Crepet: «Il virtuale è spietato con i nostri ragazzi. E oggi i genitori vogliono essere più giovani dei figli»
lunedì, Giugno 19th, 2023di Walter Veltroni
Lo psichiatra: «Gli ex contestatori sono servi dei figli». La Pandemia? «È stato un big bang. Ha prodotto disagio per il modo in cui è stata gestita»
Paolo Crepet è uno degli analisti più attenti dello stato della condizione giovanile. Sta per uscire un suo volume, per Mondadori, intitolato Prendetevi la luna .
Come vedi l’esplodere del disagio tra i ragazzi del nostro tempo?
«Coesistono due fenomeni: da una parte la tendenza
all’autoisolamento, la diffusa perdita di speranze, la difficoltà di
vedere il futuro. Ma non è solo questo, il senso di rinuncia convive con
un atteggiamento opposto: la rabbia, la violenza, la prepotenza del
bullismo. Non è un fenomeno nuovo, se ci si pensa. Negli anni in cui
eravamo giovani una parte dei ragazzi precipitò, fino a morirne,
nell’eroina, la cui improvvisa esplosione è un fenomeno mai indagato
davvero, e un’altra nel terrorismo che, in fondo, era una forma di
indifferenza e di cinismo nei confronti della vita altrui. E persino
della propria. Se si vuole il racconto più drammatico di quella
condizione di disagio bisognerebbe rileggere le lettere a Lotta
Continua. In quel tempo esisteva, infatti, una diffusa e coinvolgente
partecipazione politica e civile. Ciò che manca, oggi. Sia chiaro,
comunque: un adolescente non inquieto è inquietante».
Quanto ha pesato la pandemia?
«È stato un big bang. Ha prodotto disagio per il modo in cui è stata
gestita: chiusura delle scuole, didattica a distanza, conseguente
chiusura in casa dei ragazzi, isolati dal contesto sociale. È stata dura
per tutti, ma per loro è stata un’esperienza afflittiva. A scuola si va
certo per imparare, certo perché è un dovere. Ma si va anche perché c’è
un cortile, un corridoio, una ricreazione. Lì si trovano gli amici, gli
amori, si costruisce la ragnatela fondamentale, la prima, dei rapporti
sociali. I ragazzi sono stati rinchiusi nel loro cellulare. Quando una
ragazza di un liceo di Bologna alla quale è stato tolto il cellulare ti
dice, due settimane dopo, “Non è male, questo esperimento, finalmente
siamo tornati a parlare” ci sta parlando di una possibilità. Se io
prendo una ragazza di sedici anni e la chiudo con le cuffiette, con una
visione del mondo che passa solo attraverso lo schermo, è chiaro che
qualcosa in quella esperienza umana accade. Dovremmo studiarla bene».
Cosa pensi degli sviluppi tecnologici annunciati, come il visore Apple e l’intelligenza artificiale?
«Tim Cook ha ragione a dire che il visore sarà una rivoluzione. La
terza tappa: il computer, l’Iphone, ora il visore. Ma il visore porta a
un mondo prevalentemente virtuale. La prima cosa che mi viene in mente è
la follia. Il mondo della psicosi è sempre stato descritto come un
mondo altro, in cui tu costruisci una tua vita virtuale. Parli da solo,
pensi da solo. È l’uomo sull’albero di Amarcord di Fellini. Mondi altri,
costruiti per sfuggire a quello reale. Che inquieta, fa soffrire. Il
virtuale è stare su quell’albero».
Il nostro tempo è causa di infelicità?
«Mi viene in mente il caso del “ragazzo selvaggio” magnificamente
raccontato nel film di Francois Truffaut. Un adolescente trovato nel
bosco dove aveva trascorso i primi dodici anni della sua vita che si
cerca di riportare nel mondo civile. Siamo in pieno illuminismo e la
domanda che si fanno i medici che lo curano è: la civiltà porta
felicità?».
Nel caso del ragazzo la risposta è no. Non riuscì mai a integrarsi, morì infelice.
«Perché citare questo caso? Perché questo è il tema. E se le
tecnologie, nel separarci e relegarci in un mondo virtuale costruissero
la nostra infelicità? “Think different” diceva Apple: era un messaggio
di libertà, di innovazione, era una promessa di libertà e di felicità. È
stato davvero così? Gran parte del disagio giovanile nasce o si
alimenta in relazione con questi strumenti. Torniamo all’illuminismo:
libertè, egalitè, fraternitè. Cos’è la fraternitè, Facebook? E cos’è la
libertè, il metaverso? Tutto questo crea appagamento, dipendenza o
maggiore libertà? Forse è venuto il momento di ragionarne senza le
catene dell’ovvio o del politicamente corretto imposte dallo spirito del
tempo».