Archive for Giugno 12th, 2023

ADDIO PRESIDENTE

lunedì, Giugno 12th, 2023

Francesco Curridori

Un pezzo di storia se n’è andato. Silvio Berlusconi è morto all’età di 86 anni. Il Cavaliere è morto all’ospedale San Raffaele di Milano dove era ricoverato da venerdì scorso per accertamenti legati alla leucemia mielomonocitica cronica che lo affliggeva da parecchi mesi. Una malattia che lo aveva costretto a un ricovero di 45 giorni, terminato solo il 19 maggio scorso. In mattinata il fratello Paolo e i figli Piersilvio, Barbara, Marina ed Eleonora erano andati a dargli l’ultimo saluto.

Berlusconi ha iniziato la sua carriera nel mondo dell’edilizia e ha costruito le case del futuro. Ha cambiato il modo di fare la televisione. Ha portato il Milan sul “tetto del mondo”. Ha fondato il centrodestra dando una nuova casa ai moderati che l’avevano persa. Silvio Berlusconi è stato un imprenditore e un politico di successo che ha centrato tutti gli obiettivi che si era ripromesso di raggiungere.

Gli esordi di Silvio Berlusconi

Figlio del direttore della Banca Rasini, Luigi, e della stenografa Maria Rosa Bossi, Silvio Berlusconi nasce il 29 settembre 1936 a Milano dove frequenta il liceo classico dai Salesiani di via Copernico. Berlusconi trascorre la giovinezza guadagnandosi da vivere svolgendo lavoretti di ogni tipo, dal venditore di spazzole elettriche porta a porta al cantante sulle navi da crociera nella band dell’amico Fedele Confalonieri. Si dimostra, fin da subito, il classico ‘man-self-made’, un uomo che col suo ingegno riesce, mattone dopo mattone, a disegnare il proprio futuro. Nel 1961 si laurea con 110 e lode all’Università Statale in Legge con una tesi dal titolo “Il contratto di pubblicità per inserzione” e vince una borsa di studio di 2 milioni di lire messa in palio dall’agenzia Manzoni. Una volta ottenuta una garanzia dal banchiere Carlo Rasini, Berlusconi acquista un terreno in via Alciati e, insieme al suo socio, il costruttore Pietro Canali, crea la Cantieri Riuniti Milanesi. Due anni più tardi si mette in proprio e fonda la “Edilnord di Silvio Berlusconi & C.”.

Da Milano 2 all’acquisto de Il Giornale

Nel 1965, dopo un breve fidanzamento, Berlusconi sposa Carla Elvira Lucia Dall’Oglio che aveva conosciuto davanti a una fermata del tram. L’anno dopo nasce la primogenita Maria Elvira, detta Marina, mentre nel 1969 arriverà Pier Silvio. È in questo periodo che sorge Milano 2, un quartiere residenziale avveniristico di 712mila metri quadrati, a Segrate, nella periferia Est di Milano. Ed è dalla sala congressi dell’hotel Jolly di Milano 2 che, nel 1974, con la nascita di Telemilano, parte l’avventura di Berlusconi verso il successo. “La prima trasmissione fu un’intervista fatta in francese e senza traduzione al capo della resistenza curda. Trasmettevamo soprattutto dibattiti politici. Accettarono di venire anche Eugenio Scalfari (che non aveva ancora fondato Repubblica), Giorgio Bocca, Massimo Fini. Qualche film che piratavamo ai preti delle edizioni San Paolo. Berlusconi si faceva sentire di rado”, ricorderà il giornalista Giorgio Medail che prese parte all’impresa. Nel 1976 la Corte Costituzionale apre alle televisioni private, a condizione che trasmettano solo in ambito locale e non a livello nazionale. Telemilano diventa, dunque, “Telemilano 58” un’emittente che si trasforma da tivù via cavo a rete locale che trasmette via etere. Berlusconi decide di produrre dei programmi che, poi, avrebbe venduto alle altre 434 televisioni private esistenti all’epoca che li avrebbero trasmessi quasi in contemporanea (“interconnessione funzionale”). Nel 1977 Silvio Berlusconi salva dal possibile fallimento Il Giornale, fondato dal giornalista Indro Montanelli solo tre anni prima, acquistando inizialmente il 12% e poi il 37,5% delle quote della testata. Il 2 giugno dello stesso anno, l’allora presidente della Repubblica Giovanni Leone lo nomina Cavaliere del Lavoro.

La nascita di Fininvest

Tra la fine degli ’70 e l’inizio degli anni ’80 Berlusconi ingaggia sia il noto conduttore Mike Bongiorno sia il fidato Adriano Galliani che entra nel ‘team’ dei dirigenti della nascente Canale 5 (ex Telemilano). Il ‘Cavaliere’ si prefigge l’obiettivo di trasmettere i suoi programmi in tutto il territorio nazionale attraverso l’interconnessione funzionale e, affinché il suo piano abbia il successo che merita, acquista Retequattro dalla Mondadori e ItaliaUno da Rusconi. Nel 1984 i pretori di Roma, Torino e Pescara considerano fuori legge l’interconnessione funzionale e oscurano le reti del gruppo Fininvest, la holding creata da Berlusconi nel 1975. A quel punto, a trovare una soluzione fu l’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi che emanò un decreto che consentiva alle televisioni del Cavaliere di continuare a trasmettere in attesa che il Parlamento approvasse la legge Mammì sul riordino del sistema radio-televisivo.

La vita privata del Cavaliere e la sua passione per il calcio

È il 1980 quando Berlusconi al teatro Manzoni di Milano, che aveva acquistato di recente, conosce e si innamora dell’attrice Veronica Lario, nome d’arte di Miriam Bartolini. Cinque anni dopo il Cavaliere divorzia dalla prima moglie Carla Elvira Lucia Dall’Oglio e nel 1990 si risposa con la Lario, dalla quale avrà tre figli: Barbara, Luigi ed Eleonora. Berlusconi, nel 1986, salva il Milan dal fallimento e, grazie ad acute operazioni di mercato e alla nuova filosofia di gioco portata dall’allenatore Arrigo Sacchi, raggiunge dei traguardi inimmaginabili fino a quel momento. Con una difesa solidissima e con il trio olandese delle meraviglie, Marco Van Basten, Frank Rijkaard e Ruud Gullit, il Milan di Sacchi vince il campionato nel 1988, due Coppe dei Campioni, 2 coppe Intercontinentali e 2 Supercoppe europee tra il 1989 e il 1990. Con Fabio Capello, nei primi anni ‘90, il Milan vince 4 scudetti in 5 anni, 1 Champions League, 1 Supercoppa Uefa. I calciatori che componevano quel ‘dream team’ erano noti come gli “invincibili” e ottennero il record di 58 risultati utili consecutivi in Serie A. Un altro ciclo molto importante del Milan berlusconiano è quello inaugurato nel 2001 da Carlo Ancelotti che, sulla panchina rossonera, vince 8 trofei tra cui 1 scudetto, 2 Champions League e 1 Coppa del mondo per club. Berlusconi vende il Milan dopo 31 anni diventando il dirigente più longevo del club e anche quello più vincente di sempre portando in bacheca 29 trofei tra cui 8 scudetti, 5 tra Coppe dei Campioni e Champions League e 2 Coppe Intercontinentali.

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Silvio Berlusconi è morto al San Raffaele

lunedì, Giugno 12th, 2023
Silvio Berlusconi è morto al San Raffaele

Silvio Berlusconi, 86 anni, è morto. L’ex presidente del Consiglio si è spento, questa mattina, intorno alle 9.30. Le sue condizioni di salute sono peggiorate in mattinata. Ricoverato da venerdì scorso per accertamenti legati alla leucemia mielomonocitica cronica di cui soffriva da tempo, i suoi valori non sono migliorati. All’ospedale San Raffaele di Milano sono arrivati a stretto giro, in mattinata, Paolo Berlusconi e poco dopo a bordo di auto diverse i figli Marina, Eleonora, Barbara e Pier Silvio Berlusconi. «Uno dei più grandi ha deciso di salutare, chiedo un minuto di silenzio« sono le prime parole di Salvini

Il Cavaliere è stato ricoverato più volte negli ultimi anni. Prima di quelli di aprile e marzo, è stato stato curato per un’infezione piuttosto seria alle vie urinarie nel gennaio del 2022, nei giorni in cui si eleggeva il Capo dello Stato. Nel settembre del 2020, invece, è stato costretto a restare sotto il controllo dei medici per una polmonite causata dal coronavirus.

Andando ancora più indietro nel tempo, ci sono poi due ricoveri per interventi chirurgici – nel 2019 per rimuovere un’occlusione intestinale e nel 2016 per un’operazione al cuore – e il ricovero del 2009 in seguito all’aggressione subita in piazza Duomo a Milano. E sempre al San Raffaele Berlusconi ha trascorso alcuni periodi anche a causa di un problema agli occhi: l’uveite. È stato ricoverato una prima volta nel marzo del 2013, scatenando forti polemiche dato che si era nel pieno del processo Ruby, e una seconda volta nel novembre del 2014. Nel maggio 1997, inoltre, gli venne rimosso un tumore maligno alla prostata: quell’intervento — grazie all’assoluta privacy garantita dal San Raffaele — rimase segreto, fino a quando lo stesso Cavaliere raccontò pubblicamente il dramma che aveva vissuto e superato.

IL RITRATTO – Addio a Berlusconi, con lui muore la seconda repubblica

POLITICA E GIUSTIZIA – Il Cavaliere e quel suo duello permanente con la giustizia

“L’Italia è il Paese che amo”: la ‘discesa in campo’ di Berlusconi nel 1994

10:57

Renzi: “Oggi l’Italia piange insieme alla famiglia”

«Silvio Berlusconi ha fatto la storia in questo paese. Tanti lo hanno amato, tanti lo hanno odiato: tutti oggi devono riconoscere che il suo impatto sulla vita politica ma anche economica, sportiva, televisiva è stato senza precedenti. Oggi l’italia piange insieme alla famiglia, ai suoi cari, alle sue aziende, al suo partito. A tutti quelli che gli hanno voluto bene il mio abbraccio più affettuoso e più sincero. In queste ore porto con me i ricordi dei nostri incontri, dei tanti consigli, dei nostri accordi, dei nostri scontri. Ma soprattutto di una telefonata in cui silvio, non il presidente, mi ha fatto scendere una lacrima parlando della mamma. Ci mancherai pres, che la terra ti sia lieve». Lo scrive su Twitter Matteo Renzi. 10:57

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Silvio Berlusconi è morto

lunedì, Giugno 12th, 2023

di Antonio Polito

Silvio Berlusconi è morto oggi, all’ospedale San Raffaele di Milano. L’ex premier, leader di Forza Italia e fondatore di Mediaset aveva 86 anni

Silvio Berlusconi è morto

Silvio Berlusconi è morto all’ospedale San Raffaele di Milano. Il leader di Forza Italia e fondatore di Mediaset aveva 86 anni. Berlusconi era tornato al San Raffaele lo scorso venerdì, dopo un lungo ricovero — di 45 giorni — terminato poche settimane fa, a causa di una polmonite e di una leucemia mielomonocitica. In mattinata, il fratello Paolo e i figli erano accorsi in ospedale, dove già si trovava Marta Fascina. Qui sotto, l’articolo firmato da Antonio Polito.


Se si dovesse fare l’anatomia di un istante, nella straordinaria vita di Silvio Berlusconi, forse si dovrebbe scegliere la sera dell’ 8 novembre 2011.

Non il giorno in cui aprì il suo primo cantiere edile, a Brugherio, nel 1964, o fondò la Fininvest, nel 1975, aprendosi la via di un impero televisivo e finanziario che lo rese uno degli uomini più ricchi del mondo. Né il giorno in cui scese in campo, avviandosi a vincere tre elezioni e mezzo e a guidare quattro governi per il tempo record di nove anni. Né la volta che scese con l’elicottero sul campo dell’Arena per inaugurare l’epopea del Milan, che vinse cinque Champions e otto scudetti in trentuno anni.

No. Berlusconi si è preso nella sua vita tanto di quel potere, che il vero magic moment, l’istante da raccontare, è quello in cui l’ha perso.

Le cose stavano così: l’Italia andava a rotoli per via dell’attacco dei mercati al nostro debito pubblico. Spread oltre 500 punti. Merkel e Sarkozy che ridevano in pubblico di lui. L’Europa che aveva paura di affondare insieme all’Italia. Gianfranco Fini si era fatto un partito ed era passato all’opposizione. Otto deputati, tutti ex «fedelissimi», tradiscono il Cavaliere in un voto decisivo, facendogli perdere la maggioranza a Montecitorio.

Ma lui vuole resistere. Non mollare. Non dimettersi da premier. «Così deve fare Berlusconi», gli suggeriscono tutti quelli intorno a lui, che hanno sempre vissuto di luce riflessa e vogliono tenerla accesa. Ma poi arrivano due telefonate. La prima è di Ennio Doris, amico e antico socio in Mediolanum: «Silvio, se non ti dimetti l’Italia crolla». La seconda è del figlio Luigi, che lavora nella City a Londra: «Papà, se l’Italia crolla crollano anche le nostre aziende».

Così il Cavaliere nero, il Caimano che nel film interpretato da Nanni Moretti alla fine sobilla la rivolta popolare pur di non cedere il potere, si dimette accettando la logica inesorabile della politica democratica. E in un solo pomeriggio l’argomento più usato contro di lui, il «conflitto di interessi» tra aziende private e funzione pubblica, si rovescia nel suo contrario. Dopo aver inseguito il potere, secondo i suoi nemici solo per il suo interesse, deve rinunciare al potere anche nel suo interesse.

La dimensione «larger than life», fuori dall’ordinario, della vicenda umana e politica del Cavaliere è tutta nel momento in cui lasciò per sempre Palazzo Chigi (e che lui poi più volte derubricherà a mero «complotto», facendo così torto innanzitutto a se stesso e alla scelta responsabile che fece). A quella giornata a suo modo storica non fecero onore i cori di «buffone, buffone» sotto Palazzo Chigi e le ali di folla festanti davanti al Quirinale per le sue dimissioni. Come nella sera delle monetine a Craxi, si mostrò allora un’Italia capace di codardo oltraggio, dopo lunghi anni di servo encomio.

Perché Berlusconi è stato un fenomeno: volontà di potenza, certo, ma anche necessità storica. Insieme il frutto del male italiano e allo stesso tempo il suo tentativo di cura. Non il malfattore che conquista un popolo ingenuo con dosi da cavallo di imbonimento televisivo, come è stato descritto; ma neanche il salvatore della patria che libera il suo paese dai cosacchi di Occhetto, il primo dei tanti leader della sinistra da lui sconfitti. Piuttosto, nel bene e nel male, il fondatore di una nuova destra e di una nuova politica, con ambizioni liberiste e tratti populisti, che ha fatto scuola nel mondo e ha dominato la scena italiana per un ventennio, anche quando era all’opposizione. E che poi è finita con lui, tant’è che per tornare a vincere ha dovuto cambiare pelle, sesso, età, e incarnarsi in Giorgia Meloni, antropologicamente il suo contrario.

I professionisti dell’antiberlusconismo l’hanno accusato di ogni crimine. Ed è vero che più di venti processi sono stati intentati contro di lui, con imputazioni varie, talvolta particolarmente infamanti, come lo sfruttamento della prostituzione minorile nella persona di Ruby Rubacuori, una delle tante partecipanti alla sarabanda di ragazze che ospitava nelle sue ville; o come il sospetto di collusione con la mafia che ha portato uno dei suoi più grandi amici e compagni d’arme, Marcello Dell’Utri, alla condanna e al carcere; o addirittura l’accusa di aver ordito le stragi del 1993 per accelerare il proprio trionfo politico. Da quasi tutte le imputazioni è uscito assolto, prosciolto o comunque prescritto, anche grazie alle arti dilatorie del suo stuolo di avvocati, guidato dal fido e ormai scomparso Ghedini. E dunque, se si deve credere alla Legge, quella dei giudici e non solo quella dei procuratori, Berlusconi ha compiuto un solo reato: frode fiscale, per cui è stato condannato con sentenza definitiva. Gli è costata una rapida defenestrazione dal Senato, la cui maggioranza del tempo non perse l’occasione e a scrutinio palese ne sancì l’incompatibilità (il Cavaliere ha poi avuto piena riabilitazione giudiziaria, e si è potuto ricandidare ed essere eletto, prima al parlamento europeo e poi di nuovo al Senato, dove ha ripreso il suo posto).

Naturalmente l’uomo non era per niente uno stinco di santo, anzi: aveva i suoi vizi privati e pubblici e sapeva come giocare sporco. C’è chi gliel’ha rimproverato fino all’ultimo, senza pietà, come il suo arci-nemico Carlo De Benedetti, che perfino mentre l’avversario era in ospedale col Covid gli fece sì gli auguri, ma ribadendo che per lui era pur sempre «un imbroglione».

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Quattordicesima, quando arriva e a chi spetta

lunedì, Giugno 12th, 2023

Giuditta Mosca

La quattordicesima viene di norma versata tra il mese di giugno e il mese di luglio ma, non essendo obbligatoria per legge, ne beneficiano i pensionati con determinate requisiti di reddito e i lavoratori dipendenti, laddove previsto dal Contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl) o da contratti individuali.

La questione va approfondita perché, mentre per i lavoratori che la percepiscono il calcolo della quattordicesima è tutto sommato semplice, per i pensionati le regole sono diverse.

La quattordicesima per i lavoratori dipendenti

I lavoratori dipendenti, come detto, percepiscono la quattordicesima mensilità solo se prevista dal contratto collettivo o da accordi singoli ma non è escluso che un datore di lavoro possa decidere spontaneamente di erogarla.

Viene versata di norma entro il mese di luglio e, anche in questo caso, le tempistiche sono elencate nei diversi Ccnl. Per esempio, per il terziario il versamento è previsto per la fine di giugno mentre per la logistica entro fine luglio.

Il periodo di maturazione della quattordicesima va dal primo giorno di luglio al 30 giugno e il calcolo viene effettuato sui giorni di lavoro effettivamente prestati all’interno di questo periodo. Chi ha lavorato durante tutto l’anno riceve una quattordicesima piena, ossia in linea con una singola mensilità mentre per gli altri – per esempio per chi è stato assunto durante tale periodo – viene calcolata in quota parte in base ai mesi lavorati.

Il calcolo viene effettuato sullo stipendio e non su elementi aggiuntivi quali la retribuzione per il lavoro straordinario o maggiorazioni a carattere sociale quali, per esempio, gli assegni familiari.

La quattordicesima per i pensionati

Viene erogata dall’Inps ai pensionati che hanno compiuto almeno 64 anni e che hanno un reddito complessivo fino a 1,5 volte il trattamento minimo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti (fino al 2016) e fino a due volte il trattamento minimo annuo del Fondo lavoratori dipendenti (dal 2017), in cifre questo corrisponde rispettivamente a 10.992,93 euro e a 14.657,24 euro (valori per il 2023).

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Roma è piena di rifiuti. E il sindaco disperato chiede scusa ai cittadini

lunedì, Giugno 12th, 2023

Massimo Malpica

Sull’emergenza rifiuti nella capitale arriva il mea culpa del primo cittadino Roberto Gualtieri. Che, ospite di Lucia Annunziata a «Mezz’ora in più», ammette il pasticcio e chiede scusa ai romani. «In alcuni quartieri di Roma – spiega il sindaco alle telecamere del programma di RaiTre – c’è stato un aggravamento delle condizioni di pulizia e me ne scuso». Gualtieri ha poi voluto dettagliare il motivo dell’ennesima crisi nella gestione dei rifiuti nella Città Eterna. Ossia «irregolarità, che Ama (la società del Campidoglio che si occupa del ciclo dei rifiuti, ndr) ha scoperto, nel modo di esternalizzare la manutenzione dei mezzi: si pagava troppo per fare cose che si potevano fare internamente». In conseguenza della magagna, ha proseguito il sindaco, «l’azienda ha cambiato il processo, ha anche licenziato chi era responsabile di queste irregolarità», ma nonostante l’operazione pulizia non tutto è filato liscio. Perché, ha ammesso Gualtieri, «in un cambiamento di questa portata ci sono stati dei problemi in questi giorni nella manutenzione dei mezzi, che quindi in alcuni quartieri non c’erano». Mentre c’era eccome l’immondizia, e nessuno l’ha portata via.

Va anche detto, quanto all’Ama, che «irregolarità» e anomalie sono tutto fuorché episodiche. Solo negli ultimi mesi, prima del caso delle fatture gonfiate per i pezzi di ricambio, e senza contare le migliaia di dipendenti assunti ma in tutto o in parte inabili alle mansioni assegnate, si sono moltiplicati i licenziamenti di netturbini sorpresi a non lavorare. Assenteisti cronici nella migliore delle ipotesi, visto che almeno uno è stato sorpreso dagli investigatori dell’azienda mentre, a bordo del compattatore Ama, se ne andava a zonzo tra cornetterie e sale slot, per concludere il turno notturno con un pisolino e una visita a una prostituta.

Eppure Gualtieri, dopo le scuse e il mea culpa, sceglie di mostrarsi ottimista quanto alle prospettive del servizio in città. Promettendo una capitale più pulita in tempi nemmeno troppo remoti e assicurando che la gestione dei rifiuti della città è già, dal suo punto di vista, «in costante miglioramento». «Tranquillo lo sarò solo quando avremo raggiunto l’obiettivo, ma stiamo sulla strada giusta», spiega a Lucia Annunziata, dicendosi sicuro che «il problema dei rifiuti sarà risolto sicuramente entro la fine del mio mandato, ma io spero che già con il Giubileo, che sarà una sfida, saranno evidenti i miglioramenti». Pure sulla disastratissima Ama, il primo cittadino di Roma rivendica l’avvio di un percorso «di modernizzazione» con cui la giunta capitolina conta di trasformarla «in un’azienda efficiente», il tutto anche «con scossoni e contraccolpi» inevitabili, stando a Gualtieri, «quando si cambiano cose consolidate». Insomma, ha riassunto il sindaco, anche se tra «alti e bassi» le cose starebbero andando meglio: «Stiamo assumendo giovani, abbiamo ridotto il numero di inabili a lavorare sulle strade, il nuovo management sta lavorando con grande determinazione».

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La sinistra riscopre la famiglia allargata

lunedì, Giugno 12th, 2023

Alessandro De Angelis

Chapeau: il “ricongiungimento familiare” di Articolo 1 al Pd è un capolavoro politico di Speranza e Bersani. Mai si era visto: una corrente esce da un partito, fa un percorso per verificare il consenso nella società, che non trova, poi rientra, tornando corrente, nel partito più grande da cui si è scisso, e ne conquista sostanzialmente l’egemonia, nell’ambito di un racconto di un Pd più “di sinistra”, quantomeno a parole.

Sentimenti e parentele a parte, la vicenda è il paradigma della sinistra in questi anni, in cui tutto ruota attorno all’abilità di manovra di nomenklature e gruppi organizzati, slegata dal progetto e dal tema del popolo (ciò che Gramsci aborriva). E all’ineluttabilità di un meccanismo (correntizio), eternamente uguale a se stesso, che è stato il vero punto di collasso. E che Elly Shlein non ha la forza di rompere. In fondo, proprio sulle correnti, si è ritagliata un ruolo da surfista: finge l’estraneità per preservare l’immagine di novità, le utilizza quando come in questo caso sono a favore, non fa mai nulla contro, neanche quando sono contro di lei. Per cui si comprende che nel suo cuore vorrebbe dire basta alle armi a Kiev, ma non può perché c’è Guerini, vorrebbe dire sì alla maternità surrogata, ma non può perché ci sono i cattolici, non vorrebbe il termovalorizzatore, ma c’è Gualtieri.

Si dice: troppo radical (con o senza chic). In verità, c’è solo una chiacchiera, un po’ gauchiste, ma non una linea di vera discontinuità. Emblematico il “siamo a favore del sostegno a Kiev ma contro i proiettili”. Per cui anche l’assemblea di Napoli, esteticamente di sinistra, nella sostanza non è estranea al quel film che, in modo particolarmente efficace, una giornalista senza retropensieri come Concita De Gregorio ha riassunto così: ascolti Elly Schelin per un’ora, poi guardi gli appunti sul taccuino e non c’è nulla. Icastica l’assenza di uno straccio di titolo sui migranti, uno dei terreni, assieme all’insicurezza sociale, su cui le sinistre europee si sono giocate le elezioni (Svezia, Finlandia, ma anche Italia) o se le giocheranno (Spagna).

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Fiorello e Vespa, Rai a due teste

lunedì, Giugno 12th, 2023

Massimiliano Panarari

Fiorello e Vespa, Rai a due teste

Una Rai bicefala. E dietro le due teste (e sotto il vestito…) niente. O poco, pochissimo altro, a concedere il beneficio del dubbio. Certo, è estate, che tradizionalmente – a differenza di quanto diceva il Riccardo III shakespeariano – identifica la «stagione del nostro scontento» (televisivo). E i palinsesti della nuova stagione, che verranno presentati a Napoli il 7 luglio, attendono quindi ancora di avere il loro “posto al sole”, ma al momento il menù mediale non si caratterizza di sicuro per la varietà. Se ne sono andati i pezzi da novanta, con il nuovo corso di “Rai Tolkien”. Fabio Fazio, Lucia Annunziata, Massimo Gramellini. I vuoti da colmare sono giganteschi. Che si fa? Per ora è buio pesto. Ma nel frattempo, uno strano palinsesto provvisorio prende forma. E ruota appunto tutto intorno a una coppia che ha riempito l’etere. Ovvero, Fiorello e Bruno Vespa che non sono neppure gemelli diversi – e in effetti sarebbe difficile pensare a due figure più differenti. Il mattatore campione di ascolti che proprio in Rai più di qualcuno non voleva. E il grande cerimoniere dell’informazione politica nella tv pubblica, ritornato molto in auge perché di recente – suscitando una caterva di mal di pancia – si è messo a sussurrare nell’orecchio di Giorgia Meloni ricevendo parecchio ascolto. Un tandem che più diverso non si può, e, a ben guardare, mostra una sola cosa in comune. Fiore e «Bru-neo» (copyright Dagospia), nei rispettivi generi, rappresentano altrettante versioni di “usato sicuro” – e, dunque, la loro inflazione e sovrappresentazione sugli schermi può venire interpretata anche come una spia della difficoltà da parte della neogovernance di destracentro (o, per meglio dire, di destra-destra) di imprimere un segno della propria “grande trasformazione”. Un “nuovo corso”, ma con volti antichi (e consolidatissimi). E, dunque, nessuna traccia dello sbandierato rinnovamento che, per il momento, non è pervenuto. Del resto, verba volant, (alcuni) conduttori manent. D’altronde, si sa, la (contro)rivoluzione e l’instaurazione di una rinnovata egemonia culturale richiedono tempo – Berlusconi ci mise qualche decennio, infatti. Allora, visto che in questo caso – a differenza di quanto avvenuto per varie nomine – il Blitkrieg non rende, si fa ricorso al sempreverde.

Assai interessante – oltre che contraddittorio e paradossale – si rivela, difatti, l’«affaire Fiorello». Non in senso politico, dato che il fuoriclasse Fiorello è trasversalissimo e l’esponente per eccellenza dell’idea che l’intrattenimento nazionalpop(olare) non possiede colore, né orientamento. In questi giorni, reduce dai trionfi di Viva Rai2, viene portato in giro in stile “madonna pellegrina”. Venerdì mattina è andata in onda l’ultima puntata di “VivaRai2”, alla solita ora, 7,15 del mattino. Trionfo, saluti e all’anno prossimo? Non proprio. Nello stesso giorno, il mitico Ciuri è prima ospite al Tg1 delle 13,30, poi torna la sera al “Tg2Post” delle 20,50. Il giorno dopo, sabato, si replica. Fiorello è di nuovo mattatore al Tg1 delle 13,30, dove per 12 minuti esatti lo intervista la conduttrice Sonia Sarno, che alla fine improvvisa anche un balletto insieme allo showman, sulle note di “La notte vola” di Lorella Cuccarini (nel recente passato scopertasi anch’essa sovranista, ma questa è sicuramente una coincidenza non voluta). Non basta: al Tg1 delle 20 si bissa, altro lungo servizio sul Fiorello già andato in onda alle 13,30, condito con i gustosi fuorionda per i corridoi di Saxa Rubra (e compresi i travolgenti abbracci del neo-direttorissimo Marco Chiocci). Finito? Nossignori. Ieri, domenica, serve rinfrescare la memoria. Così, al Tg1 delle 20, ricompare Rosario, in un servizio breve che anticipa lo “Speciale Tg1” delle 23,35. Indovinate dedicato a chi? Ma di nuovo a lui, naturalmente! Fiore, si sa, è una forza della natura, un ciclone a cui, tuttavia, come alcuni ricorderanno, non è stato affatto immediato trovare una collocazione in Rai prima che il suo ultimo programma sbancasse l’audience. E una parte delle resistenze più robuste venivano proprio dalla redazione del telegiornale della prima rete: ergo, quest’ultimo passaggio ha anche il sapore di una specie di riparazione ex post.

L’altro componente della “strana coppia di fatto” che i nuovi vertici di viale Mazzini stanno spalmando a reti unificate è, invece, personaggio iperpolitico (e politicistico) per antonomasia, nonché un navigatore di lunghissimo (e qui l’aggettivo, che ci si creda o no, è comunque “per difetto”) corso della televisione di Stato – che, infatti, procedeva già a vele spiegate quando imperava il partito-Stato che rispondeva al nome di Democrazia cristiana. Tramontato il quale, Vespa ha comunque ballato alla grande in tutte le stagioni, brevettando e, via via, mettendo a punto attraverso il format di Porta a Porta quella sorta di “Terza Camera” che si è convertita nell’appuntamento obbligato (e anelato) di gran parte del mondo politico – e specialmente di quello di centrodestra divenuto ora di destracentro. Dove, anche gli elementi della scenografia, a partire dal famoso campanello, ne fanno l’indiscusso padrone di casa. Fino all’apoteosi delle scorse ore, con il conduttore-vignaiolo che, col “Forum in Masseria” di Manduria, ha ospitato a casa sua (in questo caso in senso davvero letterale) l’esecutivo al gran completo (con l’aggiunta di Giuseppe Conte). Anche stavolta, il climax cade di venerdì. Per l’intera giornata i Tg, a reti unificate, mandano servizi su quanto accade nella festosa masseria pugliese, tra dibattiti e dichiarazioni dei ministri.

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Il Mes può attendere (ma il Pnrr no): le aperture di von der Leyen a Meloni

lunedì, Giugno 12th, 2023

di Federico Fubini

Il Mes può attendere (ma il Pnrr no): le aperture di von der Leyen a Meloni

Il gelo di Giorgia Meloni in questi giorni sull’ipotesi di una ratifica italiana alla riforma del Meccanismo europeo di stabilità significa il contrario di ciò che appare: anziché mettersi ai margini dei giochi nell’Unione, la premier italiana si sente così al centro da potersi permettere di eludere le questioni che la mettono in imbarazzo. L’approvazione parlamentare del Mes è uno di questi, perché farebbe emergere le ambiguità di una maggioranza ancora percorsa da radicate correnti antieuropee. la visita

Ma se Meloni sente di poter tenere duro su questo punto, in parte è per la stessa ragione che ha portato Ursula von der Leyen più volte in Italia in questi mesi e ieri a Tunisi con la premier. La presidente della Commissione è in corsa per succedere a se stessa e avrà fatto i conti. Per avere la fiducia dell’europarlamento, la cristiano-democratica tedesca ha bisogno di un’affidabile maggioranza di (almeno) 376 voti. Quella attuale di Strasburgo — popolari, più socialisti democratici e liberali macroniani di Renew — all’ultimo sondaggio di Der Föderalist a fine maggio avrebbe 391 voti, un margine che non mette von der Leyen al sicuro dai franchi tiratori annidati soprattutto fra i socialdemocratici tedeschi. Di qui l’idea di un allargamento della maggioranza (non di un ribaltamento a destra), che rende corteggiati i «Conservatori e Riformisti» europei presieduti da Meloni. All’ultimo sondaggio questi contano su 79 eurodeputati, quarta forza a Strasburgo. Il fatto che siano alieni dalla percepita intransigenza dei Verdi, che in questa fase li rende invisi all’industria e ai centristi tedeschi, è un punto per i meloniani. Del resto la cooptazione della destra nel consociativismo europeo non sarebbe una novità: già nel 2019 Legge e giustizia, il partito al potere a Varsavia e alleato di Meloni, votò per la Commissione von der Leyen (assieme ai 5 Stelle).

C’è poi un’altra ragione che permette alla premier di continuare a bloccare il Mes: gli altri governi trovano il veto italiano un fastidio evitabile, ma non così importante (almeno fino alla prossima crisi bancaria, quando la rete di sicurezza del Mes potrebbe servire).

Nodi da sciogliere

Se però in Italia si concludesse che gli equilibri con il resto dell’Unione sono sotto controllo, il risveglio potrebbe essere brusco. In primo luogo perché l’ingresso trionfale di Meloni nel consociativismo porterebbe altri nodi. Il primo è ovvio: la legge dei numeri e dei rapporti con Berlino impedisce l’esclusione dei socialisti dalla maggioranza di von der Leyen, dunque la premier italiana dovrebbe spiegare perché a Roma governa con i sovranisti della Lega e a Bruxelles con il partito democratico (oggi) di Elly Schlein. Non solo. L’appoggio a von der Leyen nel 2019 non ha impedito a Legge e giustizia di vedersi bloccare i fondi europei per le ripetute violazioni a Varsavia dei principi di una democrazia liberale. l’intervista

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Migranti, una crisi che divide

lunedì, Giugno 12th, 2023

di Maurizio Ferrera

La vulnerabilità rispetto agli arrivi dipende dalla posizione geografica: più alta per i Paesi del Sud, Italia e Grecia in testa. Quindi è diverso l’approccio al problema

Migranti, una crisi che divide
Immigrati sbarcati a Lampedusa (Ansa)

Seppure con molte difficoltà, le crisi dell’ultimo quindicennio (euro, Brexit, pandemia) hanno portato a un significativo rafforzamento della solidarietà europea. Ricordiamo il sostegno ai Paesi in difficoltà da parte della Banca centrale europea o la compattezza con cui Bruxelles ha gestito la Brexit, tutelando l’interesse comune Ue. E pensiamo al Next Generation Eu, l’ambiziosa strategia per la ripresa e la resilienza, con le sue sovvenzioni a fondo perduto finanziate da debito comune.

L’unica crisi che non ha sinora trovato uno sbocco unitario è quella migratoria. Deflagrata nel 2016 con la massiccia ondata di profughi siriani, l’emergenza non si è mai risolta: tutti gli sforzi per gestire i flussi tramite un sistema integrato a livello europeo sono miseramente falliti. Nel 2020 la Commissione europea ha proposto un Patto sull’immigrazione: procedure uniformi e più rapide alle frontiere esterne, condivisione degli oneri tramite i ricollocamenti cross-nazionali e cooperazione con i Paesi di origine. Dopo l’invasione di Putin, la buona gestione dei rifugiati ucraini faceva ben sperare. Invece l’accordo di giovedì scorso fra i ministri degli Interni si è limitato a pochi e modesti ritocchi del sistema attuale.

L’unica innovazione è un embrionale meccanismo di solidarietà, che prevede una quota di ricollocazioni obbligatorie oppure — se un Paese è contrario — il versamento di ventimila euro per ogni migrante rifiutato.

Perché è così difficile raggiungere una soluzione comune? L’immigrazione sfida un elemento costitutivo dello Stato moderno: il potere di controllare chi entra nello spazio nazionale e può goderne i benefici (diritti, lavoro, welfare). L’integrazione europea è riuscita nel tempo ad abolire quasi interamente le frontiere interne e a liberalizzare la circolazione di merci, capitali, servizi e persone. Per spostarsi in Europa i nostri nonni dovevano chiedere il visto, i nostri figli non si accorgono nemmeno di attraversare le linee di confine entro l’area Schengen, e quando si trovano in un altro Paese Ue hanno gli stessi diritti dei nativi. Raggiungere questo risultato straordinario non è stato facile. Lo ha mostrato la Brexit: gli inglesi l’hanno appoggiata perché impauriti dalla supposta «invasione» di cittadini est europei (polacchi, rumeni) dopo che i loro Paesi erano entrati nella Ue fra il 2004 e il 2007.

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Arena climatica e voto europeo. Destre in marcia, sinistre ferme

lunedì, Giugno 12th, 2023

MASSIMO GIANNINI

Il futuro arriva così, con un cielo arancione, scrive Paul Krugman sul New York Times, alla fine di una settimana inutilmente cruciale per il Pianeta. Lunedì la Giornata mondiale dell’Ambiente, giovedì la Giornata mondiale degli Oceani. In mezzo, uno stillicidio inquietante di piccole catastrofi locali, che suggeriscono un’incipiente Armageddon globale. Lo skyline della Grande Mela infuocato dalla fuliggine di un mastodontico incendio nel Canada. E poi il disastro epocale della diga Khakovka che allaga mezza Ucraina, e quasi ricorda la devastante alluvione che ha appena sommerso la Romagna. E infine Greta Thunberg che ormai ventenne prende il diploma e si congeda idealmente dagli scioperi dei Fridays for Future.

La Rivoluzione Verde non è un pranzo di gala. Ancora non ce ne rendiamo conto, ma sarà proprio questo il vero campo di battaglia delle prossime elezioni europee del 2024: l’Agenda Ambientale, i suoi obblighi, i suoi costi industriali, occupazionali, sociali. Lo conferma Matteo Salvini, che come sempre sente l’odore del sangue e va subito a caccia. Stavolta la sua preda è “quell’ubriacone” di Hans Timmermans, vicepresidente della Commissione Ue e fiero fautore del blocco delle auto a benzina e diesel tra 12 anni: un’idea “da ricovero coatto”, tuona il Capitano leghista, aprendo le ostilità contro la “maggioranza Ursula” proprio a partire dal Global Warming. Un’emergenza che imporrebbe l’accelerazione di scelte drastiche già indicate dalle Conferenze di Rio e di Kyoto, di Parigi e di Glasgow. Ma la sporca guerra di Putin ha stravolto piattaforme politiche già vaghe ed esitanti. In un mondo diventato improvvisamente più chiuso e più piccolo, i governi fanno i conti con la super-inflazione e le nuove dipendenze energetiche (ieri succhiavamo gas russo, domani pomperemo terre rare cinesi).

Scoprono il prezzo da pagare alla transizione ecologica. E dunque, mentre rinnovano l’impegno formale al contrasto dei cambiamenti climatici, riscrivono i rispettivi Green Deal in base al proprio interesse nazionale.

Antonio Tajani, ministro degli Esteri nel governo dei Fratelli meloniani, conosce a fondo le logiche comunitarie dopo gli anni da commissario e poi da presidente del Parlamento. Dopo la tre giorni italiana dell’alleato Manfred Weber, non ha dubbi. Lasciate perdere il fascismo e l’antifascismo, lo scontro tra liberalismo e autoritarismo, la contesa tra le triadi Dio-Patria-Famiglia e Pride-Gender-Lgbtq+. Di qui al voto della prossima primavera la vera faglia tra destre e sinistre in Europa saranno le norme sulla Casa Green, sul blocco delle auto a benzina e diesel, sui fertilizzanti in agricoltura, sul Nutriscore, cioè il sistema di etichettatura dei prodotti alimentari. Questioni concrete, che riguardano la vita pratica di tutti i giorni e le persone in carne e ossa: famiglie, consumatori e imprenditori. Su queste si giocherà la partita del consenso.

Francesco Rutelli ex ministro della Cultura ed ex sindaco di Roma, conosce ancora più a fondo le mutazioni ambientali e le relative implicazioni politiche. E nel suo illuminante “Il Secolo Verde” (appena uscito da Solferino) le spiega come meglio non si potrebbe. Le agende nazionali e personali fanno i conti con nuovi conflitti strategici e con scelte materiali che cambiano radicalmente le nostre società. Le domande ricorrenti, tra le opinioni pubbliche del Continente, sono sempre le stesse: “È giusto obbligarci a rendere le nostre case più efficienti dal punto di vista energetico”, in nome del solito “arrogante dirigismo dell’Europa?”. “Dobbiamo per forza buttare le vecchie caldaie a metano, per montare impianti fotovoltaici che costano fino a 10 mila euro?”. Oppure: “Per ridurre le emissioni in città serve davvero ridurre la velocità delle auto a 30 chilometri all’ora?”. “Dobbiamo per forza rottamare le macchine a benzina, e comprare quelle elettriche che non costano mai meno di 25 mila euro?”. Per ora le risposte oscillano tra il sacrificio ineluttabile degli ambientalisti militanti (tendenza Carlo Marx: il capitalismo che inquina si abbatte, non si riforma) e il maleficio inaccettabile dei negazionisti impenitenti (tendenza Groucho Marx: perché devo fare qualcosa per i posteri, cos’hanno fatto questi posteri per me?).

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