Archive for Giugno, 2023

Stati uniti e India: alleanze (e dubbi) americani

sabato, Giugno 24th, 2023

di Federico Rampini

La democrazia più antica, gli Stati Uniti, e la democrazia più grande, l’India: nasce un’alleanza per contrastare la più potente fra le autocrazie, la Cina? È il tema della visita del premier Narendra Modi a Washington, accolto con il massimo onore alla Casa Bianca e al Congresso. L’America vuole attirare l’elefante di Nuova Delhi in una coalizione delle democrazie, lo ha già integrato in una nuova figura geometrica (il Quad o quadrilatero) che include quattro poli di quel dispositivo nell’Asia-Pacifico: India, Giappone e Australia insieme agli Stati Uniti.

Modi governa un gigante che ha superato la Cina per numero di abitanti e il Regno Unito per il Pil. Con una crescita del 6% quest’anno, l’economia indiana punta a futuri sorpassi su Giappone e Germania, a medio termine potrebbe collocarsi nel trio di testa dietro la Cina. È diventata per molte multinazionali la beneficiaria del friend-shoring: la «rilocalizzazione» di attività industriali in Paesi amici, che per l’Amministrazione Biden è la nuova frontiera della globalizzazione, onde ridurre la dipendenza dalla Cina. L’India ha molta strada da fare per essere competitiva con la Repubblica Popolare in ambiti cruciali — infrastrutture, energia, qualità della manodopera operaia, efficienza burocratica — però Modi ha avviato una transizione dallo statalismo dei suoi predecessori verso un’economia più capitalista.

È in politica estera che l’India resiste all’abbraccio americano. Mentre ha un rapporto teso con la Cina, Nuova Delhi è stata a lungo amica dell’Unione sovietica e lo rimane della Russia di Putin. Non condanna l’invasione dell’Ucraina né applica le nostre sanzioni. Mosca è il suo principale fornitore di armi e di energie fossili. Gli accordi per commesse militari siglati a Washington in questi giorni sono significativi ma non tali da spezzare la dipendenza dalle armi russe. L’India è la superpotenza leader del Grande Sud globale (un concetto geopolitico, non geografico). Rifiuta la logica dei blocchi contrapposti. Imputa all’Occidente un manicheismo in politica estera, preferisce vedere il mondo in «cinquanta sfumature di grigio» anziché diviso in buoni e cattivi.

Modi a Washington ha visto in azione quel tipo di manicheismo. Una pattuglia di parlamentari democratici ha disertato il suo discorso al Congresso per protestare contro le violazioni di diritti umani in India. Modi si è difeso: «La democrazia è nel Dna indiano, è nel nostro spirito, scorre nelle nostre vene». I suoi detrattori occidentali sono spesso vicini all’opposizione, quel partito del Congresso della dinastia Nehru-Gandhi che gli elettori hanno bocciato dopo decenni di stagnazione, scandali e corruzione. Le critiche a Modi riguardano il suo attaccamento alla religione induista come fondamento dell’identità nazionale, e il trattamento della minoranza musulmana, oltre un decimo della popolazione. Pochi in Occidente conoscono la complessità dei rapporti tra indù e musulmani segnati da tensioni plurisecolari. O la spada di Damocle rappresentata dal Pakistan, teocrazia islamica dotata di bomba nucleare, che foraggia il terrorismo da decenni, e fece dell’India un laboratorio di maxi-attentati molto prima dell’11 settembre 2001.

Modi non piace a un’intellighenzia indiana progressista che ripudia i suoi modelli etici conservatori. Invece ha solidi consensi nella potente diaspora indiana in America, che fra l’altro esprime i top manager delle maggiori aziende digitali come Microsoft e Google. Gli immigrati indiani in America sono nazionalisti come Modi e apprezzano il capitalismo come lui. Considerano la loro madrepatria come la più grande fra quelle democrazie ultraconservatrici che difendono valori morali di tipo tradizionale.

Biden cerca di mettere la sordina all’ala sinistra del suo partito che gli chiede una politica estera fondata sulla propria agenda di priorità morali. La pretesa di esportare virtù americane nel mondo ha avuto esiti salvifici ai tempi di Franklin Roosevelt, nefasti sotto molti dei suoi successori: in Iraq e in Afghanistan da ultimo. La realpolitik di Biden cerca di mettere assieme le coalizioni più larghe possibili per contenere l’aggressività di Putin e il nuovo espansionismo cinese. Se l’America dovesse dialogare solo con le democrazie perfette, forse l’elenco si restringerebbe a pochi Paesi nordeuropei; i quali non promuovono a pieni voti la democrazia Usa.

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E ora la sinistra si accanisce su Giorgetti per nascondere le trame M5s

sabato, Giugno 24th, 2023

Paolo Bracalini

Il problema dell’inchiesta sui «furbetti delle dogane» è che coinvolge sì un leghista, Gianluca Pini, ma ex, per giunta lontano da Salvini. L’altro protagonista, Marcello Minenna, è invece uomo vicino al M5s, con loro è stato assessore al Bilancio a Roma, nella disastrosa giunta Raggi. Ma il M5s è un bersaglio che non eccita, è all’opposizione, poi ultimamente è anche in rapporti amichevoli con la Schlein. Bisogna invece arrivare al governo, a qualche ministro. Ed ecco allora spuntare la preda di prima classe: Giancarlo Giorgetti, ministro del Tesoro. Un target eccellente da tenere sulle braci specie in questi giorni che è già sotto pressione per la questione Mes, una bomba non ancora disinnescata dentro la maggioranza e che ruota attorno al ministero dell’Economia. Giorgetti, neanche sfiorato dall’inchiesta, è stato subito tirato in mezzo grazie alle intercettazioni, sempre utili per colpire soggetti estranei alle carte giudiziarie. Il tramite è Pini, con cui Giorgetti era in stretto contatto dentro la Lega, tanto da esserne considerato un fedelissimo. «Mi manda Giorgetti. Gli affari sporchi di Pini all’ombra del Carroccio» titola Repubblica. Nelle carte ci sono normalissime telefonate (tra cui una di «231 secondi», neanche 4 minuti, tra Giorgetti e Minenna) e soprattutto conversazioni in cui Giorgetti viene citato da altri. Si parla di un invito alla presentazione di un Libro Blu dell’agenzia delle Dogane, alla quale Minenna teneva moltissimo partecipasse l’allora ministro dello Sviluppo Economico Giorgetti. «Tempesta di telefonate Pini», il quale risponde «Gli parlo io!». E Giorgetti che fa? Non ci va neppure. Altra intercettazione, che fa titolo sul Fatto, quando Pini dice che la riconferma di Minenna alle Dogane è stato «piazzato da me e Giancarlo». Ma la nomina delle Dogane non dipende dallo Sviluppo Economico, allora retto da Giorgetti, il quale anzi quando è arrivato al Mef ha fatto saltare Minenna (al suo posto è stato nominato Roberto Alesse, attuale dg delle Dogane). Ma è lui, Giorgetti, che va mascariato (schizzato di fango), come dicono i siciliani. E quindi si ricorda che anni fa Giorgetti aveva una piccola quota in una minuscola società informatica, la Saints Group di Forlì, 25mila euro di capitale, in cui c’era anche Gianluca Pini. «Giorgetti non c’entra nulla con i miei affari con le mascherine, e con la Saints Group non ha più nulla a che fare da anni» ha detto lo stesso Pini, tempo fa, quando uscì la notizia sul Domani e su Report. Non solo la società non c’entra niente con l’inchiesta, ma Giorgetti ha ceduto le sue quote tre anni fa. Nei titoli del Domani di Carlo De Benedetti è comunque «l’ex socio di Pini» nei pezzi sull’inchiesta sulle mascherine, anzi è Pini che diventa «l’ex socio di Giorgetti». Il sito Tpi va oltre e ricicla anche un vecchio articolo del 2021, tirando in mezzo pure la figlia di Giorgetti. «Negli affari di Giorgetti con il fedelissimo ed ex socio Pini spunta la figlia 18enne del ministro leghista», il titolo. L’arcano è molto semplice: nel 2020 Giorgetti aveva ceduto le sue quote alla figlia, Marta. Valore nominale: 8.000 euro. Il valore di una Panda usata, forse. Quote che poi lei terrà nemmeno per un anno, fino all’aprile 2021. Ma anche questo basta per alimentare sospetti e collegare Giorgetti, famiglia inclusa, all’inchiesta che coinvolge Pini e il «civil servant» filo-grillino Minenna. «Non è un regalo un po’ strano, una società in perdita? Dopo appena otto mesi, Marta Giorgetti si libera di ogni partecipazione, cedendo tutto all’ex socio di papà. Cosa c’è dietro questa girandola di quote?».

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“Meloni usi la Marina per i respingimenti. Come la mia Australia”

sabato, Giugno 24th, 2023

Francesco Giubilei

Tony Abbott è una delle figure più conosciute nel mondo conservatore anglofono, già leader del partito di centrodestra australiano «Liberal Party», è stato Primo ministro dell’Australia dal 2013 al 2015. La sua notorietà è dovuta all’Operation Sovereign Borders, un’iniziativa messa in campo per fermare l’immigrazione irregolare e diventata famosa grazie allo slogan «No Way». Vista l’attualità della tematica migratoria, Abbott propone alcune idee a Giorgia Meloni e al governo italiano su come fermare i flussi migratori illegali. Lo abbiamo incontrato in occasione della conferenza «Recovering Conservatism» organizzata a Londra dal Danube Institute e intervistato in esclusiva per Il Giornale.

Presidente Abbott non possiamo che iniziare parlando di immigrazione, lei da Primo Ministro ha realizzato l’Operation Sovereign Borders, un’iniziativa che riuscì a fermare l’immigrazione irregolare, in cosa consisteva?

«Prima di tutto occorre raccontare un po’ di storia. Alla fine degli anni Novanta iniziarono ad arrivare in Australia dall’Indonesia piccole imbarcazioni con migranti che volevano entrare illegalmente nella nostra nazione. Il governo adottò alcune misure per fermare l’immigrazione irregolare. La prima consisteva nel trasferire i migranti che arrivavano in Australia a Christmas Island o a Nauru dove furono allestiti centri di accoglienza. La seconda nell’introdurre un permesso di protezione internazionale, la terza nel rimpatriare i migranti entrati illegalmente. Questa era la politica australiana in materia di immigrazione fino al 2001 quando ci fu una controversia su una nave con oltre 400 migranti nota come Tampa affair».

Poi cosa è accaduto?

«Nel 2007 Kevin Rudd, candidato del Labour Party (centrosinistra) vince le elezioni dicendo che avrebbe mantenuto intatte le politiche sull’immigrazione. In realtà Rudd modifica le regole, chiude gli hotspot e riprendono gli sbarchi in modo massiccio, più di 800 navi in 5 anni, durante il suo governo; un’estate nel solo mese di luglio entrarono irregolarmente in Australia oltre 5000 persone».

Arriviamo così alla sua elezione a Primo Ministro

«Nel 2013 divento Primo Ministro, reintroduco le misure precedenti che erano state abolite aggiungendone altre tre e creando l’Operation Sovereign Borders. Invece di avere numerosi enti e figure che si occupano del controllo dei confini, nomino il generale Angus Campbell a capo dell’operazione, una sola persona al comando che coordina navi, aerei, polizia di frontiera. In secondo luogo il nostro governo fornisce ai media le notizie dei respingimenti realizzando un’attività comunicativa di deterrenza anche all’estero. In terzo luogo la nostra marina viene impiegata per rimandare indietro le imbarcazioni con i trafficanti».

La sua fu un’operazione importante ma un conto è l’Australia un altro il Mare Mediterraneo, pensa il governo Meloni possa realizzare un progetto analogo in Italia?

«Noi abbiamo provato a parlare a lungo con l’Indonesia senza ottenere risultati e potrebbe avvenire lo stesso con i paesi del Nord Africa. Spesso il problema di questi paesi è la corruzione e la collusione tra la politica e i trafficanti. Il rischio è che se gli diamo soldi ne chiederanno sempre di più senza risolvere il problema».

L’utilizzo della Marina non potrebbe portare a incidenti come quello avvenuto qualche settimana fa a Cutro dove hanno perso la vita numerosi migranti?

«No, questi incidenti avvengono per colpa dei trafficanti di esseri umani, è importante dirlo e sottolinearlo. L’unico modo per fermare le morti in mare è fermare i trafficanti e l’utilizzo della Marina serve a questo».

Sui temi migratori l’Italia deve però interfacciarsi anche con l’Ue

«La sovranità nazionale è una priorità ed è evidente che l’immigrazione sia un tema legato alla sovranità, sono scettico sull’efficacia dell’Unione europea in materia di immigrazione».

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Corteo Cgil a Roma, la sinistra è aggrappata a Maurizio Landini

sabato, Giugno 24th, 2023

Claudio Querques

Il primo indizio furono le magliette della Fiom indossate da Elly a Bologna come una seconda pelle. Il sospetto che la furia creativa mostrata durante le primarie dalla neo-segretaria stesse confluendo nel solito vecchio filone sindacale. Una coazione a ripetere uno scenario ormai primitivo: la segretaria militante, schierata da una parte sola. Con una variante: anziché il sindacato cinghia di trasmissione del partito, il partito cinghia di trasmissione del sindacato.

È l’accusa più frequente che viene mossa alla Schlein dai suoi stessi compagni di partito, in particolare dalla cosiddetta area riformista. Anche nell’ultima direzione nazionale. Un Pd subalterno, movimentista e codino che avrebbe in Maurizio Landini il suo vero punto di riferimento. Il Nazareno e la Cgil nella stessa bolla. Un sindacato matrioska con dentro il partito. Sarà un caso ma ancora una volta la Schlein ha scelto la piazza. Due settimane fa la sfilata del Roma pride, oggi la manifestazione con il sindacato di Corso Italia e una rete di associazioni laiche contro i tagli alla sanità e la precarietà. Il tempo di salire sul palco e già si pensa ad un altro corteo «per un fisco più equo».

Che nel partito Democratico vi siano posizioni anche molto diverse da quelle di Landini è un dato di fatto. Basti pensare alla guerra in Ucraina, al termovalorizzatore romano o ad altri temi etici che esulerebbero dalla sfera per così dire strettamente sindacale. Per la Schlein, assorbita dall’onda di risacca, poco importa. Gli iscritti al Pd avevano scelto Stefano Bonaccini anche per questo. Ma lei non si rivolge a loro, si rivolge alle 90 associazioni che hanno aderito alla manifestazione di oggi. Un corpo estraneo, una leader tesserata per necessità, per potersi candidare come chiede lo statuto. La certificazione che il Pd almeno come era stato pensato dai fondatori, il partito a vocazione maggioritaria che doveva tenere insieme le varie anime del centrosinistra e del sindacato, è un progetto ormai fallito.

Se si dovesse sintetizzare tutto questo in una vignetta penseremmo ad una grande calamita che attira Elly allontanando – fatalmente – sia lei che la Cgil dalle altre due sigle. Una calamita che attira tutto quello che si muove a sinistra. Perché anche Giuseppe Conte e i Cinque Stelle oggi saranno alla manifestazione del sindacato «rosso». Insomma un Landini che diventa sempre più un «faro», che detta tempi e modi del contrasto al centrodestra. Senza neppure fare troppa fatica visto che a ogni protesta della Cgil a sinistra si accodano sempre.

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La guerriglia interna al governo

sabato, Giugno 24th, 2023

Marcello Sorgi

Chissà se è proprio vero, come è stato fatto circolare ad arte ieri dopo l’inasprirsi delle polemiche tra Lega e Fratelli d’Italia, che Meloni sarebbe pronta a tornare al voto, se il suo maggiore alleato volesse portarcela, rompendo l’alleanza e mandando in crisi il governo, a soli nove mesi dal suo esordio. Anche solo ventilare una minaccia del genere non sarebbe grande segno di lucidità politica per la premier che ha fatto fino a pochi giorni fa una cavalcata trionfale, dopo la vittoria alle elezioni politiche del 25 settembre 2022. Intanto perché basarsi sui sondaggi, la storia insegna, non sempre paga. Poi perché difficilmente una coalizione franata dopo così poco tempo potrebbe ripresentarsi di fronte agli elettori come se nulla fosse. E ancora perché, per isolati che appaiano, i casi dell’ex direttore delle Dogane (e attuale assessore della giunta regionale calabrese) Minenna e dell’ex deputato leghista Pini, nonché della ministra del Turismo Santanché delineano un contorno da questione morale che non ha mai portato bene a partiti che, quand’erano all’opposizione, la morale la facevano agli altri.

E allora, sebbene sia chiaro che la Lega ha in corso un’offensiva politica contro Palazzo Chigi, e chiedere a Santanché di presentarsi in Parlamento a chiarire è come chiederlo a Meloni che la sta difendendo, tocca a lei adoperarsi per riportare serenità all’interno della maggioranza. Può essere esagerato il lamento leghista che sostiene che la premier ne ha fatte ingoiare troppe al Carroccio, dalla nomina del nuovo comandante della Finanza a quella – mancata – del commissario per l’alluvione in Emilia-Romagna, che Salvini, da ministro dei Lavori Pubblici sostiene essere di sua competenza. Ed è sicuramente riduttivo considerare tutto questo frutto della campagna elettorale per le europee del prossimo anno.

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Imperia, il sindaco Scajola indagato per minacce all’ex comandante della polizia municipale

sabato, Giugno 24th, 2023

di Paolo Isaia

Il sindaco di Imperia, Claudio Scajola, è indagato alla Procura della Repubblica di Imperia con l’accusa di minaccia a pubblico ufficiale. L’inchiesta, partita da una denuncia dell’ex comandante della polizia locale Aldo Bergaminelli, da alcune settimane trasferito a Roma. A Scajola è già stato notificato l’avviso di chiusura delle indagini preliminari. In particolare, gli viene contestata una telefonata a Bergaminelli con la quale gli avrebbe ordinato di interrompere un sopralluogo di polizia giudiziaria in un terreno di Caramagna. Non ci sarebbe stata una minaccia esplicita ma, come sancito dalla Cassazione, “ai fini dell’integrazione del delitto di minaccia non è necessaria una minaccia diretta o personale, essendo invece sufficiente l’uso di qualsiasi coazione, anche morale, ovvero una minaccia anche indiretta, purché sussista la idoneità a coartare la libertà di azione del pubblico ufficiale”. Il controllo di polizia giudiziaria al centro della vicenda riguardava l’area di proprietà delle Ferrovie, e destinata ad accogliere la pista ciclabile, sulla quale sorgeva un’officina meccanica, gestita da Antonio Maiolino. All’artigiano era stato revocato in anticipo il contratto di locazione, che avrebbe dovuto scadere nel 2024. Secondo quanto dichiarato dall’ex comandante dei vigili di Imperia, gli era stato detto che il terreno era interessato da una richiesta di sanatoria, circostanza risultata poi non corrispondente al vero. Bergaminelli era stato ascoltato dagli inquirenti nell’ambito dell’inchiesta su appalti e tangenti che aveva portati agli arresti dell’ex sindaco di Aurigo ed ex consigliere provinciale Luigino Dellerba, e dell’imprenditore edile Vincenzo Speranza, assieme al fratello Gaetano.

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Disastro del Titan, cosa sappiamo: l’ipotesi dell’infiltrazione nella discesa e la tenuta del «cilindro»

sabato, Giugno 24th, 2023

di Viviana Mazza

Le perplessità sulla «capsula» in fibra di carbonio spesso 13 centimetri e sui controlli dopo ogni missione. Il modello di «controller» da videogiochi per guidarlo


Disastro del Titan, cosa sappiamo: l’ipotesi dell’infiltrazione nella discesa e la tenuta del «cilindro»

DALLA NOSTRA CORRISPONDENTE
NEW YORK – Determinare come è avvenuta esattamente (e quando) l’implosione del Titan dipenderà dal ritrovamento dei rottami sparpagliati sul fondale dell’oceano Atlantico, non lontano dal relitto del Titanic. A indicare che una «catastrofica perdita di pressione» sia il motivo della fine del piccolo sommergibile usato per le spedizioni turistiche sono stati giovedì i primi due rottami — la parte posteriore appuntita e la rampa sottostante — individuati da un Rov (remotely operated vehicle) a 500 metri dalla prua del Titanic. Gli esperti credono che possa esserci stata una infiltrazione durante la discesa in profondità, dove la pressione sullo scafo è equivalente al peso della Torre Eiffel (decine di migliaia di tonnellate) e la struttura sperimentale in fibra di carbonio dello scafo si sarebbe disintegrata.

Per capire perché questo è accaduto e che cosa si sarebbe potuto fare per evitarlo il ritrovamento dei rottami è cruciale, ha spiegato alla Bbc Ryan Ramsey, ex capitano di sottomarini della Royal navy britannica. «Non esiste una scatola nera, per cui non è possibile tracciare gli ultimi movimenti del sommergibile. Ma al di là di questo il processo di indagine non è diverso da quello che si fa nel caso di disastri aerei».

La Marina Usa, usando dati provenienti da una rete segreta di sensori creata per individuare sottomarini nemici, ha captato domenica scorsa «una anomalia che può indicare una implosione o esplosione» proprio nelle ore in cui il Titan fu calato in profondità. I dati, combinati con informazioni degli aerei di sorveglianza e delle sono boe, sono serviti a localizzare la posizione approssimativa del Titan ed erano stati comunicati alla Guardia costiera già durante le ricerche. Potrebbe però essere difficile individuare il luogo preciso anche perché i rottami cercati dai Rov si trovano sul fondale, sono piccoli e c’è una totale oscurità.

Saranno analizzati in superficie al microscopio, esaminando le fibre di carbonio, in cerca di lacerazioni che possano dare degli indizi. Se gli esperti concluderanno che c’è stata una falla, la domanda cruciale è se ciò dipenda dalla mancanza di test completi sul sottomarino, come suggerito da diversi ex dipendenti di OceanGate. Il Titan non era stato certificato da un organismo esterno: l’azienda sostiene che era un mezzo così innovativo che le attuali metodologie di valutazione sarebbero state obsolete, ma diversi campanelli d’allarme erano emersi prima dell’ultimo viaggio fatale del sommergibile. Era composto da due «cupole» in titanio tenute insieme ad un cilindro in fibra di carbonio spesso 13 centimetri (una scelta poco convenzionale per un sommergibile destinato alle grandi profondità, di solito in acciaio o titanio): era più leggero ed economico, ma come ha osservato il regista del film «Titanic» ed esperto di spedizioni sottomarine James Cameron, meno resistente alla pressione. Ogni volta che il Titan è stato usato per spedizioni dal 2021, lo scafo avrebbe subito cambi di pressione e questo continuo sforzo sulla struttura ha quasi certamente portato ad un suo indebolimento.

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Daniela Santanchè, i timori di Palazzo Chigi. La ministra: se lo chiedono pronta a spiegare in Aula

sabato, Giugno 24th, 2023

di Monica Guerzoni

Nevi (FI): «Un suo passo indietro con un rinvio a giudizio? Deciderà lei»

 Daniela Santanchè, i timori di Palazzo Chigi. La ministra: se lo chiedono pronta a spiegare in Aula

Alle undici di sera, da Capri, Daniela Santanchè risponde agli attacchi: «Se verrà formalizzata la richiesta al Senato, non avrò nessun problema a riferire in Parlamento. Ma voglio che sia chiaro, lo faccio per gli italiani e non perché me lo chiedono le opposizioni, il cui comportamento punta a mettere in difficoltà il governo».

Le parole della ministra del Turismo arrivano al Corriere dopo una giornata di imbarazzo a Palazzo Chigi e nei gruppi della maggioranza, dove la paura che una mossa delle procure possa far ballare l’esecutivo. Perché adesso, oltre alle opposizioni che invocano le dimissioni di Daniela Santanchè , il muro del centrodestra a difesa della ministra del Turismo comincia a scricchiolare. Dalla Lega e da Forza Italia si alzano le prime voci dissonanti che spronano la senatrice a chiarire. Lei assicura che «sono tutte balle», insiste nel dire che il programma di Sigfrido Ranucci volesse solo screditarla e conferma di aver presentato più di una querela. Ma a Palazzo Chigi aumenta la preoccupazione per un caso che esplode in giorni di forte tensione tra e dentro i partiti della maggioranza.

La Lega, innanzitutto. Impossibile non notare come il capogruppo alla Camera, Riccardo Molinari, nel difendere l’esponente del governo perché «i processi non si fanno in televisione», esprima un concetto che non si allontana troppo dagli argomenti del Pd e del M5S. E cioè che al momento opportuno la ministra del Turismo «verrà in Parlamento a spiegare le sue ragioni».

Nelle stanze della presidenza del Consiglio l’inchiesta della trasmissione Rai viene valutata con estrema serietà. A sentire i parlamentari meloniani la premier sta vivendo la polemica con disagio e timore per l’immagine del governo. Certo non basta la soddisfazione con cui Santanchè fa sapere ai colleghi di governo che «in Tribunale finora ho sempre vinto». Meloni tiene moltissimo al Turismo ed è a dir poco seccata per la tempesta che ha investito la ministra. Eppure è determinata a sostenerla, come ha fatto per il duo Delmastro&Donzelli. Ma se Santanchè fosse rinviata a giudizio, è evidente che la premier le chiederebbe di lasciare.

Un meloniano di alto rango prova a interpretare l’umore di Meloni: «Se è preoccupata? Direi che c’è precauzione, anche perché non abbiamo capito ancora se Daniela è indagata». Dubbi e paure che la responsabile del Turismo spera di spazzar via ostentando serenità in attesa che l’onda si abbassi. Certo non pensa di lasciare e non risulta che la premier glielo abbia ancora chiesto durante il confronto in cui la ministra le assicurava che no, lei in questa storia non c’entra nulla. «Non ho un avviso di garanzia, né un processo — è la formula con cui Santanchè, che ha avuto come legale delle aziende Ignazio La Russa, va tranquillizzando i colleghi — La causa poi è civile, non penale». I vari Conte, Schlein, Calenda, Bonelli e Fratoianni che invocano il passo indietro non sembrano spaventarla troppo, stando alla battuta che ha consegnato ai suoi: «Vabbè, sono l’undicesimo ministro di cui chiedono le dimissioni!». Sa bene, Santanchè, che una mozione di sfiducia contro di lei non passerebbe e che il solo risultato sarebbe quello di ricompattare la maggioranza. Sicura, ha confermato gli appuntamenti in agenda: ieri è andata a Capri con i giovani imprenditori e si è mostrata «tranquilla» e oggi sarà a Ischia per l’evento dei conservatori europei.

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Meloni-Rottenmeier, la ratifica del Mes ormai «ineluttabile», le liti da tamponare: sale la tensione nella maggioranza

sabato, Giugno 24th, 2023

di Francesco Verderami

La questione più spinosa nella maggioranza di governo è la ratifica del Meccanismo europeo di stabilità. E la premier è ora costretta a dedicarsi alle emergenze interne

 Meloni-Rottenmeier, la ratifica del Mes ormai «ineluttabile», le liti da tamponare: sale la tensione nella maggioranza

La questione più spinosa nella maggioranza è la ratifica del Mes, il meccanismo europeo di stabilità, ovvero il fondo salva Stati incaricato di sostenere con prestiti i Paesi dell’Ue in difficoltà finanziaria. L’Italia è l’ultimo Paese a non averlo ancora approvato, anche se votarlo non equivale ad aderire ai prestiti del Fondo. Già in commissione Esteri sono venute alla luce difficoltà nella maggioranza di governo. Meloni vi si è sempre opposta, ora è pronta a trattare, in cambio di una maggiore flessibilità sul debito. È il leader della Lega Matteo Salvini a essere contrario. E anche quello di Forza Italia Antonio Tajani solleva dubbi. In teoria la ratifica dovrebbe essere discussa a partire dal 30 giugno. Ma sulla questione pesano la tenuta della maggioranza in Aula ed eventuali tensioni con l’Ue.


Finora era sempre riuscita a governare le tensioni e i passaggi più delicati nell’alleanza, «manco fossi la signorina Rottenmeier», sospirava ogni volta Meloni. Dall’altro giorno qualcosa sembra essere cambiato per la premier, in coincidenza con la scomparsa di Berlusconi e a causa di una serie di eventi che stanno facendo sussultare il centrodestra. Così Meloni, che si sentiva obbligata a interpretare il ruolo di «Rottenmeier» — un personaggio del cartone animato Heidi ossessionato dalla precisione — pare costretta a tamponare le emergenze più che impegnata a dettare l’agenda.

C’è stato da gestire l’avvio polemico delle riforme sulla giustizia, sebbene abbia incoraggiato il Guardasigilli Nordio ad andare avanti con un «daje Carlo» pronunciato in Consiglio dei ministri. C’è da valutare lo spinoso «caso Santanchè», che rischia di tramutarsi in un grave problema per il governo, incalzato dalle opposizioni e non coperto da quei pezzi di Lega e Forza Italia che fin dall’inizio della legislatura hanno fatto il controcanto alla premier. C’è da chiudere la trattativa sul Pnrr e da ottenere la sospirata terza rata. C’è da sciogliere il nodo della nomina commissariale per le aree alluvionate della Romagna.

E poi c’è il Mes. La sua ratifica è «ineluttabile», ne sono consapevoli i rappresentanti dell’esecutivo. Ma il passaggio è reso impegnativo perché sovraccaricato dall’atteggiamento di Salvini, che vuole politicamente scaricare su Meloni l’intera responsabilità della scelta: che sia la premier a onorare la cambiale, intaccando la sua «coerenza» sul Meccanismo europeo di stabilità che negli anni di opposizione ha sempre osteggiato. Lo fa capire il capogruppo leghista Romeo, quando rammenta che «noi siamo storicamente contrari. Noi e FdI, credo… Ma se Meloni dirà che serve votarlo, non metteremo certo in difficoltà il governo». Paghi «Giorgia», insomma. Malgrado non tutti concordino con il segretario. Se Giorgetti si riconosce nella linea favorevole al Mes dettata dal suo dicastero, è anche perché non ne può più delle pressioni europee. «Durante le riunioni a Bruxelles — racconta un diplomatico italiano — alcuni lo hanno inseguito persino nei bagni». E ieri il governatore Fedriga si è schierato al suo fianco: «Ratificare il Mes non vuol dire utilizzarlo».

Ma è chiaro che nella Lega decide Salvini, impegnato a farsi valere sulle nomine e sulle scelte politiche per uscire dal cono d’ombra di Meloni, deciso com’è a contare oggi negli assetti di potere per contarsi domani nelle urne. Così il percorso «ineluttabile» è diventato più tortuoso, con quel passaggio alla Camera per nulla ortodosso: non era mai accaduto che una maggioranza disertasse il voto in commissione per evitare di assumere una posizione. Per FdI la figuraccia nel Palazzo era l’unico modo per non fare una figuraccia in Europa e magari sui mercati: si prende tempo confidando che Meloni torni a fare la «signorina Rottenmeier».

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Ucraina-Russia, le notizie di oggi | Prigozhin lancia la rivolta, Mosca lo accusa di avviare la guerra civile. «Controlliamo l’aeroporto di Rostov»

sabato, Giugno 24th, 2023

di Francesco Battistini, inviato, e Redazione Online

Le notizie sulla guerra in Ucraina di sabato 24 giugno, in diretta. Il Cremlino ordina l’arresto di Yevgeny Prigozhin mentre i camion militari attraversano Mosca in una escalation di lotte intestine russe

Ucraina-Russia, le notizie di oggi | Prigozhin lancia la rivolta, Mosca lo accusa di avviare la guerra civile. «Controlliamo l’aeroporto di Rostov»

Prigozhin smonta tutte le bugie di Putin sulla guerra in Ucraina: «L’esercito russo una bolla scoppiata»
Il punto militare | Gli alleati aumentano la produzione di munizioni per l’Ucraina (ma ci vorrà tempo)

Ore 08:44 – Cavalli, arte e società: come ha fatto la famiglia di Prigozhin a eludere le sanzioni

(Marta Serafini) Fino a pochi giorni prima dell’invasione dell’Ucraina, i figli di Prigozhin potevano muoversi liberamente in tutta l’UE, godendosi una vita di lusso internazionale anche se il padre e le sue aziende sono sotto sanzioni dal 2016. Tuttavia, a differenza di molti magnati russi sostenuti dal Cremlino, i cui parenti vivono semplicemente delle loro fortune, i governi occidentali ritengono che i membri della famiglia del fondatore della Wagner abbiano svolto per anni un ruolo attivo nelle sue molteplici attività, spiega il Financial Times. Continua a leggere qui

Ore 08:39 – Lo snodo strategico di Rostov

(Marta Serafini) Rostov-sul-Don, dove sono entrate le forze Wagner, è la città più grande della Russia meridionale ed è la capitale della regione di Rostov che confina con parti dell’Ucraina orientale dove la guerra infuria. Con circa 1 milione di abitanti, la città è un importante porto fluviale e si trova a circa 100 km dall’Ucraina e 1.046 km a sud-ovest di Mosca. È il centro del distretto federale meridionale della Russia. A Novocherkassk, a circa 24 km a nord-est del centro regionale della città, si trova il quartier generale dell’8a armata combinata delle guardie. È stato uno dei centri della formazione militare di Putin in vista dell’invasione dell’Ucraina lo scorso anno. Il mese scorso, la Russia ha annunciato che un tribunale della città avrebbe processato cinque uomini stranieri, tra cui tre cittadini britannici, accusati di aver combattuto a fianco delle forze ucraine contro Mosca. All’inizio di quest’anno, il personale della Difesa russo ha iniziato a costruire un sistema di condotte idriche per collegare la regione di Rostov con la regione orientale del Donbass all’interno dell’Ucraina.

Ore 08:37 – Chi è Prigozhin: dalla fortuna con i ristoranti all’insulto a Crosetto: la storia (e le sparate) del capo della Wagner

(Marco Imarisio) «È solo un privato cittadino, che non rappresenta lo Stato». Vladimir Putin era in modalità sorniona, e davanti alla sala stampa strapiena pronunciò questa frase accompagnandola con un ghigno. Quel giorno del luglio 2018 a Helsinki, dopo il primo incontro con Donald Trump, aveva molte ragioni per essere di buon umore. Il presidente americano lo aveva appena onorato definendolo un «concorrente geniale», e aveva appena detto di fidarsi più dei suoi dinieghi «molto potenti» sulle interferenze russe nelle elezioni Usa che delle relazioni della Cia. Continua a leggere qui

Ore 08:35 – Difesa a mercenari Wagner, `siete stati ingannati, rifiutatevi partecipare rivolta

Il ministero della Difesa russa ha rivolto un appello ai mercenari della Wagner affermando che sono stati «tratti con l’inganno nell’avventura criminale di Prigozhin» ed esortandoli a non partecipare «alla rivolta armata». «Facciamo appello ai combattenti delle squadre d’assalto Wagner», recita l’appello, riportato dalla Tass, in cui si ricorda che «molti vostri compagni di diversi distaccamenti si sono già resi conto del loro errore» ed hanno chiesto aiuto per lasciare la formazione guidata da Prigozhin. «Vi chiediamo di mostrare prudenza e di mettervi in contatto con i rappresentanti del ministero della Difesa russo o delle forze dell’ordine il prima possibile. Garantiamo la sicurezza di tutti», conclude il ministero della Difesa.

Ore 08:32 – Podolyak: «In Russia siamo solo all’inizio»

Il consigliere di Zelensky: «In Russia siamo solo all’inizio». Mikhailo Podolyak, il consigliere del presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha descritto le azioni dal leader mercenario russo Yevgeny Prigozhin come un’«operazione antiterrorismo» e ha detto che «tutto è giusto cominciando in Russia».

Ore 08:21 – Prigozhin, marceremo su Mosca se Shoigu non viene a Rostov

Il capo del gruppo mercenario Wagner ha minacciato di prendere tutte le misure necessarie per rovesciare la leadership militare russa sostenendo che le sue truppe sono pronte a marciare su Mosca se il ministro della Difesa, Sergei Shoigu e il generale Valery Gerasimov, non accetteranno di incontrarlo. «Siamo arrivati qui, vogliamo vedere il capo di Stato Maggiore e Shoigu. Se non vengono, bloccheremo la città di Rostov e ci dirigeremo verso Mosca», ha detto Yevgeny Prigozhin in un messaggio audio da Rostov. Lo stesso Prigozhin ha poi affermato che Gerasimov è fuggito.

Ore 08:04 – Putin lancerà presto un appello alla nazione

Il presidente russo Vladimir Putin farà presto un appello alla nazione. Lo ha detto alla TASS il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. «In effetti, Putin farà un appello nel prossimo futuro», ha detto Peskov, rispondendo a una domanda

Ore 07:27 – Attacco russo su Kiev: 2 morti e 8 feriti

Nel bombardamento russo che ha colpito Kiev nella notte sarebbero rimaste uccise almeno due persone e altre otto sarebbero rimaste ferite. Le bombe hanno colpito un edificio di 24 piani, provocando danni ed incendi in diversi piani, ha reso noto il capo dell’amministrazione militare della città, Sergey Popko.

Ore 07:23 – Il sindaco di Mosca: «In corso misure antiterrorismo»

Sergei Sobyanin , sindaco di Mosca, ha scritto sui social media che nella capitale russa si stanno adottando misure «antiterrorismo» dopo che il capo del gruppo mercenario Wagner, Yevgeny Prigozhin, ha dichiarato ufficialmente guerra ai vertici militari del Paese: « In relazione alle informazioni che giungono a Mosca, si stanno adottando misure antiterrorismo con l’obiettivo di rafforzare la sicurezza».

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