Archive for Giugno, 2023

L’Italia delle sorprese (senza dimenticare le cautele)

giovedì, Giugno 1st, 2023

di Daniele Manca

Italia delle sorprese. La velocità e il modo con il quale stiamo uscendo da una doppia crisi finanziaria come quella dell’euro e dei debiti sovrani, dalla pandemia con il crollo delle attività economiche fino allo choc della guerra, ha del sorprendente. Ci ha pensato ieri il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, a rimarcarlo. Invitando però ancora una volta alla cautela. Perché dalle sorprese, per quanto positive, si deve passare a uno sviluppo che sia strutturale.

Con la consueta severità ma anche con incoraggiante lungimiranza e il necessario ottimismo il governatore ha accompagnato il Paese in questi anni difficili. Ma vietato illudersi che i rischi siano scomparsi. E questo per una inflazione che scende sì, ma non alla velocità necessaria; e non sempre per motivi esterni al Paese, vista la caduta dei prezzi delle materie prime. Cautela per un debito che assorbe risorse che potrebbero invece contribuire allo sviluppo. Per le tante riforme ancora da fare, la cui mancata attuazione impedisce di passare dalle sorprese a una crescita strutturale.

A confortare Visco e noi tutti, quei dati Istat che ci hanno regalato la fotografia di un Paese che quest’anno crescerà quasi dell’uno per cento. L’Italia è uscita meglio del previsto dalle crisi, ha detto il governatore. Persino più dei nostri partner. Cosa che, peraltro, fa gioire molti. Non sempre a ragione.

Forse si dimentica che quella crescita c’è, ma non è spinta da una domanda interna che resta stagnante, da consumi al rallentatore, da salari fermi e precarietà. Una precarietà che fa sì che dopo 5 anni di lavoro il 20% dei giovani abbia ancora contratti a tempo determinato, come sottolineato dal governatore. Troppi giovani e donne risultano inoccupati e spesso con condizioni contrattuali inadeguate.

A sostenere lo sviluppo sono i record dell’export proprio verso quella Germania, Francia e Stati Uniti che frenano. E che guai se non tornassero a crescere in maniera sostenuta, visto che sono i nostri partner migliori e benzina per il motore dello sviluppo italiano. La creazione di prodotto interno lordo non è una gara, tantomeno tra Paesi che fanno parte di una stessa squadra. Il Pil, il suo aumento, è garanzia di politiche che possano permettere di superare i colli di bottiglia storici del nostro Paese.

La stabilità di una maggioranza così solida che vuole governare cinque anni è uno degli elementi che possono garantire lo sviluppo con scelte di lungo periodo. Qualcuna la si è vista ieri al Consiglio dei ministri.

È stato esaminato ieri il disegno di legge di valorizzazione, promozione e tutela del made in Italy. Il riordino delle agevolazioni per le imprese impegnate nella transizione che si compone di quel combinato di tecnologie, sostenibilità e attenzione ai cambiamenti climatici, ne è un esempio. Purché, nell’attesa del nuovo non si perda il vecchio di quegli aiuti che hanno permesso in campo digitale e tecnologico la tenuta del sistema manifatturiero in questi anni.

La riforma del Fisco messa di nuovo al centro delle politiche di bilancio è un altro segnale nella giusta direzione. Ma senza alcuna indulgenza verso l’evasione fiscale. Che ancora il numero uno di Banca d’Italia ha indicato assieme al «sommerso» come uno degli elementi che danneggia le aziende a più alto potenziale alterando i meccanismi della concorrenza. E quindi la crescita oltre che la civile convivenza.

Per anni la mancanza di disponibilità di fondi ha funzionato da alibi per non fare. Oggi quell’alibi è caduto. L’Italia ha avuto a disposizione 126 miliardi tra il 2014 e il 2020 sotto forma di fondi europei nazionali e di coesione. Ne sono stati spesi solo il 34%. Altri 80 saranno pronti da qui al 2027. A questi vanno aggiunti i circa 220 del Pnrr. Non si può fare tutto, ma molto sì.

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Renzi contro Schlein: “Sa vincere le primarie ma perde le elezioni”

giovedì, Giugno 1st, 2023

Pietro De Leo

Elly Schlein rilancia, e di questo i dem dovrebbero preoccuparsi perché pare non abbia colto il senso pieno della debacle sui territori. «A chi pensa che sia finita – dice la segretaria Pd in un video Instagram a due giorni dalla sconfitta alle amministrative- io dico che abbiamo solo cominciato». E tanto per tranquillizzare i moderati, fa un’allusione a Mao, e al suo celebre brocardo sulla rivoluzione che non è un pranzo di gala. «Il cambiamento non è un pranzo di gala – riadatta Schlein – è scomodo. Abbiamo un lavoro lungo davanti. Mettetevi comodi, siamo qui per restare». Sottolinea poi «il lavoro lungo da fare, coinvolgendo partito e territori. Andiamo avanti con le nostre battaglie». Poi assicura: «Non ci spaventano gli attacchi. Siamo qui per fare esattamente quello che diciamo».

Proprio questo, in realtà, è il problema, visto che questo Pd così arroccato su posizioni ideologiche e radicali, tra fondamentalismo LGBT, ambientalismo settario, antifascismo in assenza di fascismo, non conquista il cuore degli elettori. E i primi responsi elettorali lo stanno dimostrando. Però, ora, la linea del Nazareno, comprensibilmente, è quella di prendere tempo. Lo si coglie anche dalle parole di Dario Franceschini a La Repubblica. L’ex ministro della Cultura, sostenitore della mozione Schlein, con la sua scelta ne ha in sostanza fatto da «latore» presso il mondo post democristiano di sinistra. Ovviamente quanto sta accadendo ne indebolisce l’istanza. Ieri, appunto, ha provato a puntellare l’operazione, sottolineando che «nessuno ha la bacchetta magica, tantomeno Schlein. Mi rattrista un po’ che le lezioni del passato non bastino mai. Tutti i leader del Pd, sottoscritto compreso (fu segretario dopo le dimissioni di Veltroni nel 2009, n.d.r) hanno subito dal primo giorno un’azione di logoramento. Allora dico: fermiamoci. Il risultato di queste amministrative non può diventare un alibi per iniziare una normalizzazione di Schlein».

Difficile, però, che ciò può avvenire senza una correzione di piattaforma. È quel che pare fare intendere anche il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri. Anche lui finito nel mirino della foga ambientalista di alcuni componenti della segreteria Schelin, che hanno espresso dubbi sull’intenzione di realizzare il termovalorizzatore per smaltire l’immondizia prodotta nella Capitale.

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Meloni ai suoi: avanti sul premierato. Al lavoro sulle riforme costituzionali

giovedì, Giugno 1st, 2023

Gianni Di Capua

Dopo l’incontro con le opposizioni dello scorso 9 maggio alla Camera, e il confronto di martedì con sindacati e associazioni di categoria, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha fatto ieri a Palazzo Chigi il punto della situazione sul tema delle riforme istituzionali con i vertici del suo partito dando, secondo quanto si apprende, il mandato di elaborare una proposta che preveda il premierato.

Per oltre un’ora e mezzo la premier si è confrontata con i ministri Francesco Lollobrigida e Luca Ciriani, e i capigruppo di Camera e Senato di Fratelli d’Italia, Tommaso Foti e Lucio Malan. Presente a Palazzo Chigi anche il vicepresidente di Montecitorio, Fabio Rampelli, che lasciando la sede del governo ha però dribblato le domande dei cronisti: «La riunione sulle riforme? Sono andato per altre questioni pratiche di vario genere. Le riunioni di partito non si fanno a Palazzo Chigi».

Dopo il giro d’orizzonte fatto da Meloni con i vari attori in campo è attesa quindi la proposta che finirà per essere incardinata in Parlamento, dove invece è già approdato- alla commissione Affari Costituzionali del Senato il ddl per l’attuazione dell’autonomia differenziata presentato dal ministro Roberto Calderoli.

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Csm, scatta l’aumento di stipendio. La stretta di Cartabia è già dietro le spalle

giovedì, Giugno 1st, 2023

Giuseppe Salvaggiulo

Aumento degli stipendi al Csm. Nell’ordine del giorno della seduta odierna del plenum dell’organo che governa la magistratura, compare una proposta di «adeguamenti delle indennità e degli altri emolumenti».

La riforma Cartabia, approvata lo scorso anno, aveva previsto un taglio di circa 60 mila euro annui ai consiglieri togati (magistrati eletti dai colleghi) e di circa 100 mila euro annui a quelli laici, eletti dal Parlamento. In particolare, la legge impone anche al Csm il tetto massimo di 240mila euro annui onnicomprensivi, sterilizzando così i rimborsi spese e i gettoni di presenza per le sedute delle commissioni e del plenum, che contribuivano a rimpinguare fin quasi a raddoppiare lo stipendio base, oscillante tra 140mila e 180mila euro circa.

L’effetto si è visto subito nel nuovo Csm, con una riduzione delle sedute di commissione e di plenum.

Ora il Csm corre ai ripari. Lo strumento tecnico è l’adeguamento delle indennità all’inflazione. La delibera proposta dal comitato di presidenza fa presente che le voci erano bloccate dal 2010 e che si è scelto un aumento del 7 per cento, anziché dell’11% come pure possibile calcolando la dinamica del costo della vita.

Ecco l’effetto, in concreto.

L’indennità di seduta, dovuta per ogni seduta del plenum, passa da 297 a 320 euro; per ogni seduta del comitato di presidenza da 184 a 200 euro; della sezione disciplinare da 366 a 400 euro. A volte queste indennità vengono calcolate per due sedute giornaliere.

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Tito Boeri: “La legge Made in Italy è da Ventennio, non c’è redistribuzione della ricchezza”

giovedì, Giugno 1st, 2023

Giuliano Balestreri

Globalizzazione, fisco e lavoro. Tanta economia e poca politica. Il Festival Internazionale dell’Economia, che inizia oggi a Torino, farà in qualche modo da contraltare al governo che in questi giorni è alle prese con il lavoro, la delega fiscale e il decreto sul Made in Italy. La crescita del Pil batte le attese, ma l’inflazione non molla la presa e il potere d’acquisto continua a scendere. «Il Pil non è sufficiente a spiegare la complessità della situazione. È evidente che le persone affrontino un momento di grande difficoltà e che in Italia ci sia un problema di redistribuzione» spiega Tito Boeri, milanese, classe 1958, professore di Economia del Lavoro alla Bocconi, che del Festival, arrivato alla sua seconda edizione, è il direttore. Tra marzo 2015 e il 2019 è stato ancora presidente dell’Inps.

Si parlerà soprattutto di globalizzazione: corre verso la fine?

«È un argomento estremamente divisivo. C’è chi pensa sia un fenomeno positivo e tende a vederne solo i vantaggi, penso alla possibilità di accedere a una maggiore varietà di beni; a prezzi più bassi grazie a un più elevato livello di concorrenza, ma anche la possibilità di comunicare il mondo intero, viaggiare, scambiare opinioni e culture».

E gli aspetti negativi?

«C’è chi pensa che gli svantaggi siano superiori. E teme la perdita del lavoro, vuole difendere la diversità, la propria identità e la sovranità».

Come si mettono d’accordo due anime così diverse?

«Parlarne serve a governare la globalizzazione. Per questo ne discutiamo con esperti che ne occupano da 25 anni».

Intanto le gente comune legge che il Pil è cresciuto dell’1,9%, ma fatica sempre di più a fare la spesa.

«Il Pil è un numero, ma non spiega la redistribuzione della ricchezza. E in Italia il reddito è un problema reale. Molte persone hanno perso una larga parte del proprio potere d’acquisto. Rispetto ad agosto 2021, i prezzi sono aumentati del 13-14%, mentre i salari sono cresciuti del 3-4%: questo vuol dire che in tanti, soprattutto dipendenti, hanno perso il 10% delle loro capacità di spesa».

Come si esce dalla dinamica dei lavoratori poveri?

«La chiave di volta è quella di incentivare un nuovo modello di contrattazione salariale. Servono stipendi legati alla produttività e più contrattazione di secondo livello, tra le aziende e i loro dipendenti».

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Bankitalia, dopo Visco è l’ora di Panetta

giovedì, Giugno 1st, 2023

ILARIO LOMBARDO

Potrebbe non esserci nessuna sfida, nessun rivale, nessuna sorpresa. Tutto secondo copione: Fabio Panetta dovrebbe diventare il prossimo governatore della Banca d’Italia. Questo dicono i pronostici, questo confermano ambienti finanziari, banchieri, politici di opposizione e di governo, collaboratori dei ministri, gran parte della gente che ieri era ad ascoltare le Considerazioni finali di Ignazio Visco. Finali, questa volta, nel vero senso della parola.

L’ultima curva del suo settennato, Visco l’ha affrontata gravato dal peso di dover difendere il buon nome e l’indipendenza di Bankitalia dalle esternazioni degli arditi del nuovo potere meloniano, consiglieri della premier come Giovanbattista Fazzolari che, nelle settimane di accesa diatriba sul contante, arrivò a insinuare che Palazzo Koch fosse al servizio degli interessi privati delle banche. Giorgia Meloni non smentì, anzi. Il rapporto della destra sovranista con la Banca di Via Nazionale non è stato mai dei migliori. Eppure fu proprio a un uomo cresciuto in quei corridoi che la presidente del Consiglio avrebbe voluto affidare il ministero dell’Economia. La partita si chiuse allora, nel giro di totonomi che si consumò agli albori del governo Meloni, quando Panetta, dopo continue insistenze, fece capire che avrebbe preferito restare dov’era e dov’è, cioè nel board della Banca centrale europea, ad aspettare il suo turno, che sarebbe arrivato da lì a qualche mese. E cioè entro il prossimo novembre.

In realtà, si diceva ieri, a margine delle considerazioni di Visco, che la nomina data ormai per certa potrebbe formalizzarsi anche prima, già entro l’estate. Panetta piace a Meloni, e, come spiega un ministro, si è conquistato ancora di più la fiducia della premier e dei suoi fedelissimi quando definì – sempre con garbo – «imprudente» la corsa ad aumentare i tassi della presidente della Bce Christine Lagarde, visto il rischio di compromettere l’economia. A Roma scattò l’applauso, e fu esplicito l’apprezzamento di ministri come Guido Crosetto che, di intervista in intervista, aveva accusato Lagarde di affossare ogni residuo di speranza di ripresa per l’Italia.

Quando il suo nome fu piazzato in cima alla lista dei graditi per il ministero dell’Economia, attorno a Panetta scattò una sorta di cordone di sicurezza. Per motivare il suo «no, grazie», si disse che serviva una sentinella italiana nel comitato esecutivo di Francoforte. Soprattutto in vista del braccio di ferro e dello scontro di idee su come e quanto aumentare il costo del denaro. Ma ora che il percorso di salita dei tassi è ormai quasi al suo massimo, il tema si pone con meno timore. Certo, ci sarà da monitorare e da discutere quanto velocemente andranno fatti scendere i tassi, ma la sensazione è di un’inflazione più gestibile. E poi, l’Italia è già pronta a trattare per il sostituto di Panetta, e il nome che circola con più insistenza è quello di Piero Cipollone, membro del Direttorio e vicedirettore generale di Banca d’Italia, già consigliere economico dell’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

La destra considera Panetta uno della famiglia, e nel corso di questi mesi ha alimentato una leggenda che in realtà piace poco al banchiere. Chi gli ha parlato riferisce di un atteggiamento molto distaccato e infastidito di fronte alla voglia dei partiti di governo di accreditarlo come uno di loro. Per amore della sua storia, si definisce «un indipendente, al servizio del Paese», senza padrini politici. Un uomo di Bankitalia, certamente. Ed è questa una cifra che, raccogliendo testimonianze interne all’istituto, emerge con forza. Come se il corpaccione di Via Nazionale lo considerasse l’erede naturale di Visco.

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La reazione di Schlein: «Io finita? State comodi, sono qui per restare»

giovedì, Giugno 1st, 2023

di Adriana Logroscino

La leader Pd: «No ai fondi Pnrr per le armi». E sul post alluvione spinge Bonaccini

La reazione di Schlein: finita? State comodi, qui per restare
Elly Schlein (Ansa) 

Roma I punti fermi sulla posizione del Pd sulle armi per l’Ucraina, la segretaria Elly Schlein li mette nel pomeriggio durante una breve diretta, su Instagram. «Non abbiamo dubbi sul pieno supporto all’Ucraina con ogni mezzo necessario per la difesa, così come siamo favorevoli all’avanzamento di una difesa comune europea». E durante la diretta Schlein affronta anche gli altri temi caldi. Il futuro del Pd dopo la non brillante prova elettorale delle ultime Comunali: «Il cambiamento non è un pranzo di gala. Mettetevi comodi, abbiamo un lavoro lungo da fare. Noi non ci fermiamo. Abbiamo da ricostruire una prospettiva dando speranza al Paese. Facciamolo tenendo botta». La gestione dell’emergenza in Emilia-Romagna: «Stiamo ancora aspettando la nomina del commissario. Serve chi conosce i territori e non si potrebbero capire scelte diverse se non dettate da interessi di bottega o politici. Il governo faccia in fretta e non strumentalizzi l’alluvione».

L’altro aspetto che Schlein sostiene vigorosamente riguarda il perentorio no all’impiego dei fondi di coesione e del Pnrr a fini di produzione di armamenti, facoltà concessa dalla Commissione agli Stati membri, nel regolamento a supporto della produzione di munizioni che si voterà all’Europarlamento oggi. Un tema, questo dei fondi, trattato con una «enfasi non necessaria» nelle dichiarazioni della segretaria, masticano a mezza voce alcuni europarlamentari del Pd, già risentiti perché l’annunciata riunione col gruppo, due giorni fa, Schlein l’ha tenuta da remoto e non in presenza. Enfasi non necessaria visto che «noi ci stiamo già battendo per eliminarlo dal regolamento, presentando emendamenti, senza bisogno di sollecitazioni da Roma». 

Con il mandato di Schlein, comunque, oggi il gruppo Pd all’Europarlamento voterà a favore del regolamento. Quasi compattamente. Ci saranno, infatti, tre astenuti, Achille Variati, Franco Roberti e Pietro Bartolo, spesso su posizioni pacifiste, e il voto contrario di Massimiliano Smeriglio che però non è iscritto al Pd. «Posizioni personali — minimizza il capo della delegazione degli eurodeputati pd, Brando Benifei — il gruppo è compatto». Il grosso della delegazione parlamentare, che aveva fatto arrivare alla segreteria il messaggio che non si potesse differenziare, nel voto, dal resto del Pse, festeggia che da Schlein non sia arrivata alcuna sconfessione e neppure uno scostamento della rotta. Dopo essersi espressa a favore del «supporto con ogni mezzo necessario all’Ucraina», Schlein definisce «non accettabile usare le risorse destinate ai nidi per munizioni e armamenti». 

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Kosovo, nei villaggi degli scontri: «Noi in incognito tra i serbi»

giovedì, Giugno 1st, 2023

di Marco Imarisio

Nelle comunità rurali dove vive la minoranza nel Nord del Paese: «Qui parlare albanese è pericoloso». Il futuro dei sindaci contestati

Kosovo, nei villaggi degli scontri: «Noi in incognito tra i serbi»
La bandiera serba srotolata sulla strada di Zvecan (foto Ap)

DAL NOSTRO INVIATO
ZVECAN — Ogni mattina Fehmi Mehmeti si sveglia e sa che la prima cosa che dovrà fare è fingere di non essere sé stesso. Scende in cortile, svita la targa della Repubblica popolare del Kosovo dal suo camioncino da muratore, la sostituisce con una fasulla della Serbia, e solo allora si sente pronto per fare la spesa a Zvecan e poi raggiungere il cantiere poco distante dove è impiegato. Al ritorno, si ferma sempre sul ciglio della strada a ripetete l’operazione, sotto gli occhi comprensivi dei soldati della Nato.

Abita a Lipa, un villaggio immerso tra i boschi dove non c’è nulla, se non ottanta dei cinquecento albanesi che vivono circondati dall’ostilità di sedicimila «compatrioti» di etnia serba. Nella municipalità con il primato delle proteste più violente contro uno Stato che non viene riconosciuto come tale dalla maggioranza degli abitanti di quest’area. «In teoria questa terra è casa mia, ma è come se fossi all’estero», dice Fahmi, che ha moglie, un figlio di tre anni e sogna di andarsene un giorno, da questo lembo di terra così estremo, dove esiste solo l’economia sommersa e la povertà è l’unica cosa in comune tra i due gruppi etnici che la abitano. «I serbi con cui lavoro si lamentano sempre del destino. Io invece penso che non ci sia nulla di peggio che essere kosovaro-albanese e avere in sorte di vivere in mezzo a loro».

Il fiume

Quando arrivando da Pristina si supera il fiume Ibar, cambia tutto. Non solo le bandiere esposte fuori da case e negozi, che dall’aquila rossa dell’Albania passano a quella bicefala su sfondo tricolore della Serbia. A sud come a nord, sono davvero pochi gli stendardi blu del Kosovo. Anche questa assenza non è un dettaglio da poco. Ma attraversare quel ponte significa passare dall’euro del Kosovo al dinaro serbo, la moneta con la quale viene pagato Fehmi. Significa passare dalla lingua albanese al serbo, veder circolare solo auto con targa serba rilasciate da Belgrado. Quando il governo di Pristina ha cercato di mettere mano a questa anomalia, minacciando multe, è scoppiata una mezza rivolta. Ci hanno messo una pezza in senso non solo figurato, con un adesivo bianco che nasconde la sigla KS, ricordo della Jugoslavia che fu.

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Barca affondata nel lago Maggiore, i misteri degli 007 e l’ipotesi di spionaggio sui magnati russi

giovedì, Giugno 1st, 2023

di Andrea Galli

Lo skipper legato ai servizi segreti. La tappa al ristorante stellato e la gita in abiti casual una possibile copertura dei 21 agenti. Le mogli degli oligarchi sulla sponda piemontese per l’apertura di hotel di lusso

I misteri degli 007 naufragati nel lago Maggiore. Una «zona calda» tra hotel di lusso e soldi di oligarchi russi

Nella mattinata di domenica, i 21 agenti segreti, donne e uomini sia italiani dell’Aise sia israeliani del Mossad scesi da una barca, una «casa galleggiante» immatricolata in Slovenia, e approdati sull’isola dei Pescatori, nel lago Maggiore, avevano abbigliamento casual: sneakers, jeans, magliette oppure polo. Vestiti compatibili con un pranzo, consumato nel ristorante stellato «Il Verbano», nell’ambito di una gita di fine missione, oppure indossati per simulare d’essere turisti e quindi una tattica parte integrante della missione stessa. Quale? L’isola era affollata, il locale anche, pur ricordando la capienza non esagerata e però la presenza di stanze per pernottare. In ogni modo un numero così alto di operativi forse si sposa a fatica con attività di intelligence. A meno che il ristorante non fosse una base di partenza per esplorazioni da infiltrati.

Nel gruppo c’era lo skipper, Claudio Carminati, indagato per la successiva strage (il ribaltamento dell’imbarcazione alle 19.20 a causa di una tempesta, forse una tromba d’aria, a cento metri dalle sponde varesine, quattro annegati): il 60enne è un prezioso e fidato contatto dei Servizi per la logistica, sicché la sua presenza non era affatto anomala. Alla pari, altrimenti non sarebbe stata aggregata, della moglie Anna Bozhkova, 50 anni, una delle vittime insieme agli agenti Tiziana Barnobi e Claudio Alonzi, 53 e 62 anni, e all’ex Mossad Shimoni Erez, anche’egli di 53 anni (ieri i suoi funerali con l’ordine dei vertici di enfatizzare mediaticamente la cerimonia). Anna, la quale godeva di un permesso di soggiorno a tempo illimitato e non sapeva nuotare, era russa. Pertanto funzionale a ipotetiche traduzioni.

Qui, sul litorale piemontese del lago, nell’area di Verbania, dove la scorsa settimana i Servizi si sarebbero mossi, da inizio anno sono aumentati in misura esponenziale gli arrivi di «pesanti» personaggi russi. Miliardari, anche della cerchia putiniana, focalizzati sulla riqualificazione e l’apertura di hotel. Strutture di 7 stelle (a Pallanza), non lontano dalla magnifica villa acquistata e rifatta con massicce spese da un altro russo d’improvviso sparito. Da un giorno all’altro. Dove sia, lo si ignora. Un secondo albergo, a Baveno, si porterà dietro la creazione di un gigantesco parco. 

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Giulia Tramontano è morta: trovato il corpo. Impagnatiello: «L’ho uccisa io». Ha tentato di bruciare il cadavere

giovedì, Giugno 1st, 2023

di Cesare Giuzzi e Pierpaolo Lio

Il fidanzato di Giulia Tramontano, il barman Impagnatiello, ha confessato l’omicidio. Trovato il corpo della 29enne incinta, nascosto dietro alcuni box a Senago. Indizi decisivi emersi dalla perquisizione della casa

Senago

Era nascosto in un’intercapedine di un edificio che ospita alcuni box in via Monte Rosa il corpo della 29enne Giulia Tramontano, incinta al settimo mese e scomparsa da cinque giorni da Senago.

È stato il compagno Alessandro Impagnatiello, fermato per omicidio, a far trovare il corpo della giovane. La confessione è arrivata dopo una giornata di frenetiche ricerche e sviluppi investigativi improvvisi. 

L’appartamento in cui viveva la coppia era stato messo sotto sequestro dopo che sul Suv del 30enne, barman del lussuoso «Armani Bamboo» di via Manzoni a Milano, erano state trovate tracce di sangue. Poi, quando i carabinieri della sezione Rilievi scientifici e della squadra Omicidi hanno analizzato l’appartamento sono emerse moltissime tracce di sangue, soprattutto sulle scale condominiali e sul pianerottolo. Aveva anche tentato di ripulirle, ma non sono sfuggite alle analisi scientifiche. 

A quel punto il 30enne ha confessato e permesso di ritrovare il cadavere: «L’ho uccisa io». La scoperta quando è ormai l’una di giovedì notte. Secondo un primo esame avrebbe anche tentato di bruciare il corpo, trovato avvolto in modo posticcio da alcuni sacchi di plastica. Ma è bastato uno sguardo ai carabinieri per notare il grosso tatuaggio sul braccio destro della giovane e riconoscere senza dubbi il cadavere.

Giulia tramontano era scomparsa da casa nella notte tra sabato e domenica. Cinque giorni in cui non sono arrivati segnali di vita. Nonostante la debole speranza della sorella Chiara che sui social lancia l’ennesimo disperato appello: «Cerchiamo Giulia viva, aiutateci a trovarla». Poco prima dell’una di notte la conferma definitiva che non c’era più nulla da fare.

Il fascicolo aperto dal pm Alessia Menegazzo e dall’aggiunto Letizia Mannella ora prevede le ipotesi di omicidio aggravato, soppressione di cadavere e procurata interruzione della gravidanza. Tutto succede nella serata di mercoledì. I carabinieri del Nucleo investigativo di Milano mettono sotto sequestro l’appartamento di via Novella dove Giulia viveva con il compagno. È quasi buio quando i Ris entrano in casa, vengono effettuati per la prima volta esami scientifici e medico-legali nell’appartamento. La svolta decisiva. 

Alle 22 arriva anche Alessandro Impagnatiello, alla guida del suo Suv, parla al cellulare con il vivavoce: cappellino da baseball, un giaccone beige con il cappuccio calato sopra la testa, lo sguardo basso davanti a flash e telecamere. Poi viene fatto scendere dall’auto e scortato dai carabinieri della squadra Omicidi nell’appartamento. Infine quando torna indietro contro l’auto insulti e calci.

Nel pomeriggio era scattata la perquisizione dell’auto di Impagnatiello ed erano  emerse una tracce di sangue. Il barman ha confessato d’aver ucciso la compagna e di aver caricato il corpo sul so Suv Volkswagen T-roc. Poi avrebbe vagato per alcuni chilometri, tanto da far ipotizzare agli investigatori che potesse aver raggiunto un’area boschiva. Non era così e il cadavere è stato trovato a seicento metri da casa. 

Nella notte Impagnatiello è stato interrogato dai magistrati Mannella e Menegazzo e dai vertici dei carabinieri di Milano, il generale Iacopo Mannucci Benincasa, i colonnelli Antonio Coppola e Fabio Rufino. Confessa tutto e scatta il fermo. 

Agli atti dell’indagine ci sarebbe anche un’immagine decisiva del momento in cui lui esce di casa tra sabato e domenica. Sui suoi spostamenti, a Senago e Milano, la notte della scomparsa si concentrano le indagini. 

C’è il sospetto che sia stato proprio Impagnatiello a scrivere gli ultimi sms inviati dal cellulare della ragazza sabato sera. L’ultimo intorno alle 21.30 quando avrebbe scritto a un’amica di essere turbata dopo una discussione con il fidanzato e di voler solo andare a dormire. Una messinscena. 

Le ultime tracce di vita di Giulia sono immortalate in una telecamera che riprende la 29enne vicino a casa tra le 19.30 e le 20 di sabato. Mentre il compagno ha raccontato agli inquirenti che la fidanzata era a letto e stava dormendo quando lui è uscito domenica mattina alle 7. 

Dalle indagini era subito emerso che Giulia aveva avuto una pesante discussione con il fidanzato dopo la scoperta di una relazione parallela con una giovane straniera. Una ragazza che mesi fa era anche rimasta incinta prima di decidere di interrompere la gravidanza. Le due donne avevano avuto anche un confronto, proprio nella giornata di sabato. 

L’ipotesi degli investigatori è che i due fidanzati abbiano poi avuto una lite nel corso della quale Impagnatiello avrebbe ucciso la 29enne per poi disfarsi del suo corpo. 

Non è ancora chiaro come sia stata uccisa. Ma sembra che abbia infierito sul cadavere con diverse coltellate e successivamente abbia anche tentato di dare fuoco al corpo. Le indagini proseguono sull’ipotesi che il 30enne possa aver avuto un complice, anche se nella sua confessione ha raccontato di aver fatto tutto da solo.

CORRIERE.IT

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