Archive for Giugno, 2023

Pensioni, gli aumenti scattano a luglio: di quanto crescono gli assegni e cosa cambia nel 2024

martedì, Giugno 20th, 2023

di Valentina Iorio

Pensioni minime: aumenti da luglio

Da luglio scattano gli aumenti delle pensioni minime previsti dalla Manovra. Dopo sette mesi di attesa la norma varata dal governo, che doveva partire da gennaio 2023, entrerà in vigore. L’aumento è calcolato nella misura di 1,5 punti percentuali per il 2023, elevati a 6,4 per coloro che hanno un’età pari o superiore a 75 anni, e di 2,7 punti percentuali per il 2024. Ma si sta ragionando già su ulteriori aumenti, rimane da verificare la compatibilità delle proposte con i margini di Bilancio abbastanza stretti. Dal 1° luglio gli 1,3 milioni di pensionati che percepiscono la minima, oltre all’adeguamento dell’assegno riceveranno gli arretrati dei mesi che vanno da gennaio a giugno 2023.


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Di quanto sarà l’aumento della pensione minima?

I pensionati che hanno meno di 75 anni e ricevono una pensione pari ai 563,74 euro, l’attuale minima, avranno diritto a un aumento di 8,46 euro al mese, arrivando a 572,2 euro. Per coloro che hanno da 75 anni in su, invece, l’incremento sarà di 36,08 euro al mese, con l’assegno che salirà da 563,74 a 599,32 euro. «Sono escluse dalla base di calcolo le prestazioni fiscalmente non imponibili (ad esempio, le somme corrisposte a titolo di maggiorazione sociale, la quattordicesima, l’importo aggiuntivo della pensione); le prestazioni di carattere assistenziale; le prestazioni a carattere facoltativo e le prestazioni di accompagnamento a pensione», aveva chiarito l’Inps ad aprile.

Cosa può cambiare dal 2024?

Per quanto riguarda il 2024, la legge di Bilancio prevede un aumento delle pensioni minime del 2,7%. Ma il governo sta ragionando sulla possibilità di prevedere un incremento più sostanzioso per gli over 75 che porterebbe le pensioni minime a circa 700 euro al mese.

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Crosetto azzera Grillo: “Vitalizio di partito”, la triste parabola dell’ex comico

lunedì, Giugno 19th, 2023

Christian Campigli

Un’uscita a dir poco infelice. Che, al di là dei sorrisi e delle smentite di circostanza, ha creato più di un malumore all’interno del Partito Democratico. Non si placano le polemiche sulle parole di Beppe Grillo. Il comico genovese ieri ha invocato alla rivolta le “brigate del reddito”. Sotto lo sguardo basito di Elly Schlein che, tra mille perplessità, aveva accettato di scendere in piazza accanto a Giuseppe Conte. Un’uscita, quella del fondatore del Movimento Cinque Stelle, sulla quale è intervenuto anche il Ministro della Difesa, Guido Crosetto. “Era scomparso, fuori dai radar – ha scritto su Twitter uno dei tre  fondatori di Fratelli d’Italia – Ha poco da dire e di nulla gli importa. Ma deve guadagnarsi il vitalizio di partito. Allora si inventa brigate e passamontagna. Cosi può tornare a casa in Sardegna e lasciarci a commentare. Merita solo indifferenza e non fa nemmeno più ridere”. In un paese come l’Italia, che ha vissuto e contato i morti durante gli anni di piombo, quando le Brigate Rosse sparavano ed uccidevano, evocare le brigate del reddito ha provocato un forte scossone. Soprattutto nell’interno del Partito Democratico. Sono di oggi le dimissioni del candidato (perdente) alla guida della Regione Lazio, Alessio D’Amato. “Ho comunicato a Stefano Bonaccini le mie dimissioni dall’Assemblea Nazionale del Pd. Brigate e passamontagna anche No. È stato un errore politico partecipare alla manifestazione dei 5S. Vi voglio bene, ma non mi ritrovo in questa linea politica”.

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Sondaggio Masia, “forti variazioni”: l’effetto Berlusconi e un crollo a sinistra

lunedì, Giugno 19th, 2023

Ci soni “variazioni importanti” nell’ultimo sondaggio politico presentato da Fabrizio Masia ad Agorà, su Rai3. E non riguardano solo l’aumento di consenso di Forza Italia dopo la scomparsa di Silvio Berlusconi. Nella puntata di lunedì 19 giugno il sondaggista snocciola i dati dell’ultima rilevazione Emg-Different sulle intenzioni di voto e non mancano le sorprese. “È stata una settimana delicata, ci sonio forti variazioni nelle intenzioni di voto” premette Masia. Il dato che balza subito all’occhio è quello di Fratelli d’Italia. Il partito di Giorgia Meloni “è rimbalzato, ha preso mezzo punto in una settimana” ed ò salito al 28 per cento. Il Pd di Elly Schlein cresce dello 0,1 e oggi è al 20 per cento (il sondaggio naturalmente è precedente alle polemiche sulla manifestazione del M5s e ai malumori tra i dem). 

Primo sondaggio dopo la scomparsa del Cav: cosa succede a Forza Italia

Calo rilevante del Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte: oggi è al 14,6 per cento in virtù di un calo di sei decimali negli ultimi sette giorni. Anche la Lega “ha perso moltissimo”, spiega Masia. Il Carroccio è al 9,2 per cento (-0,8). Boom di Forza Italia sull’ondata emotiva della scomparsa del suo fondatore: gli azzurri guadagno un punto e mezzo e salgono all’8,9 per cento. Le altre liste: +Europa 3 per cento, Azione 3,3, Italia viva 3,2, Verdi-Sinistra 2,4, Italexit 2, Unione Popolare 1,5, Noi moderati 1,3. 

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Elly Schlein “in trappola”: la sconvolgente denuncia dal cuore Pd

lunedì, Giugno 19th, 2023

La segretaria del Pd Elly Schlein è caduta in una “mezza trappola”, portando il saluto del partito al corteo di sabato a Roma contro la precarietà organizzato dal Movimento 5 Stelle. Lo sottolinea Matteo Ricci, sindaco di Pesaro e coordinatore dei sindaci del Pd, in una intervista al Corriere della Sera. “Il congresso ha definito una leadership, ma dobbiamo avere un progetto per vincere le Europee, coinvolgendo tutto il gruppo dirigente, incluso Alessio D’Amato“, che ha deciso di lasciare la direzione in aperta polemica con quanto ascoltato in piazza, dalle sparate filo-russe di Moni Ovadia ai deliri “brigatisti” di Beppe Grillo in passamontagna. Frasi in libertà e provocazioni politiche su cui, anche solo involontariamente, la Schlein ha messo il cappello senza dire una parola né fare un distinguo.

Secondo Ricci, comunque, Schlein non ha sbagliato ad andare nella piazza della manifestazione organizzata da Conte: “Noi dobbiamo trovare un modo di coordinarci con le opposizioni. Altrimenti Meloni farà quello che vuole. Nel prossimo futuro si vota anche per eleggere i sindaci di cinquemila Comuni e in alcune Regioni. E’ giusto che la segretaria tessa una tela su temi specifici”. La segretaria del Pd “ha tentato, portando un saluto, di dare un segnale distensivo. Ma dopo il suo passaggio, in quella piazza convocata contro la precarietà, è’ successo di tutto. Dal loro palco, Moni Ovadia ha detto cose sulla guerra e sulla Nato inaccettabili. Beppe Grillo ne ha dette altre che lasciano sbigottiti. Così guastano il nostro lavoro unitario”.

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Brigate e blasfemia. La deriva estremista indigna i moderati: D’Amato apre la fuga 19 Giugno 2023 – 07:35

lunedì, Giugno 19th, 2023

Massimo Malpica

«Brigatisti» civici col passamontagna sul viso. Europa «serva degli Usa» sulla guerra in Ucraina. E donne incinte crocifisse issate alle spalle del sindaco Pd. La nuova deriva radicale dei dem, certificata anche dalla partecipazione di Elly Schlein al comizio di Grillo (e alle affermazioni di Moni Ovadia sulla guerra), non piace ai moderati di via del Nazareno, e così fioccano non solo le polemiche ma anche qualche addio, altrettanto polemico, che rischia di sfasciare il partito.

Poco più di un mese fa a sbattere la porta era stato il senatore Enrico Borghi (passato a Italia Viva), che due giorni fa non ha mancato di criticare Schlein per aver «rincorso» i pentastellati offrendo «solidarietà» ai riformisti del Pd. E ieri il dietro-front è stato quello di Alessio D’Amato (in foto), ex assessore alla Sanità con Zingaretti governatore laziale, che ha deciso di voltare le spalle al suo partito il giorno dopo la decisione di Elly Schlein di scendere in piazza con Conte e i pentastellati, facendosi immortalare proprio davanti al palco dove prima Grillo ha «rievocato» i brigatisti e poi Moni Ovadia ha tirato in ballo le responsabilità dell’Occidente sull’invasione russa dell’Ucraina.

«Ho comunicato a Stefano Bonaccini le mie dimissioni dall’Assemblea nazionale del Pd. Brigate e passamontagna anche No. È stato un errore politico partecipare alla manifestazione dei 5S. Vi voglio bene, ma non mi ritrovo in questa linea politica», twitta rassegnato D’Amato, aprendo la frattura tra l’anima riformista dem e la rotta radicale sposata dalla segretaria.

E, come detto, l’ex candidato del Pd a governatore del Lazio, sconfitto a febbraio da Francesco Rocca, non è il solo a prendere le distanze dalla scelta della nuova leader dem. Già a caldo Pina Picierno aveva chiarito di non gradire affatto la nuova linea del suo partito. L’europarlamentare Pd, infatti, pur ammettendo che «unire le opposizioni è fondamentale», e dunque concedendo una ragione alla presenza in piazza di Schlein, aveva aggiunto caustica, sempre su Twitter: «Ma intorno a cosa ci uniamo? Alle parole aberranti di Moni Ovadia sull’Ucraina o alle farneticazioni di Beppe Grillo sui passamontagna?». E non aveva apprezzato quanto accaduto in piazza a Roma nemmeno il presidente del Copasir ed ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini. «Non polemizzo sul fatto che si sia deciso di partecipare, seppur nella fase iniziale della manifestazione, senza averne discusso. Non posso però non rimarcare la mia distanza siderale da ciò che è stato detto sulla guerra di Putin all’Ucraina. Il Partito Democratico è dalla parte dell’Ucraina, della sua lotta per la libertà e per la sovranità del suo popolo», aveva commentato l’esponente Pd. Incassando a stretto giro di posta il plauso di Simona Malpezzi, ex capogruppo Pd a Palazzo Madama, sostituita con Francesco Boccia proprio dalla Schlein e «avvisata» a mezzo stampa. «Condivido totalmente le parole di Guerini», il commento della senatrice dem, «noi siamo dalla parte dell’Ucraina, a sostegno della sua libertà e per la sovranità del suo popolo.

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“Ho subito in prima persona il terrorismo. Dal leader 5 stelle parole intollerabili”

lunedì, Giugno 19th, 2023

Luca Fazzo

Due cattivi maestri a distanza di mezzo secolo, e si parla sempre di passamontagna. Sono passati cinquant’anni da quando il professor Toni Negri incitava ad armarsi i militanti dell’Autonomia, «mentre mi calo il passamontagna sento il calore della comunità operaia». E lo stesso simbolo guerrigliero rispunta nelle parole di Beppe Grillo, che nel suo comizio di sabato invita a passare alle vie di fatto contro il governo che vuole smantellare il reddito di cittadinanza: «Fate le brigate di cittadinanza, mettetevi il passamontagna e di notte, senza farvi vedere, fate i lavoretti, sistemate i marciapiedi. Reagite».

Parola da brividi per tutti e soprattutto per chi come Olga D’Antona ha vissuto nel modo più tragico gli anni di piombo: suo marito era Massimo D’Antona, giurista specializzato in diritto del lavoro, consulente del governo guidato da Massimo D’Alema, assassinato dalle Brigate Rosse a Roma la mattina del 20 maggio 1999. Negli anni successivi sua moglie è stata parlamentare prima per i Ds e il Pd: e in quella veste si indignò per la scelta di Piero Fassino di invitare su un palco Adriano Sofri, il mandante del delitto Calabresi. Ieri è in vacanza, e la notizia del proclama del fondatore del Movimento 5 Stelle le arriva in ritardo. La prima reazione è l’incredulità.

«Ha detto davvero così? »

Purtroppo.

«Cosa posso dire… Siamo davvero aldilà dell’immaginabile. Le parole di Grillo non possono essere equivocate, sono molto chiare. E sono chiaramente un richiamo all’eversione».

Una pagina terribile della storia di questo paese.

«Esatto, noi ci siamo passati e questo rende ancora più inaccettabili le parole di Grillo. Sia chiaro: anche io penso che sia giusto vigilare sull’operato del governo di centrodestra, odi destra che sia. Hanno vinto le elezioni, hanno il diritto di governare, ma da donna di sinistra dico che bisogna tenera alta la guardia perché ci sono valori che non possono essere messi in discussione, specie nel campo dei diritti civili. Uno dei diritti civili negati ad esempio è il diritto all’esistenza di un bambino solo perché ritenuto colpevole di avere due genitori dello stesso sesso. Ma davanti alle parole di Grillo dico che evidentemente siamo chiamati ad una doppia vigilanza: da una parte verso i rischi autoritari del governo, e dall’altra verso la deriva di chi per contestare questo governo rispolvera le parole d’ordine di un’epoca buia».

Giuseppe Conte ha difeso Grillo, accusando chi lo ha criticato di fare della «falsa opposizione». Davvero per battere la Meloni serve infilarsi il passamontagna?

«Non diciamo assurdità. Finché saremo in una democrazia, saranno garantiti tutti gli strumenti perché l’opposizione possa fare il suo lavoro in modo intransigente e pacifico. La pace prima di tutto, la democrazia prima di tutto».

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Grecia, un sopravvissuto inchioda la Guardia costiera: “È arrivata molte ore dopo l’Sos, ci ha trainato e fatto ribaltare”

lunedì, Giugno 19th, 2023

dalla nostra inviata Letizia Tortello

KALAMATA. «Abbiamo chiesto aiuto dalle 12 (ora di pranzo, ndr), perché il motore della barca si era fermato. Ma l’aiuto è arrivato tardi, solo la sera, intorno alle 21,30. La Guardia costiera greca è venuta a quell’ora, ma non ci ha aiutati subito. Aspettava». La testimonianza di Hadi Mahmood Makieh a La Stampa è una ricostruzione che non lascia spazio a dubbi. Se fosse confermata, riporterebbe la responsabilità dell’affondamento del peschereccio naufragato mercoledì al largo di Pilo con 600 morti sull’autorità marittima greca. Che prima non sarebbe intervenuta, poi avrebbe messo in atto una manovra di traino sbagliata e pericolosa, considerato l’elevato carico dell’imbarcazione, che trasportava 750 migranti.

Hadi, siriano di Damasco, oggi è assistito nel campo profughi di Malakasa, ad Atene. Racconta: «Il mare era calmo. La Guardia costiera guardava. Dopo molto tempo, ha lanciato un cavo dalla parte sinistra per cercare di tirare la nostra barca. Il cavo è stato legato da un egiziano che era a bordo, ma l’abbiamo perso, perché non era legato bene. A quel punto, è venuto uno della guardiacoste e l’ha legato meglio». È salito a bordo? «Sì, è salito a bordo per legare il cavo. Siamo stati trascinati dalla sinistra. La barca si è capovolta, forse ha preso un’onda. Io sono finito in mare. Ho nuotato quattro ore, prima di essere salvato. Quando mi hanno trovato, sono svenuto».

Immaginiamo un peschereccio stracolmo di persone che viene trascinato con una cima. La nave si inclina da una parte per il peso. E questo quadrerebbe con i racconti di altri migranti, che spiegano come si siano spostati in tanti per controbilanciare e l’imbarcazione abbia iniziato ad oscillare. La Guardia costiera greca, invece, negli scorsi giorni ha negato di aver lanciato alcuna cima. Poi, ha cambiato idea, ma ha parlato di offerta di soccorsi rifiutata, infine di soccorsi a tarda notte, anche se non ha mai ammesso di aver trainato la barca in difficoltà.

La gioia dei vivi e la pena dei sospesi
Hadi, dopo il disastro si è risvegliato all’ospedale di Kalamata. Si era ferito ad una spalla. Sulla barca portava con sé un minore non accompagnato, Yakoub Abdulwahed, di 13 anni, ma dice di averlo perso di vista nella tragedia. «I bambini e le donne erano al piano meno due della nave. Sotto di loro, c’erano solo i frigili». Lo zio di Yakoub, Emad Abdulwahed, non si dà pace. Anche ieri ha continuato disperatamente a cercare il nipote. Sembrano essere 8 i minorenni sopravvissuti, nessuno dà i nomi. E dopo molte suppliche del famigliare, non c’è neppure la conferma che i minorenni salvati abbiano già parlato con i parenti che hanno fatto denuncia, il che eliminerebbe ogni speranza di trovarlo vivo. Nel caos dei rimpalli e delle comunicazioni, Emad come centinaia di famiglie è in attesa di una voce delle autorità greche, che non arriva mai. «Vi faremo sapere, ci sono 250 richieste come la vostra. Esamineremo», si è sentito dire.

Hadi, invece, i genitori li ha incontrati e riabbracciati venerdì a Malakasa, tra le lacrime. Ci spiega che stava nella parte anteriore del peschereccio, con altri siriani. «Ho perso molti amici». Nessuno sa se siano tra i 78 cadaveri rinvenuti o tra i quasi 600 affondati.

Le violenze durante il viaggio
Col passare dei giorni, lo choc per lui si affievolisce. Ha ricominciato a mangiare. Ricorda molte cose della traversata. «Al secondo giorno dalla partenza dalla Libia, non ci davano più da mangiare e da bere. Molti svenivano. Io stavo sul ponte». E ancora, «i trafficanti hanno sparato a dieci persone che si stavano ribellando, li hanno uccisi tutti». Conferma anche come siano passate barche ad aiutarli: «Due imbarcazioni petrolifere ci hanno dato acqua». A bordo, a qualcuno era stato permesso di tenere i cellulari, ma si sono presto scaricati. «Io l’avevo messo in tasca, insieme al portafoglio dove avevo dei soldi. Quando mi sono svegliato in ospedale, non l’ho più trovato».

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Elon Musk, le democrazie e la dittatura dell’algoritmo

lunedì, Giugno 19th, 2023

MASSIMO GIANNINI

«Fate più figli, l’Italia sta scomparendo». Ci mancava Elon Musk a Palazzo Chigi, per spiegarci l’inverno demografico che, insieme all’Apocalisse climatica, ci cancellerà dalla faccia della Terra. Ce lo doveva dire lui, quintessenza delle contraddizioni contemporanee, simbolo vivente dei sogni più affascinanti e degli incubi più distopici della post-modernità. Seduto su un patrimonio personale di 187 miliardi di dollari, il Turbo-Capitalista più ricco e più visionario del mondo ha appena ricevuto l’autorizzazione della Food and Drug Administration a impiantare microchip nel cervello, ma a Giorgia Meloni ha detto che è preoccupato per l’Intelligenza Artificiale, che secondo un documento da lui stesso firmato insieme al capo di ChatGpt e ad altri 350 guru potrebbe «annientare il genere umano».

D’accordo, sulla natalità lui la sua parte la sta facendo: ha ben sette figli (compresa una bimba concepita con la maternità surrogata, che per la Sorella d’Italia sarebbe «reato universale»). Nel frattempo, ha spedito nell’atmosfera i suoi 130 mila satelliti Starlink e nel cosmo una comitiva di astronauti a bordo delle sue navicelle private SpaceX. Ha riempito le strade, sfornando le sue Tesla elettriche da 130 mila euro l’una. Ma ha svuotato Twitter, licenziando 36 dipendenti al giorno da quando la comprò per 44 miliardi di dollari nell’ottobre 2022. Cosa può fare Elon Musk per l’Italia non è ancora chiaro. Il governo è a caccia di investimenti stranieri, ma il funambolico tycoon ha appena scelto la Germania per insediare la sua prima Gigafactory europea per le batterie elettriche. Con la premier e col ministro degli Esteri ha parlato di tutti i business che gli stanno più a cuore.

L’aerospazio, la cybersecurity, l’automotive, dove siamo al terzo posto in Europa con 50 miliardi di ricavi, 2.467 aziende e 163 mila occupati. Ma soprattutto i Social Media, con tutte le sue implicazioni e derivazioni, dal Deep Fake all’impiego delle «macchine intelligenti».

Qui sì, il ruolo dei «Capitalisti della Sorveglianza» è veramente cruciale. Dopo aver tirato la volata a Trump e poi lanciato il suo endorsement per l’altro candidato repubblicano (il governatore della Florida Ron De Santis), Musk con la sua «compagnia dell’uccellino» sta giocando una partita ambigua. Meloni e Tajani gli hanno chiesto perché si sia ritirato dal Digital Service Act Europeo. La risposta non la sappiamo. Ma conosciamo le incognite che si nascondono in questa gigantesca zona grigia, dove si incrociano libertà dell’informazione, tecnologie digitali e Intelligenza Artificiale.

Siamo tutti contenti per la decisione del Parlamento europeo, che una settimana fa ha approvato a larghissima maggioranza un Regolamento sull’uso delle «macchine intelligenti». Come hanno scritto su La Stampa Luigi Manconi e Federica Resta, è il primo provvedimento al mondo che introduce una disciplina minima all’algoritmo, per tutelare diritti e libertà. C’è il divieto di riconoscimento facciale in tempo reale nei luoghi pubblici, che evita quelle odiose forme di biosorveglianza sperimentate in Cina durante il Covid. C’è il divieto dei metodi di «polizia predittiva» fondati sulla previsione dei comportamenti futuri di un soggetto in base alla serie statistica delle condotte passate, che ci ricordano le mostruose indagini sugli «psico-reati» descritte da Philip Dick in Minority Report. C’è il divieto delle tecniche di riconoscimento delle emozioni nelle indagini e del cosiddetto social scoring, cioè la classificazione dei cittadini sulla base delle caratteristiche soggettive, che rievoca le vecchie dottrine lombrosiane rivisitate in forma più sofisticata. Può bastare, tutto questo?

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La grande fuga dagli ospedali: 10mila camici bianchi pronti a lasciare

lunedì, Giugno 19th, 2023

Paolo Russo

Nel 2020, anno primo della pandemia, erano un fenomeno irrilevante. Poi nel 2021 se ne sono contati duemila, saliti a 2.870 l’anno successivo. Ma ora si rischia l’emorragia, una fuga dall’Egitto di dimensioni bibliche. Perché stanchi di turni massacranti, demoralizzati dall’assenza di prospettive di carriera, visto che con il taglio di 30mila posti letto in dieci anni sono sfumati anche migliaia di posti da Primario, arrabbiati per le buste paga più basse d’Europa, sono 5mila i medici ospedalieri che negli ultimi sei mesi hanno chiesto al loro sindacato più rappresentativo, l’Anaao, informazioni per fare armi e bagagli dicendo addio alla sanità pubblica. Una parte per andarsene all’estero, altri per lavorare privatamente, un’altra fetta per ritirarsi anticipatamente in pensione. Come se non bastasse altrettanti hanno alzato il telefono per farsi fare dallo stesso sindacato un po’ di conti su quanto perderebbero non lavorando più in esclusiva per l’Ssn, ma acquisendo piena libertà di lavorare privatamente “a studio”. In tutto 10mila camici bianchi pronti a lasciare del tutto il lavoro in corsia o a ridurre le presenze.

A riferirci i numeri di questo malessere montante è Pierino Di Silverio, segretario nazionale dell’Anaao. «Dalle chiamate che riceviamo in continuazione abbiamo la chiara percezione che meno si sta in ospedale e meglio ci si sente. E chi può se ne va».

Il 15 giugno i medici ospedalieri hanno manifestato un po’ in tutta Italia contro le condizioni precarie di lavoro e le difficoltà nell’erogare livelli accettabili di assistenza, come dimostrano liste d’attesa e caos dei pronto soccorso. «La Sanità pubblica è allo stremo – prosegue Di Silverio – da questo momento o si agisce in fretta o noi siamo pronti a tutto pur di impedire la disgregazione del servizio sanitario nazionale. Se arriveremo allo sciopero non sarà di un giorno, così come di sicuro non sarà l’unico strumento estremo che useremo, non escluse le dimissioni di massa». Alle quali in tanti stanno già pensando senza aspettare le indicazioni sindacali. Tanto più se la trattativa per il rinnovo di un contratto 2019-21 già scaduto non prenderà un’altra piega rispetto a quella che attualmente promette un aumento medio del 4%, che è la metà del salario già corroso dall’inflazione.

I camici bianchi però non rivendicano soltanto soldi ma condizioni migliori di lavoro, visto che ognuno di loro accumula in media 300 ore di lavoro extra che non vengono né pagate e nemmeno recuperate. I sindacati di categoria chiedono poi che le aziende sanitarie e ospedaliere smettano di utilizzare i soldi dei cosiddetti “fondi di posizione” per la carriere e quelli “di risultato” per pagare gli straordinari. «Che in pratica ci vengono remunerati con i nostri stessi soldi», chiosa il segretario dell’Anaao. Che insieme alle altre sigle di categoria si prepara alla serrata a settembre se dal Governo non arriveranno risposte concrete alle loro richieste.

Intanto però c’è da capire se i reparti dei nostri ospedali questa estate chiuderanno per ferie, visto che tra carenze di organico e fuga dal servizio pubblico non sarà facile sostituire chi per contratto ha diritto ad almeno 15 giorni di vacanze da prendere quando si vuole. Ossia, come pressoché tutti chiedono, a luglio ed agosto. E le difficoltà maggiori si incontreranno proprio nella medicina di emergenza e urgenza, nelle sale operatorie dove scarseggiano gli anestesisti, nei reparti di infettivologia e, in generale, per tutte quelle specialità mediche dove si lavora quasi esclusivamente per il pubblico perché c’è poca richiesta di visite private. Che sia così lo mostrano i numeri dell’altra grande fuga: quella dei giovani dalle specializzazioni meno remunerative. Da un lato infatti è rimasto scoperto solo lo 0,4% dei posti nella dermatologia, gettonatissima nel privato. E altrettanto dicasi della chirurgia plastica, dove appena il 2,32% delle borse di studio non è stato assegnato. Dall’altro invece il 78,3% dei posti in virologia e microbiologia sono rimasti senza giovani aspiranti specialisti, che nonostante le virostar hanno preferito settori dove le visite a studio sono più richieste.

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Imprese e politica: Berlusconi e l’eredità difficile

lunedì, Giugno 19th, 2023

di Ernesto Galli della Loggia

Dietro una bonomia e un’affabilità molto milanesi Silvio Berlusconi nascondeva la realtà di un uomo dal temperamento e dalla volontà d’acciaio. Agito da mille interessi, dotato di mille vite e di mille capacità, tenacissimo nella cattiva sorte e nella sconfitta, pronto sempre a ricominciare senza mai darsi per vinto: un temperamento d’acciaio, appunto. Ma Forza Italia, la sua creatura politica, invece, è sempre rimasta un partito di plastica: collettore di grandi consensi elettorali, certo, ma sempre privo di una autentica capacità di vita autonoma, di veri organi interni, di qualunque articolazione territoriale della cui attività si avesse notizia. Insomma un’obbediente creatura nelle mani del suo padrone che così la volle sempre. Proprio questa duplicità — da una parte la qualità dell’uomo e l’eccezionalità del suo ruolo nell’economia e dall’altra la pochezza della sua creatura politica — aiuta a mettere a fuoco un significato centrale della presenza di Silvio Berlusconi nella storia d’Italia.

Berlusconi appartenne a quella schiera di grandi imprenditori dotati di un geniale spirito innovatore che, a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, segnarono l’ingresso dell’Italia nel novero dei grandi paesi industriali moderni. La schiera degli Enrico Mattei, dei Giovanni Borghi, degli Enzo Ferrari, dei Serafino Ferruzzi, dei Michele Ferrero: il Cavaliere era di quella razza lì.

La sua intuizione e la sorte vollero però che il principale campo d’azione in cui a un certo punto decise di cimentarsi fosse la televisione. Vale a dire il settore, tra tutti, che per ovvii motivi è il più intrecciato con la vita pubblica e perciò è il più contiguo alla politica, ai più o meno legittimi interessi di questa: e dunque anche alle sue ostilità. Silvio Berlusconi si trovò così fatalmente costretto ad avere a che fare in misura massiccia con la politica, a doverla utilizzare e a doversene proteggere. Di conseguenza, una volta caduto nel 1992-93 il comodo velo d’interposizione offertogli per anni dal craxismo, a entrare direttamente in politica. A farsi lui stesso politico.

Da quel momento la sua vicenda diventa esemplare di molte cose ma di una in particolare: del modo di atteggiarsi rispetto alla politica tipico di chi viene dal mondo del fare, dell’imprenditoria. Berlusconi, infatti, è stato un rappresentante per antonomasia della cultura politica di quel mondo. E insieme quindi della cultura politica prevalente in una parte consistente dell’elettorato italiano: quello che ruota intorno all’universo vastissimo della microimprenditorialità, del commercio, della miriade di persone che aspirano a far parte dell’uno e dell’altra. Gente che in genere ha le idee molto chiare (e spesso anche giuste) su ciò che vuole dalla politica, su quanto sarebbe bene che la politica facesse, anche se quasi mai sul modo in cui quelle cose, poi, sarebbe possibile farle davvero.

In nessun caso però dei nemici dell’ordine costituito. Il New York Times dell’altro giorno ha intitolato il necrologio di Silvio Berlusconi: «Addio all’uomo che ci ha dato Trump». Nulla di più falso. Mai e poi mai Berlusconi avrebbe aizzato i suoi seguaci a dare l’assalto a Montecitorio (la massima prova eversiva che gli si può attribuire fu qualche anno fa un patetico coro di una cinquantina di parlamentari di Forza Italia davanti al Palazzo di Giustizia di Milano). Coloro che per anni hanno farneticato del Caimano pronto a incitare la plebaglia a mettere a ferro e fuoco l’Italia, oggi non possono che riconoscere il proprio abbaglio.

È questa una distinzione fondamentale se si vuole capire la vicenda di Berlusconi: un conto è l’antipolitica, un altro l’estraneità alla medesima. E fu questa la specialità di cui l’ex premier è stato un campione naturale (guadagnandosi così il successo che si è guadagnato tra la gente comune). Tutti gli ingredienti quotidiani della prassi politica democratica — dalle schermaglie parlamentari alle dichiarazioni infarcite di sottintesi — non gli dicevano nulla. Ma in realtà poco gli interessava, addirittura forse lo annoiava, anche decidere, anche governare quando si trattava di cose lontane dai suoi interessi (non intendo solo di quelli delle sue aziende). Non è un caso che i governi Berlusconi, pur disponendo a lungo di maggioranze massicce, sono stati per più versi una collezione di promesse e di occasioni mancate. A pensarci bene una cosa abbastanza singolare per un uomo che in pochi anni era stato capace di fare ciò che lui aveva fatto. Eppure egli si rivelò inspiegabilmente incapace di decidere e di cambiare incisivamente proprio dove più sarebbe apparso ovvio che decidesse e cambiasse: ad esempio nel riformare la macchina dell’amministrazione pubblica e delle sue regole, nel disboscare la giungla burocratica italiana, nel cancellare istituzioni ed enti inutili, nell’ imprimere una spinta realizzativa negli investimenti pubblici (caso tipico i lavori dei cantieri), nel diminuire le tasse. Insomma nel realizzare quella rivoluzione liberale tanto promessa e mai neppure iniziata.

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