai carabinieri che indagano sulla sparizione della sorella. «Io fin dall’inizio non ho mai avuto una grande stima di Alessandro, cosa questa fatta notare anche a Giulia — spiega —. I rapporti tra me e mia sorella rimanevano sempre quotidiani con messaggi o chiamate, ma il 5 aprile io e Giulia abbiamo avuto una discussione perché lei mi diceva che sarebbe andata qualche giorno a Ibiza, insieme ad Alessandro. E io non ero d’accordo». È durante quel viaggio alle Baleari che due fidanzati scattano il selfie incorniciato e appeso nel loro appartamento di via Novella a Senago. La stessa foto di cui parla Impagnatiello nel messaggio-messinscena che manda al cellulare (spento) di Giulia, dopo averla uccisa: «Prima in casa continuavo a guardare la nostra foto di Ibiza che abbiamo fatto il quadro. So che non sono stato un fidanzato ideale negli ultimi mesi».

La sorella, che vive a Genova, rivela ai carabinieri che i problemi nella coppia andavano avanti da mesi: «Da quando Giulia ha iniziato la convivenza, nel febbraio 2021, mi ha sempre confidato che c’erano delle problematiche sentimentali con il compagno perché spesso era assente per lavoro e lei rimaneva a casa da sola». Giulia sospetta qualcosa. Ma non ne è certa.

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Disagi per chi vola, scioperano i controllori di volo dell’Enav. Cosa c’è da sapere

domenica, Giugno 4th, 2023

Disagi per chi viaggia oggi. Il trasporto aereo torna a scioperare con uno stop di 24 ore. Alla manifestazione hanno aderito i lavoratori di numerose compagnie di volo e del comparto aereo, aeroportuale e indotto aeroporti, dei servizi aeroportuali di handling e dei controllori di volo Enav. Le modalità di sciopero variano però da aeroporto e aeroporto e da una compagnia all’altra. Si continua a volare nelle fasce di tutela che vanno dalle 7.00 alle 10 .00 e dalle 18.00 alle 21.00. Dalle società che restano ferme, agli orari fino a come chiedere il rimborso: tutto quello che c’è da sapere.

Le motivazioni dello sciopero
I sindacati incrociano le mani a causa del mancato rinnovo del contratto collettivo nazionale nel settore dell’handling aeroportuale e della situazione dei lavoratori delle varie compagnie aeree. La richiesta è la garanzia di un miglioramento delle condizioni lavorative del personale sia viaggiante che di terra così come dei controllori Enav. Nei prossimi mesi sono già previsti anche altri scioperi aerei per lunedì 19 giugno e martedì 20 giugno e un altro per sabato 15 luglio.

Gli aeroporti e le compagnie che si fermano in Italia
In tutti gli aeroporti italiani scioperano le aziende del trasporto aereo e delle attività aeroportuali dalle ore 00:00 alle ore 23.59; il comparto aereo, aeroportuale e indotto degli aeroporti dalle ore 00.01 alle ore 23.59; le aziende dei servizi aeroportuali di Handling del sindacato Flai Trasporti E Servizi dalle ore 00.01 alle ore 23.59, mentre i sindacati Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti, Ugl Ta dalle 12.00 alle 16.00 per il personale di terra. Dalle 12.00 alle 17.00, ITA Airways ha comunicato la cancellazione di 116 voli tra nazionali e internazionali e di aver attivato «un piano straordinario per limitare i disagi dei passeggeri, riprenotando sui primi voli disponibili il maggior numero possibile di viaggiatori coinvolti nelle cancellazioni” e che “Il 60% riuscirà a volare nella stessa giornata del 4 giugno».

Le compagnie aeree che aderiscono allo sciopero in tutta Italia:
VOLOTEA, Uiltrasporti: intera giornata
EMIRATES, sindacati Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti, Ugl Ta: dalle ore 12.00 alle ore 16.00
VUELING AIRLINES, sindacato Filt Cgil: dalle ore 00.01 alle ore 24.00
AIR DOLOMITI, sindacato Uiltrasporti: dalle ore 00.01 alle ore 24.00 (revocato invece quello indetto dai sindacati Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti dalle ore 00.01 alle ore 24.00)
AMERICAN AIRLINES, sindacati Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti, Ugl Ta: dalle ore 12.00 alle ore 16.00.

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L’attacco del governo ai poteri neutri dello Stato

domenica, Giugno 4th, 2023

MASSIMO GIANNINI

«Pregiudizio non informato» è una formula destinata a passare mestamente alla Storia. Il governo Meloni l’ha usata per respingere puntigliosamente e polemicamente le osservazioni di un portavoce della Commissione europea, colpevole di aver sollevato dubbi totalmente condivisibili sulla scelta di sottrarre alla Corte dei conti il controllo degli atti del Piano italiano di Ripresa e Resilienza. Noi, fino ad ora, eravamo abituati al “consenso informato”, che in medicina regola il rapporto tra medico e paziente e in politica dovrebbe ispirare la leale collaborazione tra le istituzioni. Ora la neo-lingua italiana dei Patrioti liberi e irresponsabili ci propina invece questo “pregiudizio disinformato”, in nome del quale si liquida qualunque organo terzo che osi sollevare dubbi scomodi, formulare critiche fastidiose, suggerire soluzioni sgradite. Teniamolo a mente, per capire il piano inclinato su cui rischia di scivolare la nostra democrazia (il)liberale.

Era dai tempi dei governi Berlusconi e Renzi che Palazzo Chigi non rispondeva con una nota ufficiale così aspra e così lunga a un semplice funzionario di Bruxelles. Un cannone che spara a un passerotto: c’è da chiedersi il perché di tanto arrogante autolesionismo. I manganelli della destra mediatica colpiscono compatti, debitamente ispirati dai rispettivi danti causa di Palazzo: ribelliamoci – gridano – perché è già partita la campagna elettorale per le europee 2024, e le nomenklature comunitarie vogliono affogare nella stessa tinozza del disonore l’Italia di Giorgia, l’Ungheria di Orban e tutti i satelliti di Visegrad. È la solita sindrome del complotto, verrebbe da dire. Certo, quella non manca mai, quando si ha a che fare con gli underdog allevati tra la “meglio gioventù” del Movimento sociale italiano.

Ma ho il sospetto che qui ci sia di più. È difficile accreditare l’dea che l’Europa già tornata Matrigna stia muovendo le sue truppe cammellate contro le Sorelle e i Fratelli d’Italia, solo perché un portavoce di Palais Berlaymont ha detto l’ovvio. Cioè quello che da giorni ribadiscono tutti gli osservatori e interlocutori istituzionali chiamati a giudicare lo stato di attuazione del Pnrr italiano. Siamo in ritardo. Lo dice il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, che aggiunge “non c’è tempo da perdere”, perché il Piano è “uno snodo cruciale” per agevolare la trasformazione della nostra economia e rappresenta “un raro tentativo di definire una visione strategica per il Paese”. Lo ribadisce il commissario Ue Paolo Gentiloni, che al Festival dell’Economia di Torino conferma tuttavia l’assoluta disponibilità della Commissione a concordare insieme al governo italiano le eventuali modifiche, purché si faccia in fretta, perché c’è il rischio di far slittare la terza rata di fondi all’autunno, e di perdere la quarta entro fine anno.

Perché siamo in ritardo? Ci sono ovviamente problemi strutturali, che riguardano i mali atavici del Burosauro tricolore: gli enti locali hanno scarsa capacità progettuale, i general contractor per quanto si sforzino non tirano fondi a sufficienza, la macchina amministrativa ha ingranaggi lenti, farraginosi, arrugginiti. Ma ci sono sicuramente problemi politici, che dipendono dalle scelte del governo: il trasferimento delle competenze all’unità di missione di Palazzo Chigi deciso da Meloni ha deresponsabilizzato la catena di comando, e in affanno com’è non ha impresso alle procedure attuative l’accelerazione sperata.

Ma adesso non è facendo fuori la Corte dei conti che riusciremo a recuperare il tempo perduto. E anche questo lo sostengono più o meno tutti (a parte qualche costituzionalista di complemento, folgorato sulla Via della Garbatella). Non è impedendo alla magistratura contabile di fare il suo lavoro che sveltiremo le pratiche e sbloccheremo i bandi di gara. Intanto, come chiarisce lo stesso Gentiloni, perché alla trasparenza degli atti devono sovrintendere le autorità italiane, e non certo quelle europee. E poi, come avverte oggi il Procuratore Nazionale Antimafia Giovanni Melillo nell’intervista concessa a Donatella Stasio per La Stampa, perché sull’altare della velocità non si può sacrificare la legalità. Di tutto questo sarebbe stato bello poter ragionare con Raffaele Fitto, che proprio ieri era atteso a Palazzo Carignano, per un dibattito pubblico all’interno dello stesso Festival dell’Economia. Purtroppo – a conferma della palese idiosincrasia degli esponenti di questo esecutivo al confronto con qualunque “agorà” diversa dagli studi del Tg1 o dai salotti di Porta a Porta – il ministro competente ha declinato l’invito all’ultimo momento. “Importanti impegni sopravvenuti”, recita la mail della sua segreteria. Forse un convegno sulla figura di Venner patrocinato dal noto “Istituto Iliade”? O magari una tavola rotonda su De Benoist organizzato da “Nazione Futura”? Chissà.

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Bus travolge due auto e finisce in una scarpata sull’autostrada A16, un morto e 14 feriti

domenica, Giugno 4th, 2023

di Felice Naddeo

L’incidente alle 4 nel comune di Vallesaccarda in provincia di Avellino. Il mezzo di linea Flixbus era partito da Lecce e diretto a Roma. Coinvolte altre tre autovetture

Bus travolge due auto e finisce in una scarpata sull'autostrada A16, un morto e 14 feriti

Un bus di linea della Flixbus si è ribaltato ed è finito in una scarpata, questa mattina alle 4 sull’autostrada A16 Napoli-Canosa nel territorio del comune di Vallesaccarda in provincia di  Avellino, dopo aver travolto due autovetture ferme sulla corsia per un violento tamponamento. Poi sono sopraggiunte altre tre autovetture che sono rimaste coinvolte nello schianto. Il bilancio dell’incidente è di un morto e 14 feriti.

Due incidenti

Da un prima ricostruzione, le autovetture occupavano quasi tutta la carreggiata autostradale perché coinvolte in un incidente. In questo impatto è morto sul colpo un automobilista, sbalzato dalla sua vettura a causa dello schianto. Il bus è arrivato qualche minuto dopo sul luogo dell’incidente. Ma l’autista non è riuscito ad evitare lo scontro con le auto. Il mezzo si è ribaltato ed è finito nella scarpata sul lato destro della carreggiata. L’urto è stato attutito dalle piante a bordo strada.

A bordo 38 persone

Il bus, partito da Lecce alle 23 di sabato 3 giugno e diretto a Roma Tiburtina con arrivo programmato alle 7, aveva a bordo 36 passeggeri e due autisti. Sul posto i vigili del fuoco che, con l’ausilio di una autogru, hanno sollevato il mezzo dalla scarpata per verificare se ci fossero altre vittime. Tre dei 14 feriti – due particolarmente gravi – sono stati traportati ad Ariano Irpino, altri tre ad Avellino e otto a Benevento. 

A Grottaminarda

I passeggeri del bus e delle auto coinvolte che non hanno avuto la necessità di ricorrere a particolari cure mediche sono stati ospitati nella palestra comunale di Grottaminarda. Qui i medici li hanno refertati e assistiti. Ma tutti sono in buone condizioni: solo qualcuno ha il collare o delle fasciature. Alle 6.45, è stato riaperto – anche se su una sola carreggiata – il tratto autostradale dell’A16 tra Candela e Grottaminarda che era stato chiuso per l’incidente.

La testimonianza

«Stavano tutti dormendo – ha raccontato uno dei passeggeri del bus, un giovane di Lecce – a svegliarci è stata la violenta frenata e poi il botto, quando ci siano scontrati con le auto, prima di finire nella scarpata». Il giovane, che da Roma poi avrebbe dovuto proseguire il viaggio verso Firenze, ha una forte contusione alla spalle.

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Giovanni Melillo: “Un rischio abolire i controlli sul Pnrr, ne approfittano corrotti e mafiosi”

domenica, Giugno 4th, 2023

Donatella Stasio

Il governo cancella i controlli della Corte dei Conti e vuole eliminare l’abuso d’ufficio? Non è credibile pretendere un passo indietro dei controlli esterni senza, al tempo stesso, rafforzare le linee di controllo interno. Il Pnrr impone rapidità dei processi decisionali? Il dovere di impiegare efficacemente le risorse viaggia con quello di farlo bene, evitando che i soldi si disperdano nei mille rivoli degli abusi e della corruzione o finiscano nelle mani della mafia.

L’attualità irrompe con forza nel grande studio del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, al secondo piano dell’edificio seicentesco di via Giulia, a Roma, che papa Innocenzo X, dopo aver verificato le condizioni disumane delle carceri di Tor di Nona, fece costruire per ospitare le “Carceri nuove”. Lì, l’umanità sarebbe stata al centro del sistema penitenziario. Lì, da poco più di un anno, ha traslocato Giovanni Melillo dalla Procura di Napoli, e al centro della sua nuova funzione c’è una parola chiave fondamentale, che poi è una postura, se non un dovere istituzionale: la cooperazione, il coordinamento, la leale collaborazione. Anzitutto tra uffici giudiziari ma anche con altre istituzioni. «Oggi più che mai – dice – c’è bisogno di una forte coesione istituzionale e politica per affrontare le nuove sfide del terrorismo e della criminalità organizzata». Ed è questa la chiave – collaborazione e non contrapposizione – con cui Melillo invita a leggere anche i “famigerati” controlli – penali, di organi di garanzia o di autorità indipendenti – che il governo vive invece come “lacci e lacciuoli”.

Signor procuratore, “lacci e lacciuoli” è l’espressione usata per definire il controllo concomitante della Corte dei Conti sul Pnrr, infatti cancellato. La vicenda tradisce una sorta di insofferenza a qualunque intervento esterno che intralci l’azione di governo. Lei che idea si è fatto?
«La stessa che ho recentemente espresso dinanzi alla Commissione Giustizia della Camera, a proposito dei disegni di legge volti a cancellare o modificare le norme in materia di abuso d’ufficio. In generale, considero legittima ogni discussione sull’opportunità di definire meglio i rapporti tra la sfera decisionale politico- amministrativa e le relative forme di sindacato giurisdizionale o comunque indipendente. Tuttavia, personalmente tendo a considerare la rivendicazione di un primato dei poteri discrezionali propri della pubblica amministrazione tanto più credibile se alla richiesta di arretramento dei controlli esterni si accompagna un deciso rafforzamento delle linee di controllo interne alla pubblica amministrazione. Ma non mi pare che di ciò ci sia traccia significativa nella storia, soprattutto recente, della regolazione di quelle funzioni pubbliche. E anche questo, forse, concorre ad alimentare una spirale polemica senza fine, ma anche un’idea di efficienza dell’azione amministrativa nutrita di sospetti verso doverose funzioni di controllo».

Così, però, si sta muovendo il governo, anche sull’abuso d’ufficio: ora si parla di una riforma generale dei reati contro la pubblica amministrazione ma non una parola sui controlli interni. Può funzionare?
«È possibile tentare di raggiungere un maggiore equilibrio del sistema dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, ma mi piacerebbe che questa discussione riguardasse anche le lacune normative che ostacolano le indagini, come quelle rivelatesi nella disordinata stagione del massiccio ricorso ai finanziamenti edilizi e pandemici».

Restiamo ai controlli sul Pnrr, alcuni cruciali. Ha senso chiederne un allentamento, in generale, per poter spendere quei fondi?
«Per quanto comprenda tutta la serietà della preoccupazione di non rallentare l’impiego di quelle enormi risorse finanziarie, faccio fatica ad accettare una radicale contrapposizione fra la rapidità dei processi decisionali della pubblica amministrazione e la stessa idea di controlli efficaci, poiché i controlli sono parte essenziale dei processi di spesa pubblica. Il Paese ha certo il dovere di impiegare al più presto quelle risorse, ma anche di farlo bene, evitando che esse si disperdano nei mille rivoli degli abusi e della corruzione ovvero finiscano nelle mani della criminalità mafiosa. Se si riflettesse sul fatto che il 70% delle opere pubbliche incompiute si trova nelle regioni meridionali – evidente riflesso, da un lato, di una storica, maggiore debolezza in quelle aree del Paese delle funzioni pubbliche e, dall’altro, della maggiore gravità dei relativi fenomeni criminali – forse si attenuerebbe la contrapposizione polemica fra la necessità di spendere presto e il dovere di farlo anche bene. Diverrebbe magari possibile anche ragionare intorno a un’idea condivisa di controlli non paralizzanti ma sempre rigorosi ed efficienti. E lo dico da magistrato preoccupato anche dal rischio che all’indebolimento dei controlli preventivi segua la drammatizzazione dell’impatto di quelli affidati al giudice penale, con tutto il carico di contrapposizione polemica fra istituzioni della Repubblica che puntualmente ne seguirebbe».

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