Archive for Giugno 13th, 2023

Silvio Berlusconi, il presidente di tutti

martedì, Giugno 13th, 2023

Andrea Indini

Silvio Berlusconi, il presidente di tutti

Presidente, sempre. Di Forza Italia prima, del centrodestra unito poi. Il Pdl. Ma soprattutto presidente del Consiglio. Premier, per ben quattro volte. Presidente, anche fuori dai Palazzi della politica. Presidente dai campi da calcio all’editoria. Dal sogno rossonero al Giornale di Indro Montanelli. Il nostro Giornale.

Lui, il Cav. Che più di tutti ha contribuito a rendere grande il nostro Paese, creando posti di lavoro e ricchezza. Cavaliere del lavoro, appunto. Ma anche Cavaliere dei sogni. Perché è sempre riuscito a vedere il futuro laddove ancora non c’era nulla. Case, strade, asili, parchi: intere città, pensate e costruite a misura d’uomo. E tutti questi sogni li ha fatti brillare sin dentro alle case degli italiani. Canale 5, l’ammiraglia. E poi Italia1 e Rete4. Un nuovo modo di fare televisione, libero dal monopolio statalista della Rai. Un nuovo modo di raccontare l’Italia, tutto proiettato nel futuro.

Per tutti era semplicemente Silvio. Perché era così che parlavano di lui. E non certo per mancargli di rispetto. Tutt’altro. In ognuno di noi, in un modo o nell’altro, c’è un pezzo (grande o piccolo) di lui, di Silvio. Nessuno tra i grandi capitani d’industria del passato, tra i giganti dell’imprenditoria di oggi o tra i capi di Stato che hanno segnato la politica della nostra Repubblica, è mai riuscito, infatti, a fare quanto lui. Tutti grandi nel loro settore, Berlusconi grande in tutto.

C’è probabilmente un’immagine che più di tutte racconta al meglio questo attaccamento degli italiani al Cav. È il 9 aprile del 2009. Tre giorni prima, alle 3:32 di notte, un terremoto ha devastato il Centro Italia. L’Aquila e tutt’intorno la provincia sembrano appena state bombardate. È un dramma per i morti (più di 300) e per i feriti (più di 1.600) ma anche per tutte quelle persone che sono rimaste senza una casa dove ripararsi, un letto su cui dormire, una tavola attorno a cui raccogliersi e mangiare. È l’immagine di un’Italia in ginocchio. Berlusconi vola subito sul posto. Il sopralluogo nella zona rossa e lì incontra un’anziana signora. È in lacrime, si trascina verso di lui e chiede il suo conforto. “Non c’è più niente!”, gli dice. E poi, dandogli del tu: “Silvio aiutaci, Silvio! Silvio, aiutaci! Non c’è più niente!”. E lui, lì da presidente del Consiglio, a rappresentare lo Stato, ad affermare col corpo e la presenza che lo Stato c’è, non risponde solo da premier. Risponde, soprattutto, da Silvio. La abbraccia, la consola. “Facciamo tutto, guardi – le promette – vedrà che l’Italia risponde”. “Nemmeno i denti c’ho più! Stanno là dentro!”, fa lei indicando la casa in macerie. “Glieli recuperiamo, signora, le recuperiamo tutto. Stia tranquilla”.

È con la stessa familiarità che gli italiani gli hanno sempre dato del tu almeno una volta nella vita. Perché se nomini Silvio è matematico che parli di Berlusconi. Allo stadio, sicuramente. Da quel febbraio 1986 in poi. L’ingresso colossale in elicottero e poi, a raffica, gli scudetti, le cinque Coppe dei Campioni, il Milan nel cuore. Silvio anche per gli avversari. In campo come in parlmento. Un amore, quello con la politica, che ha avuto inizio nel 1994 con un video che ormai tutti conoscono a memoria: “L’Italia è il Paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho imparato, da mio padre e dalla vita, il mio mestiere di imprenditore. Qui ho appreso la passione per la libertà”. Forza Italia e il progetto liberale. Un intero popolo che si è riconosciuto in lui, al di là del partito. “Presidente siamo con te – cantavano – meno male che Silvio c’è”. Senza specificare il cognome. Non ce n’è mai stato bisogno. Nemmeno per i nemici più feroci.

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La fine della Seconda Repubblica

martedì, Giugno 13th, 2023

Marcello Sorgi

Con Berlusconi muore la Seconda Repubblica, di cui è stato indiscutibilmente uomo simbolo, come Andreotti lo era stato della Prima. Forse bisognerebbe scrivere «muore definitivamente», perché qualcuno potrebbe obiettare: ma non era già morta e sepolta? Sì e no. Nel senso che, finché c’era ancora Berlusconi, l’idea del maggioritario, dello scontro tra centrodestra e centrosinistra, dell’alternanza tra governi scelti dagli elettori non poteva considerarsi finita del tutto. Prova ne sia che uno degli ultimi avversari di Berlusconi, il più civile, il meno demonizzatore, e insomma Veltroni, che da leader del neonato (oggi assai sofferente) Pd lo sfidò nel 2008, perdendo ma con il risultato storico di sfiorare il 34 per cento, ancora adesso, ogni tanto, prova a riaprire il discorso su quel sistema. In quella sorprendente campagna elettorale, Veltroni lo definiva semplicemente «il leader dello schieramento avversario», ottenendo furbamente che votasse per il Pd una parte dei moderati italiani, un target molto studiato, assimilato ai democristiani di sinistra ma non solo. Gli stessi che poco dopo la sconfitta lo fecero fuori, sostituendolo con il dc di sempre Franceschini, per molti anni in servizio come capo delegazione al governo e ministro della Cultura, e solo da pochi mesi all’opposizione.

Berlusconi nel 2008 vinse, anzi stravinse, e in meno di due anni si mangiò la vittoria in una stupida litigata con Fini, suo alleato storico, che alla fine pagò il conto più salato della lite e uscì dalla politica, dopo una modestissima, per lui – leader della destra-destra e uomo che aveva legittimato i post-fascisti portandoli fuori dalla nostalgia del fascismo -, candidatura al centro con Casini, che non riuscì a farlo rieleggere.

A quel punto, la Seconda Repubblica aveva già compiuto quattordici anni, da quell’incredibile 1994 in cui il Cavaliere era apparso sulla scena con il chiaro obiettivo di liquidare la “partitocrazia” della Prima e c’era riuscito, seppure per pochi mesi la prima volta, grazie al Mattarellum, la legge elettorale concepita da un grande esperto della materia, che allora non poteva immaginare che sarebbe stato il successore di Napolitano. Berlusconi, che secondo il suo amico e sodale da una vita Confalonieri era “un sacramento”, un modo di dire milanese per definire uno fuori dal normale, studiò attentamente quella legge assai complicata e ne ricavò che poteva portare al governo “i comunisti”, che pure avevano cambiato nome. Un epilogo da evitare a qualsiasi costo e l’inizio di una nuova vita, la terza, per il costruttore che aveva edificato “Milano 2” e inventato la tv privata in Italia.

Negli stessi giorni, siamo alla fine del ‘93, un professore di scienze politiche poi diventato ministro, il liberale torinese Giuliano Urbani, ebbe lo stesso timore. Chiese udienza all’avvocato Gianni Agnelli e gli illustrò il piano per impedire la conquista del potere da parte degli eredi del Pci: sfruttando la presenza sul territorio della Fiat e scegliendo accortamente i candidati, si poteva evitare lo sbocco temuto in quel momento da tutti i democratici. Ma Agnelli non aveva alcuna voglia di trasformare le concessionarie della sua casa automobilistica in sedi di partito, né di diventare un leader politico, né di affrontare uno scontro con “i comunisti”, che non amava, ma con i quali faceva i conti da molto tempo nelle fabbriche. Così declinò. Non senza segnalare, però, al prof. Urbani, l’uomo che a suo giudizio aveva le qualità e l’apparato necessario per affrontare la sfida: Berlusconi. Per aiutare Urbani, lo chiamò direttamente al telefono, e lo pregò di ricevere il prof. Forza Italia nacque così, con i dirigenti di Publitalia trasformati in agit-prop, Berlusconi leader della campagna, uomini e donne delle sue tv ventre a terra per farlo vincere, e al comando delle operazioni un gran visir poi finito in galera per rapporti con la mafia: Marcello Dell’Utri.

Questa è storia, ormai, nel bene e nel male. Ma ciò che Berlusconi aveva capito, e rimane un’intuizione ancor oggi, è che accanto a quella dei partiti, del sindacati, del cosiddetto mondo collaterale, che governava la raccolta dei voti, con metodi, va da sé, anche inconfessabili, esisteva un’altra Italia, stufa del vecchio sistema, travolto, non solo dai referendum di Mariotto Segni del ‘91 e ‘93, che avevano introdotto il maggioritario, ma dall’inchiesta di Tangentopoli che aveva messo alla sbarra e fatto condannare, con metodi giustizialisti oggi considerati in gran parte inaccettabili, il gruppo di comando del “Pentapartito” e della Prima Repubblica. Un’Italia che non aveva lo stipendio fisso, eppure campava. Un’Italia che aveva preso a modello le tv di Berlusconi, il suo stile di vita, la sua storia personale di piccolo borghese che grazie al suo intuito e al suo coraggio imprenditoriale costruisce un impero e diventa miliardario. Un’Italia che amava divertirsi e non solo lamentarsi. L’Italia di Milano 2 e Milano 3. L’Italia di “Drive in” e dei primi programmi a colori di Canale 5.

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Il populismo e l’adesione ai valori occidentali

martedì, Giugno 13th, 2023

di Massimo Franco

Il fatto che Silvio Berlusconi abbia plasmato non solo il centrodestra ma, quasi di rimbalzo, la stessa opposizione di sinistra, dilata gli interrogativi sul futuro. Non solo quello di Forza Italia, partito del quale era padrone, non semplice leader. Ma dell’intera maggioranza e, più in generale, del sistema politico. La fretta con la quale i fedelissimi assicurano continuità nel suo nome riflette questa incertezza. E acuisce l’impressione di un elettorato che si sente orfano.

Ma probabilmente sono altrettanto nostalgici molti dei nemici che hanno mostrato rispetto nei suoi confronti soprattutto quando non ne hanno avuto più paura: e cioè dopo almeno due decenni di subalternità culturale, prima ancora che politica; e dopo avere tentato e sperato a lungo di sfruttare i processi nei quali era imputato per metterlo fuori combattimento. La sua dote di federatore della nebulosa anticomunista è stata indubbia. E lo ha reso l’interprete più naturale di un sistema maggioritario fondato sulla personalizzazione del potere e su un’evocazione di «sogni» di cui un’Italia disorientata dalla fine della Guerra fredda si è nutrita golosamente.

Anche per questo Berlusconi è stato additato come una sorta di precursore del populismo: fenomeno che negli anni è stato imitato un po’ da tutti, e non solo in Italia. Eppure, accanto alla retorica antisistema Berlusconi ha tenuto ferma un’adesione ai valori occidentali, entrata in collisione con un’Europa assillata dal debito dei suoi Stati membri. L’allontanamento da Palazzo Chigi, nell’autunno del 2011, non dipese dagli scandali o dai processi ma dal rapporto conflittuale e compromesso con l’Unione europea; e dal rischio di un collasso finanziario dell’Italia per le riforme mancate.

Nella narrazione berlusconiana e in quella dei suoi ammiratori, perfino in Vaticano, ristagna la tesi del complotto ordito dal Quirinale e dai «poteri forti» internazionali. Da allora, il Cavaliere non ha smesso di rivendicare le sue ragioni e alimentare la propria leggenda di vincente. Senza tuttavia riuscire, anche psicologicamente, a preparare una successione: come se la storia di FI dovesse cominciare e finire con lui. Probabilmente era inevitabile. Per questo non sorprende il vuoto che lascia. L’omaggio tributatogli dalla premier Giorgia Meloni e dal capo della Lega, Matteo Salvini, oltre che dovuto a chi li ha portati al governo nell’ormai remoto 1994, è un segnale al suo mondo.

Esiste un bacino di consensi oggi ridotti, come hanno dimostrato le elezioni del 25 settembre del 2022. Eppure tuttora ancorati alla personalità berlusconiana, al suo ruolo nel Partito popolare europeo, e a un moderatismo che Meloni e Salvini non rappresentano né intercettano pienamente. Si tratta dunque di voti «strategici», e da ieri più che mai in libera uscita: anche se difficilmente potranno essere ereditati in automatico dagli alleati; tanto meno dagli avversari storici. Renderanno semmai più acuta l’esigenza di trovare un contenitore in grado non solo di esprimerli ma di aumentarli.

In questi mesi, pur soffrendo per lo spostamento dei rapporti di forza a favore di FdI, e nonostante l’imbarazzo di Palazzo Chigi per la sua amicizia con Vladimir Putin, Berlusconi è rimasto un elemento di stabilità e di garanzia per l’unità di un centrodestra sbilanciato a destra. Adesso, la competizione tra Meloni e Salvini non avrà più la mediazione del leader di Fi, ma solo quella della famiglia e del ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Per il resto, la maggioranza si troverà di fronte un partito oggettivamente in bilico. E questo potrebbe rendere urgente una fase nella quale sia Meloni, sia Salvini dovranno ricalibrare la propria identità.

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Berlusconi, l’uomo che voleva piacere a tutti: un Casanova della politica e della tv”

martedì, Giugno 13th, 2023

CONCITA DE GREGORIO

Silvio Berlusconi era un uomo simpaticissimo, infantile e molto generoso. Raccontava barzellette desolanti, sconcertanti, imbarazzanti, ma lo faceva con tanto audace sorgivo entusiasmo che non riuscivi mai a dirgli guarda che non si può, come ti viene in mente. Finivi sempre per sorridere alla sua incomprensibile ingenuità, che poi era soprattutto voglia di piacere al prossimo. Berlusconi voleva piacere a tutti. Se non si capisce questo, se non lo si è visto coi propri occhi una e mille volte non si può poi parlare del lestofante che certamente è anche stato, tecnicamente criminale in quanto condannato per crimini, quei crimini che un popolo intero è continuamente tentato di commettere: non pagare le tasse, frodare il fisco, corrompere e comprare col denaro quel che non si può comprare ma succede, invece, comprare persone soprattutto se hai i soldi per farlo, fare affari con il malaffare se questo è il dazio per procedere nella propria marcia, trattare e non opporsi alle mafie di ogni genere e specie, opporsi è fastidioso a volte come sappiamo mortale, conviene chiedere quant’è, piuttosto: quanto costa. Voleva piacere a tutti, scusate se indugio ma sono convinta sia la chiave, è stato un grande Casanova della politica e della tv, del calcio e degli affari.

Aveva orrore del degrado fisico, pensava che avere i capelli fosse un fatto di “rispetto per il prossimo”, che farsi un lifting fosse una questione di decenza come saper usare le posate a tavola, non emettere flatulenze in pubblico e portare una giacca consona all’occasione: buona educazione. Veniva da una famiglia semplice e non agiata, padre impiegato di banca madre casalinga, il padre con qualche inventiva anche irregolare forse – dicono le cronache – lui certamente assai di più. Era un ragazzino molto intelligente, vendeva i compiti in classe, era intonato, cantava nelle navi da crociera. Aveva numeri, li ha messi a frutto: ha cominciato da un’agenzia pubblicitaria, che la pubblicità è l’anima del commercio, no? Ha fatto di un’agenzia pubblicitaria la leva per il governo del Paese. Ha cambiato il Paese per sempre, da una piccola concessionaria. Con ogni mezzo, certamente. Lecito e illecito ma senza mai restarci sotto: provateci voi. Era generoso, di una generosità cinica ma istintiva, a volte commovente. Sono stata direttrice dell’Unità negli anni del suo strapotere. L’apoteosi e l’inizio del declino, il Bunga Bunga e il resto. Ho pubblicato per prima le foto di Topolanek a villa Certosa, del cantore Apicella sull’aereo di Stato: titolo “È qui la festa?”. Non c’è stato giorno in cui non abbia, non abbiamo dato l’assillo sulle feste eleganti, sulla minore età eventuale delle ospiti, sulle buste alle olgettine e le nipoti di Mubarak. Quando poi anni dopo i nuovi editori del giornale a lui nemico, rottamatori del vecchio Partito Democratico e nuove speranze della sinistra, speranze purtroppo e prevedibilmente disilluse, hanno fatto in modo di lasciare i debiti arcaici e strutturali dell’azienda ai semplici dipendenti dell’epoca lui ha telefonato, un giorno, per dire: sono dei miserabili. Lei è una professionista, ha carattere e talento, non lo merita. Fossi stato io l’editore avrei saldato, posso fare qualcosa? Niente, grazie. Si figuri, non c’è di che. Nessuno fra i suoi consanguinei e i suoi famigliari ha mai avuto quel garbo, quel passo e quel fiuto imprenditoriale e animale, posso garantire. Nessuno di chi gli è stato intorno, fossero familiari o beneficiari/e, ha mai avuto la prodezza di dire a un politico di sinistra in carica, eletto sindaco: lei è molto bravo, ha anche un bell’aspetto, ha il talento di chi vince, vuol mica venire con me? Poi molti gli hanno detto di no, che Berlusconi era il male assoluto, ma tanti gli hanno detto di sì, invece.

Quindi, riassumendo. Ripartiamo da quando Giorgio Gaber diceva: non temo Berlusconi in sé, temo il Berlusconi in me. È stato un tipo umano che riassumeva un popolo e ne era campione. L’arci-italiano. Chiunque avrebbe voluto essere il tizio che partiva dal niente e dominava la scena: chiunque ha pensato se lo fa lui si può fare. Ma no, invece. Perché devi essere Logan Roy, il protagonista di Succession, il Murdoch del tuo tempo e del tuo posto. Devi avere i numeri, il pelo sullo stomaco e la maschera, l’intuito e la sveltezza. Pazienza per quelli attorno a te. Consanguinei e famigliari, vassalli e valvassori. Devi essere l’eroe di una serie tv buona per molte stagioni, e difatti. Negli anni Novanta, ha cominciato. Aveva 58 anni, mica pochi, quando è “sceso in politica”. Perché scendere gli conveniva, certamente. Proteggeva le sue aziende e la sua persona. Ma come andò, ricordiamo. Andò così. Aveva generato un impero anche grazie ai buoni uffici del Partito socialista, di Bettino Craxi. Fu fatta una legge, la legge Mammì, ad aziendam più che ad personam: la prima di una lunga serie. Poté competere con il servizio pubblico, il monopolio. Ebbe le concessioni. Cambiò il costume. L’immaginario. Drive In, le vallette. Le donne nude e la vita a premi, la Rai si adeguò. È stato l’inizio di una stagione nuova, in cui piacere al pubblico dunque esser popolari era sinonimo di successo. Ci si poteva candidare, ad essere pop, e vincere. Si vinse. Si usarono tutti i mezzi. Si fecero affari con chi non si doveva, si fu spregiudicati. Qualcuno fra i pregiudicati si prestò. Non fu abbastanza, l’evidenza dell’illecito. La marcia trionfale proseguì. La sinistra provò ad opporsi. Fu rilevante avere un siffatto avversario, fu per molti profittevole: politici, giornali. Non sufficiente, tuttavia. Qualcuno vinse, talvolta, Prodi per esempio, qualcuno in definitiva perse: nessuno fu in grado di generare un’idea di mondo altrettanto potente. Gli epigoni, alla fine, hanno fatto il loro privato interesse ma non quello di tutti. Renzi, per esempio, che Berlusconi in qualche momento ha rispettato ma infine espulso, come possibile antagonista o erede.

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Ghisleri: “Berlusconi cambiò linguaggio alla politica, più dei processi poté la moglie”

martedì, Giugno 13th, 2023

Annalisa Cuzzocrea

«Berlusconi aveva il costante bisogno di capire cosa accadesse nel mondo reale», lontano dalla vita ricca e privilegiata che conduceva. «Cercava una connessione e la trovava nei nostri racconti», dice Alessandra Ghisleri, la sondaggista che più ha collaborato con l’ex presidente del Consiglio. Fin dal 1999, quando aveva solo 27 anni.

Berlusconi morto, segui le news in diretta di oggi 13 giugno

Se lo ricorda quel giorno?
«Era un sabato e mi chiesero di andare ad Arcore. Ci arrivai così com’ero vestita. Era il 1999, bisognava preparare le Regionali e le Europee. Il presidente non mi aveva mai vista, mi squadrò, poi mi disse: “Si sieda accanto a me con il computer così seguo lei mentre fate la spiegazione”. Ero una ricercatrice junior, a dir poco intimidita».

Andò bene. E fu così per molto tempo. Cos’è che secondo lei ha determinato un successo durato tanti anni?
«Berlusconi ha dato vita al sogno americano, che è diventato un sogno italiano».

Il self made man?
«Ha messo su aziende, ha dato lavoro, ha vinto tante scommesse importanti. Ha portato un numero uno come Mike Bongiorno all’entertainment, un altro come Enrico Mentana all’informazione. Per tante persone ha rappresentato la possibilità di crederci».

E ha costruito un racconto di sé che va dal pianobar sulle navi da crociera all’impero immobiliare e televisivo.
«Nelle elezioni del 2001, che consacrarono il suo successo politico, mandò nelle case degli italiani un libro con la sua storia. Voleva scegliere come essere raccontato».

La videocassetta mandata ai tg per la discesa in campo è la prima grande opera di disintermediazione in politica.
«Conosceva benissimo i meccanismi della comunicazione ed era anche un attentissimo osservatore. Prima di lui c’era una politica paludata che la gente non capiva più. Lui ha cambiato il gergo, ha fatto una rivoluzione prima di tutto nel linguaggio, poi nel comportamento. I suoi uomini dovevano essere tutti vestiti in un certo modo. La cravatta larga era un timbro».

Studiava i sondaggi personalmente?
«Certo. E mi richiamava se la grafica non era bella, se c’era un carattere che non gli piaceva. Tutti a dimensione 18, per il vezzo di non portare gli occhiali. Un giorno mi rimandò indietro un report con scritto di suo pugno quale sua fotografia dovesse esserci, quando ne testavamo la popolarità».

Vanità?
«No, perfezionismo. In tutto. Anche nella strategia politica. Ogni mossa, dal discorso di Onna al predellino, veniva decisa molto prima e testata prima con alcune persone, poi con altre. Ascoltava tutti e alla fine decideva».

Di lei si è sempre fidato?
«Gli dicevo le cose come stavano. Quando aveva sondaggi belli era così fiero che li portava ai capi di Stato. E poi ha sempre avuto trovate geniali. Ricordo quando nel 2009 mi chiamò: c’era appena stato il terremoto all’Aquila, lui pensò di spostare lì il G8. Gli dissi che poteva essere male interpretato, le persone stavano soffrendo, ma aveva ragione: ha fatto in modo che il mondo vedesse quella sofferenza e ne fosse partecipe».

Era un accentratore che non ha lasciato eredi politici.
«Ci ha provato. Prima il rapporto con Gianfranco Fini, poi con Angelino Alfano».

Il primo lo ha silurato con un gesto, il secondo dicendo che gli mancava il quid.
«Sapeva essere chirurgico. Sono stati rapporti molto complicati. A me ha dato delle chance pazzesche: mi ha portata al tavolo con i consiglieri di Obama, Bush, Blair, Clinton. Voleva sempre studiare tutto. Imparava, assimilava e se la rigiocava. E comunque, avocava a sé onori e oneri. Si è sempre sobbarcato anche le cose più difficili».

Spesso sembrava voler sedurre anche gli avversari.
«Dopo il discorso di Onna, quando mise il fazzoletto dei partigiani, lo chiamai, era in elicottero con Bonaiuti. Gli dissi che aveva il 75 per cento di indice di fiducia. Ci fu un momento di silenzio».

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Massimo Cacciari su Berlusconi: “Re della Tv, statista fallimentare: con Forza Italia ha rivoltato la politica”

martedì, Giugno 13th, 2023

Andrea Malaguti

Massimo Cacciari, giusti i funerali di Stato per Silvio Berlusconi?
«Certo, perché no? È stato quattro volte presidente del Consiglio e da trent’anni è la figura centrale della politica italiana. Mi sembra normale».

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È normale anche il lutto nazionale?
«Non ricordo precedenti per la scomparsa di un presidente del Consiglio, ma mi sembra la minore delle questioni».

I processi, la P2, Mangano stalliere ad Arcore, le leggi ad personam, il web si è scatenato.
«Guardi, io non sono un giudice. Berlusconi è stato assolto nel 99% dei molti processi a cui è stato sottoposto e ho sempre considerato suicida la scelta della sinistra di attaccarlo sul fronte giudiziario anziché su quello politico. Detto questo, se fosse dipeso da me, il lutto nazionale non lo avrei proposto».

Qual è l’eredità politica del Cavaliere?
«Beh, è difficile dirlo. Il personaggio che va giudicato in varie dimensioni».

L’imprenditore lo promuove?
«Sarebbe molto difficile non farlo. Ha inventato la tv privata e ha capito come nessun altro il potenziale della comunicazione. Capacità e senso dell’innovazione sono state quelle di un grande imprenditore».

Il capo politico?
«Il capo politico ha segnato un’epoca. Ognuno può dare il giudizio che crede. Ma Forza Italia ha rivoluzionato il modo di concepire la politica. Un’innovazione che ha finito per diventare egemone».

Non mi è chiaro.
«Lo sbaraccamento della forma tradizionale di partito è cominciata con Forza Italia, che per prima si è presentata come formazione a conduzione carismatica capace di rivolgersi direttamente alla gente. Un’invenzione che ha cambiato le coordinate della politica, fino a condizionare anche le cosiddette sinistre».

Più importante per il consenso il Tg5 o Drive In?
«Mi pare che abbia funzionato la somma delle due cose».

La pagella al Berlusconi statista?
«Un totale fallimento. Ma non ha fallito da solo. Lo ha fatto tutta la sua generazione».

Impietoso.
«Lucido. Dopo trent’anni l’Italia sta molto peggio di prima. Non c’è stata nessuna riforma seria istituzionale, amministrativa o dei servizi fondamentali. E la Costituzione è diecimila volte più inattuata».

Professore, con Berlusconi se ne va anche Forza Italia?
«Non credo. La triplice di governo ha bisogno della componente di forzista in vista delle europee. Il disegno in prospettiva è piuttosto chiaro».

Una maggioranza tra i popolari e la destra?
«Ovvio. E per questo al momento non sono ipotizzabili grandi fughe o strategie di annessione. È vero che Forza Italia è ai minimi storici e che la leadership di Meloni è molto forte, ma è anche vero che dal 1994 la triplice destra-destra, Lega, Forza Italia non si è mai divisa. A differenza di quello che succede a sinistra».

La destra vince anche alle europee?
«Possibile».

È uno scenario che la spaventa?
«In nessun modo. L’Europa attuale è totalmente priva di visione strategica e soprattutto di autonomia in politica estera per cui, chiunque governi, l’egemonia della Nato e degli Stati Uniti continuerà a imporre la propria linea. E per quello che riguarda l’amministrazione interna ci penseranno come sempre le tecno-strutture, che sono del tutto indifferenti al colore di chi vince le elezioni».

Chi è il delfino di Berlusconi?
«Non lo vedo».

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Autobiografia di una nazione

martedì, Giugno 13th, 2023

MASSIMO GIANNINI

Alla fine, il Destino ha bussato anche alla sua porta. Non a Villa San Martino, che per quasi trent’anni è stata la quinta suntuosa dove lui stesso aveva trasferito e trasformato per sempre l’esecrato “teatrino della politica”. Ma al San Raffaele, il luogo di una sofferenza fisica che ha negato e fuggito sempre, in un’esistenza epica durata 86 anni che non contemplava la vulnerabilità e la fallibilità degli umani. Alla fine Berlusconi è morto lì, lontano dai suoi cani e dai suoi quadri, in quella lussuosa dependance ospedaliera che ha copiosamente finanziato e che l’ha curato e accudito ogni volta, per la tendinite o l’uveite, per il cancro o il Covid. Fino all’ultima caduta, quella fatale. Silvio, l’Immortale, stavolta non ce l’ha fatta. Non arriverà «fino a 120 anni», come si diceva sicuro di fare grazie ai miracoli del guru Zangrillo.

E commuove rivederlo adesso, in quell’ultima drammatica immagine pubblica del 6 marzo, collegato con la convention azzurra dalla sua magione sanitaria, per salutare e rinnovare l’appello alla vigilia delle amministrative. Gonfio, provato, esitante, con la voce lenta e impastata: «È il vostro affetto e il vostro abbraccio che mi ha consentito di superare una brutta polmonite… Mi raccomando, andiamo avanti così, io sarò con voi, con la stessa passione e lo stesso impegno del 1984…». E invece non c’è riuscito. La malattia se l’è portato via. Con lui se ne va un gigante che, nel bene e nel male, ha fatto la Storia italiana dell’ultimo mezzo secolo. L’ha segnata e plasmata, rinnovata e deformata come nessun altro. Nel suo caso è pressoché impossibile scindere l’essere umano dal leader politico. Ma è uno sforzo doveroso, adesso.

Berlusconi morto, segui le news in diretta di oggi 13 giugno

Sul piano giornalistico, ho criticato e contestato il Cavaliere per più di quattro lustri. C’ero nel ’94, quando la “Repubblica” diretta da Eugenio Scalfari si schierò duramente contro la discesa in campo. C’ero nei vent’anni successivi, quando lo stesso giornale diretto da Ezio Mauro combatté, in nome dei principi della liberaldemocrazia, le leggi ad personam e il conflitto di interessi, il bavaglio ai media e l’attacco alla magistratura, fino alle famose “Dieci domande” di Giuseppe D’Avanzo. Fu uno scontro aspro, irriducibile. Per questo, dal 2015 in poi, mai avrei immaginato di poter ricevere due inviti dal Grande Avversario, a Palazzo Grazioli. Mai avrei pensato di poter trascorrere alcune ore insieme a lui, a scherzare e a ironizzare sul passato, pur mantenendo le rispettive opinioni. Mai avrei creduto di ascoltarlo, mentre mi mostrava due album pieni di fotografie che lo ritraevano insieme ai 100 capitribù libici: «Vede perché non riusciamo a rimettere a posto la Libia? Perché nessuno ha la pazienza di andare a parlare con ciascuno di questi signori!». Mai avrei sognato di ringraziarlo, dopo un’altra chiacchierata, mentre mi salutava con una pacca sulla spalla e con cinque scatole griffate Marinella: «Basta con queste cravattine da comunista che porta, si prenda un po’ di cravatte serie…». Erano larghissime, una dozzina di centimetri. Le ho fatte stringere, le metto ancora. Più simpatico e più empatico di lui, nessuno mai. Più seducente e più voglioso di piacere, piacendosi, nessuno mai.

Ma qui finisce l’umanità, e comincia la politica. E il giudizio cambia, come ho già scritto. Intanto, è inutile scervellarsi su cosa sarà di Forza Italia, su “chi dopo di lui”. Tajani o Ronzulli? Non vi sforzate di immaginare il dopo Berlusconi: come D’Annunzio, ma più triviale e teatrale del Vate, il Cavaliere ha vissuto una “vita inimitabile”. Dunque non replicabile. Si rassegnino figli e famigli, senatori e coordinatori, deputate e fidanzate, badanti e cantanti: al di là dei patrimoni miliardari e dei conti fiduciari, delle ville ottocentesche e delle residenze picaresche, non c’è un’altra eredità da spartire. Il suo finale di partita coincide inevitabilmente con la fine del suo partito.

Berlusconi è esistito anche senza Forza Italia: prima della politica c’erano già sia il costruttore seriale che ha sfornato Milano Due sia il tycoon televisivo che ha stravolto i nostri usi culturali e i nostri consumi commerciali. Ma Forza Italia non sarebbe mai esistita senza Berlusconi. Questo destino inscindibile è l’essenza stessa del “partito personale” che lui ha fondato e plasmato a sua immagine e somiglianza (e nel quale si sono beatamente rispecchiati corrivi cantori e cattivi imitatori, in Italia e nel mondo). Ed è l’effetto naturale e non collaterale dei tre lasciti che il Cavaliere consegna alla Storia italiana.

Il primo lascito è il leaderismo. Cioè la sacralità del comando e la natura octroyée del suo esercizio, dove ogni atto non è negoziato ma concesso dal sovrano al suddito. L’Unto del Signore, auto-investito di un mandato messianico e sempre titanico, è “sceso in campo” con una missione epocale: salvare l’Italia dai comunisti (benché rimanga in eterno il sospetto che l’abbia fatto per salvare se stesso dai processi). Per questo ha inventato dal nulla il “partito di plastica”, trasformando la rete della raccolta Publitalia nella tela del consenso azzurro, e in pochi anni lo ha trasformato nel “partito di Silvio”. Col suo carisma e col suo strapotere, tutto ha deciso e tutto amministrato. Con la sua spregiudicata destrezza e la sua smisurata ricchezza, ha applicato alla politica la regola che Enrico Cuccia adattava alla finanza: «ogni uomo ha un prezzo» (lui di suo ci ha aggiunto anche «ogni donna», come denunciò in una lettera leggendaria la ex consorte Veronica Lario). Nel Palazzo, come al Mercato, tutto si può comprare e vendere: leggi e sentenze, elettori ed eletti, concessioni e condoni.

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Cosa succede a Forza Italia, dopo la morte di Silvio Berlusconi

martedì, Giugno 13th, 2023

di Gianluca Mercuri

La morte di Berlusconi pone al centro dell’attenzione il tema di che cosa accadrà al partito che l’ex premier ha fondato: e il destino della sua creatura può cambiare gli equilibri politici del Paese

Cosa succede a Forza Italia, dopo la morte di Silvio Berlusconi

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Che ne sarà, di Forza Italia?

Al di là dei ricordi, della storia, della leggenda, è questo il tema più importante che si pone, nelle ore successive alla morte di Silvio Berlusconi. Perché il destino della creatura dell’ex premier può cambiare gli equilibri politici del Paese.

Punto per punto:

L’erede che non c’è
Non l’ha mai voluto, non l’ha mai avuto: né quando era il capo indiscusso di tutto il centrodestra, né ora che gli era rimasta solo una Forza Italia ridotta a misure small. Per questo ora nel partito predomina lo sconcerto: si aspettava una riunione con il leader, in programma sabato, per definire nuovi incarichi. E ora?

• Senza linea di comando
La situazione la descrive Paola Di Caro, così:

«Le cariche potevano comparire o scomparire in un battito di ciglia, per semplice volere di Berlusconi. E così era stato anche stavolta, con il ribaltone che aveva portato al declassamento di Licia Ronzulli, al rafforzamento della linea governativa di Antonio Tajani e alla crescita della componente vicina a Marta Fascina. Ma già nelle ultime due settimane aveva cominciato a soffiare un vento freddo: ipotesi di scalate da parte della stessa Fascina con i suoi fedelissimi, di rapporti di forza tra lei e Tajani, di un possibile ritorno all’attacco di Ronzulli, di cambiamenti imminenti che lo stesso Berlusconi aveva annunciato ma ancora non siglato. Tutto smentito ma tutto verosimile. E ora?».

• Lo spettro dell’estinzione
Paola, che segue il mondo berlusconiano da sempre, evoca scenari foschi:

«Quello più tragico, su cui alcuni fra gli alleati scommettono e insieme temono, è una fine rapida e immediata dello stesso partito. Una fuga in tutte le direzioni, chi al centro, chi verso la Lega, chi da FdI. Processo che potrebbe essere inevitabile se — fatto cruciale — la famiglia di Berlusconi decidesse di staccare la spina e chiudere i rubinetti di finanziamento al partito, che vive grazie a fidejussioni, quasi 100 milioni»
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Un leader che ha cambiato la politica, i partiti e gli avversari. E adesso? Finisce la Forza Italia di Berlusconi, ma restano quei voti e gli ideali

martedì, Giugno 13th, 2023

L’analisi del direttore del Corriere della Sera sul leader che ha caratterizzato la storia politica italiana degli ultimi 30 anni

Luciano Fontana / CorriereTv

Silvio Berlusconi (morto il 12 giugno all’età di 86 anni, all’ospedale San Raffaele di Milano) è il leader politico che ha seguito tutta la storia politica italiana degli ultimi 30 anni: è stato il leader che ha garantito la continuità al centrodestra. Ha cambiato la politica radicalmente, prima perché ha cercato di mettere insieme l’Italia silenziosa che si è ritrovata sotto alchimie politiche particolari (le alleanze con Bossi e Fini). Per tanti anni ha diviso l’Italia tra berlusconiani e anti-berlusconiani.
Berlusconi ha avuto sempre un rapporto diretto con gli elettori e ha plasmato il suo campo, sapeva semplificare, sapeva “vendere” prima nel campo delle imprese, poi nel campo della politica.
(Luciano Fontana)

CORRIERE.IT

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«È morto Berlusconi»: la folla ad Arcore, il lutto nazionale e il congedo da Milano 2, con un giro in auto per i viali

martedì, Giugno 13th, 2023

di Marco Imarisio

Il leader si è spento alle 9.30 di ieri al San Raffaele L’annuncio dato un’ora più tardi, dopo l’arrivo in ospedale della famiglia. I messaggi del Papa e del Capo dello Stato

 «È morto Berlusconi»: la folla ad Arcore, il lutto nazionale e il congedo da Milano 2, con un giro in auto per i viali

L’unica cosa che non è riuscito a fare durante i suoi 86 anni di vita esagerata, è stata l’ultima. «Questa è la mia casa» ripeteva ai dirigenti Fininvest ai quali mostrava le meraviglie della villa di Arcore. «È qui che voglio andarmene quando arriverà il momento, è qui che voglio essere seppellito con i miei amici e la mia famiglia». Silvio Berlusconi invece è morto alle 9.30 di ieri mattina nella sua stanza al primo piano dell’Ospedale San Raffaele.

Tutti sapevano che era appeso a un filo, perché la diagnosi era infausta per una persona di quell’età, e tutti sapevano che presto sarebbe arrivato il tempo in cui fare i conti con una figura così grande, così importante per questo Paese, un compito che infine sarà riservato più ai libri di storia che alla cronaca del presente. La notizia della scomparsa dell’uomo che fu imprenditore di successo, inventore della televisione privata, presidente più vincente del calcio italiano e non solo di quello, il fondatore di Forza Italia nonché il presidente del Consiglio che più a lungo ha guidato il Paese durante la Seconda repubblica, è in ogni caso arrivata inattesa. Anche perché lui ci aveva abituati bene, con continue risurrezioni, non solo in senso clinico. L’Italia che si è fermata di colpo, non era preparata a dire addio all’uomo che da oltre quarant’anni ha colonizzato il nostro immaginario collettivo, diventandone estasi e ossessione a seconda del giudizio di ognuno. Mai indifferente, mai. La verità è questa. Così tutti ricorderemo dove eravamo e cosa stavamo facendo quando abbiamo saputo, e sono cose che si possono dire di pochi istanti della vita repubblicana.

Berlusconi è morto, aveva 86 anni di Antonio Polito
La vera impresa di Silvio Berlusconi di Aldo Cazzullo
Così fondò Forza Italia e divenne premier di Francesco Verderami
Così rivoluzionò la tv con quaranta persone di Aldo Grasso
Dalla A di amore alla Z di Zelensky: l’alfabeto di Berlusconi di Gian Antonio Stella
Vivere con B. di Massimo Gramellini

Il crollo

Ma morire, morire davvero, è un attimo e basta. Per tutti. Quando succede, non si è mai pronti. La situazione precipita sul finire della notte scorsa. Le sue condizioni si aggravano di colpo. Fino all’ultimo Berlusconi si è sottoposto alla chemioterapia, ha trascorso la penultima notte della sua vita guardando la finale di Champions League. Sperava di farcela anche questa volta, anche se i collaboratori più stretti rivelano ora come fosse sempre più consapevole del fatto che il suo tempo stava per finire.

Il giorno prima dell’ultimo ricovero, aveva fatto un giro in auto per i viali di Milano 2, dove tutto è cominciato, e forse in qualche modo, era una specie di congedo. Ci sperava anche la sua famiglia, naturalmente. Marina e Pier Silvio sono alle prese con una riunione di lavoro quando ricevano la telefonata che li invita a precipitarsi al San Raffaele. Il comunicato ufficiale ci mette un’ora a uscire, perché non era pronto. Davanti alla sua stanza, Marta Fascina si dispera, non ci crede che sia potuto davvero succedere. Alle 9.30 arriva suo fratello Paolo, che entra a bordo della sua auto da un passaggio riservato. Pochi minuti dopo, la primogenita Marina, su una macchina dai vetri oscurati, poi Eleonora, poi Barbara, seguite pochi minuti dopo da Pier Silvio. Un’ora dopo, mentre si rincorrono le voci, la notizia della scomparsa diventa ufficiale. Silvio Berlusconi è morto. E diventa subito chiaro che ci sarà un prima e un dopo. È una giornata come tante, i siti delle principali testate nazionali aprono sulla controffensiva ucraina che avanza, la direzione del Pd, l’economia. Scompare tutto, subito. Se i social sono davvero specchio della società, come qualcuno crede, l’effetto fa impressione. Ogni rumore di fondo tace.

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